“Perché a distanza di 48 ore nessuno è arrivato? Qui non c’entra la politica, ma la solidarietà. Il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi”. Il 25 novembre 1980 l’allora presidente della Repubblica Pertini, scuro in volto, si lascia andare a uno sfogo in diretta tv sui ritardi dell’emergenza per il terremoto dell’Irpinia. Altri tempi. Per il sisma del Centro-Italia, colpito dalle scosse del 24 agosto e del 30 ottobre 2016, l’emergenza ha tempi tutti suoi. Il Commissario straordinario per il sisma Giovanni Legnini, nominato a febbraio, ammette e promette: “Siamo in ritardo, ma dobbiamo recuperare. Dobbiamo accelerare e trasformare il sisma in una leva per il rilancio del Paese”.
Difficile pensare a un rilancio valutando la situazione. In testa c’è il “caso Tolentino”. Il più grande centro del cratere delle Marche dopo Macerata, 19 mila abitanti e ancora circa 3.500 sfollati. All’indomani delle scosse il vulcanico sindaco della città, l’assicuratore Giuseppe Pezzanesi, Dc di formazione e poi fervente berlusconiano, a capo di una giunta di ispirazione civica, ha preso una decisione importante: no alle Sae, soluzioni abitative di emergenza (le casette) ma residenze definitive, qualcosa di simile al “Progetto case” a L’Aquila nel 2019, da realizzare in tempi rapidi. A oggi dei 198 alloggi previsti ne sono stati consegnati appena una dozzina: “La mia scommessa era vincente, la colpa è della burocrazia e delle istituzioni – attacca Pezzanesi, rieletto a primo turno nel 2017 –, una macchina indegna. Se qualcuno me ne chiederà conto porterò la Protezione civile a testimoniare. Ora andremo più veloci. A novembre saranno pronti altri appartamenti all’ex Capannone della Rancia, degli altri li consegneremo entro l’estate 2021, ma a differenza delle Sae dureranno 100 anni e occuperanno aree già urbanizzate. L’ex Capannone era una casa di fantasmi, diventerà un vanto per tutti”.
L’area industriale della Rancia, a 10 km dal centro di Tolentino davanti all’omonimo castello, doveva diventare un centro commerciale. Abbandonato da 12 anni, è rimasto lo scheletro. Il Comune l’ha comprato per 1,6 milioni di euro e ha ricevuto fondi dalla Regione per 6 milioni, oltre a 850 mila euro per opere di urbanizzazione. I lavori per realizzare 48 unità abitative dovevano terminare ad agosto 2019. Più o meno gli stessi tempi per la parte maggiore del progetto case in emergenza, 134 appartamenti finanziati dalla Protezione civile per quasi 21milioni di euro. In tre siti – via VIII Marzo, Contrada Pace e Piazzale Battaglia – non ci sono altro che campi incolti: “Ci vuole una legge sull’emergenza, altrimenti non ne usciamo – è il commento del capo dipartimento della Protezione civile, Angelo Borrelli –. Il motto deve essere ‘Fare presto’, ma c’è qualcuno che si prende i suoi tempi, rivede pareri, invade campi altrui, certificati che si perdono. Troppi ostacoli. La colpa dei ritardi non è mia o del sindaco, la sua scelta io l’ho avallata. Bertolaso me lo diceva ‘Angelo quando ci sono i morti si deve passare col rosso’. Cas e hotel? Qualcuno ci marcia, perché non ci sono domande per la piccola ricostruzione”. In Contrada Pace un cartellone mostra fiero il progetto de “Le nostre Sae”, scimmiottando la scelta di tutti gli altri Comuni del cratere di puntare sulle casette, ma ad oggi resta solo una transenna: “A inizio 2019 il Mef chiede ragguagli al direttore, Angelo Borrelli – attacca Flavia Giombetti, battagliera leader del Comitato 30 Ottobre – sulla tempistica. Un anno e mezzo dopo c’è poco o nulla. Come si fa a parlare di progetto case in emergenza a quasi quattro anni dalle scosse? Assistiamo a rimpalli di responsabilità, ma intanto la gente vive nei container o presto sarà buttata fuori dagli alberghi”.
Lo impone una circolare del 28 aprile della Protezione civile che ordina a 120 terremotati delle Marche di lasciare i loro domicili. Di questi 78 sono a Tolentino: “Nessuno ci ha avvisato, lo abbiamo saputo dai social – racconta Eduard Ago, moglie e tre figli –. Non sappiamo dove andare, case non ce ne sono, né a Tolentino né nei comuni limitrofi, le uniche libere hanno affitti irraggiungibili. Noi nei container non ci andiamo, è un inferno laggiù”.
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