AstraZeneca riesce a fare parlare di sé e non proprio meravigliosamente anche negli Stati Uniti dove la Fda (l'Aifa a stelle strisce) qualche giorno fa aveva respinto la richiesta di autorizzazione al vaccino in emergenza contestando i dati della sperimentazione nella fase III americana su 32.449 partecipanti in 88 centri di sperimentazione negli Stati Uniti, in Perù e in Cile. La prima domanda era stata presentata a Fda il 21 marzo scorso e il giorno dopo essendo AstraZeneca quotata, depositata anche alla Sec in sintesi. In quel documento sosteneva che nel campione vaccinato solo 141 si erano poi ammalati in modo sintomatico di Covid 19.
Secondo i dati riportati il vaccino si era rivelato efficace al 79% e al 100% contro il rischio di aggravamento della malattia e l'ospedalizzazione: quindi era in grado di salvare la vita a tutti. Al di sopra dei 65 anni di età l'efficacia era addirittura dell'80%. Attenzione, perché questo era invece il tallone di Achille di AstraZeneca in Europa, con Ema e Aifa che l'avevano autorizzato in un primo tempo solo al di sotto dei 55 anni, e solo a inizio marzo ne avevano esteso la somministrazione anche agli over 65, a patto però che non fossero fragili con altri delicati problemi di salute. Ma i dati sulla efficacia erano assai diversi in Europa, dove per altro nell'aggiornamento della autorizzazione è stato cambiato anche il nome del vaccino, prima semplicemente AstraZeneca contro il Covid 19, ora con il nome commerciale che ha: “Vaxzevria”.
Tre giorni dopo il no della Fda, come aveva annunciato, AstraZeneca ha inviato i risultati di uno studio più aggiornato. Avendone depositato la sintesi alla Sec, si scopre che in realtà quello del 25 marzo è lo stesso identico studio del 22 marzo. Ma riporta 190 casi (non più 141) di vaccinati che si sono ammalati di coronavirus, indicando che ci sono altri 14 casi che devono ancora essere valutati e certificati. Già questa variazione in soli tre giorni non è male. Ma è più sensibile anche quella sui dati generali: la nuova efficacia del vaccino sarebbe del 76% (contro il 79% di tre giorni prima), sempre utile al 100% ad evitare ospedalizzazione e decesso dei vaccinati, ma molto più efficace sugli over 65: la percentuale sale all'85% rispetto all'80% di tre giorni prima. Evidentemente sono stati tre giorni fondamentali per AstraZeneca.
Anche perché nei due rapporti ci sono altri particolari modificati. Quello del 21-22 marzo insisteva sul problema che stava facendo il giro del mondo in quel momento, e assicurava che “il DSMB- il comitato indipendente per il monitoraggio della sicurezza dei dati- non ha identificato problemi di sicurezza relativi al vaccino. Il DSMB ha condotto una revisione specifica degli eventi trombotici e della trombosi del seno venoso cerebrale con l'assistenza di un neurologo indipendente. Non ha riscontrato un aumento del rischio di trombosi o eventi caratterizzanti da trombosi fra i 21.583 partecipanti che hanno ricevuto almeno una dose del vaccino”. Quel rapporto quindi era abbastanza aggiornato, se si inserivano considerazioni attualissime per escludere eventi avversi tromboembolici. Ma nel rapporto di soli tre giorni dopo ogni riferimento alla trombosi è scomparso. E chissà se le rassicurazioni date agli americani sono ancora valide, perché l'Ema nel frattempo aveva pubblicato la nuova scheda sul vaccino Vaxzevria- AstraZeneca aggiungendo un capitolo su “Trombocitopenia e disturbi della coagulazione” dove non c'erano affatto parole così rassicuranti come quelle nel primo rapporto americano. “È stata osservata”, scriveva l'agenzia europea, “ molto raramente una combinazione di trombosi e trombocitopenia, in alcuni casi accompagnata da sanguinamento, in seguito alla vaccinazione con Vaxzevria. Ciò include casi severi che si presentano come trombosi venosa, inclusi siti insoliti come trombosi del seno venoso cerebrale, trombosi della vena mesenterica e trombosi arteriosa, concomitante con trombocitopenia. La maggior parte di questi casi si è verificata entro i primi sette-quattordici giorni successivi alla vaccinazione e si è verificata in donne di età inferiore a 55 anni. Tuttavia ciò potrebbe riflettere l'aumento dell'uso del vaccino in questa popolazione. Alcuni casi hanno avuto esito fatale”.
Nel nuovo rapporto Usa aggiornato viene cambiata anche la dichiarazione allegata al primo rapporto formulata da Mene Pangalos, vicepresidente esecutivo della multinazionale: “L'analisi primaria è coerente con la nostra analisi provvisoria rilasciata in precedenza e conferma che il nostro vaccino Covid-19 è altamente efficace negli adulti, compresi quelli di età pari o superiore a 65 anni. Non vediamo l'ora di presentare la nostra richiesta di autorizzazione all'uso in emergenza negli Stati Uniti e prepararci per il lancio di milioni di dosi in tutta America”. E se la Fda fosse ancora scettica AstraZeneca aggiunge un buon motivo per essere presa sul serio, svelando di avere ricevuto nel maggio 2020 un miliardo di dollari dall'agenzia della ricerca pubblica, BARDA, “per lo sviluppo, la produzione e la consegna del vaccino in base a un accordo con l'ufficio esecutivo del programma congiunto del Dipartimento della Difesa degli Statiu Uniti per la difesa chimica, biologica, radiologica e nucleare”. Se Fda dovesse ancora dire di no- in fondo il messaggio è questo- quel miliardo di dollari sarebbe stato buttato dalla finestra dai contribuenti americani.
Il Tempo.it