Agostino Miozzo si occupa a tempo pieno di Covid, ma non è personaggio da grande pubblico pur essendo medico e soprattutto il coordinatore del famoso (e famigerato) Comitato tecnico scientifico. Forse perché non fa parte del gruppo di virologi, immunologi e scienziati a vario titolo, costantemente sui giornali e in tv, si è potuto permettere l’attacco alzo zero contro “i terroristi della comunicazione, chi alimenta scenari inquietanti distribuiti a fini di speculazione più politica”. Terrorismo da respingere “perché se si cade in una pericolosa spirale depressiva si inibisce qualsiasi forma di reazione e resilienza” (intervista al Corriere della Sera). Giusto, ma come si fa? Dal momento che (terrorismo a parte), in parallelo alla guerra contro il Covid un’altra guerra divampa, e non meno virulenta, tra chi dice prima la salute e chi risponde no, prima l’economia.
La prima categoria è ben rappresentata dal professore, assai autorevole e ascoltato, Massimo Galli, che con una frase ha detto tutto: “Non vedo morti di fame per le strade, ma morti di malattia negli ospedali”. Sicuramente non ha torto anche se la gente non muore di fame soltanto perché sostenuta dalle robuste iniezioni di denaro pubblico (cassa integrazione, blocco dei licenziamenti, reddito di cittadinanza), che gli economisti da divano e tastiera chiamano assistenzialismo. Sul fronte opposto spicca il manifesto del filosofo Massimo Cacciari: “Ci si ammala anche di disperazione, non solo di Covid. Se l’Italia si blocca siamo di nuovo fritti…”. Sicuramente neppure lui ha torto, anche se un contagio di massa nella forza lavoro non è il modo migliore per tenere aperte fabbriche e supermercati. In mezzo c’è un governo che naviga a vista, che si barcamena, che cerca di salvare capra e cavoli, che ogni giorno misura il proprio interventismo in base ai numeri dei contagi, dei morti e delle terapie intensive. Variabili indipendenti che rendono impossibile mettere in campo una strategia perfino da una settimana all’altra. Se poi allarghiamo la visuale al Paese tutti hanno le loro ragioni a protestare. A cominciare dai gestori di piscine e palestre che (con la testa già sulla mannaia) si sentono ingiustamente perseguitati. Come se, dicono, un settore che dà lavoro a decine di migliaia di persone fosse paragonato a un parco giochi da poter chiudere tranquillamente. Quanto al terrorismo psicologico e alle speculazioni politiche, in una situazione del genere è vero fanno schifo, ma si tratta degli inevitabili danni collaterali di quella cosa che si chiama democrazia. La forma di governo più imperfetta e infelice soprattutto se chiamata ad affrontare un nemico invisibile e implacabile. Non ci sta bene? L’alternativa esiste, è il modello cinese, quello che se non metti la mascherina ti vengono a prendere a casa.