L’energia elettrica non si può immagazzinare. E’ quindi necessario produrre, istante per istante, la quantità di energia richiesta dall‘insieme dei consumatori (famiglie e aziende).
In ogni istante: questo è un concetto fondamentale. Le centrali in funzione producono la quantità di energia necessaria. Esattamente quella. Di più non si saprebbe dove metterla. Se tutte vanno al massimo della loro capacità e un qualsiasi utente accendesse una ulteriore luce – paradossalmente anche di una sola stanza – dovrebbe entrare in funzione un’altra centrale, fino ad allora in riserva, per coprire questo fabbisogno. Ho fatto, ovviamente, un’iperbole per dire al meglio possibile di questa caratteristica dell’elettricità. E’ un vincolo: ma non è colpa né mia né della politica se è così. Sono le leggi della fisica e la tecnologia.
Fin quando il "monopolista" (sempre pronunciato con tono dispregiativo) Enel ha operato sul mercato, il processo di generazione di energia elettrica, il dispacciamento/trasporto (la ripartizione secondo le esigenze dei vari territori e clienti finali), e la distribuzione erano tutte nelle sue mani. Tre fasi per la produzione di un servizio pubblico, indispensabile per la vita, affidate ad un Ente di proprietà dello Stato.….
Dopo il processo di liberalizzazione del Mercato, avviato alla fine degli anni '90 con il Decreto Bersani, alle tre suddette fasi si sono affiancate altre due relative alla vendita all'ingrosso e alla vendita al dettaglio. La legge ha favorito l'ingresso nel mercato libero di nuovi operatori. Il risultato è che tutte le fasi sono “in libero mercato” ad eccezione del dispacciamento/trasporto.
Dunque quando si pensa alla produzione di energia si pensa ancora all’Enel: e non è così.
Nel 2020 hanno prodotto energia elettrica: "Enel" (15,8%), "Eni" (8,0%), "Edison" (7,0%) "A2A" (6,0%), “EPH” (acronimo della compagnia ceca Energetický a průmyslový holding) (5,3%), “Iren” (3,6%), “Engie” (2,6%), “SORGENIA” (2,4%) ed inoltre ERG, Alperia, Axpo Group, SARAS e qualche altro minore. Altra precisazione: con queste produzioni non si soddisfa però il fabbisogno. La produzione interna è pari a circa l’88% del totale richiesto. Un altro 12% viene importato da Francia, Austria, Svizzera….Di più, tecnicamente, non è possibile in tempi brevi.
I produttori di energia vengono pagati per l'energia che producono, e immettono nella rete, in due modi diversi: tramite contratti bilaterali, stipulati tra produttore e fornitore, o tramite la borsa elettrica. L'organizzazione della borsa elettrica, attivata nel 2004, è simile a un'asta, nella quale produttori e operatori presentano offerte di vendita e acquisto. Per questo motivo il prezzo dell'energia al cliente finale riflette e segue l'andamento del prezzo di riferimento della borsa: e quest’ultimo dipende fortemente dal prezzo richiesto da quel produttore che ha il vantaggio di essere al confine tra servizio regolare e black out anche parziale. Senza di lui infatti le quantità di energia richieste non potrebbero essere soddisfatte: qualcosa andrebbe spento. Questo produttore ha un vantaggio immenso.
Fin qui, di politico, c’è solo la decisione di aver privatizzato – e come averlo fatto - un servizio pubblico. Una decisione che io ho sempre definito folle: tutto il resto è conseguenza inevitabile. Anche un forte profitto di tutti coloro che vendono energia al prezzo di mercato potendola produrre a prezzo più basso. Nella situazione attuale, chi fa produzione green – con costi non soggetti alle speculazioni in atto – e vende al prezzo definito dalla speculazione, ha un extraprofitto considerevole.
Se la produzione fosse stata nelle mani di un unico Ente, questo avrebbe potuto vendere l’energia tenendo presente che i costi di approvvigionamento delle fonti primarie oggi nel mirino potevano essere mediati con i costi provenienti da energia prodotta con altre fonti, magari quelle green. Non solo: si sarebbe potuto sgravare la tariffa all’utente finale, accollando una parte del costo alle casse dello Stato. I fondi per i “ristori” di cui oggi si parla, si sarebbero utilizzati molto meglio di qualsiasi altra metodologia. La conoscenza del tipo di clientela, la sua propensione al consumo, la possibilità concreta, per loro, di ridurre o meno i consumi stessi, avrebbero potuto assegnare il beneficio del “ristoro” con la maggiore “giustizia” sociale. Come? Le soluzioni sono tantissime.
Se questo Ente fosse rimasto pubblico, la cosa sarebbe stata di una semplicità assoluta. Non è così oggi. Ed a chi oppone che questo mia considerazione è un vagheggiamento, ricordo i tanti anni nei quali, operando sulle tariffe, l’Enel ha fatto da deflatore in una situazione difficilissima per le casse dello Stato. Tamponando persino le "autoriduzioni" della bolletta. Fino ad arrivare al rischio di non pagare le tredicesime ai dipendenti.
Già: ma allora la politica economica esisteva.
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