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venerdì 17 ottobre 2014

Marco Pantani, “complotto per alterare ematocrito”. L’ombra della camorra. - Andrea Tundo

Marco Pantani, “complotto per alterare ematocrito”. L’ombra della camorra


L'ipotesi, riportata dai quotidiani, è della Procura di Forlì che indaga per associazione per delinquere finalizzata a truffa e frode sportiva. Le scommesse clandestine sul vittoria finale erano talmente tante da poter di fatto far perdere chi le gestiva. La chiave starebbe in ciò che Renato Vallanzasca, figura storica della malavita milanese, scrisse alla mamma del campione. In carcere fu avvicinato da un personaggio che gli disse che il ciclista avrebbe perso il Giro d'Italia 1999, quello della discussa esclusione a Madonna di Campiglio.

L’ematocrito alto, l’esclusione dal giro, le scommesse clandestine gestite dalla camorra e quelle frasi di Renato Vallanzasca. E’ un’ombra gigantesca quella che si addensa attorno all’esclusione dal Giro d’Italia ’99 di Marco Pantani. Sulla quale adesso indaga, a quindici anni di distanza, la Procura di Forlì: associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva e alla truffa, questo il reato sul quale lavorano il procuratore capo Sergio Sottani e il sostituto procuratore Luca Spirito, secondo quanto riportato dai quotidiani e confermato dagli inquirenti. Un’ipotesi inquietante. Perché quel controllo dell’ematocrito sbagliato effettuato a Madonna di Campiglio nel 1999 sarebbe stato alterato per sbattere il Pirata fuori dal Giro.
E’ il 5 giugno quando Pantani viene trovato positivo al test sull’ematrocrito. Troppo alto il valore: 1.9 punti in più del consentito. E’ uno stop preventivo per garantire la salute del corridore, in teoria. Ma che cambia completamente la storia di uno degli sportivi italiani più amati. Da giorni si rincorrevano le voci di una possibile esclusione dalla corsa rosa del campione di Cesenatico, in quel momento leader indiscusso, e riguardo al modo nel quale quel campione è stato prelevato si è già detto molto. Perché sia la sera prima che nel pomeriggio, quando Pantani si ferma a Imola per rifare le analisi in un laboratorio accreditato, i valori sono nella norma. Mentre nel prelievo della mattina, quello ufficiale, è appena sopra il limite di 50 e il numero delle piastrine risulta bassissimo. Un valore non giustificabile con quello dell’ematocrito.
Detto in altri termini: il test potrebbe essere stato alterato e il sangue deplasmato. Perché? Da chi? Su questo sta cercando di far luce il pool che indaga sulla vicenda. E la pista porta lontano, alle scommesse clandestine che in quel periodo sarebbero state gestite dalla camorra. Troppe le puntate su Pantani vincente, un giro miliardario che rischiava di far saltare il banco. Per questo il Pirata potrebbe essere stato tagliato fuori. Un’ipotesi avanzata anche dal bandito della Comasina, Renato Vallanzasca, che nella sua autobiografia racconta di un incontro con un camorrista all’interno del carcere di Opera, durante la sua detenzione. Nei giorni precedenti all’esclusione, quell’uomo avrebbe detto al “bel Renè” che “il pelatino non sarebbe arrivato a Milano” e quindi di puntare forte, “qualche milione”, su altri corridori.
Gli inquirenti lo ascolteranno presto, mentre hanno già interrogato decine di testimoni che avrebbero riferito di quanto fosse facile alterare un test del sangue Uci. Una tesi sostenuta in passato anche dal medico della Mercatone Uno, dai compagni di squadra, dal manager e dalla famiglia del Pirata. E dallo stesso Pantani che disse: “Mi hanno fregato”. L’aspetto più inquietante è che un filo rosso potrebbe correre tra quella giornata e la morte del campione nel residente Le Rose di Rimini. Un altro aspetto sul quale appena due mesi fa, la Procura di Rimini, ha aperto un’inchiesta.
Certamente l’esclusione dal Giro nel ’99 ha segnato la vita di Pantani, iniziato a scivolare daMadonna di Campiglio verso il tunnel della depressione e della coca. Fino a quel 19 febbraio 2004, all’inchiesta archiviata frettolosamente e a una morte in circostanze sospette, tra cocaina ingerita, scena del crimine alterata e persone che sarebbero entrate nella sua stanza senza passare dalla receptionE l’orario della morte rimesso in discussione dall’orario segnato dal suoRolex. Molto è ancora da chiarire. Un finale tutto da scrivere, iniziato forse quattro anni e mezzo prima.
C'è ancora chi crede che lo sport, quello in cui girano tanti soldi, sia "pulito" e non sia inquinato dalle scommesse clandestine??
Assurdo!

giovedì 9 ottobre 2014

Il senatore Azzollini, un presunto truffatore salvato dalle sconce intese. - Peter Gomez

Il senatore Azzollini, un presunto truffatore salvato dalle sconce intese

Senza nemmeno avere il coraggio di spiegare pubblicamente in aula le ragioni della loro decisione, i magnifici sette componenti della giunta per le autorizzazioni di Palazzo Madama hanno votato contro la relazione di Felice Casson, esponente del loro stesso partito. Compatti hanno barattato il buon senso e il buon gusto con la volontà di fare un favore ad Azzollini, un potente indagato per associazione per delinquere, truffa ai danni dello Stato, abuso d’ufficio, frode in pubbliche forniture, attentato alla sicurezza dei trasporti marittimi e reati ambientali.
Il politico di Molfetta, protagonista dello sperpero di 150 milioni di euro destinati alla costruzione di un porto inutile e mai terminato, è infatti una figura chiave della maggioranza: controlla in parlamento molti voti e sopratutto è presidente della Commissione bilancio, quella che tra qualche giorno dovrà esaminare la legge di stabilità.
Quando lo scandalo è scoppiato e Casson ha detto che il re è nudo (“Si continua a difendere la Casta”), i sette a mezza bocca, spesso chiedendo di non essere citati (per la vergogna?), hanno poi abbozzato una spiegazione: le intercettazioni di Azzollini vanno buttate perché non casuali. Se si mettono sotto inchiesta imprese e funzionari di un comune, sostengono i senatori Pd, i magistrati sanno benissimo che finiranno per intercettare il sindaco. E visto che a Molfetta il sindaco era il povero Azzollini è chiaro, secondo loro, che il presidente della commissione bilancio del Senato è stato incastrato. Il fumus persecutionis dunque c’è. Ed è pure molto spesso.
Questi pavidi luminari del diritto però non hanno fatto i conti con la matematica e gli atti processuali. Le telefonate di Azzollini intercettate – ovviamente non sulle sue utenze – sono state solo dieci nel giro di un anno e mezzo. Con il responsabile tecnico del progetto, per esempio, il senatore ha parlato due volte nel corso di due mesi, con un altro indagato tre volte nel giro di otto. Impossibile sostenere, pure a posteriori, che il presidente della Commissione bilancio avesse relazioni abituali con i protagonisti dello sporco affare del porto.
Ma tant’è. Azzollini doveva essere salvato, costi quel che costi. Doveva restare presidente (anzi presidente azzoppato, visto che ora la parola definitiva sul suo destino spetta all’Aula) per tentare di far passare senza strappi la fiducia sul jobs act e una manovra di bilancio piena di incertezze e buchi. Intanto in Parlamento quasi nessuno si turba se alla testa di una commissione fondamentale per controllare le leggi di spesa siede un un signore celebre per aver fatto auto-assegnare alla città di cui era primo cittadino prima 70 milioni di euro (grazie a una legge sul volontariato), poi saliti di anno in anno fino a 150, per la costruzione di un’opera faraonica e dannosa per l’ambiente. Un appalto talmente inquinato da venir definito persino dagli imprenditori protagonisti dello scandalo Expo “una roba esagerata”.
Perché Azzollini è l’uomo giusto al posto giusto. Sopratutto in un Paese che ha scelto di truccare ancora una volta conti e decenza.
La svolta c’è. Ma non è buona. Dimostra a tutta Europa che qui di nuovo qui ci sono solo le parole, che per il resto si va avanti come prima. Con larghe intese politiche e d’affari talmente forti da consigliare a qualsiasi investitore estero di girare al largo dai confini nazionali. Sì, perché di fumus persecutionismartedì sera, nella giunta del Senato, se ne è respirato molto. Ma non ai danni dell’uomo di Molfetta. La vittima era l’Italia. O quel che ancora ne resta.

venerdì 19 aprile 2013

Piemonte, dalle briglie per cavallo allo spumante: 52 consiglieri e Cota indagati.


Roberto Cota


Vassoi d’argento in regalo per il matrimonio di un assessore, un cambio di pneumatici, borse Louis Vuitton e gioielli di Cartier, buoni benzina per la partecipazione alle manifestazioni del movimento No Tav tra le spese contestate dalla Procura di Torino. Le accuse: peculato, finanziamento illecito dei partiti e truffa.

In principio fu Franco Fiorito detto Er Batman”, ma come poi si è scoperto così facevano proprio tutti i consiglieri o quasi d’Italia. Anche quelli del Piemonte. Spese personali, a volte insolite con i soldi dei rimborsi: denaro pubblico. I politici piemontesi non sono stati da meno: briglie per il cavallo, vassoi d’argento in regalo per il matrimonio di un assessore, un cambio di pneumatici per l’auto, una fornitura di panettoni e spumante per le festività natalizie. E ancora sottofiletti per pranzo, borse Louis Vuitton e gioielli di Cartier, buoni benzina per la partecipazione alle manifestazioni del movimento No Tav. Tutto comprato e certificato dagli scontrini allegati alle richieste di rimborsi.
Tutto visto o quasi nel Lazio, in Lombardia, in Friuli e Liguria. In questa nuova inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Andrea Beconi e condotta da Giancarlo Avenati Bassi e Enrica Gabetta, di nuovo c’è che, oltre ai 52 consiglieri, è indagato anche il governatore della regione Piemonte, Roberto Cota. Il presidente leghista è tra i destinatari degli avvisi di garanzia nell’ambito dell’inchiesta della procura di Torino sui rimborsi dei gruppi regionali. Le accuse ipotizzate a vario titolo sono di peculato, finanziamento illecito dei partiti e truffa nel periodo maggio 2010-settembre 2012
Nella lista degli indagati ci sono anche due neo parlamentari del Pd, ex consiglieri: Stefano Lepri e Mino Taricco. Indagati anche nella loro veste di consiglieri regionali, Elena Maccanti (Lega), ex assessore ai Rapporti con il Consiglio regionale e l’ex assessore all’Innovazione, Massimo Giordano (Lega), che si era dimesso perché indagato in una inchiesta della Procura di Novara. Anche ai rappresentanti del M5s Davide Bono e il fuoruscito Fabrizio Biolè è contestato il peculato: sarebbero loro per aver utilizzato i buoni benzina della Regione per raggiungere i luoghi delle manifestazioni No Tav in Valsusa.
I rimborsi contestati nel periodo d’inchiesta ammontano circa a 900 mila euro. Tutti gli indagati verranno sentiti dai magistrati a partire dal prossimo 6 maggio e dovranno spiegare le ragioni per cui hanno prodotto quegli scontrini nell’elenco delle spese per cui si chiedeva il rimborso. La Procura di Torino contesta al governatore del Piemonte “alcune spese relative all’attività politica di consigliere regionale”, ma Cota si difende: “Ho sempre sostenuto in proprio la maggior parte delle spese per lo svolgimento dell’attività politica, ho utilizzato risorse del gruppo regionale per importi irrisori e nel rispetto di prassi consolidate, riducendo al minimo ogni esborso di denaro pubblico”.
Gli accertamenti riguardano i gruppi che all’inizio della legislatura, nel 2010, erano composti da almeno due consiglieri. I cosiddetti mono gruppi erano già stati presi in esame alcuni mesi fa, quando i magistrati eseguirono le prime quattro iscrizioni nel registro degli indagati a carico di Aleonora Artesio (FdS), Andrea Stara (Insieme per Bresso), Michele Giovine (Pensionati per Cota) e Maurizio Lupi (Verdi Verdi).
”Prendiamo atto e attendiamo le evoluzioni” il commento dell’assessore ai Trasporti, Barbara Bonino, che non è consigliere regionale e non è indagata. “Il Piemonte ha bisogno di approvare un bilancio e di lavorare per fare ripartire l’economia. Del resto si occupino i magistrati”. Il capogruppo della Lega, Mario Carossa, ha invece detto che valuterà eventuali dimissioni: “Noi della Lega non ci tiriamo mai indietro”. 
“Sono dispiaciuto per il clima che si è creato e per quello che sta succedendo” commenta il consigliere del Pd Mauro Laus, uno dei pochi a non essere coinvolto dall’inchiesta. Tra i non indagati figurano anche i consiglieri regionali del Pd Giovanna Pentenero, Roberto Placido, che è anche il vicepresidente del Consiglio regionale, Gianni Oliva ed Elio Rostagno, questi ultimi due entrati in consiglio da poche settimane. Non sono indagati anche Sara Franchino, del gruppo Pensionati con Cota, anche lei da poco a Palazzo Lascaris, e Claudio Sacchetto, della Lega Nord,che è anche assessore regionale all’Agricoltura.