Ancora prima che il mandato del Presidente Mattarella entrasse nel semestre bianco, si è cominciato a parlare dell’ineludibilità di un suo bis. Per capire se davvero siamo in una situazione di impasse istituzionale, abbiamo chiesto lumi a Lorenza Carlassare, professore emerito di Diritto costituzionale all’Università di Padova. Che in premessa dice: “Mattarella è stato un ottimo presidente. E teoricamente io sarei felice di vederlo restare al suo posto, soprattutto pensando ai nomi che circolano per la sua successione. Da Casini a Berlusconi: non voglio nemmeno pensarci. Queste però sono considerazioni politiche. Ci sono argomenti di metodo contrari, e naturalmente nessuno riguarda la persona del Presidente”.
Professoressa, facciamo un salto indietro nel tempo. Come si è arrivati in Costituente a definire il settennato?
Molto presto, già nell’ottobre 1947, un emendamento proponeva un mandato di sei anni, con possibilità di rielezione. Un altro emendamento prevedeva la durata di sette anni, con divieto di rielezione. La non rieleggibilità dunque è stata ventilata, se ne è discusso, ma non è passata. Nitti invece voleva un mandato di quattro anni, richiamando il sistema americano. Ma negli Stati Uniti, è stato osservato, il Presidente non è solo capo dello Stato ma anche capo del governo: una circostanza che esige un continuo confronto con la volontà popolare. La cosa importante era differenziare la durata del mandato parlamentare rispetto a quello, più lungo, del Presidente per garantire continuità e stabilità. Questo significa svincolare il Capo dello Stato dalle Camere da cui deriva. È un organo di garanzia. La Corte lo definisce con queste precise parole: “Un organo estraneo a quello che viene definito indirizzo politico governativo”. Il ruolo del Presidente, che non è espressione dalla maggioranza, è neutrale.
Anche le modalità del voto vanno in questo senso?
Certo: sia lo scrutinio segreto sia la maggioranza qualificata servono a impedire alla maggioranza di eleggere da sola il Presidente. L’obiettivo è quello dell’imparzialità. La rielezione non urta di per sé contro questi principi. Ma, come è stato notato durante il dibattito in Costituente, sette anni sono molti, 14 sarebbero un’enormità.
Ecco: lasciare, com’è accaduto con il secondo mandato del presidente Napolitano, la decisione sul quando dimettersi all’arbitrio dell’interessato non è questione da poco.
Non è possibile che un organo resti in carica “a piacere”, perché la stabilità delle istituzioni dipende anche dalla precostituzione dei tempi. L’obiettivo dei Costituenti era svincolare il Capo dello Stato dalle contingenze politiche: il secondo mandato va nell’opposta direzione. E credo che il presidente Mattarella si voglia sottrarre proprio in ossequio a questi principi.
Sarebbe poi la seconda volta, consecutiva.
Non si può far entrare in vigore la regola del secondo mandato per via consuetudinaria. Sarebbe una forzatura costituzionale. Purtroppo siamo di fronte a una serie di anomalie istituzionali.
Molti opinionisti presentano questa situazione come l’unica alternativa possibile.
Non è pensabile: in democrazia c’è sempre un’alternativa. L’impasse nasce dalla crisi dei partiti, ormai senza peso politico e identità. Ciò che rende allarmante la situazione è la progressiva incapacità delle forze politiche di assumersi le proprie responsabilità istituzionali. In questo clima, i partiti sono sempre più delegittimati e deboli, ma attenzione perché i partiti sono il tramite attraverso cui si attua la democrazia rappresentativa. Senza di loro nessun sistema democratico può funzionare. Ed è una crisi ormai cronicizzata che si trascina da decenni.
I più importanti giornali scrivono che Mario Draghi dovrebbe restare anche oltre la fine della legislatura, perché lo vogliono i mercati e l’Europa. Tra un po’ diranno che il voto è superfluo?
Per fortuna non siamo arrivati a esiti così spaventosi. Molti, com’è noto, da vario tempo parlano addirittura di post-democrazia considerando fra gli altri fattori il peso crescente dell’economia e dei mercati nella vita degli Stati.
La corsa per il Colle è diventata nel dibattito pubblico “una partita a due” tra Mattarella e Draghi: di un prolungamento del mandato dell’attuale inquilino del Colle abbiamo già parlato. Ma anche la seconda ipotesi – un trasloco diretto da Palazzo Chigi al Quirinale – non è priva di incognite. Sarebbe una prima volta: anche in questo caso saremmo davanti a un’anomalia istituzionale?
Il passaggio diretto dalla Presidenza del Consiglio – di solito ricoperta da un esponente della maggioranza, scelto appunto per la sua posizione politica – alla Presidenza della Repubblica, che dev’essere caratterizzata invece dall’imparzialità, ha come rischio inevitabile la politicizzazione di quest’ultima. Di solito, sottolineo. Rischio che appare oggi poco consistente data la posizione di Draghi, posto alla guida del governo per ragioni molteplici e complesse, e comunque estranee da una qualificazione politica. Non si può però dire che la ‘politica’ sia stata del tutto estranea alla vicenda complessiva. Troppo forte era il desiderio di alcuni di togliere di mezzo Conte e le sue aperture sociali: anche l’elevato consenso dei cittadini nei suoi confronti li preoccupava. È comunque pericolosa l’idea di avvicinare due ruoli – il capo del governo e il capo dello Stato – che svolgono funzioni costituzionalmente tanto diverse.
ILFQ 12.9.2021
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