L’innalzamento del livello del mare (finora + 16 cm) sta accelerando: senza un drastico taglio delle emissioni climalteranti, gli oceani entro il 2100 si alzeranno oltre dieci volte più velocemente di quanto sia avvenuto nel XX secolo. Ovvero 15 millimetri all’anno contro i 3,6 mm annui di oggi e l’1,4 mm del secolo scorso. Significa che il mare potrebbe sollevarsi di altri 84 centimetri entro fine secolo (secondo le stime più catastrofiche, addirittura 1,1 metri). Nello scenario migliore, con drastici tagli alle emissioni, si potrebbe limitare tale innalzamento a 43 cm.
I ghiacciai perderanno in media più di un terzo della loro massa nello scenario più grave (alte emissioni); alcune catene montuose potrebbero perdere oltre l’80 per cento dei propri ghiacciai entro fine secolo e molti sparirebbero completamente. Il ritiro dei ghiacciai di montagna modifica la disponibilità e la qualità dell’acqua a valle, con pesanti implicazioni per l’agricoltura e l’energia idroelettrica da cui dipendono le comunità locali.
La vita marina, già colpita duramente dal riscaldamento degli oceani, continuerà a declinare, anche se un taglio delle emissioni potrebbe ridurre il danno. Gli oceani si sono riscaldati senza interruzione dal 1970 e hanno assorbito più del 90% del calore in eccesso del sistema climatico. Dal 1993, il tasso del riscaldamento dell’oceano è più che raddoppiato. Tra l’84 e il 90 per cento di tutte le ondate marine di calore è oggi attribuibile alla crisi climatica: e le ondate sono due volte più frequenti, più calde e di maggior durata rispetto al periodo pre-anni Ottanta. La loro frequenza sarà di 20 volte più elevate se nel 2100 l’aumento delle temperature si fermerà a 2 ° C rispetto ai livelli preindustriali. Ma sarebbe 50 volte maggiore se le emissioni continuassero ad aumentare. Il riscaldamento dell’oceano riduce la miscelazione tra gli strati d’acqua e, di conseguenza, l’apporto di ossigeno e sostanze nutritive per la vita marina.
L’oceano ha assorbito tra il 20 e il 30% delle emissioni di biossido di carbonio indotte dall’uomo dagli Anni ‘80, causando l’acidificazione degli oceani, destinata ad aumentare negli anni a venire. Il pH potrebbe crollare di altri 0,3 gradi entro il 2100, e questo implicherebbe un aumento dell’acidità di circa il 150 per cento. Fino all’80 per cento della parte superiore dell’oceano potrebbe perdere ossigeno già intorno al 2050. In conseguenza di ciò, la massa totale degli animali nell’oceano potrebbe diminuire del 15 per cento e la capacità massima di pesca crollare fino al 24 per cento entro fine secolo. I coralli sono particolarmente a rischio, anche nello scenario più roseo. Il riscaldamento e l’acidificazione degli oceani, la perdita di ossigeno e i cambiamenti nelle scorte di nutrienti stanno già influenzando la distribuzione e l’abbondanza della vita marina nelle zone costiere, in mare aperto e sul fondale marino.
I cambiamenti in atto negli oceani a loro volta generano fenomeni meteorologici estremi, destinati a peggiorare. Cicloni, uragani e tifoni diventeranno più potenti anche in un mondo a +2 C, causando maggiori danni alle coste, secondo il rapporto degli esperti Onu sul clima. L’«intensità media» dei cicloni tropicali e la percentuale dei cicloni di categoria 4 e 5, che è già aumentata negli ultimi decenni, «dovrebbe aumentare», anche se i cicloni in generale non dovrebbero essere più frequenti. Le correnti atlantiche – o Atlantic Meridional Overturning Circulation – che hanno un ruolo chiave nella redistribuzione del calore sul pianeta, sembrano destinate a indebolirsi, con il rischio di un aumento delle tempeste nell’Europa del Nord, di maggiori siccità in Sahel e Asia del Sud, e livelli del mare più alti nel nord est dell’America settentrionale.
Lo scioglimento del permafrost e del ghiaccio marino potrebbe provocare un aumento del riscaldamento marino, in un circolo vizioso che si auto-alimenta. Sta già avvenendo. Il disgelo in Groenlandia e Antartico sta rilasciando oltre 400 miliardi di tonnellate d’acqua all’anno. E a Nord l’area dell’Artico coperta dalla neve in estate si restringe di oltre il 13 per cento a decennio. Lo scongelamento del permafrost potrebbe rilasciare enormi quantità di diossido di carbonio e metano in atmosfera. Senza un drastico taglio delle attuali emission, si teme il rilascio di decine o centinaia di miliardi di tonnellate di CO2 entro fine secolo, con un’ulteriore accelerazione del riscaldamento climatico. Stessa conseguenza per lo scioglimento della neve e del ghiaccio.
Alcune isole sono destinate a diventare inabilitabili a causa dell’innalzamento degli oceani. Nello scenario peggiore, anche molte regioni costiere sono ad altissimo rischio: entro il 2300 il livello del mare potrebbe arrivare a +5,4 metri. Entro il 2050, molte megalopoli costiere e piccole nazioni insulari subiranno ogni anno catastrofi climatiche, anche con un’aggressiva riduzione delle emissioni di gas serra. Costruire una protezione contro l’innalzamento del livello dell’acqua potrebbe ridurre il rischio di inondazioni da 100 a 1.000 volte, se si investisse «da decine a centinaia di miliardi di dollari all’anno»,ma gli stati insulari non ne avranno i mezzi.
«L’oceano non può sostenere all’infinito il nostro attuale stile di vita — commenta Rebecca Hubbard di «Our Fish» — Stiamo spingendo ben oltre i limiti. L’Unione europea può lanciare un nuovo Green Deal prendendo subito misure per porre fine all’overfishing». E il sindaco di Parigi Anne Hidalgo, che presiede il gruppo C40 Cities, contro il cambiamento climatico le ha fatto eco: «Il rapporto è una lettura scioccante. Le coste del pianeta sono la casa di circa 1,9 miliardi di persone e di oltre la metà delle megacittà del mondo, e tutte sono in grave pericolo se non agiamo subito per impedire l’innalzamento delle temperature e del livello del mare».
L’oceano e la criosfera svolgono un ruolo fondamentale per la vita sulla Terra. Un totale di 670 milioni di persone nelle regioni di alta montagna e 680 milioni di persone nelle zone costiere dipendono direttamente da questi sistemi. Quattro milioni di persone vivono permanentemente nella regione artica, e gli Stati in via di sviluppo delle piccole isole ospitano 65 milioni di persone. «Il mare aperto, l’Artico, l’Antartico e le alte montagne possono sembrare lontani a molte persone», ha dichiarato Hoesung Lee, presidente dell’IPCC. «Ma dipendiamo da loro e ne siamo influenzati direttamente e indirettamente in molti modi: per tempo e clima, cibo e acqua, energia, commercio, trasporti, attività ricreative e turismo, per la salute e il benessere, per la cultura e l’identità».