Palazzo Chigi. L’interrogatorio del presidente del Consiglio.
Una giornata di interrogatori con Palazzo Chigi trasformato in sede distaccata della Procura di Bergamo. Come testimoni ieri sono stati sentiti il premier Giuseppe Conte, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e il ministro della Salute, Roberto Speranza. Tutti interrogati dal procuratore facente funzione Maria Cristina Rota che indaga sulla mancata zona rossa tra Alzano e Nembro. Chiuso il giro di colloqui, in serata, quello che è filtrato dalla Procura è questo: le ipotesi di responsabilità sono condivise tra i vari protagonisti. Tradotto: le prossime iscrizioni nel registro degli indagati, se ci saranno, riguarderanno sia il governo sia la Regione Lombardia. L’audizione di Conte è durata tre ore. “Con i pm – ha spiegato – abbiamo ricostruito tutto nei minimi dettagli”. Il premier ha spiegato che il parere del Comitato tecnico scientifico (Cts) sull’apertura della zona rossa non lo ha ricevuto il 3 marzo, ma il 5. In quel momento, spiega, i focolai in Lombardia si erano moltiplicati. Oltre a Bergamo c’erano Crema, Cremona, Pavia, Brescia. Leggendo quella nota su Nembro e Alzano, Conte solleva un dubbio: non è meglio chiudere tutta la Lombardia? La situazione in quelle ore era diversa dai primi giorni con solo due focolai precisi, Codogno e Vo’ Euganeo. La sera del 5, il ministro della Salute Roberto Speranza, anche lui interrogato ieri, chiede un approfondimento al presidente dell’Iss Silvio Brusaferro. La mattina dopo, Conte è nella sede della Protezione civile quando arrivano i dati che confermano la diffusione del Covid oltre i confini bergamaschi. Su questa base i tecnici propendono, come Conte, per una chiusura totale. Cosa messa nero su bianco in un verbale del 7 marzo arrivato a Conte in nottata. Da lì a poche ore il Dpcm firmato dal premier definirà la Lombardia zona rossa.
Dopo Conte, è toccato al ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese. Interrogatorio molto più rapido, nonostante la posizione del capo del Viminale sia quella più delicata rispetto all’invio di forze dell’ordine a Bergamo il 3 marzo. Circa 300 persone. Invio del quale Conte ha detto di non essere mai stato informato, così come il capo del Viminale. La spiegazione data ai pm è questa: la scelta di mandare donne e uomini a Bergamo fu fatta in autonomia dai vari comandi generali per portarsi avanti e non trovarsi impreparati quando fosse arrivato l’ordine di cinturare. Ordine che non arriverà. Al ministro Speranza è stato chiesto del vertice del 3 marzo avvenuto a Milano con la task force regionale. In quelle ore si stava decidendo cosa fare visto che i casi a Bergamo erano in crescita. “Le audizioni si sono svolte in un clima di massima collaborazione istituzionale”, ha commentato il procuratore. Il fascicolo è incardinato a modello 44 cioè con il reato di epidemia colposa ma contro ignoti. Tre i filoni: la zona rossa, i morti nelle Rsa e la mancata chiusura dell’ospedale di Alzano.
Sul tavolo il procuratore ha un’opzione. Se iscriverà lo farà per tutti, rappresentanti del governo e della Regione. Dopodiché però bisognerà capire la competenza territoriale: Bergamo, Milano, Roma e come spiegare il nesso di causalità tra il numero di morti e la mancata zona rossa. Insomma non è facile. Il 29 maggio dopo l’interrogatorio di Attilio Fontana, il magistrato aveva parlato di “scelta governativa”. Ieri ha spiegato: “Io avevo detto che dalle dichiarazioni che avevamo in atto c’era quella in quel momento”. Ci sono, per la Procura, due piani di responsabilità. Quello regionale dato dal fatto che, in base alla legge del 1978, il presidente della Regione può istituire autonomamente una zona rossa. Cosa che Fontana e l’assessore Gallera non hanno fatto.
Ma c’è poi quello che è avvenuto tra il 3 e il 7 marzo, cioè la scelta di inviare a Bergamo 300 unità tra carabinieri, polizia e finanza prima che fosse ufficializzata la zona rossa. Cosa che se pur avvenuta in via autonoma come spiegato da Conte deve, secondo i pm, essere arrivata al Viminale. Anche per questo, a quanto risulta al Fatto, non vi è documentazione che attesti la decisione di procedere. Una catena di comando che si è sviluppata oralmente, ammassando personale e spedendo in borghese carabinieri e poliziotti a fare i sopralluoghi in attesa del semaforo verde mai arrivato. Ma fu solo la zona rossa di Bergamo a far da volano al Covid? Quando fu chiuso il Basso lodigiano, Lodi rimase fuori. Fatto che potrebbe aver allargato il contagio a Milano: 10 mila cittadini di Lodi ogni giorno si spostano nel capoluogo lombardo per lavoro.
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