martedì 17 maggio 2016

Sono tre i nuovi pianeti appena scoperti. - Enrico Ferrone

pianeti

Ora si sta studiando se esista la possibilità che si sia sviluppata una qualche forma di vita.
Lo scorso 2 maggio le principali agenzie di stampa internazionali hanno battuto la notizia della scoperta di tre esopianeti simili alla Terra, orbitanti attorno a una nana rossa. Un primo calcolo e molte illazioni lascerebbero pensare a condizioni di vita compatibili a quelle della nostra esistenza. Lo studio è stato ripreso dalle autorevoli pagine di Nature, una delle più antiche ed importanti riviste esistenti, forse quella considerata di maggior prestigio nell’ambito della comunità scientifica mondiale. La sua sede è a Londra. Lo abbiamo letto per questo.
Quelli individuati sono corpi celesti molto simili a quello che è il nostro habitat, con la particolarità di essere a circa 40 anni luce di distanza da noi: la scoperta è di un team di ricercatori guidato da Michaël Gillon, dell’Institut d’Astrophysique et de Géophysique dell’università di Liegi. Al di là delle battute scontate, la regione spaziale in cui avviene l’orbitazione è relativamente vicina al nostro pianeta, viste le distanze astronomiche pazzesche in cui si ragiona per la ricerca di elementi che possano ipotizzare condizioni similari a quelle del sistema solare e per quanto non vi è alcuna traccia apparente di vita, sono opportune delle riflessioni che possano chiarire la matrice della ricerca e l’efficacia della scoperta. I tre pianeti che qualcuno definisce troppo frettolosamente già abitabili, avrebbero caratteristiche del tutto simili alla nostra Terra e Marte ma con dimensioni che non si discostano molto da quelle di Venere, che è appena più piccola di Terra. Sono considerazioni che onestamente non eccitano la nostra fantasia per una serie di motivi che non tarderemo ad esporre. Perché è indubbio che la scoperta apre nuovi margini di studio; però ci conviene iniziare con quella che può rappresentare la prima origine dell’esistenza di un sistema solare: la stella madre. E abbiamo parlato di una particolare classificazione: la nana rossa. In astronomia, viene denominata così una stella piccola e relativamente fredda, ovvero al di sotto dei 3.500° K, la tipologia stellare più diffusa nell’universo ma a causa della loro bassa luminosità, le singole nane rosse non sono facilmente osservabili, tanto da risultare completamente invisibili a occhio nudo. In generale, le nane rosse trasportano l’energia prodotta nel nucleo verso la superficie tramite moti convettivi che risultano avvantaggiati rispetto ad altri metodi di trasporto energetico per l’opacità degli strati interni.
E comunque è sul piccolo sole classificato con la sigla 2MASS J23062928-0502285 che si punta l’attenzione degli astronomi che tengono sotto controllo il sistema con il telescopio belga Trappist (acronimo di TRAnsiting Planets and PlanetesImals Small Telescopes): un impianto robotico da mezzo metro di diametro che viene gestito all’Osservatorio dell’ESO di La Silla in Cile dall’Università di Liège, che sfrutta la maggior parte del tempo controllando la luce di circa 60 delle più vicine nane ultrafredde e nane brune, le stelle che non sono abbastanza massicce da avviare una fusione nucleare sostenuta nel nucleo, cercando evidenze di transiti planetari. Il bersaglio, denominato poi più semplicemente Trappist-1, in questo caso ha per massa circa l’8% di quella del Sole e la luminosità è pari allo 0,05%. In complesso Trappist-1, che è all’interno della costellazione dell’Acquario, è una stella debole e fredda e la sua luce diventa più fioca a intervalli regolari, indicando così i diversi oggetti che passano tra se stessa e la Terra. Le sue dimensioni sono approssimativamente quelle di Giove. Un dato importante che ha smantellato le vecchie teorie che ritenevano l’impossibilità che con queste dimensioni all’interno della nostra galassia si potessero ospitare dei sistemi planetari.
La scoperta ha quindi suscitato parecchio scalpore nella comunità scientifica e il team sta cercando di capire se su questi pianeti esista la possibilità che si sia sviluppata una qualche forma di vita. Ma data la distanza l’analisi sarà assai lunga e difficilmente quantizzabile. Tuttavia dai primi dati sembra che due dei pianeti hanno un periodo orbitale di 1,5 e 2,4 giorni terrestri, mentre il periodo del terzo è incerto, forse compreso tra 4,5 e i 73 giorni. «Periodi orbitali così brevi indicano che i pianeti si trovano da 20 a 100 volte più vicini alla loro stella rispetto alla distanza tra Terra e Sole. La struttura di quel sistema planetario è in scala, molto più simile al sistema delle lune di Giove che al sistema solare», ha dichiarato Michaël Gillon. Dati incontrovertibili che comunque quadrano con il nostro scetticismo in quanto l’unico punto di riferimento su cui confrontare le nostre teorie è quello in cui viviamo. Troppo poco nella immensa diversità interstellare. Ma Emmanuël Jehin, coautore dell’articolo, è entusiasta: «Questo è un vero cambiamento di paradigma per quanto riguarda la popolazione planetaria e un percorso alla ricerca della vita nell’universo. Finora l’esistenza di questi ‘mondi rossi’ in orbita intorno a stelle nane ultrafredde era solo teorizzata, ma ora abbiamo non già un singolo pianeta ma un sistema completo di tre pianeti intorno a una di queste fioche stelle rosse». Gillon, però insiste: «Perché stiamo sforzandoci di individuare pianeti di dimensione paragonabile alla Terra intorno alle stelle più piccole e più fredde del vicinato solare? La ragione è semplice: i sistemi intorno a queste stelle minuscole sono gli unici luoghi in cui possiamo rivelare la vita su un esopianeta di dimensioni terrestri con le tecnologie attuali. Se vogliamo trovare la vita da qualche altra parte nell’Universo, qui è dove dobbiamo iniziare a cercare».
Ora il James Webb Space Telescope di NASA/ESA/CSA il cui lancio è previsto nel 2018, si potrà studiare la composizione atmosferica di questi pianeti e di esplorare per la prima volta la presenza di acqua, di tracce di attività biologica. «È un passo gigante verso la ricerca della vita nell’Univierso», sostiene Julien de Wit, del Massachusetts Institute of Technology (MIT), che è coautore del lavoro pubblicato su Nature.
Questo studio apre una nuova strada nella ricerca di esopianeti, poiché circa il 15% delle stelle nei dintorni del Sole sono nane ultrafredde. Il Consiglio delle Ricerche Europeo e anche dall’Università di Liège ne hanno finanziato in gran parte la realizzazione ma ora si guarda avanti, con un progetto denominato Speculoos costituito da quattro telescopi robotici da un metro di diametro che verranno installati all’Osservatorio del Paranal per cercare, nei prossimi cinque anni, pianeti abitabili intorno a circa 500 stelle ultra-fredde.

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