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sabato 11 maggio 2024

Il megascivolamento di Batagay: il cancello verso il mondo sotterraneo della Siberia.

Un’immagine satellitare del cratere di Batagaika in Siberia nel 2016. (Osservatorio della Terra della NASA)

 

Il megascivolamento di Batagay in Siberia continua ad allargarsi a ritmo accelerato a causa del disgelo del permafrost, rilasciando tonnellate di carbonio. Lo studio rivela impatti e connessioni con i cambiamenti climatici.

Il megascivolamento di Batagay, noto come il “cancello verso il mondo sotterraneo della Siberia”, continua a destare preoccupazione per le sue dimensioni in costante aumento. Nuove ricerche hanno rivelato che questa gigantesca cicatrice geologica ha visto crescere il suo volume fino a 1 milione di metri cubi all’anno dal 2014, con l’emissione di migliaia di tonnellate di carbonio durante le fratture che si verificano.

La fenditura, lunga 1 chilometro, si estende nel paesaggio della Repubblica di Sacha, nella Siberia orientale, in Russia. Originariamente, negli anni ’60, era solo una piccola crepa, ma a causa dell’aumento delle temperature che hanno provocato lo scongelamento del permafrost nella zona, la crepa si è allargata in modo allarmante nel corso degli anni.

Il megascivolamento è stato scoperto solo nel 1991 grazie alle immagini satellitari, a causa della sua posizione remota. Le temperature in aumento nella regione, legate ai cambiamenti climatici, hanno causato lo scioglimento del permafrost nel terreno, che ha portato al cedimento della terra e alla formazione di questa enorme frattura geologica.

Uno studio condotto recentemente da scienziati dell’Università Statale di Mosca Lomonosov e dell’Istituto del Permafrost Melnikov, insieme a colleghi tedeschi, ha utilizzato la modellazione geologica in 3D per analizzare il megascivolamento di Batagay. Questo approfondimento ha permesso di comprendere meglio l’evoluzione passata, presente e futura di questo fenomeno.

Secondo i ricercatori, il cedimento ha già spostato circa 35 milioni di metri cubi di terreno dagli anni ’90, con la maggior parte costituita da ghiaccio terrestre e sedimenti di permafrost. Le dimensioni del megascivolamento continuano a crescere, passando da una larghezza di 790 metri nel 2014 a 890 metri nel 2019.

Anche se il megascivolamento di Batagay è attualmente il più grande in termini di dimensioni, i cambiamenti climatici stanno portando alla formazione di nuovi cedimenti da disgelo del permafrost nelle regioni più settentrionali del pianeta. Studi hanno evidenziato migliaia di cedimenti da frana innescati dal clima in ambienti ad alto artico negli ultimi decenni, con una situazione particolarmente critica in Russia, dove la maggior parte del suolo è costituita da permafrost.

Un esempio recente di questo fenomeno è stata l’apertura di una cratera nella remota tundra della Siberia, causata dall’esplosione di una bolla di gas metano sotto il terreno nell’agosto 2020. Questo evento ha proiettato pezzi di rocce e suolo per centinaia di metri attraverso la penisola di Yamal, evidenziando ancora una volta l’impatto dei cambiamenti climatici sul territorio.

Lo studio dettagliato di queste dinamiche è stato pubblicato sulla rivista Geomorfologia, contribuendo a una maggiore comprensione di come il riscaldamento globale stia influenzando i paesaggi artici e le conseguenze che ne derivano.

https://www.scienzenotizie.it/2024/05/11/il-megascivolamento-di-batagay-il-cancello-verso-il-mondo-sotterraneo-della-siberia-0085471?utm_source=dlvr.it&utm_medium=facebook

giovedì 27 febbraio 2020

Bolle di metano e grossi buchi, l’Artico si sta sciogliendo. Ed è irriconoscibile!. - Germana Carillo

artico buchi permafrost

Sotto i ghiacci (o quello che rimane) del Polo Nord è intrappolato un potente gas serra. Intrappolato ancora per poco perché il metano, è di questo che si tratta, sta per fuoriuscire del tutto, con la sua mole 25 volte più dannosa della CO2.
A lanciare l’allarme è un nuovo studio pubblicato su Science Advances, che parte da un dato: all’incirca un terzo del carbonio presente sul Pianeta, intrappolato nel Mar Glaciale Artico sotto forma di metano e CO2, è sul punto di liberarsi in atmosfera.
Se il permafrost si scioglie a causa del riscaldamento globale è proprio questa la conseguenza che ci dovevamo attendere: il metano intrappolato in bolle al suo interno esce fuori, entra in atmosfera e accresce in un circolo vizioso ulteriormente l’effetto serra.
Tuttavia il rilascio avviene a ritmi non significativi per impensierirci davvero, per il momento”, dice a News Week Brett Thornton, del Dipartimento di Scienze Geologiche dell’Università di Stoccolma, coordinatore dello studio.

Il permafrost si sta sciogliendo.

Nel Mar Glaciale Artico, il riscaldamento climatico sta sciogliendo il permafrost: la temperatura media annua nel circolo polare artico è passata dai -2°C del 1880, ai circa +1.75°C di fine 2019.
Bloccato sotto quella specie di copertura si trova una delle maggiori riserve naturali di metano del Pianeta prodotto dalla decomposizione anaerobica di materia organica, “prevalentemente radici, altre parti vegetali o resti animali che, sotto l’azione degli agenti atmosferici e dei millenni, si sono decomposte e sono rimaste imprigionate sotto strati di ghiaccio profondi fino ad 80 metri”, come dice Kevin Schaefer, del National Snow & Ice Data Center (Nsidc).
Per capire a cosa l’Artico in questo momento stia andando incontro, gli studiosi hanno usato le misurazioni dei flussi di metano atmosferico acquisite durante la spedizione scientifica internazionale Swerus-C3: la nave rompighiaccio svedese Oden ha percorso circa 6mila chilometri attraverso il Mar Glaciale Artico, partendo dalla città di Tromsø nell’estremo Nord della Norvegia, per arrivare a Barrow, in Alaska.
Lungo il viaggio, i ricercatori hanno dimostrato l’esistenza di alcuni hotspot in cui le emissioni di metano hanno picchi fino a 25 volte più elevati rispetto alla media, in aree ben localizzate nei Mari di Laptev, dei Ciukci e della Siberia orientale.
Si tratta di posti in cui delle “bolle di metano” esplodono in atmosfera man mano che vengono portate in superficie dallo scioglimento del ghiaccio: è il cosiddetto termocarsismo, che però secondo gli scienziati non è ancora rilevante a livello globale e a un ritmo non ancora elevato.
Ma quello stesso termocarsismo, sta provocando, secondo studio pubblicato su Nature Geosciences, dei grandi buchi appaiono nel terreno, provocando frane e facendo cascare alberi. Pensiamo che la tundra ne sia priva, ma in realtà l’area è coperta da foreste boreali. E il panorama sta cambiando drasticamente nel giro di mesi.
Le superfici si bucherellano e somigliano a quelle che si trovano nelle regioni carsiche: nel momento in cui il ghiaccio che tratteneva il terreno si scioglie, il suolo subisce un collasso e si formano veri e propri buchi che si riempiono d’acqua (alimentando lo scioglimento).
Artico buchi©Nature Geosciences
Tutto ciò, secondo i dati, poco più di un secolo fa accadeva solo in una superficie di 905 chilometri quadrati, il 5% della regione artica e, secondo gli studiosi, se non cambierà nulla il termocarsismo potrà triplicare e i chilometri potranno diventare 1,6 milioni entro il 2100 e 2,5 entro il 2300. L’Artico diverrà così un autentico colabrodo.

mercoledì 19 luglio 2017

Una nuova specie di Homo? - Andrea Romano



Il DNA mitocondriale estratto da un dito rinvenuto in Siberia e risalente a 40.000 anni fa indica la possibile presenza in quell’epoca di una nuova specie di Homo.

Se fosse confermata potrebbe essere la scoperta paleontologica più importante del nuovo millennio, comparabile solamente al ritrovamento sull’isola di Flores dei resti dell’Homo floresiensis: si tratta di un dito, in particolare un mignolo, appartenente, a quanto sembra, ad una specie del genere Homo finora sconosciuta.

La scoperta è avvenuta in Siberia, nella Grotta di Denisova sui Monti Altai, ed è stata diffusa dalla prestigiosa rivista Nature, che dedica alla vicenda due interessanti articoli (12). Un gruppo di ricercatori guidati da Svante Pääbo, già noto per aver sequenziato il genoma mitocondriale dell’uomo di Neanderthal (Pikaia ne ha parlato qui), ha analizzato e comparato il DNA mitocondriale estratto dal dito rinvenuto con quello della nostra specie e dei Neanderthal. I risultati sono a dir poco sorpendenti: come si può vedere in quest’immagine, tratta dall’articolo originale, il genoma mitocondriale di questo individuo (di sesso femminile) non è in alcun modo comparabile nè con quello dell’uomo moderno nè con quello espresso da H. Neanderthalensis. Per dare un’idea della possibile lontananza filogenetica si pensi che la differenza media tra i genomi mitocondriali di sapiens e neanderthalensis è di 202 nucleotidi, mentre l’individuo di Denisova differisce in media dalla nostra specie di 358 coppie di basi! Sulla base del tasso di mutazione nei diversi rami dell’albero filogenetico, Pääbo e colleghi hanno calcolato il periodo in cui le diverse linee evolutive, Neanderthal e H. sapiens da un lato e questa nuova specie dall’altro, si sono separate. L’antenato comune, affermano, visse circa 1 milione di anni fa.

Fino ad ora, nella descrizione della scoperta, ho omesso l’aspetto che ritengo più interessante: la datazione del ritrovamento. Il dito rinvenuto a Denisova risale, infatti, ad un periodo compreso tra 48.000 e 30.000 anni (probabilmente circa 40.000), quando H. sapiens aveva già colonizzato tutti i continenti ad eccezione delle Americhe. Se lo status di specie a parte venisse confermato, e la cautela è assolutamente d’obbligo in casi del genere (Pääbo e colleghi, infatti, non si sono spinti a nominarla), anche perchè non sono finora stati rinvenuti altri resti umani nè manufatti, saremmo di fronte ad uno scenario che vedeva almeno 4 diverse specie del genere Homo convivere sulla Terra. La specie di Denisova si aggiungerebbe, infatti, ad H. sapiensH. neanderthalensis e il piccolo H. floresiensis, il cui status di specie non sembra più in discussione.

La presenza di questa potenziale nuova specie in Eurasia implica, secondo gli autori, almeno un ulteriore importante episodio di radiazione al di fuori del continente africano che si aggiunge a quello dell’H. erectus, il primo ominide che colonizzò altri continenti già 1,9 milioni di anni fa, quello che ha portato all’origine dei Neanderthal, probabilmente ad opera di H. heidelbergensis, e l’ultimo che ha riguardato la nostra specie.

Ma ciò che più conta è che la scoperta dimostra ancora una volta quanto la visione dell’unicità della nostra specie sia tutt’altro che conforme alla realtà. Non una serie di specie che si modificano l’una nell’altra con un’intrinseca tendenza al miglioramento e al perfezionamento, bensì un cespuglio la cui speciosità è in continuo incremento: ecco il vero ritratto del genere Homo. E noi, siamo solo una delle numerose specie originatesi nel corso del tempo, l’unica, questo sì, che è riuscita a sopravvivere alcune migliaia di anni oltre le altre.

Riferimenti:
Johannes Krause, Qiaomei Fu, Jeffrey M. Good, Bence Viola, Michael V. Shunkov, Anatoli P. Derevianko, Svante Pääbo. The complete mitochondrial DNA genome of an unknown hominin from southern Siberia. Nature, 2010; DOI: 10.1038/nature08976

Terence A. Brown. Human evolution: Stranger from Siberia. Nature, 2010; DOI: 10.1038/nature09006


http://pikaia.eu/una-nuova-specie-di-homo/



Risultati immagini per uomo di denisova


L'Homo di Denisova o donna X è il nome dato ad un ominide i cui scarsi resti sono stati ritrovati nei Monti Altaj in Siberia. La scoperta è stata annunciata nel marzo 2010, quando al termine della completa analisi del DNA mitocondriale è stato ipotizzato che possa trattarsi di una nuova specie. Questo esemplare di ominide è vissuto in un periodo compreso tra 70.000 e 40.000 anni fa[1] in aree popolate principalmente da sapiens e in parte da neanderthal; ciononostante, la sua origine e la sua migrazione apparirebbero distinte da quelle delle altre due specie,[2][3] e il mtDNA del Denisova risulterebbe differente dai mtDNA di H. neanderthalensis e H. sapiens.[4]

Scoperta.
Un team di scienziati dell'Istituto Max Planck di antropologia di Lipsia guidati da Svante Pääbo sequenziò il DNA mitocondriale (che si eredita solo per linea materna), estratto dal frammento osseo di un dito mignolo di un giovane individuo di età stimata tra i 5 e i 7 anni e di sesso incerto nonostante gli fosse stato attribuito il soprannome di donna X. Il reperto venne alla luce nel 2008 nelle grotte di Denisova sui Monti Altaj in Siberia. Nello stesso strato di terreno apparvero piccoli oggetti lavorati riconducibili all'Homo di Denisova.
L'analisi del mtDNA ha inoltre suggerito che questa nuova specie di ominidi sia il risultato di una migrazione precoce dall'Africa, distinta dalla successiva migrazione dall'Africa associata a uomini di Neanderthal e umani moderni, ma anche distinta dal precedente esodo africano di Homo erectus.[5] Pääbo ha rilevato l'esistenza di questo ramo lontano che crea un quadro molto più complesso del genere umano durante il tardo Pleistocene.[6]
Nel 2010, un secondo documento del gruppo di Svante Pääbo ha riferito di una prima scoperta del 2000, di un terzo molare superiore di un giovane adulto, risalente a circa lo stesso periodo (il dito era nel livello 11 della sequenza della grotta, il dente nel livello 11.1). Il dente differiva in diversi aspetti da quelli di Neanderthal pur avendo caratteristiche arcaiche, simili ai denti dell'Homo erectus. Il gruppo eseguì nuovamente l'analisi del DNA mitocondriale sul dente e rilevò che la sequenza era diversa, ma simile a quella dell'osso del dito, indicando un tempo di divergenza di circa 7500 anni, e suggerendo che appartenesse ad un individuo differente della stessa popolazione.[7]
Nel 2011 un osso del dito di un piede è stato scoperto nello strato 11 della grotta, quindi contemporaneo all'osso del dito della mano. La caratterizzazione preliminare del DNA mitocondriale del midollo suggerisce che appartenesse ad un uomo di Neanderthal e non ad un Denisovano[8]. La grotta Altai contiene anche reperti ossei e strumenti di pietra fatti da esseri umani moderni e Pääbo ha commentato: " L'unico posto in cui siamo sicuri che tutte e tre le forme umane hanno vissuto anche se in diversi periodi temporali, è qui nella grotta Denisova ".[8]

Ibridazione con Homo sapiens.
Lo stesso argomento in dettaglio: Ibridazioni tra esseri umani arcaici e moderni.
Studi genetici indicano che approssimativamente il 4% del DNA dell'Homo sapiens non africano è lo stesso trovato nell'Homo neanderthalensis suggerendo una origine comune.[9] I test che mettano in comparazione il genoma dell'Homo di Denisova con quello di 6 differenti Homo sapiens come ǃKung dal SudAfrica, un nigeriano, un francese, un Papua della Nuova Guinea, un abitante dell'isola di Bouganville e uno della stirpe Han, dimostrano che dal 4 al 6% del genoma dei melanesiani (rappresentato dagli uomini dell'isola di Bouganville), derivano dalla popolazione di Denisova. Questi geni sono stati verosimilmente introdotti durante la prima migrazione umana degli antenati dei melanesiani nel Sud est asiatico.[9] Quindi concludendo, è verosimile ipotizzare un'ibridazione tra Homo di Denisova e Homo Sapiens, che ha interessato le popolazioni del sud-est asiatico antico e quelle, loro dirette discendenti, australiane. L'apporto genetico denisoviano alle altre popolazioni asiatiche è limitato e, come in quelle europee e amerinide, deriva in buona parte per via dell'ibridazione, avvenuta in precedenza, con i Neanderthal (che a loro volta si erano ibridati con i Desinova)
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Aspetto fisico[modifica. 
Non si sa nulla sulle caratteristiche fisiche di questi individui data l'estrema limitatezza del reperto dal quale si estrasse il materiale genetico. Si spera che future analisi del DNA nucleare chiarifichino definitivamente l'esistenza di questa specie o viceversa la smentiscano, dimostrando che questo è il risultato di un incrocio tra Neanderthal e Sapiens. Secondo Pääbo non sarebbe comunque corretto definirlo specie, sia per le sue resistenze ad applicare la nomenclatura binominale linneiana all'evoluzione umana sia perché l'uomo di Desinova si poteva incrociare e riprodurre (magari in modo imperfetto) con l'uomo moderno, rendendo l'ipotesi di segregazione riproduttiva falsificata.
Dalle ultime analisi del mtDNA e del DNA nucleare risulta che l'Uomo di Denisova si sarebbe separato dal comune antenato di Neanderthal e uomo moderno circa 1.000.000 di anni fa e che in seguito si sarebbe incrociato con l'Homo sapiens progenitore dei moderni abitanti della Papua Nuova Guinea, con i quali condivide il 4-6% del genoma;[10] provando così (come già con l'uomo di Neanderthal) l'Ipotesi multiregionale di interscambio genetico tra antichi e moderni Homo sapiens[11].

Analisi del DNA mitocondriale.
Il DNA mitocondriale (mtDNA) proveniente dall'osso del dito è diverso da quello degli esseri umani moderni per 385 basi (nucleotidi), nel filamento del DNA mitocondriale è di circa 16.500 basi, mentre la differenza tra gli esseri umani moderni ed i Neanderthal è di circa 202 basi. Considerando che la differenza tra scimpanzé e gli esseri umani moderni è di circa 1462 paia di basi del DNA mitocondriale[12], ciò suggerisce un tempo di divergenza di circa un milione di anni. L'mtDNA di un dente portava una somiglianza elevata a quella dell'osso del dito indicando che entrambi appartenevano alla stessa popolazione[13]. È stata recuperata una sequenza di mtDNA su un secondo dente che ha mostrato un numero inaspettatamente elevato di differenze genetiche rispetto a quella riscontrata nell'altro dente e nel dito, suggerendo un elevato grado di diversità mtDNA. Questi due individui rinvenuti nella stessa grotta hanno mostrato una diversità tra loro maggiore di quella rilevata campionando gli uomini di Neanderthal di tutta l'Eurasia. Un tasso di diversità paragonabile a quello che distingue gli esseri umani moderni provenienti da diversi continenti[14].

Analisi del DNA nucleare.
Nello stesso studio del 2010, gli autori hanno effettuato l'isolamento e il sequenziamento del DNA nucleare dell'osso del dito del Denisova. Questo esemplare ha mostrato un insolito grado di conservazione del DNA ed un basso livello di contaminazione. Sono stati in grado di raggiungere quasi il completo sequenziamento genomico, consentendo un confronto dettagliato con i Neanderthal e gli umani moderni. Da questa analisi hanno concluso, nonostante l'apparente divergenza della loro sequenza mitocondriale, che gli uomini di Denisova ed i Neanderthal hanno condiviso un ramo comune ancestrale che porta ai moderni esseri umani africani. Il tempo medio stimato di divergenza tra le sequenze dei Denisoviani e dei Neanderthal è di circa 640 000 anni fa, mentre il tempo di divergenza tra le sequenze di ciascuno di essi e le sequenze degli africani moderni è di 804 000 anni fa. Ciò suggerisce che la divergenza dei risultati mitocondriali del Denisova derivi o dalla persistenza di un lignaggio epurato dagli altri rami attraverso deriva genetica oppure da un'introgressione di un lignaggio di un ominide più arcaico[15]. Nel 2013, la sequenza di mtDNA prelevata dal femore di un Homo heidelbergensis di 400.000 anni fa proveniente dalla Grota Sima in Spagna è risultata essere simile a quella di Denisova[16].


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venerdì 28 ottobre 2016

La storia geologica d'Italia e dei suoi oceani.



I continenti si muovono da sempre, lentamente, inesorabilmente, in modo impercettibile ai sensi umani, spinti dalle potenti  forze interne del pianeta generate dai moti convettivi del mantello terrestre.
Nel corso di decine o centinaia di milioni di anni queste forze hanno cambiato più volte la geografia del nostro pianeta. Se potessimo viaggiare nel passato, procedendo verso le epoche più remote, ci stupiremmo nel trovare un pianeta tanto diverso da quello attuale.
L'Italia non è certo sfuggita all'evoluzione geologica: contesa e poi schiacciata tra Africa ed Europa, ha visto nascere e morire mari e oceani che hanno lasciato tracce nelle rocce della penisola.

Dalle testimonianze degli antichi  mari e oceani partiremo per ricostruire la storia geologica della penisola e la formazione delle Alpi e degli Appennini, in un viaggio che è durato 250 milioni di anni e che iniziò quando l’Italia non c’era.


Prologo:i grandi cambiamenti del Triassico.

Pangea Triassica


  • PERMIANO-TRIASSICO 300-250 Ma
  •  
  • scala del tempo.
La geografia del Permiano (300 Ma) è incredibilmente semplice: un unico super continente che costituirà il prologo alla storia geologica del pianeta.
Imponenti movimenti e scontri continentali avevano "assemblato" il megacontinente Pangea, attorno al quale si estendeva un grande oceano, la Pantalassa, che formava ad est il grande golfo della Tetide. Il clima interno era caldo e arido dato che il mare non poteva penetrarvi con la sua azione mitigatrice.
Il Triassico (250 Ma) che cominciò con una grande estinzione di massa, fu l’epoca nella quale si avviarono i grandi cambiamenti geografici ed evolutivi  del pianeta terra: iniziò l’era dei rettili e la disintegrazione della Pangea.
Circa 228 milioni di anni fa (Triassico sup.)  il centro della Pangea si lacerò (rift continentale) e venne invaso dalle acque oceaniche. Due supercontinenti, Gondwana (alla quale apparteneva l'odierna Africa) ed Eurasia ( della quale facevano parte Europa e Asia), cominciarono a separarsi.


Proprio lungo la linea di separazione della Pangea iniziò la storia della futura Italia. E’ qui che si trovava Adria,  una propaggine del Nord Africa occupata interamente dalla Tetide che sarà teatro della nascita del mediteranno e della penisola italiana.

La Tetide: quando l'Italia non c'era.

Italia nel Triassico

Ecco un dettaglio del golfo della Tetide con in evidenza l'Adria, all' epoca nella quale si trovava a contatto con l'Europa e l'Asia.
L' Italia, o meglio ciò che diverrà il nostro territorio, si trovava su Adria e sui suoi margini a contatto con la zolla africana ed europea. Era sommersa da un mare epicontinentale, cioè un mare basso, contornato da basse piane costiere periodicamente invase dalle maree.
Si possono scorgere i profili della Sicilia, e del blocco Sardo-Corso evidenziati in verde.
Le uniche zone emerse, con aride pianure e brulli rilievi, erano una piccola parte della Toscana e la Sardegna che si trovava sulla costa del continente europeo, per il resto scogliere e atolli corallini, piane di marea, paludi salmastre.
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