Christine Lagarde Tiene in piedi la baracca, va capito per quanto.
Magari non sta a Francoforte “per chiudere gli spread”, come ebbe a dire a marzo scatenando il panico sui mercati, ma alla fine la Bce “francese” – di cui Christine Lagarde è il volto, ma non l’autrice – ha fatto quel che doveva per salvare la baracca e mettere la mordacchia ai tedeschi e ai loro alleati anseatici. La Bce, per la prima volta nella sua storia, fa davvero la banca centrale e dimostra una volta di più su quale sciarada di falsità si sia retta l’Ue finora: il deficit esplode e Paesi come l’Italia si finanziano praticamente a zero. Come già accadde col Qe di Draghi, la sua azione ha reso inutili strumenti di tortura medievali tipo Mes. Il problema vero è il tempo: il programma di acquisti anti-Covid (Peep) è stato ampliato e prolungato fino a marzo 2022: l’Italia ha ancora un anno tranquillo, la partita del dopo pandemia – regole di bilancio comprese – si gioca tra un anno.
Marco Palombi
Ursula Von der Leyen Ottenuto il Recovery, ora serve difenderlo.
Il giornale Politico.eu l’ha inserita tra i politici “dreamers” (sognatori). La presidente della Commissione Ue ha annunciato piani ambiziosi (salute, ambiente, sociale), ma spesso in settori di competenza nazionale e con grossi caveat, a partire dal “green new deal”. L’unica certezza è che la sua sarà una presidenza cruciale: supervisionerà il primo debito congiunto europeo, il Next Generation Eu (o Recovery fund) e la revisione delle regole fiscali Ue (oggi sospese per la pandemia). Il primo è politicamente il risultato più ambizioso. I caveat però, anche qui, sono molti: rispetto alla proposta franco-tedesca la quota di “sussidi” è scesa da 500 a 360 miliardi; i meccanismi di erogazione sono complessi; il blocco nordico lo considera irripetibile e non un embrione di politica fiscale comune. Il secondo disegnerà il futuro dell’Unione: ritornare al vecchio armamentario del Fiscal Compact la farebbe esplodere. Il vero giudizio verrà da lì.
Cdf
Carlo Bonomi Tutto sommato è bravo: più urla, più incassa.
Nel 2020 Confindustria si è data una nuova leadership con il presidente Carlo Bonomi, desideroso di alzare la voce e di bacchettare, con un “populismo” dall’alto, partiti e Parlamento. Bonomi ha azzannato il governo gridando al “sussidistan” e ha preso di mira i sindacati. Dopo l’estate, anche grazie alle profferte del governo, i toni si sono smorzati e ora con Landini sembra andare d’accordo. Restano però le solite ossessioni: allarmismo contro “statalismo” e “nazionalizzazioni”, lamentela contro l’eccessiva tassazione, senza mai fare cenno all’evasione fiscale, richiesta assillante di “politiche industriali”. Ma quando tra decreti, legge di Bilancio e Recovery, le imprese si trovano, tra Industria 4.0, sgravi contributivi, super-bonus edilizi, a essere le vere sussidiate, Bonomi si fa di lato e resta zitto. Dal suo punto di vista, e solo da quello, è anche bravo.
Salvatore Cannavò
Jeff Bezos Mr Amazon, cioè quelli che col covid ridono.
Durante i primi sei mesi della pandemia circa 50 milioni di persone hanno perso il lavoro; nello stesso periodo 643 persone si sono arricchite per 850 miliardi di dollari. Jeff Bezos, il patron di quel sogno totalitario noto come Amazon, è il loro simbolo: è l’uomo più ricco al mondo e l’unico nella storia il cui patrimonio personale abbia superato i 200 miliardi. È successo quest’anno visto che le restrizioni dovute al Covid hanno dato un’ulteriore spinta al commercio online, cioè alla sua azienda. La cosa non sembra, comunque, aver migliorato salari e condizioni di vita dei lavoratori del colosso Usa: siamo sempre in zona Sorry, we missed you (il film di Ken Loach su un corriere inglese del 2019). Particolare di colore. Nella lista dei mega-ricchi c’è pure la ex moglie di Bezos, MacKenzie Scott, con 60 miliardi di patrimonio: lui ha donato 100 milioni in beneficenza, lei oltre 4 miliardi. Così, per dire.
Ma. Pa.
Albert Bourla Il profitto non spiega il caso vaccini.
I tempi assai brevi per sviluppare un vaccino considerato efficace hanno prodotto, per così dire, anche una strana reazione avversa: l’ossessione anti-Stato. Gli aedi del libero mercato come unico incentivo del progresso sociale ne hanno fatto una battaglia: è la ricerca del profitto ad aver spinto i colossi a investire su un vaccino. L’ad di Pfizer Albert Bourla si è pure vantato di non aver voluto fondi pubblici per non subire condizionamenti politici. Sarà, eppure ha concluso un accordo da 2 miliardi col governo Usa che ha prenotato le fiale e il partner Biontech ha preso centinaia di milioni pubblici per le sue ricerche. Dopo l’annuncio, Bourla ha venduto azioni Pfizer (schizzate alle stelle) incassando 5 milioni di dollari. Anche il Ceo di Moderna (quasi 2 miliardi di fondi pubblici presi) ha fatto lo stesso. La ricerca ha bisogno dello Stato. Qualcuno finge di scordarselo.
Carlo Di Foggia
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