lunedì 28 giugno 2021

Valute, tutte le incognite dietro la diversificazione in dollari. - Andrea Gennai

 

Le grandi banche d’affari vedono un dollaro tonico solo nel breve. Il biglietto verde potrà apprezzarsi con stabilità solo se la Fed anticiperà il rialzo tassi o se peggiorerà il sentiment per l’azionario.

Il rimbalzo del dollaro partito la scorsa settimana dopo la parole vigili della Fed sull’inflazione hanno riportato al centro dell’attenzione il tema della diversificazione valutaria. Almeno nell’ultimo anno siamo reduci da una fase di rafforzamento dell’euro a partire dalle due principali divise (biglietto verde e yen) e questo ha reso più complicato la diversificazione valutaria.

È giunto il momento di scommettere su un indebolimento della divisa unica e quindi sulla possibilità di guadagnare puntando sulle altre divise? Gli addetti ai lavori sono divisi e non è un novità essendo il mercato della valute (forex) quello più liquido al mondo ed esposto a molteplici variabili.

La diversificazione valutaria è necessaria ma, secondo gli esperti interpellati da Plus, deve essere marginale in un portafoglio. Dipende dalla propensione al rischio ma in linea di massima per un investitore medio può aggirarsi intorno al 20 per cento.

Cosa può frenare il dollaro.

I destini del dollaro sono in mano alla Fed. «Il dollaro - spiega Matteo Paganini, managing director Europa Pepperstone - si apprezza quando siamo in fase di fuga dal rischio e fino a questo momento tutti i tentativi di discesa dei mercati azionari sono sempre rientrati. Il driver è rappresentato dall’azione delle banche centrali e dall’inflazione. Quando il mercato percepirà un aumento dei prezzi duraturo allora il fattore tassi tornerà alla ribalta e il biglietto verde potrà apprezzarsi stabilmente».

Secondo l’analista «i flussi di capitali sono molto lineari in questa fase. Ne è un riprova lo yen che non si è mosso anche quando l’azionario ha provato a correggere perché, con i tassi a zero ovunque, non erano state montate operazioni con gli yen presi a prestito. Non penso che da qua a fine anno avremo delle indicazioni chiare sui tassi negli Usa e quindi il dollaro potrà apprezzarsi solo se l’inflazione sfuggirà dal controllo».

Una posizione in sintonia con Goldman Sachs, che nonostante i toni più vigili della Fed non vede un apprezzamento stabile del biglietto verde. Secondo la banca d’affari il dollaro nel breve potrà rimbalzare anche nell’ordine di qualche punto percentuale, complice l’effetto dell’ultimo meeting Fed ma a 6 mesi l’euro-dollaro è visto a 1,27 complice una Fed che dovrebbe restare ancora molto accomodante. Anche Morgan Stanley nel breve vede un rimbalzo del dollaro su euro alla luce delle dinamiche del mercato delle opzioni mentre Barclays nel terzo trimestre scommette su un cambio sostanzialmente stabile a 1,18.

Cosa può sostenerlo.

Nel medio e lungo termine a determinare il trend delle valute saranno come sempre i tassi e quindi i rendimenti. Oggi questa variabile è offuscata dai tassi a zero applicati da molte banche centrali. Una volta che il quadro sarà normalizzato i flussi riprenderanno a seguire questi segnali e già si avvertono segnali sul mercato.

«Resta ancora elevata - spiega Luca Mannucci, Head of market strategy di Mps Capital Services - la ricerca di rendimento con i flussi che andranno a privilegiare le valute di quei paesi le cui Banche centrali hanno iniziato a implementare o a ragionare su una normalizzazione delle politiche monetarie ultra-accomodanti (il cosiddetto tapering) ovvero ad alzare in maniera decisa i tassi di interesse.

Tra le banche centrali occidentali la BoC (Canada) ha iniziato a rallentare il ritmo degli acquisti, la banca centrale norvegese ha aperto le porte ad un rialzo (forse già a settembre) e alcuni paesi emergenti come Brasile e Russia hanno iniziato a marzo un lungo ciclo di rialzo dei tassi. La Fed è nelle fasi iniziali di questo processo».

Potrebbe ripetersi, mutatis mutandis, uno scenario simile a quanto visto nel 2013 anno del “taper tantrum”. A dicembre 2013 la Fed annunciò il tapering che partì il mese successivo e durò circa un paio di anni prima di procedere al primo rialzo dei tassi a dicembre 2015. Questa volta potrebbe essere un percorso simile. «A sfavore del dollaro - continua Mannucci - c’è il tema dei deficit gemelli, che tuttavia dovrebbe rimanere limitato almeno fino a quando sarà controbilanciato dai flussi di investimento.

Il mercato dei futures sconta per i tassi euribor a 3 mesi un rialzo di 25 punti per dicembre 2023 mentre nel caso dell’America sconta un rialzo a dicembre 2022 e almeno altri due nel 2023. «In questo scenario - conclude Mannucci - ha senso diversificare verso la valute dove è partito un percorso di normalizzazione della politica monetaria e non mi sorprenderebbe che i flussi possano progressivamente premiare il dollaro. Per questo ci aspettiamo un ribasso, sebbene limitato, del cambio eurodollaro. Abbiamo 1,16 come target per euro dollaro entro settembre».

Tra le valute più importanti c’è lo yen, che fino a oggi è rimasto molto indietro nei confronti dell’euro ma anche del dollaro. Anche in questo caso il differenziale di tassi non promette molto per l’investitore del Vecchio Continente. C’è infine la sterlina, che si è apprezzata molto negli ultimi mesi per la rapida campagna vaccinale di inizio anno, ma questo è già in buona parte scontato dal mercato.

IlSole24Ore

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