Mettiamo che nel corso della campagna elettorale del prossimo autunno, quella per essere rieletto alla presidenza della Regione Liguria, Giovanni Toti se ne esca pubblicamente con queste parole: “Cari elettori, sappiate che non mi comporterò mai come un ipocrita a proposito di ciò che io intendo debba essere la politica. Infatti per fare le rivoluzioni bisogna saper fare compromessi, e per fare il bene talvolta saper coltivare anche il male. È la politica. Sennò è testimonianza, uno fa il prete o il volontario!”.
Tendiamo a escludere che Toti possa pronunciare mai questa frase in un comizio o in tv. Eppure il concetto sul rapporto tra rivoluzioni e i compromessi, e sul male che genera il bene gli appartiene tutto. È contenuto negli sms che Elisa Serafini ha trascritto nel libro Fuori dal Comune, dopo che si è dimessa nel luglio 2018 da assessore alla Cultura e al marketing del Comune di Genova in seguito alle pressioni ricevute per finanziare una mostra raccomandata dal centrodestra. Del caso (di cui si è scritto sul FQ di sabato scorso e attualmente oggetto di un’indagine della Procura di Genova) a noi interessano un aspetto e un interrogativo. Se cioè la politica possa convivere con la verità (e viceversa); e se l’uso della finzione, e dunque dell’ipocrisia e della dissimulazione, sia uno strumento irrinunciabile nella comunicazione di potere.
È nelle cose che la politica sia l’arte dei buoni compromessi (sulla rivoluzione ci andrei più cauto). Tutt’altro discorso, ovviamente, chiedere a un assessore di compromettersi a prezzo di una “marchetta per la Lega” (Serafini). Sarei cauto inoltre sul concetto di “saper coltivare il male per fare il bene”: poiché non è un caso frequentissimo e comunque succede soprattutto al cinema. Altra cosa, tuttavia è innaffiare e concimare “marchette” aspettandosi di raccogliere rose profumate. Se (per pura ipotesi) Toti volesse trarsi d’impaccio per quegli sms imbarazzanti potrebbe ricorrere al solito Machiavelli del fine giustifica i mezzi. Ci sta ma perché non dichiararlo apertamente invece di continuare a prendere per il naso la gente straparlando di un mondo che non c’è?
Lo spunto, ovviamente, è il caso denunciato da Elisa Serafini ma il problema riguarda la credibilità complessiva di chi fa politica che, come sappiamo, è vicina allo zero e certo non da oggi (il solito Voltaire: “La politica è il mezzo con cui uomini senza principi dirigono uomini senza memoria”). Un crollo accentuato dalla perdita di senso delle parole. E dalla concatenazione di complicità con cui si cerca di tappare la bocca a chi non vuole più stare al gioco. Racconta Serafini che il sindaco di Genova, Marco Bucci gli disse “che era consapevole che l’erogazione del fondo non fosse legittima, che era una porcata”; e “che se non facciamo questa cosa saltiamo tutti, Elisa”. E se una la porcata proprio non vuole farla si può fare leva sul sentimento di gratitudine tradita: “Ti sembra etico morale e coscienzioso fare quel gesto senza una telefonata dopo che ti abbiamo imposto in giunta?”, scrive Toti in un affranto messaggino. Delusione che può essere anche comprensibile per chi ragiona secondo lo spirito di uno di quei potenti clan che fanno e disfano carriere (ok ma per favore non si parli più di valori della politica o balle simili).
Quanto ai “preti” e ai “volontari”, astenersi perditempo. Ieri, La Verità ha pubblicato una lunga intervista al presidente della Liguria. Titolo: “Stiamo attenti alle spinte neo centraliste”. Zeppa sicuramente di elevati principi, ma ho capito che non parlava di Elisa Serafini.
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