“L’eventuale terza Repubblica che dovesse derivare dal nuovo appuntamento elettorale avrà un vizio genetico se la classe dirigente, come purtroppo avvenuto fino ai più alti vertici istituzionali, continuerà a dimostrarsi incapace o, peggio ancora, dolosamente omissiva nell’accertare ogni piega della stagione più sanguinosa della vita repubblicana”. Il passaggio finale dell’intervento del senatore Giuseppe Lumia nelle repliche alla relazione del presidente della Commissione parlamentare antimafia, Giuseppe Pisanu, relativa all’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia è alquanto esplicativo.
Da quando è nata la prima Commissione parlamentare antimafia nel 1962 la metodologia della stessa ha costantemente ruotato attorno a vere e proprie assoluzioni di quei politici presuntamente o dichiaratamente collusi con la mafia di cui si è occupata.
Le “eccezioni” di uomini come Pio La Torre, Gerardo Chiaramonte, Cesare Terranova e pochissimi altri hanno rappresentato “l’anomalia” all’interno di questa istituzione.
Così come la Commissione diretta da Luciano Violante il quale, prima di convertirsi al più becero “garantismo” (dopo aver “recuperato” la memoria in merito alla sua conoscenza relativa ai contatti tra Ciancimino e il Ros nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa), ha il merito di aver intrapreso un lavoro importante sul versante mafia-politica. Stesso discorso per la breve reggenza di Giuseppe Lumia che stava puntando ai livelli più alti delle collusioni mafiose prima di essere interrotto dal cambio di governo.
Così come per Francesco Forgione sul quale però pesa ancora la scelta di essersi opposto alla proposta di Orazio Licandro (Pdci) e Angela Napoli (An) di vietare l’accesso alla Commissione per i condannati e gli imputati di reati di mafia e contro la Pubblica Amministrazione. Col risultato che per la prima volta nella storia erano entrati a far parte della Commissione parlamentare antimafia due condannati per corruzione (Paolo Cirino Pomicino e Alfredo Vito).
Se per i magistrati di Palermo dietro la trattativa c’è stato un mandante politico, per Pisanu non è assolutamente così. Il presidente della Commissione che ha attraversato i governi Berlusconi-Monti – amico di Flavio Carboni (il faccendiere amico e socio di Pippo Calò) e frequentatore di membri della P2 – ha parlato esclusivamente di “una tacita e parziale intesa”. “Possiamo dire – ha specificato il presidente dell’Antimafia nella sua bozza di relazione finale – che ci fu almeno una trattativa tra uomini dello Stato privi di un mandato politico e uomini di Cosa nostra divisi tra loro, quindi privi anche loro di un mandato univoco e sovrano”.
Di fronte alla totale incongruenza di simili affermazioni è proprio uno dei più importanti protagonisti di quelle vicende a rispondergli: Mario Mori. “Pazzo se avessi trattato senza appoggi politici” è stata la laconica replica dell’ex comandante del Ros che a cavallo delle stragi di Capaci e Via D’Amelio aveva incontrato Vito Ciancimino per stabilire un contatto con Cosa Nostra.
La mancata audizione del generale Mori è solo la punta dell’iceberg di tutto quello che non ha fatto la Commissione per fare chiarezza sulla trattativa Stato-mafia. Per non parlare di un mancato confronto tra Nicola Mancino e Claudio Martelli. La Commissione parlamentare antimafia avrebbe ugualmente potuto sentire Gaspare Spatuzza per approfondire la questione del depistaggio sulla strage di via D’Amelio messo in atto dal falso pentito Vincenzo Scarantino “gestito” da apparati istituzionali. Allo stesso modo Pisanu avrebbe potuto chiamare i 3 poliziotti agli ordini di Arnaldo La Barbera (per un periodo soldo dei Servizi con il nome in codice di “Rutilius) per fare luce sulla “collaborazione” del picciotto della Guadagna.
Niente di tutto ciò è stato fatto. Nemmeno Bruno Contrada è stato chiamato. All’ex numero 3 del Sisde la Commissione avrebbe potuto chiedere di raccontare la sua verità così da comprendere meglio quale “Stato” aveva servito e in virtù di quale “ragione di Stato” aveva eseguito determinati ordini. Pisanu ha preferito acquisire documenti dei Servizi Segreti che per altro ha definito “disomogenei”. Ma perché allora non ha voluto ascoltare i vertici dei Servizi Segreti dell’epoca? Solo così avrebbe potuto contestare quelle che ha ritenuto essere disomogeneità. Le tesi negazioniste ed autoassolutorie riportate nella relazione Pisanu sono lo specchio di una politica collusa che non intende minimamente fare verità e giustizia sul patto scellerato tra mafia e Stato.
Siamo di fronte a mezze verità che sortiscono l’effetto devastante di depistare ulteriormente la ricerca su coloro che hanno trattato con la mafia all’interno di un criminale do-ut-des. Ancora una volta dagli alti palazzi viene calata una cappa sulla possibile individuazione di quegli esponenti dello Stato-mafia che insieme a Cosa Nostra - sul sangue di tutti i martiri che il nostro Paese annovera - hanno fondato le basi della seconda Repubblica. Sulla quale non potrà mai poggiarsi una terza se non si arriverà ad una piena e incondizionata verità.
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