giovedì 7 aprile 2011

Mark Donovan: “L’Italia è di fronte a uno spartiacque”. di Davide Ghilotti


Il politologo britannico disegna un ritratto a tinte fosche della politica italiana. Berlusconi è stato azzoppato dai processi, ma nell'opposizione non si vede ancora un'alternativa

Per Mark Donovan, docente di politiche internazionali all’Università britannica di Cardiff ed esperto di politica italiana, l’Italia potrebbe trovarsi presto di fronte a uno “spartiacque” sul modo di fare e di intendere la politica. Berlusconi potrebbe finalmente uscire sconfitto da un eventuale elezione, ma a sinistra le alternative sono troppo deboli. E poi c’è un sistema politico che è diventato, come hanno sottolineato Paul Ginsbourg e Patrick McCarthy, “neo-patrimoniale”, dove vari clan “in lotta per il potere” si sono sostituiti ai partiti.

Professore, quali saranno le conseguenze politiche del caso Ruby?
Fino a non molto tempo fa, non era chiaro se i sondaggi mostrassero un’opinione pubblica più critica verso Berlusconi per lo scandalo a luci rosse che lo coinvolge. Ora i dati fanno pensare, per la prima volta, che il presidente del Consiglio possa trovarsi nella condizione di perdere eventuali elezioni. Il supporto nel mondo cattolico è calato. In più, dopo otto anni di governo di centro-destra, cresce il malcontento anche fra gli elettori del Pdl. Sono sempre meno persuasi dalle promesse sulla riduzione delle tasse e dal miraggio di uno sviluppo economico che ancora non si vede.

Quindi non c’è solo il bunga bunga a minacciare l’immagine di B?
L’Italia è di fronte a uno spartiacque, e i processi potrebbero fare da catalizzatore per il cambiamento. Tutto dipende da quello che faranno le opposizioni.

Come è noto il caso Ruby non è il solo procedimento a preoccupare il premier. Cosa pensa della riforma della giustizia?
Il solo fatto che il premier sia imputato in diversi processi è sufficiente per renderlo la persona meno indicata per fare una riforma così estesa. La posizione penale di Berlusconi ha creato una crisi strutturale nel cuore del sistema costituzionale italiano che è rimasta irrisolta per troppo tempo.

L’ipotesi di cambiare premier, con un capo del governo sostenuto sempre dall’attuale maggioranza, è un ipotesi fantascientifica?
Il centro-destra non è mai stato in grado di rimpiazzare Berlusconi con un leader meno problematico. Cambiare il cavallo durante la corsa non è mai una scelta facile, ma è straordinario che Berlusconi sia ancora lì. Il partito aveva tentato di disarcionarlo, nel 2005-06, ma poi non ci è riuscito. Il problema è che prima Forza Italia, poi il Pdl sono formazioni inusuali in cui le decisioni piovono dall’alto. Dove la base non partecipa né riesce a influenzare le politiche del partito.

Perché non si è mai riusciti a cambiare il “cavallo” Berlusconi?
Il Pdl ha poco movimento interno alla base del partito, e un collegamento quasi inesistente dal basso verso l’alto. E’ una forma estremizzata dei “professionisti della politica”, come li aveva chiamati Angelo Panebianco. Molti grandi partiti sono andati in questa direzione, ma Forza Italia e il Pdl sono stati dominati dai loro leader in misura insolita. Non c’è una dialettica interna, come quella che si può trovare anche nella Lega – altro partito con un leader molto forte. Finché Berlusconi sarà in grado di stare a capo del partito, il partito sarà sotto il suo comando.

Eppure anche la Lega Nord pare voler sostenere B. nonostante gli scandali e i processi
La Lega ha rincorso il progetto di alcune grandi riforme dello Stato fin dalla sua nascita. Ora vuole spingere il proprio programma il più in là possibile finché si può. Anche se la base protesta contro l’alleanza, far cadere il governo ora vorrebbe dire rischiare di bloccare il processo delle riforme e pagare duramente la decisione nelle urne.

Le alternative: quando Fini lasciò il Pdl, molti videro l’opportunità di una nuova forza di centro-destra alternativa a B. Pochi mesi, e Fli ha a malapena i numeri.
Futuro e libertà ha sicuramente perso il suo momento, non solo in Parlamento ma anche sui media. Come per il Pd, ancge fra i futuristi c’è il dilemma strategico delle alleanze. Avendo come identità primaria un’alternativa di centro-destra al Pdl, un’alleanza con l’Udc è problematica – un partito più centrista e, soprattutto, cattolico. Allearsi con altri partiti a sinistra potrebbe distruggere il poco consenso rimasto.

Il Pd, dal canto suo, pare non essere ancora in grado di offrire un’alternativa credibile a Berlusconi.
La questione ha due aspetti. Il Pd è il più grande partito di opposizione, ma rimane sotto quel 30 per cento di voti che è uno dei requisiti minimi per guidare una coalizione di governo. E poi un’alleanza a guida Pd per un “governo in attesa” non viene accettata dalle altre forze di opposizione. Alcuni osservatori sostengono l’idea di un’alleanza di tutti i partiti opposti a Berlusconi, da Fli passando per l’Udc e dal Pd all’Idv e al Sel. Grandi coalizioni di questo tipo non si sono mai verificate nella storia politica italiana. Uno scenario improbabile, se non impossibile.

La crisi d’identità della sinistra è quindi senza uscita?
I predecessori di questo partito governarono l’Italia dal 1996 al 2001. La sinistra ha le carte per vincere le prossime elezioni, ristabilendo una struttura principalmente bipolare del sistema politico. Personalmente, credo che questo sarebbe di grande beneficio per l’Italia.

Insomma, il suo è un ritratto a tinte fosche
La tesi di Patrick McCarthy dice che in Italia la politica è diventata una lotta di potere tra clan. La trovo vera e inquietante. E poi c’è anche Paul Ginsborg che sostiene che la politica italiana è diventata neo-patrimoniale. Berlusconi ha una concezione patrimoniale dello stato. Il leader politico non è solo il titolare degli uffici pubblici, ma accumula un immenso potere personale economico e mediatico, oltre che governativo, anche in questioni di politica economica internazionale – penso agli affari di Berlusconi con la Russia di Putin e la Libia di Gheddafi. Rimane anche il problema dell’immensa influenza sulla cultura e l’informazione interna, che ancora va contro il principio del pluralismo.







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