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martedì 5 ottobre 2021

Cosa dicono quei numeri. - Marco Travaglio

 

“È la somma che fa il totale”, diceva Totò. Quindi non c’è nulla di originale nell’osservare che il nuovo centrosinistra giallorosa vince solo se è unito: a Napoli con Manfredi è un po’ più contiano e dimaiano, a Bologna con Lepore è molto più pidino. A Milano i 5Stelle sono irrilevanti, come sempre, e quello di Sala (mai iscritto al Pd e proveniente dal centrodestra morattiano) è un trionfo personale e trasversale. Il vecchio centrodestra a tre punte, a trazione meloniana e non più salviniana, va male dappertutto: per ora porta a casa solo la Calabria, e più per i demeriti del centrosinistra (ben tre candidati) che per meriti propri. È secondo persino a Torino, dove il moderato Damilano era strafavorito sul pd Lo Russo. Il quale però ora deve sperare nella scarsa memoria dei 5Stelle, dopo gli insulti alla buona esperienza Appendino e il rifiuto tracotante di qualsiasi dialogo col M5S. Roma fa storia a sé. La Raggi s’è rivelata un osso molto più duro di quel che diceva la black propaganda, ma non abbastanza per qualificarsi alla finale. Lì però può succedere di tutto: la Meloni farà pesare tutto il suo consenso personale e, anche se Conte facesse l’endorsement a Gualtieri e molti elettori raggiani lo seguissero, Michetti avrebbe un ottimo serbatoio di riserva tra gli elettori di Calenda, l’altro candidato di destra (l’altra destra: quella borghese, confindustriale e tecnocratica), allergico ai giallorosa.

Tutto ciò premesso, sarebbe ridicolo confondere questa tornata amministrativa con le prossime Politiche. Chi lo fa, seguendo i soliti esperti del nulla, si condanna al suicidio. Il centrosinistra che ha appena stravinto il primo turno delle Comunali, su scala nazionale resta 10 punti sotto il pur malconcio centrodestra. Il che rende semplicemente comico il pressing dei giornaloni perché il Pd molli l’asse col M5S contiano per allearsi con non si sa bene chi. Se il Pd vince è proprio grazie alla linea Zinga-Letta sull’alleanza col M5S: la linea Renzi, alle Comunali del 2016, portò il partito alla débâcle. Anche chi vaneggia di “sconfitta dei populisti”, con Lega e FdI al 40% e gli astenuti al 46%, racconta barzellette. I non votanti – il primo partito d’Italia – sono soprattutto ex elettori 5Stelle in attesa di un’offerta credibile. È un monito soprattutto per Conte, che dovrà trovare linguaggi e contenuti di populismo gentile e competente per recuperare almeno una parte delle periferie sociali ed elettorali che non si sentono rappresentate da nessuno. Specie nel deserto del Nord. Dalla sua, ha la fortuna di essere la soluzione migliore alla penuria generale di classe dirigente: fra i vari ex premier in circolazione, è di gran lunga il più apprezzato dal “popolo”. Ma quel ricordo non dura in eterno.

ILFQ

martedì 7 settembre 2021

Draghi ordina, Salvini si piega: adesso più Green pass per tutti. - Giacomo Salvini

 

Il cul de sac è evidente anche ai suoi fedelissimi: “Come si muove, Matteo prende sberle”. Così è stato giovedì scorso quando il presidente del Consiglio, Mario Draghi, per reagire al voto contrario della Lega in commissione sul Green pass, ha rilanciato sull’estensione del certificato verde e sull’obbligo vaccinale, e così sarà nei prossimi giorni quando Matteo Salvini dovrà ingoiare anche l’estensione del pass per i lavoratori. A spiegarglielo sarà Draghi in persona nelle prossime ore a Palazzo Chigi: “Sul Green pass non sono ammessi scherzi” è la linea del premier. E Salvini dovrà accettarlo. Il leader della Lega dunque è isolato e, dicono, sempre più nervoso. Perché sulle misure anti-pandemia alla fine si piegherà alla volontà del premier e alle altre forze di maggioranza che stanno appoggiando in toto la linea di Draghi: tra oggi e domani arriverà il voto alla Camera sul decreto che ha introdotto il Green pass e la Lega sarà costretta a dire “sì” – fiducia o non fiducia – rimangiandosi il voto in commissione per abolirlo; poi in cabina di regia i leghisti appoggeranno anche l’estensione del certificato verde per i dipendenti pubblici. Ipotesi che fino a qualche giorno fa Salvini vedeva come fumo negli occhi. E invece, su pressione dei governatori del nord e dei governisti guidati da Giancarlo Giorgetti, il segretario dovrà cambiare idea. Lo ha spiegato ieri proprio il ministro dello Sviluppo Economico che prevede “un’estensione del Green pass” per i lavoratori perché il certificato deve essere “uno strumento di sicurezza nei luoghi affollati”. D’accordo Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli-Venezia Giulia: “Il certificato serve per migliorare la nostra vita”.

Ma Salvini ha grossi problemi anche fuori dal governo. L’altro incubo è quello delle prossime amministrative che potrebbero segnare non solo una pesante sconfitta nelle grandi città ma anche il sorpasso di Fratelli d’Italia nel voto di lista. E i sondaggi che girano a via Bellerio non sono rassicuranti: secondo le ultime rilevazioni FdI triplicherebbe la Lega a Roma (20 a 7%), la doppierebbe in Calabria (16 a 8%) e i due partiti sarebbero appaiati intorno al 10-11% a Milano e Napoli. Il sorpasso nel capoluogo lombardo, spinto dalla candidatura di Vittorio Feltri con Giorgia Meloni, sarebbe una batosta pesante per Salvini, perché Milano è la sua città natale e considerata un luogo simbolo del Carroccio. Per questo ieri pomeriggio Salvini ha convocato la segreteria federale e ha dato la sveglia ai suoi: “Bisogna fare una campagna pancia a terra a Roma, Milano e Napoli – ha detto – io farò 80 comizi in un mese”. Ma l’isolamento e le sberle ricevute negli ultimi giorni stanno portando Salvini ad aprire sempre nuovi fronti nel governo: l’abolizione del Reddito di cittadinanza, gli attacchi alla ministra Lamorgese sugli sbarchi, la battaglia su Quota 100 e l’appoggio a Roberto Cingolani sul ritorno al nucleare. Un modo per mettere pressione su Draghi. “Ma così Salvini spara a salve – attacca un ministro – perché non può permettersi di lasciare l’esecutivo con tutti i soldi del Pnrr”.

Il primo test arriverà oggi sul voto alla Camera. Ieri la Lega ha chiesto in una riunione di maggioranza di non mettere la fiducia ma allo stesso tempo ha deciso di non ritirare i 5 emendamenti che chiedono di eliminare l’obbligo del pass per gli under 12, di introdurre i test salivari e il risarcimento danni da vaccino. Che, se aggiunti ai 10 di FdI, potrebbero mettere in crisi la maggioranza nei voti segreti. Draghi deciderà se mettere o meno la fiducia ma se non lo farà la norma passerà con il voto della Lega. Poi arriverà il decreto per estendere il pass: la cabina di regia non è stata ancora convocata e potrebbe slittare alla prossima settimana. Ma, nel giorno in cui Roberto Speranza annuncia la terza dose da fine settembre e l’estensione “a breve” del pass, il governo vuole introdurre l’obbligo del certificato per i lavoratori da ottobre, dando 15 giorni di tempo ai non vaccinati per fare la prima dose: riguarderà i dipendenti pubblici e quelli di ristoranti, bar, palestre e mezzi pubblici. Per questo ieri Draghi ha ricevuto a Palazzo Chigi il segretario della Cgil Maurizio Landini e in serata i sindacati hanno visto i vertici di Confindustria per parlare del tema. Ma la strada ormai è tracciata.

ILFQ

sabato 27 marzo 2021

I Conte non tornano. - Marco Travaglio

 

Nella schizofrenia generale (senza offesa per gli schizofrenici), almeno una cosa pareva assodata: Conte è politicamente morto. Tutti d’accordo: è “un venditore ambulante di microfoni” (Messina, Rep), “sul ponte sventola pochette bianca”, è “come Teodosio che davvero credette di poter fare l’imperatore di Roma pur essendo un ispanico, un provinciale, un burino”, “sepolto dalla sua ambizione, il protagonista è di nuovo invisibile” (Merlo, Rep), “ricorda il repertorio del miglior Sordi” (Cundari, Foglio), “Sic transit gloria Conte, però che rapidità” (Gramellini, Corriere), “l’Avvocato del popolo esce di scena così, più simile a un capufficio in cammino verso la pensione che a un ex leader gratificato, fino a poco fa, dal favoloso 56% dei consensi. I suoi alleati l’hanno già dimenticato… È rimasto senza partito e sfide da combattere… Ora ciascuno di quei fallimenti e di quegli inutili show può esser messo in carico all’Avvocato del popolo e a lui solo” (Perina, Stampa), “Giuseppi diventa un caso umano: che fare di lui” (Belpietro, Verità), “c’era una volta Conte, o forse non c’è mai stato” (Guzzanti, Riformatorio), “mendica poltrone”, “Cerca poltrone, ma perde pure la cattedra”, “rischia l’oblio fino al 2022”,“ora l’avvocato è senza popolo” (Giornale), “il tramonto di Conte” (Domani). Una prece. Morto lui e, ovviamente, morti i 5Stelle, che peraltro erano morti da ancor prima di nascere.

Sì, vabbè, Grillo&C. provano a resuscitarlo come capo dei 5Stelle; ma, se metti un trapassato alla guida di un partito trapassato, ottieni un trapasso al cubo. Sì, vabbè, il compagno Letta incontra la buonanima di Giuseppi, ma è per l’estrema unzione; perciò definisce l’alleanza con lui e il M5S “avventura affascinante”: è il fascino del macabro. Eppure, inspiegabilmente, giornaloni e giornalini lanciano allarmi quotidiani, intimando a Letta di mollare Conte e i 5Stelle, e ovviamente di non cedere Roma alla Raggi, altra defunta che non prende un voto manco a piangere, ergo va costretta a scandidarsi. Ma benedetti ragazzi: se Conte, i 5Stelle e la Raggi sono morti, di che vi preoccupate? State sereni. Infatti l’altra sera a Dimartedì Polito el Drito e l’autorevole Cappellini lapidavano Zingaretti per aver sostenuto il de cuius anziché tutti i leader vivissimi e popolarissimi che ci sono in giro. Poi, mentre stavamo per prender sonno, ci è apparso Pagnoncelli col sondaggio: Conte 61%, Speranza 41, Meloni 37, Salvini 33, Letta 32; Pd e M5S in crescita; governo 48; Draghi non pervenuto. Ma doveva essere un fuoco fatuo, illusione ottica tipica di chi frequenta cimiteri. Sennò tutti i migliori esperti sarebbero dei cazzari. E questo è francamente impossibile.

IlFattoQuotidiano

giovedì 21 gennaio 2021

Sondaggi, con il partito di Conte testa a testa alle elezioni tra giallorossi e centrodestra. La sua lista vale il 16%.

 

La rilevazione è stata condotta da Swg per La7 .Il bacino potenziale di voti del premier deriva per un terzo dagli indecisi/astenuti, il 5% proviene dal Movimento 5 stelle, il 4% dal Pd, lo 0,7% dal centrodestra e l'1% da altri partiti. Italia viva, che si è chiamata fuori dalla coalizione, è ferma al 2,8%: con l'attuale legge elettorale sarebbe fuori dal Parlamento.

Se si votasse oggi, un ipotetico partito di Giuseppe Conte potrebbe contare sul 16% dei consensi, piazzandosi subito dopo la Lega tra gli schieramenti politici più votati. Lo rivela l’ultimo sondaggio condotto da Swg per La7 che certifica la popolarità del premier anche in questa fase di instabilità di governo dovuta alla crisi aperta da Italia viva. Il bacino potenziale di voti attinge per un terzo dagli indecisi/astenuti, il 5% arriva dal Movimento 5 stelle, il 4% dal Pd, lo 0,7% dal centrodestra e l’1% da altri partiti. La conseguenza è che quasi tutte le forze che compongono l’attuale maggioranza vedono ridursi il proprio elettorato: il Partito democratico, stabile nelle ultime settimane intorno al 20%, in questo scenario è dato al 15,4%. I pentastellati scendono addirittura a pochi passi dalla soglia psicologica del 10% (10,1), mentre rimane pressoché invariato il consenso per la sinistra di Leu (3,9%).

La somma dei loro voti, però, unita al 16% su cui al momento può contare il premier, garantirebbe ai giallorossi di giocarsi la partita per tornare a Palazzo Chigi. Messi insieme, i quattro partiti raggiungono il 45,4%. Il centrodestra, invece, è dato al 43,1%: la Lega resta primo partito, ma è in calo al 21,8%; Fratelli d’Italia si mantiene stabile al 15,9%, scavalcando il Pd in questo particolare scenario, mentre Forza Italia non va oltre il 5,4%. Lo scarto tra giallorossi e centrodestra, anche se risicato, è una novità rispetto a tutti i sondaggi elettorali condotti negli ultimi mesi: finora la coalizione di Lega-Fdi-Fi è sempre stata data per vincente con un ampio distacco di voti.

Ai margini dei due grandi schieramenti ci sono il partito di Carlo Calenda, Azione, che viene dato al 3,7%. Italia viva di Matteo Renzi, invece, paga lo scotto della crisi di governo ed è ferma al 2,8%, al di sotto della soglia di sbarramento prevista dall’attuale legge elettorale. Se si votasse oggi, quindi, il leader di Iv sarebbe fuori dal Parlamento. La somma di tutti gli altri partiti è data al 5%, mentre il 36% degli intervistati da Swg non si esprime. La rilevazione, fa sapere l’istituto, è stata condotta su un campione di 1.200 soggetti tra il 15 gennaio e il 19 gennaio 2021. Il margine di errore è del 2,8%.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/20/sondaggi-con-il-partito-di-conte-testa-a-testa-alle-elezioni-tra-giallorossi-e-centrodestra-la-sua-lista-vale-il-16/6073033/

domenica 27 dicembre 2020

La pandemia affonda Salvini e Renzi. SuperConte Meloni boom Altalena 5S. - Lorenzo Giarelli

 

Un anno fa, la Lega si affacciava al 2020 con oltre 11 punti di vantaggio sul Pd. Ora quel vantaggio si è ridotto a 3 punti, dopo una discesa inesorabile iniziata durante il lockdown di marzo e arginata in parte – non a caso – soltanto nei mesi estivi. È questo l’aspetto più vistoso dello storico dei sondaggi di quest’anno, che nel grafico a fianco mettiamo in correlazione con i più importanti eventi del 2020.

Basta il colpo d’occhio alle curve dei partiti – basate sui dati della Supermedia Youtrend – per capire che in un anno i rapporti di forza sono profondamente cambiati. Nel frattempo, la popolarità del governo Conte ha visto percentuali del tutto anomale per i precedenti governi, complice soprattutto la gestione della prima ondata. Come ben mostrano i dati di Demos, a inizio 2020 la fiducia nell’esecutivo era poco sopra il 40 (si intende che 40 intervistati su 100 assegnavano almeno la sufficienza al governo), ovvero su percentuali ben più basse rispetto al Conte 1, oscillanti tra il 50 e il 60, e in linea con l’ultima parte del governo Renzi e col governo Gentiloni. Poi, a marzo, ecco l’improvviso balzo: nell’emergenza gli italiani si stringono intorno a Conte e ai suoi ministri, che raggiungono una popolarità del 71 per cento (+27 per cento in un mese). Da lì in avanti il consenso diminuisce, restando però su percentuali più alte rispetto a quelle pre-Covid. Poi, nell’ultimo mese, dopo le ultime decisioni sulla seconda ondata, una nuova inversione di tendenza verso l’alto: dal 55% di ottobre al 57% di dicembre.

Salvini flop, Meloni vola. Nella prima rilevazione del 2020, la Lega ha il 30,8 per cento. La discesa fino al 23,7 di oggi ci dice che la fiducia nel Carroccio ha seguito – per contrasto – l’andamento dell’emergenza Covid. La Lega arriva alla scoperta del “paziente 1” – 20 febbraio – ancora sopra il 30 per cento, ma da marzo la dura opposizione al governo non paga e il partito scende di oltre un punto al mese. A fine marzo la Lega è al 28,9; a fine aprile al 27,2 e a fine maggio, quando si torna alla normalità, è al 26,4 per cento.

In estate la Lega tiene, tant’è vero che il 3 settembre, ultima Supermedia prima delle Regionali e del referendum sul taglio dei parlamentari, torna al 25,2. Poi, con la batosta in Toscana e la seconda ondata, il trend cambia. Alle prime restrizioni di ottobre la Lega è al 24,3, ma quando l’Italia viene divisa in zone (3 novembre) e le misure iniziano a dare risultati (26 novembre) Salvini tocca il punto più basso (23,4).

Ben diverso è il percorso di Fratelli d’Italia. Il partito di Giorgia Meloni cresce da inizio a fine anno, salendo dal 10,7 di gennaio al 16,2 attuale, che vale il sorpasso nei confronti del M5S. Sono 5 punti e mezzo e i dati, come ci spiega il fondatore di Youtrend Lorenzo Pregliasco, indicano che si tratta in gran parte di leghisti delusi: “Dalle Europee a oggi c’è un travaso di circa un leghista su sette in favore della Meloni, dunque siamo intorno a un 5 per cento”. Eppure FdI, durante l’emergenza, ha avuto toni simili a quelli della Lega: “Una possibile spiegazione è che Salvini fosse più esposto rispetto alla Meloni, anche in quanto leader della coalizione”. Negli ultimi due mesi il boom di FdI si è stabilizzato: dall’8 ottobre al 17 dicembre il partito oscilla tra il 16 e il 16,2.

Meno netta è invece la risalita di Forza Italia, che nel 2020 rimane più o meno stabile – dal 6,6 di inizio anno al 7 per cento finale – ma che ha buoni motivi per esultare, se si pensa che nel 2018 e nel 2019 aveva perso 5 e 3 punti. L’emorragia si è fermata forse proprio grazie ai continui distinguo rispetto all’alleato Salvini, come ci indica il fatto che il punto più basso per FI – 6 per cento – arriva la settimana prima del lockdown di marzo e da lì in poi il partito recupera. Non molto, ma abbastanza per sopravvivere: “Non credo possa ambire a molto di più – riflette Pregliasco – ma mantenere un 6 o 7 per cento consente a B. di essere ancora decisivo”.

M5S: Pesano le divisioni interne. L’anno del Movimento non è certo esaltante. Dopo aver iniziato la legislatura con ampio margine su tutti gli altri partiti, oggi il M5S è la quarta forza, ferma al 14,8 – a inizio 2020 era al 15,7 – e un punto e mezzo dietro FdI. La curva ci dice che il Movimento ha avuto una buona risalita durante il primo lockdown, iniziato poco sopra il 14 per cento e finito al 16. Una tendenza stabile in estate e che forse poteva portare a una ripresa. E invece, da settembre in poi, la curva si inverte e i 5 Stelle crollano di nuovo perdendo un paio di punti nonostante il successo al referendum sul taglio dei parlamentari. Sono le settimane in cui si esaspera lo scontro interno tra i governisti e i “duri e puri”, con tanto di lite sul ruolo di Rousseau. Neanche il buon apprezzamento per Conte, secondo Pregliasco, aiuterà il M5S a risollevarsi: “In un nostro sondaggio estivo era emerso come il premier fosse ormai percepito quasi come equidistante tra Pd e M5S”.

Il Pd tiene, il bluff Renzi. Pregliasco definisce il Pd come “il partito di gran lunga più stabile negli ultimi due anni e mezzo”. Guardando al 2020, i dem passano dal 19,3 iniziale a un 20,6 finale, oscillando per dodici mesi tra il 20 e il 21 per cento. Pur restando immobile – un merito, da un certo punto di vista – il calo della Lega giustifica i brindisi: un anno fa il distacco era di 11 punti, oggi di 3. A pesare, oltre alla segreteria conciliante di Zingaretti, c’è uno zoccolo duro che non ha abbandonato la Ditta neanche nel momento peggiore, dopo le elezioni del 2018.

Chi invece ha poco di cui festeggiare è Matteo Renzi. Ambiva “alla doppia cifra”, ma finora sondaggi e urne sono impietosi: partita dal 4,4 per cento di inizio anno, Italia Viva adesso è al 3,2. Secondo Pregliasco, il trend non migliorerà: “I dati delle Regionali dimostrano che Iv ha poco margine. Il caso della Toscana è emblematico, il fatto che lì Renzi sia al 4,4 dà l’idea di un progetto con poco appeal”. Nelle ultime settimane Iv è finita dietro ad Azione e Leu.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/27/la-pandemia-affonda-salvini-e-renzi-superconte-meloni-boom-altalena-5s/6048463/

martedì 9 giugno 2020

Ultim'ora: Sondaggi: boom per Conte, governo giallo-rosso fino al 2023.



Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte è una delle figure più apprezzate nel periodo dell’emergenza. Continua ad essere in testa, peraltro ben distaccato dagli altri leader politici italiani. Non solo. Il Premier è anche considerato il miglior leader a livello mondiale. Secondo l’ultimo sondaggio di Quorum/YouTrend per Sky TG24 ha superato Angela Merkel.

Sondaggi: governo giallo-rosso fino al 2023
Da un'indagine dell'Istituto Piepoli e Inrete è emerso che quasi la metà degli italiani è convinta che l'esecutivo giallo-rosso arrivi a fine legislatura. Il 49% degli intervistati ha infatti dichiarato di ritenere che l’esecutivo guidato da Conte rimarrà in carica fino al 2023. Gli stessi intervistati hanno inoltre mostrato il loro apprezzamento per il Premier, il cui gradimento aumenta costantemente.

Sondaggi politici: ‘Difficile trovare un’altra maggioranza’
Il 56% degli intervistati sostiene che sia molto difficile trovare una nuova maggioranza e sarà così anche alla fine della pandemia. Non vi sarebbero altre intese possibili in Parlamento secondo più della metà degli italiani. “Per gli italiani in questo Parlamento è difficile trovare un'altra maggioranza – rileva il sondaggio - e ne sono convinti anche gli elettori di centrodestra che, in caso di crisi, puntano al ritorno al voto”.

Sondaggi: Premier Conte leader, ma aumentano le paure sugli effetti della crisi.
"L'emergenza sanitaria ha dominato il sentimento dell'opinione pubblica nella prima metà del 2020. La fiducia nel presidente del Consiglio è ancora molto alta – riferisce l'istituto Piepoli - ma i primi segnali deboli lasciano intravedere un crescente timore sui primi effetti della crisi economica".

mercoledì 25 marzo 2020

La nobile arte. - Marco Travaglio




La Lombardia era perfettamente in grado di tirar su un ospedalino da 300 posti alla Fiera di Milano senza scomodare Bertolaso dal Sudafrica. Ma ora che Mister Wolf, più che creare posti letto, ne ha occupato uno, gli auguro sinceramente di guarire presto: sulla salute non si scherza. Siccome sono in vena di buonismo, ringrazio pure Vittorio Feltri per l’editoriale di ieri su Libero che pare scritto da Crozza. Feltri assolve, nella destra italiana, alla funzione che svolgono – senza offesa – gli immigrati in Occidente: fa quei mestieri che gli altri non vogliono più fare. Cioè dice spudoratamente le verità che gli altri preferiscono tacere, nella destra come nella salvinistra, il cui problema principale non è il virus: è Conte. Feltri scrive al “grande leader”, “sempre apprezzato per l’attività di politico instancabile”, perché lo trova preoccupantemente “depresso” e “non ravviso in te segni di risveglio”, “hai perso verve, affermi cose di cui non sei convinto”, “ammosciato” come tutti “tranne Giuseppi” Conte, che invece appare “pimpante” e “ringalluzzito” dal Covid-19. Ohibò. E il nostro eroe che fa per mettere al tappeto il fellone intruso? Niente. Non reagisce, non spara o spara a salve. Affranto dalla popolarità bulgaro-cubana del premier e dal parallelo rammollimento del Cazzaro, Feltri si piazza a bordo ring e incita il suo pugile prediletto a menare come ai bei tempi: “Tu non puoi lasciargli delle praterie di consenso, devi frenarlo, almeno zittirlo”, possibilmente “abbatterlo”. E come? Un missile terra-aria? Un colpo di ruspa? Un’ascella di felpa usata? Un rutto al mojito? No, meglio: “Cavalca la paura della gente come sai fare tu”, “reagisci come al cospetto di una nave piena di africani clandestini” e “riconquisterai la tua posizione apicale”. Il fatto che, oltreché dal virus, la gente sia terrorizzata dal rischio che abbiamo corso di farlo gestire a Salvini non sfiora proprio Vittorione.
La scena ricorda l’episodio La nobile arte ne I mostri di Dino Risi: quello dei pugili suonati Enea Guarnacci (Tognazzi) e Artemio Antinori (Gassman) sulla spiaggia di Ladispoli. Artemio, il più rintronato, riconosce a stento Enea e ripete macchinalmente, lo sguardo perso nel vuoto: “E so’ contento”, “me fa piacere”, “vuoi magna’?”. E l’altro: “Ma lo sai che ti trovo proprio in forma? Guardi ancora le donne eh? Io non so come fai, non ti alleni e sei sempre il numero uno. Col fisico che c’hai, metti al tappeto chiunque quando vuoi!”. Alla fine Enea Feltri affida ad Artemio Salvini l’arma segreta per cavalcare meglio la paura della gente e tornare più bello e superbo che pria: “Sfoltire le galere” e sposare “l’amnistia”. Comunque vada, sarà un trionfo.

giovedì 11 aprile 2019

Chi diavolo ha fatto fuori Di Battista? - Rosanna Spadini




Non riesco a capire… spero non sia stato Luigi Di Maio, perché infastidito dalle proteste di Dibba contro l’appiattimento troppo servile nei confronti della Lega, vedi salvataggio per il processo farsa di Salvini che si sarebbe risolto in una strabiliante fuffa. Vedi continue critiche a certe linee di governo che tradivano l’identità originaria del MoV, perché né destra né sinistra non vuol dire dare un colpo al cerchio e uno alla botte in maniera indifferenziata, ma riuscire a bypassare le ideologie, intese come camicie di forza che impediscono di scegliere secondo ragione e buon senso.
Lo aveva detto proprio il vecchio Casaleggio: “Un’idea non è né di destra, né di sinistra, ma è buona o cattiva”. E finora lo slogan identitario era stato rispettato, al contrario di quanto è avvenuto al governo Salvimaio, che ha spesso trascurato lealtà e onestà nei confronti dei suoi elettori.
Di Battista è sparito? Sta facendo un corso di falegnameria che lo attizza parecchio? Sta partendo per l’India? Perché non è presente alla kermesse di Ivrea? Perché non sarà presente alla prossima campagna elettorale per le Europee?
Molte sono le domande che si fanno attivisti ed elettori, ma certo non credono alle sue dichiarazioni, circa il desiderio di mettersi a girovagare per il terzo mondo, inviando ficherrimi reportage al Fatto Quotidiano, sulle sue esperienze antropologico culturali, come fosse un novello Ulisse spinto dalla sete di conoscenza.
Forse però la scomparsa di Di Battista è un segnale molto più diretto e meno enigmatico di quanto possa sembrare, che riguarda la crisi interna e identitaria che sta vivendo il M5S. una forza politica che perde sistematicamente le battaglie amministrative, incapace di mettere radici sul territorio, dominato com’è da un anarchismo strutturale endemico, che genera automaticamente correnti antitetiche in continuo conflitto tra di loro per la conquista di un posto al sole, faide interne concepite soltanto al fine di screditare gli amici/avversari, e per far emergere unicamente i propri paladini.
Se l’anarchismo metodologico aveva favorito la nascita del MoV, e permesso di reclutare velocemente una classe dirigente autogeneratasi per palingenesi spontanea, tratta direttamente dalla società civile, ora sta impedendo il radicamento sul territorio, la vittoria in molte elezioni amministrative e il reclutamento di soggetti capaci in grado di affrontare le sfide politico sociali del presente e del futuro.
Nel tempo l’anarchismo endemico ha provocato la nascita di numerosi feudi territoriali dal forte potere gestionale, probabilmente sfuggiti al monitoraggio dei vertici, che pilotano direttamente le candidature, organizzando pacchetti di voti da destinare ai loro epigoni servili, spesso degli emeriti incapaci, che una volta arrivati a ricoprire qualche carica, o rimarranno legati da vincoli indissolubili ai loro feudatari (in cambio di che?), oppure alla prima occasione passeranno al gruppo misto, tradendo il mandato elettorale e i loro elettori.
Forse per questo Di Battista se n’è andato in India… forse non è riuscito a salvaguardare l’identità del MoV, la sua carica rivoluzionaria, i suoi valori tipici quali onestà, trasparenza, democrazia diretta. Vero che governare significa fare scelte, quindi dividere l’elettorato, però molte sono state le delusioni: Tap, vaccini, scuola, Ilva, salvataggio giudiziario di Salvini, Tav (??).
Nel caso del salvataggio di Salvini la scelta del MoV in quel caso fu assolutamente sbagliata e suicida, i 5 Stelle in quell’occasione tradirono i propri valori e dannarono se stessi. È bastato un anno di governo perché il virus del maschio Alfa strozzasse in fieri la rivoluzione.
Infatti se il MoV avesse veramente voluto cambiare le cose, avrebbe dovuto agire diversamente, senza doversi zerbinare in tante occasioni ai ricatti leghisti, molte vicende in cui all’opinione pubblica è sembrato che a decidere la linea del governo fossero stati i capricci dell’alleato/rivale, più che una vera sintonia esecutiva.
Una vera rivoluzione non dovrebbe essere strozzata sul nascere da pentimenti, rimorsi, rammarichi su quello che si sta facendo, ma l’esatto contrario e cioè dovrebbe essere una continua riaffermazione delle strategie poste in atto e una continua sfida verso le competizioni future.
La rivoluzione 5 Stelle voleva dare risposte a domanda di senso e di prospettiva, cercava di reagire alle ingiustizie e alle diseguaglianze. Ma la famosa “rivoluzione culturale” di cui parlava Grillo in realtà non è mai iniziata, basti solo pensare al fanatismo da parte del MoV nei riguardi della profilazione del candidato simbolo, che deve essere necessariamente giovane, non importa se colto/a, ma sempre un assiduo frequentatore del web, generatore indefesso di post di propaganda, sorriso accattivante e simpatico, abile collezionista di consensi, come fosse il ball boy di una partita di tennis.
Come per i “frati cercatori” di un tempo, che svolgevano l’umile mansione di reperire risorse presso il popolo, gli attivisti e portavoce dei 5 Stelle sono investiti dell’incarico di raccattare voti presso il popolo del web, umili yesmen assolutamente prostrati al volere dei loro capibastone di riferimento, che dettano loro programmi ed eventi da svolgere. I contestatori sono merce da scartare nel meraviglioso e libero mondo del MoV, gli eretici sono roba da bruciare sul rogo perché considerati avversi all’unico vero credo ammissibile, deciso sempre e comunque dai vertici, non certo dalla base, che serve come paravento democratico.
L’unico verbo dei 5 Stelle deve essere la rinuncia alla critica, la completa umiltà, l’obbedienza  volontaria, la pace interiore e l’assoluta fede nello spirito del MoV. Deve essere l’esclusiva e acritica sottomissione all’unica fede politica, una sorta di fanatismo ideologico spesso causa d’intolleranza, e di violenza verbale nei confronti di chi ne professa una diversa.
Il MoV è una tecnocrazia applicata alla politica, le votazioni raccolte su Rousseau, spesso attraverso cordate preconfezionate, scandiscono le tappe elettive, favoriscono il clientelismo più malsano, premiando così figure opache, afone, inespressive e ambigue, cioè l’esatto contrario della meritocrazia tanto proclamata.
Ironia della sorte l’umorismo di Grillo, che avrebbe dovuto rappresentare l’antidoto contro ogni forma di fanatismo, non è servito a salvaguardare la verginità della rivoluzione e ha dovuto cedere di fronte ai vizi della politica: arrivismo, superficialità, clientelismo, arroganza, ottusità, autoreferenzialità.
Dibba a questo punto è sparito, non si conoscono i veri motivi, ma si possono intuire. La sua partenza è stata probabilmente provocata da uno scontro interno tra le diverse anime del MoV, i cui vertici non sono stati in gradi di scongiurare.
Il primo segnale di impazzimento è stata proprio la sua scomparsa dalla scena politica, dopo l’exploit a Parigi presso i Gilets Jaunes che avevano fatto lui e Di Maio a febbraio, e dove era apparso marcato a vista e impedito nei movimenti. Però il tentativo di arginare la perdita di punti nei sondaggi non era riuscito, e l’evento aveva rilevato una spaccatura interna tra i due non ancora irrecuperabile, ma certamente evidente.
Nella gestione di governo i 5 Stelle hanno perso troppo tempo a impedire che le numerose “manine” dell’alleato potessero taroccare l’iter delle leggi da approvare, si sono lasciati anche logorare da un partner/avversario che ha cercato quotidianamente di drenare voti dal loro elettorato al suo, e che in parte c’è riuscito alla grande.  Insomma la maionese richiede diversi ingredienti dosati con precisione, va amalgamata e montata al punto giusto, diversamente impazzisce.
Ora il M5S senza Di Battista è come una Ferrari che non riesce a superare i 100 km orari, questo sembrano dire i sondaggi nel momento in cui c’è ancora molta strada da compiere per l’esecutivo. La legislatura ora dovrà proseguire continuando ad affrontare le prossime sfide: europee, flat tax, def. Ma la partita si fa sempre più difficile e la mancanza di Dibba pesa ogni giorno di più.
In parole povere chi li ha votati comincia a nutrire dei dubbi sulla validità della scelta espressa circa un anno fa, magari temendo di aver puntato sulla squadra sbagliata. I vertici hanno compiuto indubbiamente degli errori strategici, ma il ripristino delle posizioni perse non può avvenire senza un’autocritica seria e costruttiva, che al contrario pare essere stata per il momento scartata.
Non bastano migliaia di likes su Facebook e sorrisi smaglianti stampati in faccia per arginare l’inadeguatezza di certe strategie improvvisate, o dettate da scarse conoscenze storico politiche. Occorrerebbe molta più saggezza, che non può che derivare da sapienza e cultura.
Ed escludere dalla battaglia quotidiana un soggetto così fondamentale come Di Battista, dimostra carenza di quell’ingegno strategico, che non si trova tra gli spot di propaganda.
Dibba per il momento se n’è andato, non voglio pensare che sia stata l’arroganza del potere ad escluderlo, ma indubbiamente è sparito dalla scena politica. Forse dalle lontane radure indiane ripenserà alla verità di quel motto famoso espresso proprio da un vecchio arnese in odore di mafia, che lui si era proposto di combattere: “Il potere logora chi non ce l’ha”.
Oppure si siederà sulle rive del Gange aspettando il passaggio del cadavere di qualche suo nemico.

giovedì 20 novembre 2014

Andrea Scanzi - sondaggi


Ho sottomano dei sondaggi, teoricamente segreti, e capisco perché Renzi rida meno del solito. 
Come capisco perché, adesso, preferisca votare nel 2016 e non nel 2015: gli conviene. I fedelissimi raccontano che sia indispettito perché persino alcuni giornali iper-renziani - come La Stampa - lo abbiano qua e là sbertucciato. 
La prova evidente che non si vive di sole slide e promesse. 
Alcuni italiani si stanno disilludendo. 
Non c'è straccio di una ripresa e Renzi resta forte, ma non più fortissimo. 
In costante e per lui sfibrante calo. Infatti è nervoso, piccoso e permaloso. Qualcuno, a questo punto, potrebbe esultare. 
Magari i 5 Stelle. Che però non salgono per niente, anzi. Sarà significativo il test in Emilia Romagna, dove i 5 Stelle diedero segno di sé anzitempo ma dove spesso sono implosi in pallosissime lotte interne (era emiliano il consigliere frignone attualmente indagato, giusto?). Anche ricordando che i 5 Stelle non brillano quasi mai alle comunali e regionali, la sensazione è che domenica sera i "grillini" emiliani non rideranno granché. 
Il dato su cui tutti concordano è la crescita continua della Lega Salvini. Più o meno al 15%. Probabilmente davanti a Grillo, probabilmente davanti a Forza Italia. Seconda forza in alcune regioni, terza forza nazionale. Ecco il nuovo interlocutore di Renzi: Salvini. Matteo I versus Matteo II. Pacioccone Mannaro versus Jabba The Salv. Wow. 
Quindi: Renzi cala, ma resta primo. Salvini cresce imperiosamente. Berlusconi crolla, ma rimane comunque lui a scrivere regole e Costituzione. La sinistra "vera" è morta o clandestina. I 5 Stelle son contenti così e rimbalzano le critiche al grido di "siamo l'unica alternativa fanculo la tivù!", però smottano sistematicamente. Un bel quadretto edificante. Vamos?
P.S. L'unica buona notizia vera è che la Pinotti, per via dello scandalo-volo di Stato sollevato da M5S e raccontato anzitutto dal Fatto Quotidiano, si è giocata il posto al Quirinale. Ottimo. Continuo però a pensare che sia stato aberrante anche solo ipotizzare di avere una come la Pinotti Presidente della Repubblica.

martedì 18 febbraio 2014

Sondaggi.



I sondaggi sono spesso ad appannaggio di chi li commissiona, poi però ne fanno uno libero, senza telefonate e senza filtri ed i risultati sono diversi.
In alto i cuori, Vinciamo noi!


Giancarlo Cancelleri

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giovedì 10 gennaio 2013

Perché Grillo cala (se cala). - Andrea Scanzi



Sembra che il Movimento 5 Stelle stia dando qualche segno di cedimento nei sondaggi. Se sarà calo o slavina, dipenderà da Grillo, dagli attivisti e dalla casta. Resta il fatto che questo movimento è una realtà anomala in un paese per nulla aduso alle novità: politicamente l’Italia è il paese più reazionario d’Europa. 

Il Movimento 5 Stelle è in calo. Lo dicono i sondaggi. Piepoli, da sempre il più timido nell’ammettere i boom degli attivisti 5 stelle, parla di una ripartizione simile: Pd 33%, Pdl 17% (altri centrodestra 7), Coalizione Monti 12%, M5S 11%, Lega 6, Sel 6 (altri centrosinistra 3), Ingroia 5. 

La sensazione è che Ingroia sia sovrastimato e che Monti e Pdl cresceranno ancora (siamo in Italia, baby). Bersani un mese fa aveva già vinto e da allora non ne becca una (la sua sottovalutazione di Monti ha del leggendario). Perdere sembra impossibile, ma il centrosinistra può farcela. C’mon.

Gli altri istituti danno il movimento di Beppe Grillo tra il 13 e il 16-17. Il più attendibile, sinora, si è rivelato Swg, costantemente rilanciato dalla trasmissione Agorà su RaiTre. E’ stato il primo a rivelarne la crescita e continua ad accreditargli un 17 percento circa. Il calo, rispetto alla cifre che venivano sparate tra la vittoria a Parma e quella (come lista) in Sicilia, è comunque innegabile. E ha spiegazioni chiare.

Anzitutto occorre intendersi su quale sia il potenziale reale del Movimento 5 Stelle. Fino a un anno fa, quasi tutti ritenevano sufficiente lo sbarramento del 4 percento per disinnescare il M5S. Neanche sarebbe entrato alla Camera e al Senato. Nel giro di sei mesi, una forza data genericamente al 3% (sotto la voce “altri”) era divenuta “sicuramente” la seconda realtà politica italiana, poco distante dal Pd. Dal tutto al niente. Un po’ di misura, no?

Il Movimento 5 Stelle è realtà anomala in un paese per nulla aduso alle novità. Politicamente l’Italia è il paese più reazionario d’Europa, nato e morto democristiano (se va bene): gli elogi orgiastici della stampa “riformista” alla Rifondazione Cristiana di Mario Monti ne sono prova. In un paese simile, suonerebbe quasi rivoluzionario se Grillo raggiungesse a febbraio un risultato a due cifre. In qualità di virus benefico da inoculare nella casta infettatissima della politica italiana, non cambia poi molto se il risultato sarà 9, 11 o 14%. Il Movimento 5 Stelle deve entrare in Parlamento non per governare, ma per fare (con Ingroia) seria opposizione. Esattamente ciò che mai è accaduto con i Violante e i Crisafulli (che continueranno a vivere e lottare in mezzo a loro: wow).
Sì, ma perché il M5S sta calando?

1) Nelle ultime settimane non ci sono stati scandali come quelli di Lusi e Fiorito. L’effetto Primarie (belle le prime, con più ombre che luci le seconde) ha ridato un po’ di verginità al centrosinistra. Se la casta non lo “aiuta”, la capacità grillista di sfondamento scema.

2) Grillo è rimasto sullo sfondo. Di lui si è parlato poco. E qualcuno si è allontanato.

3) Dopo le elezioni siciliane, Grillo ha sbagliato molto. L’allontanamento di Favia e Salsi, in sé, è irrilevante: martiri di professione erano, sono e saranno. Gne gne. Entrambi in scadenza di secondo mandato, quindi con bisogno legittimamente ambizioso di ricollocazione (azzardiamo: il primo con gli Arancioni, la seconda nel centrosinistra come Serracchiani 2.0). Espellendoli, senza peraltro chiarirne troppo i motivi, Grillo ha dato loro – e a chi li ha sfruttati, dai giornali potenti a quelli nati solo per tratteggiarlo come novello Stalin (questi ultimi son durati poco) – un assist mirabile. Il “fuori dalle palle” resta un autogol monumentale. Con queste mosse, e con delle Parlamentarie rabberciate, qualcuno se n’è andato. Non molti (il tema della “democrazia interna” attrae poco l’attivista 5 stelle). Ma qualcuno sì. Che è tornato da mamma Pd. Oppure a Sel. O si è avvicinato agli Arancioni.

4) Appunto, gli Arancioni. Grillo non ha nulla da temere da Bersani, Vendola o Monti: gli drenano pochissimi voti. Ingroia (e chi lo segue, forse sfruttandolo come foglia di fico e forse no) pesca invece nello stesso bacino elettorale. E’ buffo che gli attivisti 5 stelle, forse per esorcizzarne il rischio, lo neghino, sostenendo che la Rivoluzione Civile tolga voti unicamente a Vendola. Macché. Ne toglie eccome a Grillo. Non parlo tanto dei venti-trentenni cibernauti, quanto dei quaranta-sessantenni di sinistra (e delusi dalla sinistra) che in mancanza d’altro si erano lentamente avvicinati a Grillo. Penso, per esempio, al normotipo santoriano (nel senso di Michele Santoro) o floresiano (nel senso di Paolo Flores D’Arcais). Per loro Ingroia (e De Magistris, e Di Pietro, volendo pure Ferrero e Diliberto) rappresentano ora una prospettiva maggiormente gradita. Su Ingroia politico ho qualche perplessità (sull’uomo e sul magistrato no), ma è del tutto auspicabile che una forza che raccoglie anche le Agende Rosse di Borsellino e il Popolo Viola entri, o torni, in Parlamento. La prospettiva massima, a febbraio, sembra coincidere per molti con un 20 percento complessivo di attivisti 5 stelle e arancioni, che condurranno quasi sempre le stesse battaglie. Il timore è un effetto Sinistra Arcobaleno 2: se si fermeranno poco sotto il 4 percento, gli Arancioni saranno serviti unicamente a togliere eletti alla cosiddetta “antipolitica”.

5) Berlusconi. Sembra impossibile (ad alcuni: a me no) che ci siano ancora tanti disposti a rivotare un figuro sempre più impresentabile, nonché sinapticamente devastatissimo, ma questa è l’Italia. Berlusconi non è morto politicamente: ogni volta che stava per accadere, qualcuno lo ha salvato (D’Alema, Veltroni, Napolitano). A febbraio ne ripagheremo le conseguenze. Il Pdl, senza Lega, si attesterà – temo – poco sotto il 25: cifra inaudita, tenendo conto dei disastri compiuti. Se poi Berlusconi si alleerà con Maroni, al Senato avrà luogo un pareggio e l’inciucione Bersani-Monti (con Vendola a girarsi i pollici) sarà cosa certissima (certa lo è già). Questo conato di berlusconismo riguarda anche il M5S: non pochi delusi da destra, dopo aver flirtato con Grillo, si faranno nuovamente rincitrullire dal Bollito. Vamos.

6) Se Renzi avesse vinto le Primarie, il centrosinistra avrebbe stravinto, Berlusconi non avrebbe più appeal e il Movimento 5 Stelle sarebbe sceso molto di più. Il vero anti-Grillo non è Bersani (ahahah) e neanche Ingroia (che casomai è un Grillo 2), ma il sindaco di Firenze. Da non renziano, trovo inattaccabile la coerenza del Renzi post-primarie. Complimenti.

Nelle prossime settimane, facendo comizi ovunque (le piazze dei Firma Day e Massacro Tour erano piene: questa crisi M5S c’è davvero?), Beppe Grillo si giocherà tutto. Se resta in panchina si ammoscia, se sgomita nella mischia si esalta. Dopo le epurazioni è diventato più “conciliante”. Ha ammesso qualche sbaglio (che per lui, disabituato alla critica, è tantissimo). Ha recitato (per strategia e non solo) la parte del martire sulla vicenda-firme. E’ sembrato perfino più istituzionale (il discorso crepuscolare di Capodanno).

Prima di Parma, Pizzarotti era dato al 3 percento; prima delle regionali siciliane, Cancelleri al 7. I sondaggi sono anch’essi strumenti di propaganda elettorale e il M5S è realtà liquida. Se sarà calo o slavina, dipenderà da Grillo, dagli attivisti e dalla casta (per meglio dire: dal suo livello di masochismo inconsapevole).
Saranno settimane di guerriglia. Copritevi bene, che per la democrazia italiana sarà un inverno rigidissimo.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/03/perche-grillo-cala-se-cala/460169/