Tra le bestie matematiche più inquietanti, una delle più temute – e forse meno comprese – è proprio lui: lo zero. Oggi lo trattiamo con disinvoltura, come un numero tra gli altri, quasi banale. Ma rifletteteci: cosa significa zero? Quando mai andate al mercato a comprare zero zucchine? Se siete pacifisti, potete dire con orgoglio di aver ucciso zero uomini. Ma nella vita quotidiana, in fondo, zero è un concetto che usiamo più per raccontare l'assenza che per fare davvero i conti.
Eppure, questo “nulla” ha rivoluzionato il mondo. È assenza che struttura la presenza, vuoto che genera forma, niente che ha dato significato a tutto. È uno di quei concetti che, come i buchi neri o la coscienza, sfidano la mente e scomodano i filosofi.
Nell'antichità, lo zero era un'eresia. Per i Greci, parlare del nulla era addirittura pericoloso. Parmenide negava l’“essere del non-essere”: quindi, il nulla non poteva esistere. Aristotele era scettico sul vuoto: per lui, lo spazio vuoto era un'impossibilità naturale. Quindi, lo zero non era nemmeno concepibile. I pitagorici, che vedevano l’universo come armonia di numeri, non accettavano l’idea di una cifra che rappresentasse il nulla: era una contraddizione vivente.
Lo zero provò a emergere: i babilonesi lo usarono come segnaposto nelle notazioni posizionali, ma non lo trattavano come un numero. Anche gli egiziani ne sfiorarono il concetto, ma lo zero rimaneva ai margini, come un'ombra che non voleva farsi vedere.
Poi, nell’India del VII secolo, Brahmagupta lo sdoganò. Fu il primo a trattarlo come un numero vero, dandogli regole per l’addizione, la sottrazione e perfino la divisione (con prudenza). Da lì, attraverso gli arabi, lo zero arrivò in Europa. Gli arabi lo chiamavano ṣifr – da cui deriva "zefiro", poi "zero". Fu Fibonacci, nel suo Liber Abaci (1202), a portarlo alla ribalta, introducendo il sistema decimale posizionale.
La Sicilia, grazie alla dominazione araba tra l’827 e il 1091, fu tra le prime terre d’Occidente a conoscere lo zero. A Palermo e nelle scuole del Sud si cominciò a usare questo numero misterioso, che ancora oggi nella lingua siciliana non ha un termine diretto. Si dice “nenti”, che non è proprio zero ma assenza totale, buco nel mondo.
La Chiesa medievale, però, non lo vedeva bene. Era sospetto: veniva dall’Oriente, dal mondo islamico, dal vuoto. Alcuni lo associavano persino al diavolo. Del resto, per la teologia, solo Dio poteva essere infinito. E cosa opporre a Dio, se non un numero che rappresentava il nulla assoluto?
Lo zero: proprietà e paradossi
Dal punto di vista matematico, lo zero è uno strumento potentissimo:
È neutro per l’addizione: x + 0 = x
È annullante per la moltiplicazione: x × 0 = 0
È inafferrabile nella divisione: x / 0 non è definito; 0 / x = 0 (per x ≠ 0)
In algebra è origine, è radice, è punto di partenza. Nel calcolo infinitesimale, è attorno allo zero che si costruisce tutta l’analisi moderna. In informatica, zero è spento, falso, assenza di segnale. In finanza, è il confine tra debito e guadagno. In fisica, lo zero assoluto (0 Kelvin) è il punto dove la materia smette di vibrare: il silenzio dell’universo.
Eppure… se provate a dividere per zero, o a metterlo vicino all’infinito, lo zero si ribella. Riapre la vertigine. Ingoia le regole. Ti guarda con quel suo sguardo circolare, perfetto, muto.
Oggi lo zero è apparentemente domato. Ma in fondo, resta una creatura ambigua. Un cerchio, un anello, un ciclo: fine e inizio insieme. In molte culture è il simbolo dell’utero, dell’universo, del tempo ciclico.
È il punto dove tutto comincia. E dove tutto torna.
Come speriamo voi tornerete a leggerci, salutamu ...
Nessun commento:
Posta un commento