giovedì 7 aprile 2011

Da Chernobyl a Fukushima, il disastro tra errore umano e contesto sociale. - di Marcello Cini.



Tutti sono d'accordo se dico che un'auto può anche essere dotata dei più raffinati dispositivi di sicurezza, ma diventa un oggetto molto pericoloso se alla sua guida c'è un ubriaco. Così come tutti ci aspettiamo che il pilota dell'aereo sul quale stiamo salendo sia sobrio e periodicamente aggiornato e controllato.

Molti invece dimenticano che anche le centrali nucleari hanno bisogno di un guidatore e dunque che la sicurezza intrinseca garantita dal progetto e dalla manutenzione di queste macchine è soltanto un elemento necessario ma certamente non sufficiente. Un documentario di grande interesse trasmesso poche sere fa in tv sulla ricostruzione storica della catastrofe di Chernobyl ci ha per esempio ricordato che fu il delirio di onnipotenza dell'ingegnere capo dell'impianto a fargli ordinare di procedere, nonostante il parere contrario dei suoi sottoposti, all'esecuzione di un test (paradossalmente un test di sicurezza!) estremamente rischioso mai eseguito prima, innescando così il surriscaldamento del nocciolo del reattore e la sua esplosione in conseguenza dell'aumento incontrollato della pressione del vapore al suo interno.

Anche il precedente incidente (1979) della centrale di Three Miles Island negli Usa, che per miracolo non provocò un disastro paragonabile, ha avuto inizio, così almeno si disse allora, dall'omesso intervento di un addetto al controllo, al quale la pancia troppo abbondante aveva impedito di vedere le luci d'allarme che si accendevano sul pannello al quale stava appoggiato. Una cosa comunque è certa: che la debolezza di una catena è quella del suo anello più debole, e che siamo proprio noi umani, che inevitabilmente facciamo parte di qualunque sistema da noi costruito per soddisfare i nostri bisogni, che alla fine ne diventiamo il punto di rottura.

In un recente articolo Andrea Masullo, docente di Sostenibilità Ambientale all'Università di Camerino, che da giovane voleva fare l'ingegnere nucleare, spiega che tra le ragioni della sua rinuncia c'è stata proprio questa consapevolezza. «I maggiori incidenti negli impianti nucleari - scrive - sono stati generati da errori umani di sottovalutazione o da fattori esterni non previsti - lo tsunami dopo il terremoto che blocca i circuiti di raffreddamento - possiamo pensare a operatori addetti al controllo che non sono lucidi mentalmente e al loro posto per la paura del terremoto e la centrale va fuori controllo e la scienza della sicurezza non serve più a nulla. Nella disperazione tutto viene affidato all'improvvisazione».

Quello che mi preme sottolineare con questa premessa è che la tendenza a decontestualizzare i problemi, isolandoli come se la loro origine e la loro soluzione dipendessero solo dagli elementi costitutivi della realtà all'interno di un perimetro teorico e pratico ben definito e dalle loro relazioni logicamente consistenti, è un errore concettuale pericoloso.

Ma dobbiamo fare un passo avanti. Se l'elemento umano è la goccia che fa traboccare il vaso, il vaso è stato prima riempito dal contesto sociale. In questo contesto domina il contrasto fra gli interessi della collettività e gli interessi privati di chi investe il proprio capitale nell'impresa coinvolta in una catastrofe. Gli ostacoli incontrati fin dall'inizio nell'affrontarne subito le reali dimensioni e le drammatiche conseguenze sociali sono frutto evidente del tentativo di salvare per quanto possibile i soldi da parte di chi ce li ha messi.

Si tratta di un fenomeno che, per esempio, si è già manifestato nel disastro ecologico della rottura del pozzo petrolifero off-shore della British Petroleum nel Golfo del Messico. Tutti ricordano l'impotenza di Obama di fronte a quello che diceva e faceva la Bp. È stato un fenomeno che potrebbe ripetersi anche più vicino a casa nostra, così come potrebbe manifestarsi in futuro anche nel campo delle biotecnologie o delle tecnologie informatiche e delle comunicazioni. Sempre di più infatti le strutture di prevenzione e di controllo pubbliche a salvaguardia degli interessi della collettività risultano arretrate e inadeguate rispetto agli strumenti di conoscenza e di azione sviluppati e impiegati dalle imprese, che sono sempre finalizzati a massimizzarne i profitti e a minimizzarne le perdite. Se non vengono percepiti e affrontati subito, questi colossali conflitti di interessi sono destinati a moltiplicarsi e ad aggravarsi.

Anche la vicenda della centrale di Fukushima dimostra che persino nel paese che più di ogni altro al mondo è caratterizzato da un diffuso controllo sociale dei comportamenti e dei doveri di ogni individuo, il capitale e i suoi interessi prevalgono su ogni altra regola, tradizione o convenzione.

Per scendere nel caso italiano, parlare di sicurezza delle centrali come se costruire centrali nucleari da noi fosse la stessa cosa che costruirle in un altro paese, equivale a colpevolmente tapparsi gli orecchi e chiudere gli occhi. Le differenze materiali, culturali, civili, economiche e sociali con gli altri paesi industrialmente avanzati dove già le centrali esistono sono purtroppo evidenti, e sarebbero già comunque tutte a sfavore della scelta nucleare, anche se non fosse accaduta la catastrofe di Fukushima.

Nel concreto, sappiamo tutti che lo smaltimento dei rifiuti ordinari è spesso nelle mani delle organizzazioni mafiose, che la selezione degli appalti è affidata con criteri molto personali da parte di politici e amministratori corrotti, sappiamo dell'abitudine dei costruttori a sostituire il cemento con la sabbia e dei fornitori a non andare per il sottile sulla qualità delle forniture, sono forme, diciamo, di facilitazione delle attività produttive sempre più diffuse a tutti i livelli e in tutto il territorio nazionale. Sono forme però poco compatibili con le garanzie di sicurezza che la tecnologia nucleare può tollerare.

La decisione è tanto più irresponsabile, inoltre, anche perché il mantenimento in coma farmacologico del piano nucleare nella speranza di richiamarlo in vita tra un anno, impedisce l'adozione di misure, che sarebbero sempre più urgenti, di conversione economica e tecnologica verso lo sviluppo delle energie rinnovabili e delle pratiche di risparmio e di uso efficiente dell'energia. Non a caso esso si accompagna con la riduzione degli incentivi per lo sviluppo del fotovoltaico e la campagna contro l'eolico che sta colpevolmente stroncando sul nascere un promettente settore di piccole e medie industrie, il cui sviluppo avrebbe effetti benefici sull'occupazione, e dunque anche sull'economia del paese in generale.

Il nesso stretto che lega le prossime elezioni amministrative con i referendum per l'acqua pubblica e per le energie pulite non è stato ancora colto dall'opinione pubblica italiana, che non ha reagito a sufficienza al mancato accorpamento delle due consultazioni elettorali da parte del governo che punta a far mancare il quorum per seppellire definitivamente la questione. Dobbiamo fare in modo che la diffusa sfiducia dei cittadini nei confronti della politica non travolga con il disastro nucleare anche l'ultimo strumento che abbiamo per contrastarne i possibili nefasti effetti futuri.

http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2011/mese/04/


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