sabato 29 maggio 2021

Family offices, l’impero oscuro da 6.000 miliardi nel mirino delle authority. - Marco Valsania

Illustrazione di Giorgio De Marinis/Il Sole 24 Ore

Dopo il crack Archegos, scattano le inchieste della procura federale su rapporti con le banche, rischi sistemici e regole nulle. La saga di Mr. Hwang.

Il nome può dir poco. Bill Hwang, finanziere sui cinquant'anni. Di qualche fama, nei salotti di Wall Street, per il pedigree tra gli hedge fund e perché sfiorato da scandali. Ma senza mai attirare troppa attenzione. Fino a quando, per le banche globali, non è diventato l'uomo da dieci miliardi di dollari. O meglio, l'uomo che ha scavato un buco da dieci miliardi nei loro conti con la crisi di Archegos, il suo family office americano schiacciato da una spirale di scommesse finite male e default sulle margin calls. E ha innescato adesso, settimane dopo il fattaccio di fine marzo, una vera e propria spirale di nuove inchieste, da parte della procura federale, della Sec e del Congresso sul rapporto tra finanza visibile e invisibile, tra banche e società ad alto rischio, che possono sollevare lo spettro di nuove vulnerabilità del sistema finanziario e stimolare la necessità di nuove regolamentazioni. 

Ombre dal passato.

Andiamo con ordine. Lo shock ha aperto uno spiraglio su una nuova quanto finora occulta sfida per la stabilità dei mercati. Capace di riportare alla memoria il crack dell'hedge LTCM nel 1998, o degli hedge che affondarono Bear Stearns alla vigilia della bufera del 2008. La nuova incognita? La scarsissima trasparenza di un altro angolo dell'alta finanza, quello appunto dei “family offices”. Chiamarlo angolo è davvero un eufemismo: i loro asset superano i seimila miliardi, doppiando il settore degli hedge. E di intimità familiare ha ben poco: è popolato da società con capitali sì di famiglia, ma con strategie che possono essere mutuate dalla finanza più aggressiva. Con una differenza: che ai family office è stato permesso, di diritto o di fatto, di sfuggire a ogni supervisione.

Regulators nervosi.

Archegos non ha spalancato voragini di crisi globali. Ma, avvertono nervosi i regulators, potrebbe essere andata bene. Un ripetersi di episodi simili minaccia di finire diversamente. L'ammissione è di Dan Berkovitz, commissario Cftc, con la Sec una delle authority leader sul mercato americane: ha proposto giri di vite denunciando che “per l'integrità dei mercati occorre essere consci e in grado di monitorare le attività di grandi family office”.Non basta: la Sec, sotto la leadership più aggressiva di Gary Gensler da poco installato da Joe Biden, adesso esamina nuovi requisiti e obblighi di presentare documentazione su attività e posizioni.

In scena la procura di Manhattan e il Congresso. 

La procura federale di Manhattan, parte del Dipartimento della Giustizia, ha inviato adesso richieste di informazioni a numerose società di Wall Street cha hanno fornito credito o sostegno a Archegos, a volte poi bruciate dalle conseguenze: da Credit Suisse a Ubs, da Goldman Sachs a Morgan Stanley. Anche il Congresso ci riflette: la Commissione Servizi Finanziari della Camera ha ipotizzato la richiesta quantomeno di filing confidenziali alle autorità. Il senatore democratico Elizabeth Warren, nemesi dell'alta finanza, ha detto che “Archegos ha avuto tutte le caratteristiche di una situazione pericolosa fondi non regolamentati, derivativi opachi, trading in dark pool private, elevato indebitamento e un protagonista che era sfuggito alle sanzioni della Sec”. E ha invocato “trasparenza e aumentata supervisione per evitare che il prossimo tracollo di un fondo trascini con sé l'economia”. Durante un'audizione al Senato, Warren ha pesantemente rimproverato anche Randal Quarles, vicechairman della Federal Reserve e attuale incaricato della supervisione bancaria. 

Le ripercussioni del crack. 

Perché le scosse inflitte da Archegos, se non sistemiche, si sono fatte sentire. Titoli media e tech di ogni latitudine, da ViacomCbs e Discovery a Baidu e Tencent, hanno sofferto sotto una pioggia di “liquidazioni” delle enormi posizioni accumulate del fondo. Né queste, come indicato, sono bastate a evitare ingenti perdite a prestigiose banche che avevano sostenuto il fondo: Credit Suisse e Nomura hanno riportato passivi miliardari, Morgan Stanley e Ubs da centinaia di milioni. 

Un’eccezione?

C'è tuttora chi considera Archegos un'eccezione. Bill Hwang era un enfant prodige degli hedge, che dopo un Mba a Carnegie Mellon si era distinto sotto l'ala del pioniere del settore Julian Robertson e del suo Tiger Management. La sua carriera si era però poi dipanata tra accuse di insider trading, patteggiamenti con la Sec e temporanee messe al bando dal trading a Hong Kong. Archiviate quelle “turbolenze”, Hwang era riemerso nei panni di artefice del proprio family office. Qui nasce il problema che rende difficile sostenere la tesi dell'eccezione. Più della storia personale hanno potuto le legittime mosse di Hwang nelle nuove vesti.

La strategia di Hwang.

La sua è stata una strategia fatta di aggressive puntate, trading ad alta velocità, ricorso a rischiosi derivati. Cresciuta sulla flessibilità di poter contare non solo su asset per forse 10 miliardi ma su una potenza di fuoco da almeno 50 miliardi, grazie al leverage ottenuto da banche sempre a caccia di business e commissioni per far brillare i profitti. Secondo alcune stime il portafoglio di Archegos, coperto da misteri e segreti, all'apice era arrivato a cento miliardi.Se i family office sono stati concepiti per preservare e gestire sobriamente le fortune dei super-ricchi - beneficenza, pianificazione fiscale e eredità – oggi sono in grado di vestire l'armatura di fanti d'assalto, anzi di truppe speciali senza i lacci e lacciuoli di regole di engagement.

Il boom dei family offices.

La loro influenza, grazie a questa libertà di movimento, è cresciuta a vista d'occhio: il 69% dei protagonisti è nata negli ultimi vent'anni, il 40% dal 2017. EY ne ha censiti oltre diecimila, una lista più lunga della somma dei fondi private equity e di venture capital. La citata stima di asset globali per seimila miliardi è di Campden Research. In media vantano 1,6 miliardi di asset, con i principali 121 che rappresentano 142,4 miliardi nei calcoli di UBS. Le loro strategie, suggerisce il caso Archegos, si sono evolute di pari passo, da tranquille posizioni di lungo periodo in azioni e obbligazioni a scommesse rischiose. Ad opera di talenti sottratti spesso a banche, gestori e private equity abituati ad avventure. E con numerosi finanzieri che hanno scelto volutamente la strada del family office proprio per agire senza pressioni né di regulators, né di capitali esterni.

I vuoti di regolamentazione.

Nonostante questa ascesa, hanno ugualmente continuato a operare lontano da occhi indiscreti. Centri finanziari globali, da Singapore a Hong Kong e Dubai, lasciano loro ampi margini di manovra. Anche negli Stati Uniti spiccano i vuoti normativi. Una deregulation che viene da lontano: non erano tenuti a registrarsi presso la Sec, grazie a una legge del 1940, l'Investment Advisers Act, che esentava le società con meno di 15 clienti. E anche prima della recente mano leggera sulla finanza di Donald Trump, la riforma Dodd-Frank aveva cancellato l'originale scappatoia riproponendone però una apposita per i family office e preservandone il diritto all'oscurità.Questa sorta di “passaporto diplomatico” è offerto a chi ricade nella definizione Sec: ogni società che fornisca consulenza su investimenti a clienti familiari, del tutto posseduta da clienti familiari e esclusivamente controllata da membri e entità della famiglia, che non offre servizi di adviser al pubblico. Può coinvolgere discendenti lineari, coniugi, adozioni, chi ha antenati comuni fino a dieci generazioni. Contano dipendenti chiave, con cariche esecutive, direttori di board, trustees, partners o coinvolti in attività di investimento per un anno.

I derivati ad alto rischio.

Il nodo cruciale è che oggi questi nuovi protagonisti, accanto a mancati obblighi quali la formale registrazione, si avvantaggiano sempre più di stratagemmi per aggirare anche le regole teoricamente applicabili, quali una comunicazione delle partecipazioni acquisite in gruppi quotati. Tra questi metodi, usato senza freni da Archegos, il ricorso a derivati con le banche-broker, quali i “total return swaps”. Contratti che permettono al fondo di scommettere sulla performance dei titoli senza possederli, con le banche che formalmente li tengono invece in bilancio. Archegos ha potuto così operare del tutto inosservato tra i regulators. E probabilmente con le stesse singole banche “complici” degli eccessi ignare dell'insieme dell'esposizione e degli eccessi.

Lo slalom tra 13D e 13F.

Il fondo, con una simile rete di sofisticati strumenti, è sfuggito senza difficoltà a norme Sec quali la 13D, la comunicazione entro 10 giorni di quote sopra il 5% e di qulaunque successivo cambiamento “materiale”. O la 13F, che ai gestori con oltre cento milioni richiede un rapporto trimestrale su tutte le loro equity holdings. Per fare un confronto: tradizionali hedge fund, per i critici già trattati con guanti di velluto, devono non solo registrarsi con la Sec e rispettare simili regole ma dar conto di struttura della proprietà, asset in gestione, relazioni con le banche, dati sulle operazioni. Norme esistono anche per private funds con più di 150 milioni in asset, che inoltrano alla Sec un documento, il PF, su tipologia e dimensioni di attività. E dati non pubblici sono chiesti e trasmessi allo Stability Oversight Council, che monitora rischi vecchi e nuovi per il sistema finanziario. E' una trasparenza che oggi potrebbe diventare all'ordine del giorno anche per l'angolo oscuro dei family office. Dove ha gettato luce inquietante Hwang, il più potente finanziere che mai nessuno aveva sentito nominare.

IlSole24Ore

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