sabato 10 luglio 2021

Con la nuova prescrizione di Cartabia i processi non dureranno di meno: o muoiono (senza colpevoli) o si allungano. Ecco perché. - Giuseppe Pipitone

 

Il nuovo meccanismo sull'improcedibilità inserito nella legge delega penale applica al processo d'appello una data di scadenza. In questo modo gli imputati saranno incentivati a fare ricorso, puntando alla "morte" stessa del procedimento. E per fare "morire" il processo l'unica alternativa è puntare sulle tattiche dilatorie, che qualsiasi penalista di esperienza sa bene come mettere in campo.

Processi più veloci e che durano meno tempo. Era questa la richiesta all’Italia da parte della commissione Europea per avere accesso ai fondi del Recovery plan. Un obiettivo che sembra difficile da raggiungere con la legge delega licenziata giovedì sera dal Consiglio dei ministri del governo di Mario Draghi. Il motivo? Sono molteplici. Per esempio mancano elementi concreti che incentivino in modo sostanziale la scelta dei riti alternativi. Ma soprattutto ad apparire non particolarmente efficace è la nuova riforma della prescrizione della guardasigilli Marta Cartabia. La norma, nei fatti, soppianta la legge di Alfonso Bonafede, che dall’1 gennaio del 2020 blocca la prescrizione del reato dopo il primo grado di giudizio. Quella riforma, a suo tempo bandiera dei 5 stelle, produrrà i suoi effetti solo a partire dal 2025: sarebbe dunque prematuro cercare di tracciarne un bilancio. Di sicuro, però, chi si è visto applicare una norma che congela la prescrizione dopo la prima sentenza, non ha molto interesse a fare ricorso in appello. Soprattutto quando è stato magari condannato a pene molto lievi.

La tagliola di Cartabia – Il nuovo meccanismo studiato da Cartabia, invece, mantiene la prescrizione esistente solo fino al primo grado. Nel secondo subentra un altro concetto, quello dell’improcedibilità. Se l’Appello non si conclude entro due anni, il processo non può più andare avanti, cioè muore in via definitiva. Lo stesso vale per quello in Cassazione, dove la tagliola scatta entro un anno. I ministri dei 5 stelle hanno assicurato il sostegno al testo dopo che la guardasigilli ha modificato leggermente la riforma. Cartabia ha previsto l’allungamento (ma solo a discrezione del giudice) del termine entro cui si devono completare i gradi di giudizio – a pena di improcedibilità – a tre anni in Appello e 18 mesi in Cassazione per i più gravi reati contro la pubblica amministrazioneconcussionecorruzione, istigazione alla corruzione e induzione indebita a dare o promettere utilità. Tempi più lunghi sono previsti anche per reati gravi come la mafia e il terrorismo, mentre sono completamente esclusi da questo meccanismo quelli puniti con l’ergastolo, come l’omicidio e la strage. I 5 stelle rivendicano la minuscola modifica inserita nella riforma come una loro personale vittoria: “I tempi della prescrizione – sostengono in una nota – per i reati dei potenti, quelli contro la collettività (vedi la corruzione) sono stati allungati: non a caso rappresentanti di alcune forze politiche ieri hanno avuto forti mal di pancia”.

Processi più veloci del 25%? “Previsione irrealistica” – Una verità parziale. Intanto perché un sistema simile crea una discriminazione tra imputati e quindi può prestare il fianco a una questione di legittimità costituzionale. Ma soprattutto perché è evidente che in questo modo i processi non dureranno di meno. Non è un caso se un insigne giurista e celebre legale come Ennio Amodio ha definito la riforma come “un’occasione mancata“. A sentire Draghi le norme introdotte da Cartabia accorceranno del 25 percento i tempi dei processi penali, ma Amodio non è d’accordo. “Non mi sembra una previsione realistica perché si basa su un pensiero pieno di prospettive ma lontano dalla realtà”, ha detto tranciante il professore alla Stampa.

Il giudice in pensione: bisogna sostituirlo entro 60 giorni – Senza considerare che appliccando sul processo d’appello una data di scadenza gli imputati saranno incentivati a fare ricorso, puntando alla “morte” stessa del procedimento. E per fare “morire” il processo l’unica alternativa è puntare sulle tattiche dilatorie, che qualsiasi penalista di esperienza sa bene come mettere in campo. In effetti basta addentrarsi tra gli articoli della legge delega per accorgersi che mancano una serie di norme per disincentivare i tentativi di dilazione. A cominciare da eventuali sanzioni per i giudici e il personale amministrativo dei procedimenti che andranno in fumo. Ma non solo. La norma contenuta nell’ultima bozza della legge delega prevede che “i termini di durata massima del processo sono sospesi, con effetto per tutti gli imputati nei cui confronti si sta procedendo, nei casi previsti dall’articolo 159, primo comma, del codice penale e, nel giudizio di appello, anche per il tempo occorrente per la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale”. Che cosa vuol dire? Che nel caso in cui occorresse far ripartire il dibattimento – succede per esempio quando cambia il giudice – il tetto dei due anni viene congelato. La stessa norma però prescrive che “in caso di sospensione per la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, il periodo di sospensione fra un’udienza e quella successiva non può comunque eccedere i sessanta giorni”. Quindi se, per fare un esempio, un giudice va in pensione, bisognerà sostituirlo entro 60 giorni: in alternativa le lancette dell’improcedibilità riprenderanno a correre. In più, scritto in questa maniera, sembra che dal momento in cui il processo ripartirà, bisognerà concluderlo nel tempo rimasto.

Tattiche dilatorie e tempi morti: più processi più lunghi – Ma non solo. L’articolo 159, primo comma, del codice penale, citato nella norma precedente, disciplina eventuali impedimenti di difensori e imputati: prevede che in caso di assenza giustificata ogni rinvio deve essere fissato entro 60 giorni dalla cessazione dell’impedimento. Se per esempio l’imputato presenta un certificato medico che ne testimonia l’impedimento per 30 giorni, il giudice potrà fissare una nuova udienza anche tre mesi dopo (si sommano 30 giorni di impedimento ai 60). In questo lasso di tempo la “tagliola” dell’improcedibilità viene congelata ma è evidente che un sistema del genere non produrrà certo processi più veloci. Anzi: ne produrrà molti di più e più lenti. Senza considerare che, come si legge sempre nella bozza, la nuova disciplina sulla prescrizione si applica per reati commessi dopo l’1 gennaio 2020, data di entrata in vigore della riforma Bonafede, e non per quelli precedenti. Ma perché un imputato per un reato commesso il 31 dicembre del 2019, che magari è ancora in attesa di giudizio, deve essere giudicato con la vecchia legge sulla prescrizione – in questo caso la riforma Orlando – e non con la nuova, molto più favorevole al reo? E’ solo uno dei tanti interrogativi che pesano su una riforma nata per velocizzare i processi. Ma che rischia o di ucciderli o di rallentarli. Di sicuro ne produrrà di più.

ILFQ

“Assenteisti” al Comune di Palermo: 8 arresti, 43 indagati. - Riccardo Lo Verso

 

Blitz ai cantieri Culturali della Zisa. Timbravano e andavano al bar, a fare la spesa oppure jogging.

I finanzieri l’hanno denominata operazione “Timbro libera tutti”. É la fotografia di quanto sarebbe avvenuto all’interno dei Cantieri culturali della Zisa. I fatti sono nel 2018, ma molti lavoratori sono ancora in servizio. Da qui le attuali esigenze cautelari ritenute sussistenti dal Gip Rosario Di Gioia per 28 dei 43 indagati.

Otto persone finiscono agli arresti domiciliari, per 14 scatta l’obbligo di dimora e presentazione alla polizia giudiziaria e per sei il solo obbligo di presentazione.

Gli indagati per truffa sono dipendenti del Comune (11), del Coime (3) e della Reset (14). Tra di loro anche un soggetto indagato per mafia.

Su richiesta della Procura, l’indagine è coordinata dall’aggiunto Sergio Demontis e dal sostituto Maria Pia Ticino, vanno ai domiciliari Dario Falzone, 69 anni, Antonio Cusimano, 60 anni, Gaspare Corona, 69 anni, Mario Parisi, 61 anni, Francesco Paolo Magnis, 61 anni, Salvatore Barone, 47 anni (è un sindacalista molto noto che ha da sempre combattuto battaglie al fianco dei precari), Giancarlo Nocilla, 48 anni e Tommaso Lo Presti, 50 anni. Quest’ultimo è già indagato per mafia ed è cugino di due boss di Porta Nuova, Tommaso Lo Presti soprannominato il pacchione e il cugino omonimo detto il lungo.

L’obbligo di dimora è stato notificato a Fabiola Selvaggio, Giuseppe Muliello, Silvana Caravello, Massimo Pipi, Rosaria Gebbia, Francesco Caruso, Salvatore Consiglio. Salvatore Reina, Isidoro Chianello (è il padre di Angela da Mondello, il cui “non ce n’è Covid” è diventato un tormentone prima social e poi mediatico), Francesco Paolo Tinervia. Massimo Vesco, Mario Nuccio, Davide Nuccio. Vita D’Aiuto.

Obbligo di firma per Antonino Muratore, Maria Angela Di Carlo, Filippo Pecoraro, Marina Megna, Francesco Madonia e Francesco Ferraro. Ci sono anche altri 15 indagati.

Gli investigatori del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo – gruppo tutela mercato beni e servizi – hanno pedinato e filmato le assenze dei laboratori che timbravano e poi si allontanavano per fare la spesa al supermercato o shopping, andare al bar, o addirittura praticare jogging.

In molti casi un collega timbrava il bagde per tutti. Oppure si faceva ricorso allo strumento straordinario della “rilevazione manuale”, che consente in caso di “dimenticanza” del cartellino personale, di attestare la propria presenza al lavoro tramite comunicazione scritta.

Una telecamera nascosta piazzata vicino all’apparecchio per la rilevazione elettronica delle presenze ha registrato in poco più di tre mesi, nel 2018, oltre mille casi di assenza ingiustificata per circa 2.500 ore di servizio.

“L’attività investigativa ha svelato l’esistenza di un fenomeno illecito estremamente diffuso all’interno della struttura pubblica cittadina – spiega il generale Antonio Quintavalle Cecere, comandante provinciale della finanza di Palermo- , un modus operandi divenuto cronico a tal punto da essere considerato come un comportamento ‘normale’. Alcuni degli indagati hanno costituito delle vere e proprie ‘squadre di lavoratori assenteisti’ che provvedevano ad effettuare reciprocamente la timbratura dei badge dei propri compagni in modo da non far risultare i periodi di assenza dal lavoro. Purtroppo registriamo ancora una volta la sistematica violazione dei principi di diligenza, lealtà e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare”.

“È emerso un sistema patologicamente orientato al malaffare a danno della pubblica amministrazione cittadina, in un contesto che appare di assoluta arbitrarietà nello svolgimento dei compiti lavorativi – aggiunge il colonnello Giancluca Angelini, comandante del Nucleo -. L’aspetto più allarmante è il diffuso senso di impunità che ha permeato un numero significativo di pubblici dipendenti che si sono sentiti liberi di violare sistematicamente le regole del rapporto di impiego, come se si trattasse di comportamenti normali, emergendo un sentimento di disaffezione al servizio che ha portato a compromettere con assoluta disinvoltura il rapporto di fedeltà con la pubblica amministrazione. In tali contesti, il controllo sociale riveste un ruolo determinante: nessuno deve più tollerare comportamenti di pubblici dipendenti che non siano improntati al rigoroso rispetto dei propri doveri nell’interesse generale della collettività.

LveSicilia

venerdì 9 luglio 2021

Grillo chiama i ministri M5s (dopo la telefonata con Draghi): così è nato il dietrofront sulla giustizia – Esclusivo. - Luca De Carolis

 

Secondo fonti di primo piano del Movimento 5 Stelle, ieri sera il fondatore sarebbe intervenuto sui componenti del governo per spingerli a votare sì alla riforma della Giustizia della ministra Marta Cartabia, quella che di fatto stravolge la legge Bonafede. Il garante è stato mosso dallo stesso Draghi, che lo aveva contattato in giornata.

Ancora il Garante, a fare muro per Mario Draghi. Ancora Beppe Grillo, come nume tutelare del presidente del Consiglio. Secondo fonti di primo piano del Movimento 5 Stelle, ieri sera Grillo sarebbe intervenuto sui quattro ministri del Movimento per spingerli a votare  alla riforma della Giustizia della ministra Marta Cartabia, quella che di fatto stravolge la riforma della prescrizione dell’ex Guardasigilli, il 5Stelle Alfonso Bonafede.

Fino a poco prima del Consiglio dei ministri delle 17, il Movimento era orientato ad astenersi. Questa era stata l’indicazione dei Direttivi delle due Camere, e questa era anche la linea portata avanti dal capodelegazione, il ministro dell’Agricoltura Stefano Patuanelli, convinto della necessità di dare un segnale politico su un totem del M5S. Poi è cambiato qualcosa, con una nuova trattativa sul testo tra i quattro ministri, Draghi e Cartabia, che ha fatto slittare il Cdm di quasi due ore. Ma secondo quanto risulta al Fatto, a pesare sarebbe stato l’intervento di Grillo. Mosso dallo stesso Draghi, che lo aveva contattato in giornata.

Non certo una novità, visto che mesi fa fu proprio una lunga telefonata tra il Garante e l’ex presidente della Bce, rivelata dal Fatto, a convincere Grillo che il M5S doveva sostenere il suo governo. I due hanno continuato a sentirsi, sporadicamente. E di fronte a un nuovo tornante del suo governo, il premier avrebbe rigiocato la carta del Garante. Pronto ad adoperare ancora la sua influenza per spingere i ministri dei 5Stelle a dire sì. Una scelta che ha lacerato un Movimento già spaccato. Ma Grillo era e rimane della linea che il M5S debba restare in questo esecutivo. A qualunque costo.

ILFQ

Furbetti del cartellino: 28 misure cautelari tra i dipendenti del comune di Palermo.

 

Otto sono ai domiciliari: indagati per truffa e danno a un ente pubblico

Foto Ansa / CorriereTv

Andavano a fare la spesa o a fare jogging pur risultando presenti al lavoro. Una nuova inchiesta sui "furbetti del cartellino" investe i dipendenti del Comune di Palermo e di alcune società partecipate, in servizio presso i Cantieri culturali alla Zisa. I finanzieri del comando provinciale hanno eseguito un'ordinanza di applicazione di misure cautelari emessa dal gip del capoluogo nei confronti di 28 persone. Per 8 sono scattati gli arresti domiciliari; per altri 14 l'obbligo di dimora e di presentazione alla pg; per 6 solo quest'ultimo. Sono indagati a vario titolo per truffa a danno di un ente pubblico e falsa attestazione. «L’attività investigativa ha svelato l’esistenza di un fenomeno illecito estremamente diffuso all’interno della struttura pubblica cittadina, un contesto di quasi assoluta anarchia amministrativa, un modus operandi divenuto cronico a tal punto da essere considerato come un comportamento `normale´». Lo dice il generale Antonio Quintavalle Cecere, comandante provinciale della Guardia di finanza di Palermo. «L’aspetto più allarmante - ha aggiunto Gianluca Angelini comandante del nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo che ha condotto le indagini - è il diffuso senso di impunità che ha permeato un significativo numero di pubblici dipendenti che si sono sentiti liberi di violare sistematicamente le regole del rapporto di impiego. Comportamenti questi che determinano un danno economico e di immagine per la pubblica amministrazione e che incidono negativamente sulla qualità dei servizi offerti ai cittadini».

Corriere Della Sera

Festeggia la banda dei disonesti. - Gaetano Pedullà

 

È da anni che ne avevo il sospetto, ma adesso c’è la prova che la campionessa olimpionica delle supercazzole è la ministra Cartabia. Nessuno si stupisca, perciò, se ce la ritroveremo Presidente della Repubblica, ma anche Papa se deciderà di farlo, perché vorrei vedere quanti saprebbero camuffare la prescrizione con l’improcedibilità e convincere tutti che non c’è trucco e non c’è inganno. Roba che Copperfield scansate!

Così finisce alle ortiche un’altra delle bandiere di civiltà – che i corrotti con i loro partiti di riferimento fanno passare per l’esatto contrario – secondo cui chi finisce sotto processo è innocente o è colpevole, mentre in Italia ogni anno migliaia di imputati la fanno franca, con una evidente maggioranza di chi ha i soldi per pagarsi gli avvocati più abili nell’allungare quanto basta i processi.

Purtroppo la caduta del governo Conte porta in dote anche questa schifezza, e se i Cinque Stelle avessero lasciato a Draghi e alle destre totale libertà di azione ora riavremmo la stessa prescrizione che c’era prima della legge Bonafede, e pure peggio, perché Italia Viva e Forza Italia (ormai due corpi e un’anima) hanno anche protestato per l’allungamento dei termini ottenuto dai ministri del Movimento in Appello e Cassazione prima che il processo si chiuda senza una sentenza.

Può bastare per giustificare l’appoggio a un Esecutivo tanto imbarazzante? Gli attivisti Cinque Stelle – non fa differenza se più simpatizzanti di Conte o Grillo – non ne possono più di queste concessioni, anche se è chiaro che andare all’opposizione non servirebbe a niente, perché con Maghi del calibro di Draghi e Cartabia i voti per approvare queste schifezze si materializzerebbero comunque.

E senza i 5S già oggi avremmo la separazione delle carriere, le Procure che indagano sui reati che decidono i partiti (e sugli altri lasciano fare), il gran ritorno delle correnti che si spartiscono il Csm e – allargando il tiro – Berlusconi presidente della Repubblica, una tassa su chi prende il Reddito di cittadinanza e due su chi nonostante questo marciume riesce a restare onesto in un tale Paese di Pulcinella.

LaNotiziaGiornale.it

Andrea Scanzi su FB

 

È straordinaria l’involuzione totale dei 5 Stelle. Davvero straordinaria. Dall’omicidio politico del Conte 2 per mano di quello lì, non ne hanno beccata una. E ogni giorno peggiorano.
Si sono arresi a Draghi, rinunciando in partenza pure a trattare (pur avendo la maggioranza in Parlamento). Hanno spacciato Cingolani per grillino. Hanno ammainato tutte le loro battaglie identitarie (tranne il reddito di cittadinanza, ma vedrete che a breve verrà raso al suolo pure quello). Si sono ridotti all’irrilevanza più totale.
Molti parlamentari hanno accettato, o addirittura avallato, il vergognoso accoltellamento dello PsicoBeppe a Conte. Una roba da vomito, per cui Grillo dovrebbe chiedere scusa in eterno (ma ovviamente non lo farà mai). E adesso i 5 Stelle si sono arresi pure su giustizia e spazzacorrotti: la battaglia delle battaglie, per loro. Una resa patetica, ridicola, colpevole. Non solo: già che c’erano, si sono arresi pure sulle clausole obbligatorie nel Dl Dignità. Leggende.
La loro mancanza assoluta di palle, morale e dignità nei confronti di San Draghi è ormai oltre ogni mitologia immaginabile. Masochismo, sete di potere, incoerenza, dilettantismo e sindrome di Stoccolma. Siamo al top!
Non so se se ne sono accorti, ma allo stato attuale i 5 Stelle paiono oltre ogni putrefazione politica. O si ripijano (cit) in fretta o ciao core. La loro è una noiosissima agonia autoimposta, che mette un po’ rabbia e un po’ malinconia. Potrebbe salvarli solo Conte, ma molti nei 5 Stelle non lo vogliono. La lentissima mediazione dei “pontieri” (?) tra Conte e l’ormai diversamente lucido Grillo prosegue mestamente. E Conte stesso, a questo punto, nicchia.
Giustamente: con un M5S ridotto così, per Conte sobbarcarsi questa sorta di salma politica rischierebbe di risultare più una zavorra che non una spinta. Forse gli conviene andare da solo, lasciando i 5 Stelle al loro imbarazzante - nonché inspiegabile - suicidio al rallentatore.
Condoglianze.

Forza Italia. - Marco Travaglio

 

Gli unici coerenti sul Salvaladri Draghi-Cartabia sono quelli che l’hanno sempre voluto, cioè i berluscones. Tutti gli altri devono semplicemente vergognarsi. Parliamo di una controriforma nata con tre teste, una più mostruosa dell’altra. 

1) Il ritorno della prescrizione in Appello (se dura più di 2 anni) e in Cassazione (se dura più di 1) incentiva le impugnazioni e gli ostruzionismi strumentali, moltiplicando il numero e la durata dei processi. 

2) Il divieto di appello per il pm, ma non per l’imputato, è stato dichiarato incostituzionale già due volte, da Ciampi e poi dalla Consulta, quando B. ci provò col ddl Pecorella. 

3) La direttiva annuale del Parlamento alle Procure sui reati da perseguire e da ignorare è altrettanto illegittima, perché viola l’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112); ma è anche indecente perché favorisce i colpevoli dei reati tipici dei parlamentari (e dei loro amici e finanziatori), che si affretteranno a escluderli. Draghi dice che ce lo chiede l’Europa. Falso come Giuda: l’Europa ci ha sempre chiesto di cambiare le regole della prescrizione e ci ha elogiati per come le ha cambiate la Bonafede (norma popolarissima, che contribuì a portare il M5S al 33% e che ora un premier senza un voto cancella con un tratto di penna).

Salvini attacca la legge Bonafede perché è roba dei 5Stelle (“per loro la prescrizione non esiste e siamo 60 milioni di presunti colpevoli”), ma l’aveva promessa anche lui alle vittime della strage di Viareggio: infatti la votò anche la Lega nel 2018-2019, altrimenti non sarebbe mai passata. Per la Serracchiani, capogruppo Pd, la controriforma è “un’opportunità irripetibile per fare una riforma di sistema che serve al Paese. Non si può restare fermi, anche per non mettere a rischio le risorse del Pnrr. È il momento delle soluzioni condivise per il bene della comunità nazionale e non dei muri ideologici che in passato hanno impedito le riforme”. È raro trovare tante falsità e scemenze in sole tre frasi. “Irripetibile” non è, visto che ripete paro paro le controriforme di B., contro cui la Serracchiani si scagliò per vent’anni (basta Google per farla vergognare). Se “serve al Paese”, perché la combatté quando la proponeva il centrodestra, privando il Paese di cotale toccasana? In nome di “muri ideologici” che “hanno impedito le riforme” a causa sua? Il Pnrr non c’entra una mazza: nessuno ha mai promesso all’Europa né l’Europa ci ha mai chiesto di ripristinare la prescrizione, di rendere l’azione penale facoltativa (a discrezione dei politici) né di abolire l’appello del pm. L’Europa ci chiede una giustizia più semplice, efficiente e rapida, quindi con meno prescrizioni, ergo senza impugnazioni né cavilli dilatori.

L’esatto opposto del Salvaladri Cartabia&C. Che andava affossato a ogni costo, anche a quello di far cadere il governo. I classici due piccioni con una fava. Visti questi cinque mesi di “migliori”, ogni giorno che passa è un danno in più. Invece i 5Stelle, partito di maggioranza relativa senza cui il governo non sarebbe mai nato e non esisterebbe più, si sono piegati anche questa volta, anziché votare contro o almeno astenersi e farsi rincorrere da chi voleva salvare la baracca. E l’han fatto nella forma più mortificante, nascondendosi dietro una fogliolina di fico esposta al primo sbuffo di vento: oltre, forse, al ripristino dell’appello del pm, l’allungamento della durata massima dei processi d’appello (3 anni invece di 2) e di Cassazione (18 mesi anziché 12) per alcuni reati, tipo la corruzione (come se le vittime degli altri reati fossero figlie della serva). Una norma chiaramente incostituzionale, che durerà fino al primo ricorso alla Consulta: la prescrizione si calcola in base ai massimi di pena e fissare regimi differenziati per reati puniti con pene simili è illegittimo. Intanto, per gli avvocati o i magistrati collusi sarà un gioco da ragazzi far durare il secondo grado 36 mesi e il terzo 18 per garantire l’impunità ai clienti o compari (bel progresso, rispetto ai 24 e ai 12 mesi di prima). E non più con la prescrizione, che in fase processuale implica un giudizio di colpevolezza e fa salvi i risarcimenti alle vittime: ma con l’“improcedibilità”, che lascia pulita non solo la fedina penale, ma pure la coscienza del criminale impunito. La Cartabia, ex presidente della Consulta, lo sa bene e ha messo nel sacco gli allocchi grillini. I quali peraltro non vedevano l’ora di cacciarvisi: ormai, in piena sindrome di Stoccolma, digeriscono anche i sassi.

Fortuna che erano entrati nel governo Draghi per “vigilare”, “controllare” e “difendere” le loro conquiste: cadute quelle sulla giustizia, dopo il salario minimo, il cashback, l’ambiente, la progressività fiscale, i poteri dell’Anac, il dl Dignità, il no al Ponte sullo Stretto e alle altre opere inutili, i concorsi nella scuola, resta solo il Reddito di cittadinanza. Che sarà raso al suolo quanto prima insieme con loro. Cose che capitano a chi, come Icaro, si avvicina troppo al sole del potere, si ritrova le ali di cera liquefatte e si schianta al suolo. L’unica cosa che in cinque mesi i 5Stelle han saputo “controllare” è il loro harahiri. A questo punto, anche se troverà un accordo con Grillo, Conte dovrà valutare seriamente se gli convenga ereditare un guscio vuoto, anzi pieno di pusillanimi che svendono ideali e princìpi per un piatto di lenticchie. O se non sia meglio costruire qualcosa di nuovo, senza zavorre fra i piedi. O, in alternativa, tornare al suo lavoro, lui che ha la fortuna di averne uno.

ILFQ