mercoledì 18 maggio 2016

L’Europa ha creato una catastrofe umanitaria d’altri tempi. - Paul B. Preciado

Profughi e migranti in fila per il cibo nel campo di Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia, l’11 maggio 2016. - Marko Djurica, Reuters/Contrasto

Sono state dette molte cose a proposito delle similitudini tra la gestione dell’attuale crisi economica e il periodo precedente la seconda guerra mondiale. È probabile che nel 2008 gli orologi del tempo globale si siano misteriosamente sincronizzati con quelli del 1929. Ma la cosa più curiosa è che da allora non stiamo procedendo verso gli anni trenta, bensì regredendo verso l’inizio del novecento, come se in un ultimo delirio malinconico l’Europa volesse rivivere il suo passato coloniale.
L’errore che commettiamo abitualmente quando cerchiamo di comprendere la crisi politico-economica è guardarla attraverso la concezione spazio-temporale tipica degli stati nazionali di quella che consideriamo attualmente come “Europa” nel loro rapporto con gli Stati Uniti, lasciando fuori dalla nostra prospettiva lo spazio-tempo che va oltre il qui e ora della finzione “Europa”, verso il sud e l’est, in relazione con la sua storia e il suo presente “criptocoloniale”, per dirla con Michael Herzfeld.
Scambio asimettrico
Solo tornando alla storia dell’invenzione degli stati-nazione europei e del loro passato coloniale possiamo comprendere l’attuale gestione della crisi dei profughi in Grecia. Com’è noto, il 18 marzo l’Unione europea (Ue) e la Turchia hanno firmato un accordo sulla deportazione in massa dei profughi. Questo accordo stabilisce delle relazioni di scambio politico tra due entità asimmetriche (Ue e Turchia) con tre variabili profondamente eterogenee: corpi umani (vivi, nel migliore dei casi), territorio e denaro.
Da una parte l’accordo stipula che, a partire da tale data, “tutti gli immigrati e i profughi arrivati irregolarmente in Grecia devono essere immediatamente espulsi verso la Turchia, che s’impegna ad accettarli in cambio di denaro”. D’altra parte “gli europei prendono l’impegno di accogliere sul proprio territorio i profughi siriani che si trovano in Turchia, fino a un massimo di 72mila persone”. Basta parlare qualche minuto con i siriani che hanno raggiunto la Grecia per capire che torneranno in Turchia solo se costretti con la forza.
Inevitabilmente, l’agente che rende possibile questo processo di deportazione di massa e “scambio di popolazioni” è la violenza. Una violenza istituzionale che, nel quadro di relazioni internazionali tra entità statali e sovranazionali teoricamente democratiche, prende il nome di “forze di sicurezza”. L’accordo costerà trecento milioni di euro nei prossimi sei mesi, prevede l’intervento di quattromila funzionari degli stati membri e delle agenzie di sicurezza europee Frontex ed Easo, richiede l’invio di forze militari e d’intelligence da paesi come la Germania, la Francia e la Grecia, oltre che la presenza di funzionari greci in Turchia e di funzionari turchi in Grecia.
Questo violento apparato poliziesco è presentato come “un’assistenza tecnica alla Grecia”, un aiuto necessario alle “procedure di ritorno”. L’unico quadro politico che permette di considerare legale una simile marchiatura, reclusione, criminalizzazione ed espulsione di essere umani è la guerra. Ma allora contro chi sono in guerra l’Europa e la Turchia?
Europa e Turchia dichiarano guerra ai popoli migranti che potrebbero attraversare le loro frontiere
Sebbene questo accordo appaia, sia per gli elementi dello scambio (corpi umani vivi) sia per la sua portata (almeno due milioni di persone), più vicino a "Il trono di spade" che a un patto tra due stati democratici, esiste un precedente storico che alcune famiglie greche e turche conoscono bene. In Grecia questo precedente è noto come “Grande catastrofe” e ha avuto luogo durante e dopo la guerra greco-turca, tra il 1922 e il 1923.
Nel 1830, dopo quattrocento anni di dominazione ottomana e una guerra d’indipendenza perduta, il territorio della Grecia attuale era ancora sotto il dominio dei turchi, mentre solo una piccola parte era riconosciuta come stato greco da Francia, Regno Unito e Russia. Dopo la prima guerra mondiale la caduta dell’impero ottomano ha ridestato il sogno nazionalista greco (chiamato “megali idea”, la “grande idea”) di riunificare tutti i territori “bizantini”. Un progetto svanito con la vittoria della Turchia nella guerra combattuta tra il 1919 e il 1922.
Per costruire la nuova finzione degli stati-nazione, tanto greca quanto turca, fu necessario non solo dividere i territori, ma anche e soprattutto ricodificare in senso nazionale corpi le cui vite e i cui ricordi erano fatti di storie e lingue ibride. Il trattato sullo “scambio di popolazioni tra Grecia e Turchia” fu firmato a Losanna nel 1923. Riguardava due milioni di persone: un milione e mezzo di “greci” che vivevano in Anatolia e mezzo milione di “turchi” che vivevano nei territori greci. La presunta “nazionalità” venne infine ridotta alla religione: i cristiani ortodossi furono mandati in Grecia, i musulmani in Turchia. Molti di questi “profughi” furono sterminati, altri furono trasferiti in campi precari dove rimasero per decenni, con una cittadinanza incerta.
Quasi cento anni dopo questi stessi stati-nazione, la cui capacità d’azione economica è stata fortemente indebolita dalla riorganizzazione globale del capitalismo finanziario, sembrano orchestrare un nuovo processo di costruzione nazionalista, riattivando (ancora una volta contro i civili) i protocolli di guerra, riconoscimento ed esclusione della popolazione con cui si erano costruiti in passato.
Europa e Turchia dichiarano oggi guerra ai popoli migranti che potrebbero attraversare le loro frontiere. È questa la sensazione che si prova percorrendo le strade di Atene, tra gli edifici occupati dai profughi e le centinaia di persone che dormono nelle piazze: una guerra civile contro coloro che, dopo essere sfuggiti a un’altra guerra, cercano di sopravvivere.
(Traduzione di Federico Ferrone)

martedì 17 maggio 2016

Ilva, l’Italia va a processo alla Corte di Strasburgo. “Non ha protetto la salute dei cittadini di Taranto”.

Ilva, l’Italia va a processo alla Corte di Strasburgo. “Non ha protetto la salute dei cittadini di Taranto”

Nel giorno in cui inizia il processo ai vertici dell'azienda per disastro ambientale, dall'Europa arriva una nuova stangata per il nostro Paese. Secondo l'accusa, lo Stato ha violato il proprio diritto alla vita e all'integrità psico-fisica, per non avere prevenuto gli effetti dell'inquinamento prodotto dall'impianto siderurgico.

Nel giorno in cui inizia il processo ai vertici dell’Ilva per disastro ambientale, dall’Europa arriva una nuova stangata per il nostro Paese. Lo Stato italiano è formalmente sotto processo di fronte alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, con l’accusa di non aver protetto la vita e la salute di 182 cittadini di Taranto dagli effetti negativi delle emissioni dell’Ilva. La Corte di Strasburgo ha ritenuto sufficientemente solide, in via preliminare, le prove presentate, e ha così aperto il procedimento contro lo Stato italiano.
A rivolgersi a Strasburgo sono stati, nel 2013 e nel 2015, 182 cittadini che vivono a Taranto e nei comuni vicini. Alcuni rappresentano i congiunti deceduti, altri i figli minori malati. A febbraio, la Corte aveva accettato la domanda di trattazione prioritaria del ricorso collettivo. Nel testo, i ricorrenti affermano che lo Stato ha violato il loro diritto alla vita, all’integrità psico-fisica e al rispetto della vita privata e familiare e che in Italia non possono beneficiare di alcun rimedio effettivo per vedersi riconoscere queste violazioni. Fonti della Corte, citate dall’agenzia Ansa, precisano che la decisione di comunicare i ricorsi al governo significa che le prove presentate dai ricorrenti contro l’operato dello Stato sono molto forti.
Nel ricorso, i cittadini di Taranto sostengono che “lo Stato non ha adottato tutte le misure necessarie a proteggere l’ambiente e la loro salute, in particolare alla luce dei risultati del rapporto redatto nel quadro della procedura di sequestro conservativo e dei rapporti Sentieri”. Le autorità nazionali e locali, secondo l’accusa, hanno omesso di predisporre un quadro normativo ed amministrativo idoneo a prevenire e ridurre gli effetti gravemente pregiudizievoli derivanti dal grave e persistente inquinamento prodotto dal complesso dell’Ilva. I ricorrenti contestano inoltre al governo il fatto di aver autorizzato la continuazione delle attività del polo siderurgico attraverso i cosiddetti decreti salva Ilva.
Intanto, al Palazzo di giustizia di Taranto ha preso il via la prima udienza del processo per il presunto disastro ambientale causato dall’Ilva. Alla sbarra ci sono 44 persone fisiche e tre società: tra gli imputati eccellenti, figurano i fratelli Fabio e Nicola Riva della proprietà Ilva (oggi in amministrazione straordinaria), l’ex governatore della Puglia, Nichi Vendola, il sindaco di Taranto Ippazio Stefano, l’ex presidente dell’Ilva Bruno Ferrante, l’ex responsabile dei rapporti istituzionali dell’Ilva Girolamo Archinà, l’uomo che rubò il microfono a un cronista che chiedeva conto a Emilio Riva dei morti di cancro causati dall’Ilva e ne rideva al telefono insieme a Vendola. Si sono costituite in giudizio circa mille parti civili, tra le quali la Regione Puglia rappresentata in aula dal governatore Michele Emiliano.
Quando l'uomo commette l'errore di anteporre il proprio tornaconto a quello di altri uomini dei quali si è assunto la responsabilità, è giusto che intervenga un organo superiore a correggere l'errore.

Migranti, Europol ed Interpol: “Traffico vale fino a 6 miliardi di dollari. 800mila pronti a partire dalla Libia”.

Migranti, Europol ed Interpol: “Traffico vale fino a 6 miliardi di dollari. 800mila pronti a partire dalla Libia”

Per arrivare in Europa, ogni migrante ha pagato fra i 3.200 e i 6.500 dollari alle organizzazioni criminali. Organizzazioni che sono una "multinazionale del crimine" che coinvolge uomini originari di più di 100 Paesi. Nessun legame sistematico fra terrorismo e migrazioni, ma cresce il rischio di foreign fighter di ritorno.

Il traffico di migranti vale fino a 6 miliardi di dollari e le persone che cercheranno di partire per raggiungere l’Unione europea aumenteranno ancora: solo dalla Libia si stimano 800mila in attesa di mettersi in viaggio. Sono questi i dati del rapporto di Interpol ed Europol del 17 maggio.
Il business dei migranti fa dei trafficanti di esseri umani una vera e propria multinazionale del crimine. Il bottino complessivo si aggira, solo per il 2015, fra i cinque e i sei miliardi di dollari. Per arrivare, in condizioni spesso disperate, in Europa, ogni migrante ha pagato fra i 3.200 e i 6.500 dollari alle organizzazioni criminali che lucrano sul traffico di migranti.  Che sono vulnerabili di sfruttamento sessuale o lavorativo, usati come mezzi per ripagare il loro debito con i trafficanti.
Traffico che coinvolge uomini originari di più di 100 paesi e può contare su una struttura formata da una serie di capi che coordinano le attività lungo le rotte migratorie, “manager” che gestiscono le attività sul posto attraverso contatti personali e facilitatori di più basso livello.
Da loro passa il 90% del flusso di migranti che provano ad entrare nel vecchio continente: è questo il “core business” della multinazionale dei trafficanti di uomini. Fatta, di solito, di gente con una storia criminale alle spalle. E se dai dati snocciolati daInterpol non emerge alcun legame sistematico fra il terrorismo e le migrazioni, il rapporto segnala un “rischio crescente” di foreign fighter che possono unirsi al flusso migratorio per rientrare nell’Unione Europea.
Le partenze dal Nord Africa, intanto, non accennano a fermarsi. La Guardia Costiera ha soccorso la scorsa notte, 40 miglia a nord delle coste libiche, 200 persone – tra loro 45 donne e 11 minori – che erano a bordo di un barcone diretto verso l’Italia. Ricevuto l’allarme, la centrale operativa di Roma della Guardia Costiera ha localizzato il natante ed ha inviato la propria nave Peluso in soccorso dei migranti.
Se solo abbattessimo le barriere create dall'uomo, la terra tornerebbe ad essere di tutti e queste nefandezze non esisterebbero.

Sono tre i nuovi pianeti appena scoperti. - Enrico Ferrone

pianeti

Ora si sta studiando se esista la possibilità che si sia sviluppata una qualche forma di vita.
Lo scorso 2 maggio le principali agenzie di stampa internazionali hanno battuto la notizia della scoperta di tre esopianeti simili alla Terra, orbitanti attorno a una nana rossa. Un primo calcolo e molte illazioni lascerebbero pensare a condizioni di vita compatibili a quelle della nostra esistenza. Lo studio è stato ripreso dalle autorevoli pagine di Nature, una delle più antiche ed importanti riviste esistenti, forse quella considerata di maggior prestigio nell’ambito della comunità scientifica mondiale. La sua sede è a Londra. Lo abbiamo letto per questo.
Quelli individuati sono corpi celesti molto simili a quello che è il nostro habitat, con la particolarità di essere a circa 40 anni luce di distanza da noi: la scoperta è di un team di ricercatori guidato da Michaël Gillon, dell’Institut d’Astrophysique et de Géophysique dell’università di Liegi. Al di là delle battute scontate, la regione spaziale in cui avviene l’orbitazione è relativamente vicina al nostro pianeta, viste le distanze astronomiche pazzesche in cui si ragiona per la ricerca di elementi che possano ipotizzare condizioni similari a quelle del sistema solare e per quanto non vi è alcuna traccia apparente di vita, sono opportune delle riflessioni che possano chiarire la matrice della ricerca e l’efficacia della scoperta. I tre pianeti che qualcuno definisce troppo frettolosamente già abitabili, avrebbero caratteristiche del tutto simili alla nostra Terra e Marte ma con dimensioni che non si discostano molto da quelle di Venere, che è appena più piccola di Terra. Sono considerazioni che onestamente non eccitano la nostra fantasia per una serie di motivi che non tarderemo ad esporre. Perché è indubbio che la scoperta apre nuovi margini di studio; però ci conviene iniziare con quella che può rappresentare la prima origine dell’esistenza di un sistema solare: la stella madre. E abbiamo parlato di una particolare classificazione: la nana rossa. In astronomia, viene denominata così una stella piccola e relativamente fredda, ovvero al di sotto dei 3.500° K, la tipologia stellare più diffusa nell’universo ma a causa della loro bassa luminosità, le singole nane rosse non sono facilmente osservabili, tanto da risultare completamente invisibili a occhio nudo. In generale, le nane rosse trasportano l’energia prodotta nel nucleo verso la superficie tramite moti convettivi che risultano avvantaggiati rispetto ad altri metodi di trasporto energetico per l’opacità degli strati interni.
E comunque è sul piccolo sole classificato con la sigla 2MASS J23062928-0502285 che si punta l’attenzione degli astronomi che tengono sotto controllo il sistema con il telescopio belga Trappist (acronimo di TRAnsiting Planets and PlanetesImals Small Telescopes): un impianto robotico da mezzo metro di diametro che viene gestito all’Osservatorio dell’ESO di La Silla in Cile dall’Università di Liège, che sfrutta la maggior parte del tempo controllando la luce di circa 60 delle più vicine nane ultrafredde e nane brune, le stelle che non sono abbastanza massicce da avviare una fusione nucleare sostenuta nel nucleo, cercando evidenze di transiti planetari. Il bersaglio, denominato poi più semplicemente Trappist-1, in questo caso ha per massa circa l’8% di quella del Sole e la luminosità è pari allo 0,05%. In complesso Trappist-1, che è all’interno della costellazione dell’Acquario, è una stella debole e fredda e la sua luce diventa più fioca a intervalli regolari, indicando così i diversi oggetti che passano tra se stessa e la Terra. Le sue dimensioni sono approssimativamente quelle di Giove. Un dato importante che ha smantellato le vecchie teorie che ritenevano l’impossibilità che con queste dimensioni all’interno della nostra galassia si potessero ospitare dei sistemi planetari.
La scoperta ha quindi suscitato parecchio scalpore nella comunità scientifica e il team sta cercando di capire se su questi pianeti esista la possibilità che si sia sviluppata una qualche forma di vita. Ma data la distanza l’analisi sarà assai lunga e difficilmente quantizzabile. Tuttavia dai primi dati sembra che due dei pianeti hanno un periodo orbitale di 1,5 e 2,4 giorni terrestri, mentre il periodo del terzo è incerto, forse compreso tra 4,5 e i 73 giorni. «Periodi orbitali così brevi indicano che i pianeti si trovano da 20 a 100 volte più vicini alla loro stella rispetto alla distanza tra Terra e Sole. La struttura di quel sistema planetario è in scala, molto più simile al sistema delle lune di Giove che al sistema solare», ha dichiarato Michaël Gillon. Dati incontrovertibili che comunque quadrano con il nostro scetticismo in quanto l’unico punto di riferimento su cui confrontare le nostre teorie è quello in cui viviamo. Troppo poco nella immensa diversità interstellare. Ma Emmanuël Jehin, coautore dell’articolo, è entusiasta: «Questo è un vero cambiamento di paradigma per quanto riguarda la popolazione planetaria e un percorso alla ricerca della vita nell’universo. Finora l’esistenza di questi ‘mondi rossi’ in orbita intorno a stelle nane ultrafredde era solo teorizzata, ma ora abbiamo non già un singolo pianeta ma un sistema completo di tre pianeti intorno a una di queste fioche stelle rosse». Gillon, però insiste: «Perché stiamo sforzandoci di individuare pianeti di dimensione paragonabile alla Terra intorno alle stelle più piccole e più fredde del vicinato solare? La ragione è semplice: i sistemi intorno a queste stelle minuscole sono gli unici luoghi in cui possiamo rivelare la vita su un esopianeta di dimensioni terrestri con le tecnologie attuali. Se vogliamo trovare la vita da qualche altra parte nell’Universo, qui è dove dobbiamo iniziare a cercare».
Ora il James Webb Space Telescope di NASA/ESA/CSA il cui lancio è previsto nel 2018, si potrà studiare la composizione atmosferica di questi pianeti e di esplorare per la prima volta la presenza di acqua, di tracce di attività biologica. «È un passo gigante verso la ricerca della vita nell’Univierso», sostiene Julien de Wit, del Massachusetts Institute of Technology (MIT), che è coautore del lavoro pubblicato su Nature.
Questo studio apre una nuova strada nella ricerca di esopianeti, poiché circa il 15% delle stelle nei dintorni del Sole sono nane ultrafredde. Il Consiglio delle Ricerche Europeo e anche dall’Università di Liège ne hanno finanziato in gran parte la realizzazione ma ora si guarda avanti, con un progetto denominato Speculoos costituito da quattro telescopi robotici da un metro di diametro che verranno installati all’Osservatorio del Paranal per cercare, nei prossimi cinque anni, pianeti abitabili intorno a circa 500 stelle ultra-fredde.

Cardinale Calcagno indagato per malversazione. Lui: "Sono sereno"

Il cardinale Domenico Calcagno © ANSA

Nel mirino della Procura ci sono investimenti in operazioni immobiliari che avrebbero provocato un indebitamento di alcuni milioni.

Il cardinale Domenico Calcagno, ex vescovo di Savona ed ora presidente dell'Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica, è indagato dalla procura di Savona per concorso in malversazione nella gestione dell' Istituto di sostentamento del clero della diocesi ligure. Per la procura, Calcagno avrebbe avallato la strategia dell'allora presidente dell'Istituto, don Pietro Tartarotti (fino al 2014) e dal vice, Gianmichele Baldi (fino a ottobre 2013), indagati per malversazione. Lo scrivono Il Secolo XIX e La Stampa.
Nel mirino della Procura ci sono investimenti in operazioni immobiliari che avrebbero provocato un indebitamento di alcuni milioni. Tra le operazioni sotto osservazione quella delle 'Colonie bergamasche', una grande struttura a ridosso della costa a Celle Ligure che avrebbe dovuto essere trasformata in un complesso residenziale con tanto di albergo di lusso. Nel 2004 il vescovo Vittorio Lupi, successore di Calcagno, commissariò l'ente dopo che Tartarotti e Baldi si erano dimessi. Nei mesi scorsi una commissione ad hoc è arrivata da Roma per studiare i conti e, secondo indiscrezioni, l'inchiesta ha avuto un impulso proprio da alcuni rilievi compiuti dalla commissione stessa e segnalati alla procura che indaga sul caso da alcuni anni.
Il Cardinale, sono sereno per il lavoro svolto - Ho appreso da notizie di stampa di essere oggetto di indagini per questioni risalenti al periodo in cui ero vescovo a Savona". Lo ha detto all'ANSA il cardinale Domenico Calcagno. "Sono sereno per il lavoro svolto. Confido nell'operato della magistratura italiana. Attendo fiducioso l'evolversi della vicenda" ha concluso il cardinale. 

lunedì 16 maggio 2016

Scienziati Usa valutano genoma sintetico. - Anna Lisa Rapanà



Riunione segreta ad Harvard, ma 'creare' uomo ancora lontano.


Un incontro 'segreto' per valutare la creazione di un genoma umano sintetico. Si è tenuto presso la Harvard Medical School a Boston e ha visto la partecipazione di 150 esperti cui è stato chiesto di mantenere quella conversazione privata e confidenziale. Del resto il tema è delicato, se non controverso, e pone non poche preoccupazioni per la comunità scientifica: comporre in maniera sintetica il Dna contenuto in un cromosoma umano vuol dire aprire una porta tanto affascinante quanto piena di incognite, in quanto potrebbe portare ad usare un genoma sintetico per creare un essere umano senza genitori biologici, sottolinea il New York Times. Le considerazioni sono quindi tutte di natura etica, perché sul valore di un tale passo in avanti gli organizzatori dell'evento di cui da' conto il New York Times non hanno dubbi e sarebbe considerata come una continuazione del Progetto sul Genoma Umano, con l'iniziativa che andrebbe al di là della sola lettura del Dna, si potrebbe infatti parlare di una 'scrittura'del genoma umano in quanto ci si spinge fino a sintetizzarlo. In questo senso lo scenario che più inquieta molti è quello che intravede la possibilità che questa strada apra la porta in prospettiva a certi estremi, come la possibilità di sintetizzare e riprodurre determinati tratti o addirittura di 'fare copie' di determinate presone. 

Per porre la questione etica si è fatto avanti Drew Endy, bioingegnere a Stanford, che ha scritto un articolo proprio per criticare questo tipo di progetto. Alla riunione ad Harvard Endy non ha preso parte, sebbene fosse stato invitato, perché ha giudicato l'incontro troppo limitato a livello di partecipazione e con poca attenzione per l'aspetto etico

Ma George Church, professore di genetica alla stessa Harvard Medical School e tra gli organizzatori del progetto proposto, ha subito frenato, tentando di sgomberare il campo da interpretazioni troppo azzardate: il progetto non ha lo scopo di creare persone, ma soltanto cellule. Inoltre, ha precisato, non sarebbe ristretto ai genomi umani, ma avrebbe lo scopo di acquisire e migliorare la capacità di sintetizzare il Dna in generale , con applicazioni possibili per piante, animali e microbi. Il progetto non ha al momento finanziamenti, sebbene alcune aziende e fondazioni abbiano manifestato interesse, mentre la richiesta di fondi verrà avanzata anche al governo federale americano.

mercoledì 11 maggio 2016

Allarme pesticidi: trovati nel 63,9% delle acque superficiali. - Filippo Pala





Il rapporto dell’Ispra: in 4 anni un aumento del 20%. Al Sud dati ancora parziali.


Pesticidi sempre in aumento nelle acque italiane: sono 224 le sostanze diverse individuate nell’ultimo report dell’ISPRA sull’argomento, appena pubblicato, rispetto alle 175 del 2012, ultima rilevazione usata dai ricercatori dell’istituto. Un aumento che se da un lato testimonia di un uso ancora massiccio di queste sostanze, dall’altro segnala un miglioramento nella rete di controlli, visto che da sempre alcune regioni del Sud hanno meno punti di monitoraggio di quelle del Centro-Nord, e ancora in questa edizione mancano completamente i dati del Molise e della Calabria. In totale, comunque, sono ben 130mila le tonnellate di prodotti fitosanitari che ogni anno vengono utilizzati nel nostro paese, ai quali vanno aggiunti i biocidi, usati in tanti settori, su cui non si ha praticamente nessuna informazione.  

Le acque superficiali “ospitano” pesticidi nel 63,9% dei 1.284 punti di monitoraggio controllati (nel 2012 la percentuale era del 56,9%), con un aumento di circa il 20%, mentre nelle acque sotterranee sono risultati contaminati il 31,7% dei 2.463 punti, il 10% in più rispetto al 2012 (allora erano il 31%). I pesticidi, quindi, non sono diffusi solo nelle acque di superficie ma anche nelle falde profonde, naturalmente protette da strati geologici poco permeabili. 

In particolare, 274 punti di monitoraggio di superficie, il 21,3% del totale, hanno concentrazioni superiori ai limiti di qualità ambientali, mentre per quelle sotterranee i punti che superano i livelli d’allarme per l’ambiente sono 170 (il 6,9% del totale). Le sostanze più presenti sono il glifosato e il suo metabolita AMPA (acido aminometilfosforico), il metolaclor, triciclazolo, oxadiazon, terbutilazina e il suo principale metabolita, la desetil-terbutilazina. Peraltro, va segnalato che il glifosato e il metabolita AMPA, presenti rispettivamente nel 39,7% e nel 70,9% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali, sono cercati solo in Lombardia e Toscana. Sia nelle acque superficiali che in quelle sotterranee, poi, è diffusa la presenza di neonicotinoidi come l’imidacloprid e il tiametoxan, che sono gli insetticidi più utilizzati a livello mondiale e secondo gli studiosi uno dei principali responsabili della perdita di biodiversità e della moria di api.  

Nel biennio 2013-2014 sono stati analizzati 29mila 220 campioni, per un totale di 1.351.718 misure analitiche, con un sensibile aumento rispetto al passato. Nel 2014, in particolare, le indagini hanno riguardato 3.747 punti di campionamento e 14.718 campioni, e sono state cercate complessivamente 365 sostanze (nel 2012 erano 335). Gli erbicidi sono ancora i più presenti, soprattutto a causa dell’utilizzo diretto sul suolo, spesso concomitante con i periodi di maggiore piovosità di inizio primavera, che li portano rapidamente nei corpi idrici superficiali e sotterranei, ma sono in aumento anche i rilevamenti di fungicidi e insetticidi.  

Dal punto di vista territoriale, contaminazione più ampia nella pianura padano-veneta, anche se è vero che nelle cinque regioni dell’area si concentrano poco meno del 60% dei punti di monitoraggio dell’intera rete nazionale. Molto oltre il dato nazionale è la contaminazione in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, con il 70% dei punti delle acque superficiali interessati, mentre si arriva addirittura al 90% in Toscana e 95% in Umbria. Nelle acque sotterranee, la diffusione dei pesticidi è particolarmente grave in Lombardia, con il 50% dei punti interessati, in Friuli col 68,6% e in Sicilia col 76%. 

Più che in passato, sono state trovate miscele di sostanze nelle acque, contenenti anche decine di componenti diversi, fino ad arrivare ad individuarne 48 diverse in un solo campione. La tossicità di una miscela – informano gli esperti dell’ISPRA - è “sempre più alta di quella dei singoli componenti”, per cui va tenuto adeguatamente conto che “l’uomo e gli altri organismi sono spesso esposti a ‘cocktail’ di sostanze chimiche, di cui a priori non si conosce la composizione”, per poter valutare davvero la portata del problema, anche a livello globale.  

La nota più positiva che emerge dal report è la diminuzione delle vendite di prodotti fitosanitari: le citate 130mila tonnellate del 2014 rappresentano infatti un calo del 12% rispetto al 2001. Nello stesso periodo si è anche ridotta del 30,9% la quantità di prodotti più pericolosi e indubbiamente si è arrivati a un impiego più cauto delle sostanze chimiche in agricoltura, come richiesto dalle norme in materia, che – conclude l’ISPRA - prevedono “l’adozione di tecniche di difesa fitosanitaria a minore impatto, in cui il ricorso alle sostanze chimiche va visto come l’ultima risorsa”. 

http://www.lastampa.it/2016/05/09/scienza/ambiente/inchiesta/allarme-pesticidi-sono-presenti-nel-delle-acqua-superficiali-V7xehEvH27hIcij1wyzATJ/pagina.html

Usare i pesticidi significa uccidere le api, necessarie per l'impollinazione oltre che per la produzione di miele e cera, inquinare le acque e danneggiare l'ambiente. Tutto a discapito della natura e a favore delle multinazionali.