lunedì 28 settembre 2020

Gli squali (buoni) della finanza: “Spenniamo solo i truffatori”. - Nicola Borzi

 












“The big short” - Chi sono e come lavorano i fondi che si arricchiscono scommettendo contro le (tante) nuove Parmalat.

L’americana Nikola Corp da pochi giorni è crollata in Borsa per le accuse di aver barato sui suoi camion elettrici. Dopo anni di denunce, a giugno il colosso tedesco dei pagamenti Wirecard è finito in bancarotta per uno scandalo contabile. A ottobre 2019 i vertici della società bolognese di bioplastiche Bio-On sono stati arrestati e l’impresa è fallita dopo che un’analisi ne ha svelato l’inconsistenza. A maggio 2018 la casa di moda greca Folli Follie è implosa per falso in bilancio. Sono solo alcune tra le vittime più recenti dei fondi ribassisti, la nuova specie di predatori della finanza che smaschera aziende decotte o fraudolente e fa utili grazie al tracollo delle loro azioni. Le praterie dove questi operatori colpiscono si sono allargate grazie alla corsa delle Borse che negli ultimi 11 anni hanno quintuplicato il loro valore, trainando però spesso anche titoli gonfiati. Se in passato i loro gestori analizzavano mercati e imprese e ne attendevano i ribassi, ora invece passano all’attacco e scatenano i crolli pubblicando rapporti su inefficienze o truffe. Ma non sempre tutto fila liscio.

Chi vende allo scoperto ama il rischio: dopo analisi finanziarie e valutazioni legali, prende in prestito le azioni di una società, le vende e poi le fa crollare con un report. A quel punto le riacquista a un valore più basso e le restituisce ai prestatori. Il guadagno sta nella differenza tra il prezzo di vendita dei titoli e quello inferiore di riacquisto. Ma i regolatori temono gli “shortisti” perché scatenano la volatilità e possono danneggiare aziende sane. Perciò gli Usa nel 2005 e l’Unione Europea nel 2012 hanno regolato le vendite allo scoperto vietando quelle “nude” (effettuate senza possedere o aver preso in prestito i titoli) e sanzionando quelle basate su informazioni riservate. Oltre certe soglie di capitale, le posizioni ribassiste vanno poi rese pubbliche e in situazioni particolari possono essere vietate: l’ultimo caso è del 18 marzo quando, per arginare il crollo scatenato dall’epidemia, la Consob ha vietato per tre mesi le vendite allo scoperto su tutto il listino di Borsa.

Ma i predatori aumentano. Un’analisi su 290 campagne ribassiste condotte tra il 1996 e il 2015 mostra che le operazioni sono triplicate dopo la crisi finanziaria del 2008. Secondo la società Activist Insight, dal 2013 sono 198 i fondi shortisti attivi: 105 hanno sede negli Usa, 14 in Asia e 13 nel Regno Unito, mentre di 51 non si conosce la nazionalità. L’attività è esplosa nel biennio 2015-16 con 373 operazioni. Nel 2019 le iniziative sono scese a 119 e quest’anno lo stop deciso per il Covid-19 ha lasciato spazio solo a 67 campagne. I profitti realizzati restano un mistero.

In vetta tra i ribassisti nel 2019, secondo Activist Insight, c’è il fondo americano Muddy Waters specializzato nell’opaco mercato asiatico. L’azienda non deve il nome al padre del blues ma a un proverbio cinese: “È nelle acque fangose che si catturano più pesci”. L’anno scorso la società ha lanciato cinque campagne contro prede che in media capitalizzavano 7,1 miliardi di dollari: a dicembre 2019 ha attaccato la multinazionale ospedaliera emiratina Nmc Health, tra le prime 100 della Borsa di Londra, svelandone debiti fuori bilancio per 2,7 miliardi di dollari. L’8 aprile Nmc è fallita.

Al secondo posto c’è Hindenburg. Il nome rimanda volutamente alla tragedia del dirigibile tedesco bruciato il 6 maggio 1937 nel New Jersey causando decine di morti: “Cerchiamo disastri artificiali simili che fluttuano sul mercato per far luce prima che attirino altre vittime ignare”, spiega la società. Il fondo specializzato in analisi finanziaria svela al Fatto il suo approccio: “Non sempre facciamo screening su molte aziende, piuttosto cerchiamo problemi nella gestione o manager recidivi già passati in altre società discutibili e coinvolti in pratiche da ‘cartellino rosso’. Se sospettiamo una frode, la segnaliamo alla Sec”, l’autorità di vigilanza Usa. Nel 2019 il fondo ha lanciato sei campagne contro target con una capitalizzazione media di 2,1 miliardi, tra le quali la società norvegese di software Opera e lo specialista canadese di realtà aumentata NexTech Ar Solution. A marzo e aprile ha messo nel mirino Predictive Technology e Sc Worx, entrambe sospese in Borsa dopo che il fondo ha rivelato che i loro annunci di nuovi test per il coronavirus erano fasulli. Ma il bersaglio grosso Hindenburg l’ha attaccato il 10 settembre quando ha definito “una frode” Nikola Corp., azienda Usa fondata nel 2014 per sviluppare camion a emissioni zero basati su batterie al litio e fuel cell a idrogeno. Quotata a giugno, la capitalizzazione di Nikola è balzata da 12 miliardi a oltre 30, superando Ford grazie a joint venture con General Motors e Cnh del gruppo Fca, che ne detiene il 7%. Il fondo ha rivelato che il video di un camion “elettrico” in corsa diffuso da Nikola mostrava in realtà un veicolo in discesa in folle: il fondatore e presidente Trevor Milton si è dimesso. L’azienda minaccia cause legali ma Hindenburg ribatte che “non siamo mai finiti sotto indagine e abbiamo sempre vinto in giudizio”.

Tra gli short seller più attivi ci sono Spruce Point Capital, Emerson Analytics e Blue Orca (il nome rimanda volutamente ai mammiferi carnivori che usano il sonar per cacciare in branchi), che a novembre ha fatto precipitare del 91% le azioni del produttore di mobili cinese Kasen Int. dopo aver svelato che i suoi “investimenti” in Cambogia erano illusori, ma anche Gotham City Research, Citron e Quintessential Capital Management (Qcm). Qcm è famosa perché il 19 luglio 2019 fece scoppiare la bolla delle azioni Bio-on, società bolognese di bioplastica quotata all’Aim (la Borsa delle piccole e medie imprese) dove capitalizzava un miliardo. Qcm definì Bio-on “una nuova Parmalat” concepita dai manager per arricchirsi alle spalle degli azionisti, con tecnologie improbabili, fatturato e crediti simulati con irregolarità contabili, nessun impianto in produzione. Un ruolo centrale l’ha avuto Maurizio Salom, commercialista e consulente di Milano, che per conto di Qcm ha analizzato i bilanci di Bio-On: “La mia indagine forensica si è basata su documenti pubblici. La verità è che su Bio-On c’è stato un enorme buco nei controlli e un intrico di conflitti di interesse”, spiega Salom. Gabriel Grego, fondatore di Quintessential, spiega che “su 100 aziende che analizziamo, solo il 2/3% diventa il target di una nostra campagna e in media le loro azioni scendono di oltre l’80%. Dopo i nostri report su American Addiction Centers, Globo Plc, Ability Inc., Folli Follie, Bio-on e Akazoo le loro azioni si sono azzerate. Grazie ai nostri standard legali ed etici non siamo mai stati indagati né citati in giudizio, anche se non è detto che non possa accadere. Quando il fondatore di Bio-On Marco Astorri ci denunciò lo contro-querelammo subito: poche settimane dopo fu arrestato”.

Intanto cresce l’opposizione ai ribassisti. A ottobre la Turchia ha vietato le vendite allo scoperto su sette banche. In Francia i politici chiedono nuove regole di trasparenza. Ma non sempre le critiche sono fondate. In Germania l’autorità di controllo BaFin per anni ha bloccato le vendite allo scoperto su Wirecard accusando ingiustamente di manipolazione due giornalisti del Financial Times che avevano intervistato venditori che avevano pubblicato un report con lo pseudonimo Zatarra. In passato Qcm aveva preparato un report su Wirecard ma non lo pubblicò per l’elevato rischio legale. Alla fine Wirecard è fallita e i fondi ribassisti Ennismore, Slate Path, Tci e Marshall Wace hanno guadagnato centinaia di milioni.

Non sempre però gli shortisti hanno successo. Le scommesse contro il produttore di auto elettriche Tesla da inizio anno sono costate ai ribassisti circa 9 miliardi. Negli annali resta la puntata da un miliardo di dollari lanciata nel 2012 da Bill Ackman sul crollo di Herbalife, società di integratori e dimagranti. Nel 2018 Ackman rinunciò allo short: oggi le azioni Herbalife quotano oltre 47 dollari, il doppio rispetto a prima della campagna.

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