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mercoledì 16 marzo 2022

L’escalation militare cresce, “ma perché ci preoccupiamo?”. - Peter Gomez

 

Ricapitolando: 30 mila militari Nato stanno svolgendo una esercitazione in Norvegia. È la più grande degli ultimi anni, ma non c’è da preoccuparsi perché le operazioni erano state programmate già otto mesi fa.

Un sedicente ufficiale dei servizi segreti russi ha inviato una nuova lettera in cui sostiene che per Putin “la terza guerra mondiale è iniziata” e che l’autocrate si prepara a lanciare i suoi missili verso le Repubbliche baltiche se non verranno ritirate le sanzioni. Ma non c’è da preoccuparsi, perché la spia potrebbe non essere tale e il contenuto della missiva potrebbe essere falso.

Una circolare del nostro Stato maggiore invita i generali a intensificare gli addestramenti orientati al war fighting, ovvero agli scenari di combattimento. Ma non c’è da preoccuparsi, perché circolari simili vengono inviate ogni volta che sale la tensione internazionale.

Domenica scorsa, l’Iran, in ottimi rapporti con la Russia, ha sparato una dozzina di razzi a Erbil, nel Kurdistan iracheno, e ha sfiorato il consolato Usa. Ma non c’è da preoccuparsi, perché gli iraniani assicurano di aver mirato a “un centro strategico israeliano” e molti pensano che il lancio sia stato una vendetta per due pasdaran morti durante un bombardamento in Siria. Lunedì, infine, mentre a Roma si incontravano gli emissari del governo americano e cinese, 13 caccia militari di Pechino hanno violato la spazio aereo di Taiwan. Ma non c’è da preoccuparsi, perché il sorvolo è stato un semplice avvertimento.

Così anche noi non ci preoccupiamo. Constatiamo solo che 20 giorni dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina, l’escalation militare non accenna a fermarsi. E ci chiediamo cosa accadrà se davvero, come pronosticato dalla Gran Bretagna, i soldati di Putin, dopo aver conquistato al prezzo di terribili massacri le principali città ucraine, dovranno affrontare per anni una resistenza fortemente motivata e ben armata dall’Occidente.

L’obiettivo della Ue e della Nato del resto è chiaro. Visto che con soli 170 mila uomini è impossibile controllare uno Stato grande il doppio dell’Italia, Europa e Usa armano gli ucraini nella speranza che Putin, per evitare d’impantanarsi in una guerra in stile afghano, si accontenti presto di ciò che gli è già stato offerto dall’eroico presidente Zelensky: la neutralità, l’annessione ufficiale della Crimea, il riconoscimento delle Repubbliche del Donbass. L’idea è che in questo modo Putin potrebbe ordinare il ritiro dicendo ai russi di aver ottenuto ciò che rivendicava e quindi di aver vinto la guerra. Ma se il piano è questo, qualcuno ci dovrà spiegare cosa si spera che accada dopo.

Ciò che Putin sostiene è noto. La Russia afferma di essere stata circondata negli anni da Paesi Nato in grado di ospitare testate nucleari a poche centinaia di chilometri da Mosca. Teme che l’espansione non sia finita e sogna pure che le confinanti Repubbliche baltiche rinuncino a far parte dell’alleanza. Inoltre sa che nel medio periodo le sanzioni economiche occidentali diventeranno un reale problema. È pura utopia, dunque, che quando e se si comincerà davvero a parlare di un possibile ritiro dall’Ucraina, Putin non chieda a Stati Uniti ed Europa di ridiscutere tutto: a partire dall’embargo deciso nei suoi confronti.

A un tavolo di questo tipo non potrà che pretendere di essere presente pure la Cina. Ma non c’è da preoccuparsi. Perché l’operazione è semplice: si tratta solo di riscrivere il nuovo ordine mondiale. Roba da niente. Io, comunque, pur restando tranquillissimo, comincio a cercar casa in Argentina.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/16/lescalation-militare-cresce-ma-perche-ci-preoccupiamo/6527069/?fbclid=IwAR39NBDKC9qRM1eEuzzylLN8HOtB3qnHRSwMn78vjlQZIemtS2vY4vbZGiU

giovedì 24 febbraio 2022

Ucraina-Russia, le cause del conflitto che ha riportato la guerra in Europa. - Alberto Magnani

 

Le tensioni fra Kiev e Mosca arrivano (almeno) dal crollo dell’indipendenza del 1991. Con un’oscillazione costante fra l’Occidente e la vecchia area di influenza.

È guerra. Dopo qualche spiraglio di accordo, la situazione è precipitata definitivamente all’alba del 24 febbraio, quando il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato in diretta tv l’avvio delle operazioni militari in Ucraina. Una «operazione speciale» a difesa dell’indipendenza posticcia delle due repubbliche auto-dichiarate di Donetsk e Luhansk, nella regione del Donbass.

L’escalation viene paragonata a quella vissuta quasi un decennio fa, con l’annessione della penisola della Crimea nel 2014. Ma le tensioni che logorano sia i rapporti Mosca-Kiev, sia la stessa Ucraina al suo interno, si trascinano - almeno - dal crollo dell’Urss e stanno tornando a galla con i timori di un conflitto sull’Est Europa.

Dall’indipendenza alla rivoluzione arancione.

La data che simboleggia la prima rottura fra l’Ucraina e l’allora Unione sovietica è il 24 agosto 1991: il giorno della dichiarazione di indipendenza da Mosca, poi approvata il 1 dicembre con un referendum che vedrà oltre il 92% degli ucraini schierarsi a favore dell’addio all’Urss. Da allora inizia un’altalena che farà oscillare Kiev fra la vecchia sfera di influenza russa e un processo di «occidentalizzazione» che la spinge verso Ue e Nato, con cambi di rotta che si susseguono fino agli ultimi sviluppi della crisi.

Nei primi anni dell’indipendenza l’Ucraina, secondo paese della vecchia Urss per dimensione economica, stagna nella crescita (il Pil si inabissa fino al -22,9% nel 1994) e viene governata da leader vicini a Mosca: prima Leonid Kravčuk dal 1991 al 1993, poi Leonid Kučma dal 1994 al 2004, in un decennio scandito da scandali, episodi di corruzione e una conferma tutt’altro che lineare alle urne, per il secondo mandato, nel 1999.

Lo strappo decisivo arriva nel 2004: Viktor Janukovyč, già primo ministro nel governo dello stesso Kučma e continuatore della sua politica, viene dichiarato vincitore nel secondo turno del voto contro il candidato filo-occidentale Viktor Juščenko, favorevole all’avvicinamento con Ue e Nato. La rabbia per i brogli contestati a Janukovyč e al vecchio establishment sfocia nelle proteste della cosiddetta Rivoluzione arancione, chiamata così per il colore della campagna elettorale di Juščenko. Il voto viene invalidato e ripetuto, con la vittoria di Viktor Juščenko e il via all’esperienza di un governo filo-occidentale.

Durerà fino al 2010, una parentesi scandita da due tappe cruciali per i rapporti fra Kiev e Mosca: nel 2004 la Nato ingloba tre ex Stati sovietici come Estonia, Lettonia e Lituania; quattro anni dopo, nel 2008, l’Alleanza atlantica «promette» per la prima volta di allargarsi all’Ucraina in futuro. Il proposito surriscalda i rapporti con Mosca, in un periodo turbolento “anche” per ragioni diverse: la maggioranza di Juščenko traballa con frizioni fra i suoi stessi membri, mentre l’economia ucraina sprofonda sotto il peso della crisi finanziaria del 2008.

Fra le personalità più controverse dell’entourage di Viktor Juščenko c’è Julija Tymošenko, già protagonista della Rivoluzione arancione del 2004, chiamata a coprire due volte l’incarico di primo ministro nel 2005 e fra 2007 e 2010. Nel 2011 finirà in carcere per abuso di ufficio, con l’accusa di aver firmato un contratto di forniture di gas sfavorevole all’Ucraina. Si difenderà parlando di un caso «montato» dagli avversari, ma la sua reputazione esce appannata.

La guerra in Crimea e gli accordi di Minsk.

Nel 2010 Kiev torna sotto il governo di un candidato vicino alla Russia e gradito a Putin, Viktor Janukovyč, che batte Juščenko e avvia un processo di riavvicinamento a Mosca, siglando accordi sul gas con la Russia e sospendendo le trattative intraprese con la Ue. Il distanziamento da Bruxelles si rivela fatale al suo governo. Nel 2013, lo stop a accordo di pre-adesione alla Ue scatena infatti proteste sconfinate nella cosiddetta Euromaidan: scontri di piazza (Maidan) che mieteranno oltre 100 vittime concludendosi con la deposizione dello stesso Janukovyč dalla presidenza, la convocazione del voto anticipato, l’abolizione del bilinguismo russo-ucraino e la scarcerazione della ex premier Tymošenko, liberata dopo il voto favorevole del Parlamento ucraino. Tymošenko tiene un celebre discorso a Kiev, irritando una parte della platea che «non si sente rappresentata» dalla ex leader.

La reazione di Mosca è indiretta, ma dirompente. Un mese dopo, a marzo, la Russia invade e annette la penisola ucraina della Crimea, incassando il consenso della popolazione con un referendum. A maggio seguono l’esempio i militanti filo-russi delle due province del Donbas, Donetsk e Luhansk, con una doppia consultazione per proclamare la propria indipendenza. La vittoria del sì è schiacciante in entrambi i casi, creando una “frattura” che dà adito a scontri e violenze sempre più intensi. Nel 2015, dopo un tentativo analogo nel 2014, Francia, Germania, Russia e Ucraina firmano un accordo che prevede il cessate il fuoco e il lavoro diplomatico per configurare lo status speciale delle due province: i cosiddetti accordi di Minsk, dal nome della capitale bielorussa che già aveva ospitato l’intesa fallita l’anno prima.

La “pace” formale non si traduce, comunque, in una stabilizzazione delle province. Il governo ucraino conteggia almeno 14mila vittime nella regione del Donbass fra 2014 e 2021, con un costo economico di 10 miliardi di dollari Usa per le operazioni militari nell’area. Nel frattempo, alla presidenza di Kiev si susseguono l’uomo d’affari Petro Poroshenko (2014-2019) e l’attuale presidente, l’ex attore Volodymyr Zelensky. L’orientamento di entrambi è di apertura all’Occidente e di allontanamento da Mosca, con nuovi accordi siglati con la Ue nel 2017 e una spinta sempre più decisa verso Bruxelles. Zelensky chiede apertamente l’ingresso nella Ue e nella Nato.

L’intreccio economico fra Kiev e Mosca.

La Russia non poteva che rappresentare, almeno in origine, un partner privilegiato per l’Ucraina. I valori dell’interscambio si sono poi ridotti negli anni di «guerra fredda» fra Kiev e Mosca, culminati con la crisi che si sta consumando sui confini fra i due Paesi.

Secondo le stime del Chatman House, un think tank, il valore delle sole esportazioni ucraine in Russia è crollato dai 29 miliardi di dollari Usa nel 2011 ai 5 miliardi di dollari Usa registrati nel 2019. In parallelo, complice la (ri)apertura pro-mercato, l’export verso la Ue è raddoppiato in valore assoluto dal 2012, mentre la Cina è diventata il primo mercato di sbocco delle merci di Kiev. Secondo i dati di Trading economics, un portale specializzato, la Cina incide sul 14,4% delle esportazioni complessivi dell’Ucraina nel 2020 (7,12 miliardi di dollari Usa), oltre il doppio rispetto al 5,5% mantenuto dalla Russia: un valore di 2,7 miliardi di dollari Usa, vicino a quello dei flussi verso la Germania (2,07 miliardi, il 4,4% del totale) e Italia (1,93 miliardi, il 3,9%).

Nel 2014 Kiev si è affrancata dalla dipendenza dal gas russo, iniziando a comprarlo sul mercato europeo e importandolo attraverso Paesi come Ungheria e Slovenia. Al tempo stesso, però, un accordo vincola Kiev a far transitare il gas russo nel territorio dell’Ucraina fino al 2024: un’ipoteca che mantiene il legame con Mosca, anche nel vivo della crisi più logorante in - almeno - tre decenni di rapporti fra i due.

https://24plus.ilsole24ore.com/art/ucraina-russia-cause-conflitto-che-ha-riportato-guerra-europa-AEB2DjFB?s=hpl

sabato 5 dicembre 2020

Marcucci contro la stretta sugli hotel: è nel cda di 2 società che li gestiscono. - Stefano Vergine

 

Il re della protesta. Il dem ha criticato le chiusure serali a dicembre e chiesto deroghe “per gli alberghi il 31”.

La critica principale contro il nuovo Dpcm è arrivata dall’uomo del Pd più fedele a Italia Viva: Andrea Marcucci, ex renziano e attuale capogruppo dei dem al Senato. “Mi rivolgo al premier Conte: cambi le norme sbagliate inserite nel decreto sulla mobilità comunale del 25, 26 e 1 gennaio. Lo chiedono le Regioni e 25 miei colleghi senatori del Pd”, ha detto due giorni fa il senatore toscano. Nelle proposte fatte al governo dalla fronda interna che guida, Marcucci ha poi voluto specificare quale aspetto in particolare vorrebbe modificare: le chiusure dei ristoranti il 31 dicembre. “Per ora restano alle 18, noi abbiamo chiesto di verificare per gli alberghi”. La richiesta non verrà ricordata per l’assenza di interessi personali.

Una delle misure contenute dal nuovo Dpcm prevede che i ristoranti all’interno degli alberghi non possano servire il cenone di Capodanno al tavolo. Dovranno chiudere al pubblico esterno, sarà consentito solo il servizio in camera. Non proprio la notizia che si aspettavano a Barga, borgo lucchese a metà strada tra la città e la Garfagnana, da sempre terra dei Marcucci. Tra i vari settori economici in cui è attiva la famiglia del senatore dem c’è infatti quello dell’ospitalità, con hotel e ristoranti, e il divieto di offrire il cenone a clienti esterni non potrà che peggiorare i conti delle società di famiglia. L’affare principale dei Marcucci è di gran lunga la sanità: Kedrion, oltre 2mila dipendenti, multinazionale dei vaccini e prodotti medicinali derivati da plasma umano. Ma la famiglia del senatore ha sempre avuto anche il pallino dell’ospitalità, hotel e ristoranti. Due anni fa ha siglato una partnership con il Gruppo Marriott, multinazionale americana con strutture di lusso in mezzo mondo. Ne è nata una società per gestire insieme il Renaissance Tuscany Il, un mega resort con 600 ettari di terreno nel cuore della Garfagnana. La società della partnership si chiama “Shaner Ciocco Srl”: i Marcucci hanno la minoranza del capitale (40%) e il capogruppo del Pd al Senato siede nel consiglio d’amministrazione. L’ultimo bilancio disponibile, quello del 2019, dice che le cose vanno piuttosto bene. La società ha fatturato 9 milioni di euro, riuscendo a chiudere con un piccolo utile netto (16mila euro). Merito dei tanti clienti accorsi al Renaissance Tuscany Il, l’enorme complesso ricettivo tra le colline lucchesi, con piscine, spa e tre ristoranti. Che, la notte di San Silvestro, difficilmente faranno il tutto esaurito.

È messa invece molto meno bene la società che i Marcucci controllano al 100%, senza partner esterni. Si chiama “Il Ciocco Spa”, anche questa ha sede a Barga e conta su un ricco patrimonio turistico tra le colline lucchesi: tre alberghi per un totale di 58 camere, cui si aggiungono 12 chalet, 29 appartamenti e un lido sulla spiaggia di Viareggio. A differenza della joint venture con Marriott, qui il bilancio segna profondo rosso. L’anno scorso, a fronte di un fatturato di 3,2 milioni, “Il Ciocco Spa” – nel cui cda siede il senatore – ha chiuso in perdita per 2,5 milioni di euro. Un buco che si accumula a quello dell’anno precedente, quando il rosso era stato di 4,2 milioni, e a quello dell’anno prima ancora, quando le perdite erano state pari a 2,7 milioni.

Il risultato finale è scritto alla voce debiti: continuano ad aumentare, e alla fine del 2019 erano arrivati a 17,2 milioni, per più della metà nei confronti di banche. L’anno del Covid, e il divieto di ospitare a cena clienti esterni a San Silvestro, non potranno che far peggiorare le cose. Ma sicuramente, quando ha chiesto al governo di cambiare l’orario di chiusura dei ristoranti degli alberghi il 31 dicembre, Marcucci non ci stava pensando.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/05/marcucci-contro-la-stretta-sugli-hotel-e-nel-cda-di-2-societa-che-li-gestiscono/6027312/

giovedì 31 ottobre 2019

DEL PERCHÉ VINCE LA DESTRA (COMUNQUE SI CHIAMI) E DEL PERCHÉ È SCOMPARSA LA SINISTRA (COMUNQUE SI CHIAMI) - Turi Comito

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Per quasi due secoli (faccio riferimento, tanto per dare una data di inizio, alla Congiura degli eguali di Babeuf e Buonarroti e, per la data di fine, all'insediamento in Gran Bretagna della Thatcher) in Europa è circolata una idea politica potentissima: che le diseguaglianze sociali avessero fondamento nella diseguale distribuzione della ricchezza e nella conseguente difesa degli interessi di alcuni gruppi sociali rispetto alla concentrazione della ricchezza. Per cui da un lato ci stava chi quella ricchezza, e il potere che ne deriva, la controllava e dall'altro chi il potere derivante da quella ricchezza lo subiva. Queste parti erano considerate da quella idea di politica, naturalmente, tra loro in conflitto.
Se volete usare un linguaggio marxista, anche se non è necessario, potete dire che da un lato ci stavano i capitalisti e dall'altro i proletari. Per pura comodità di esposizione possiamo chiamare "classe" da un lato l'insieme di individui che possedevano capitale, ricchezza e potere e dall'altro chi possedeva poco o punto di tutto questo ma possedeva la forza lavoro.
I movimenti politici del XIX secolo più o meno rivoluzionari più o meno riformisti (non solo marxisti, non solo anarchici, non solo "utopisti") hanno tutti condiviso questa impostazione di base e si sono incaricati, ciascuno a modo suo, di trovare una maniera per ridurre o addirittura liquidare le enormi differenze di ricchezza che esistevano nelle società europee moderne giustamente chiamate società capitaliste.
Dal conflitto tra capitalisti e proletari - non risolto dal fascismo o dalla rivoluzione leninista - sono nate le società cosidette di Welfare. Prima (anni 20/30 del 900 nei paesi scandinavi), poi, nel secondo dopoguerra, in tutti i paesi dell'Europa occidentale.
Ad un certo punto della storia (fine anni 70) questa idea (cioè l'idea del conflitto tra classi) si logora, si indebolisce e, infine, muore. Perché? Perché viene sostituita da un'altra idea potentissima (e vecchissima allo stesso tempo).
E cioè che non esiste il conflitto tra classi, che non è vero che la diseguale distribuzione di ricchezza produce malessere sociale, sfruttamento, marginalità, ecc. Anzi, la diseguale distribuzione della ricchezza produce più ricchezza per tutti: per chi ne ha già e per chi non ne ha. Il conflitto tra capitale e lavoro è una assurdità. Poiché senza il capitalista (imprenditore creativo) il proletario (un fessacchiotto solo buono ad avvitare bulloni nella catena di montaggio) non ha lavoro e dunque neppure quel minimo di ricchezza che gli consentirà di vivere. La società perfetta è perciò quella in cui le classi collaborano, in cui ciascuno fa del suo meglio per accrescere la ricchezza complessiva della società, sapendo che più cresce la ricchezza complessiva più ciascuno starà meglio.
Questa idea è ormai radicatissima, praticamente inespugnabile, malgrado i fatti la contraddicano in continuazione. Un esempio per tutti: in questi anni di crisi (ormai dieci) la concentrazione di ricchezza in tutti i paesi europei è aumentata a dismisura mentre la povertà non si è affatto ridotta e anzi si è allargata a fasce sociali prima non contigue con quelle più marginali (non ho tempo né voglia di darvi qui le fonti: cercatevele se non ci credete, le troverete facilissimamente).
Ora, la domanda è: come è possibile che l'idea politica del conflitto tra classi - che ha generato, dentro le istituzioni democratiche, livelli di benessere sociale mai visti prima - sia morta mentre quella della collaborazione tra classi (malgrado sia falsa) sopravviva e domini senza alcun contrasto?
Viene in mente di applicare a questa situazione una felice frase, attribuita a Steinbeck, che parlando degli Stati uniti diceva: "in america non esiste il movimento socialista perché i poveri si considerano ricchi momentaneamente in difficoltà".
L'americanizzazione dell'Europa sta in questo: nell'avere espugnato dalla società e dalla politica l'idea del conflitto di classe e di averla sostituita con l'idea della felice collaborazione tra classi.
Si è passati dunque, nel giro di qualche decennio, dal considerare il capitalista un avversario di classe (addirittura un "nemico" per i più rivoluzionari) al considerarlo il benefattore che ti dà reddito, lavoro e soldini per comprare - a rate - l'iPhone.
Come si sia arrivati a questo credo non sia difficile da spiegare. Il capitalismo del secondo dopoguerra è un capitalismo dal volto umano. Ha due caratteristiche principali: è regolato dallo Stato in maniera pesante e produce, al massimo grado e più di quanto non abbia mai fatto prima, consumismo. Nazionalizzazioni, regolamentazione statalista delle industrie considerate "strategiche", costituzionalizzazione del sindacalismo e dei diritti sociali, regole che modificano fortemente le logiche classiche del mercato (si pensi allo Statuto dei lavoratori), pesante tassazione dei redditi elevati (redistribuzione della ricchezza) sono tutti elementi che si intrecciano fortemente con un capitalismo che offre sempre più beni di consumo a poco prezzo e sempre più "truccati" da status symbol. Tutto questo produce un effetto sociale, e quindi politico, non trascurabile: il proletario, lo sfruttato dal capitale, comincia seriamente a pensare non solo di non essere sfruttato ma di essere al centro degli interessi del capitale stesso. Non si sente manco più proletario (perde, secondo il linguaggio marxista, la "coscienza di classe") e si considera un'altra cosa. Non sa bene cosa ma non più uno sfruttato dal capitale visto che gode di una serie di diritti fino a pochi anni prima inimmaginabili (sciopero, assegni familiari, pensione, ferie e malattia pagate, bonus extra contratto collettivo, ecc. ecc.). Velocemente il proletario abbastanza ben pasciuto acquisisce una collateralità e poi una piena identificazione con quel ceto medio piccolo borghese che storicamente mai è stato di sinistra, mai ha creduto nel conflitto tra classi, mai ha pensato, non dico di rivoluzionare il capitalismo, ma neppure di riformarlo.

Se così stanno le cose - e per me non ci sono santi: stanno così - mi pare del tutto ovvio che non ci sia spazio, in politica, per chi ripete la vecchia storia del conflitto tra classi. C'è spazio invece per tutto il resto: per il liberismo, per il social-liberismo (liberismo + qualche ammortizzatore sociale), per il corporativismo (fascista e non), per il sovranismo (nazionalismo liberista/corporativista), per il qualunquismo (1) e per ogni altra cosa vi possa passare per la mente. Tutto tranne qualunque cosa che, anche timidamente, cerchi di ricordare che il conflitto tra classi esiste e che la collaborazione tra classi ha solo un effetto: rafforzare all'infinito la classe dominante.
Se questo è vero - e per me, anche stavolta, non ci sono santi: è vero - è inutile ripetere la tiritera (che tanti in questi anni, mesi, giorni, raccontano come pappagallini ammaestrati) che in Italia la "sinistra" non ha progetti, non ha idee, non ha programmi, non ha partiti in grado di opporsi alle destre.
E' semplicemente falso.
Ci sono millemila partiti di sinistra (dai marx-leninisti puri e duri che impugnano falce e martello pure al cesso, agli utopisti di PaP, ai tiepidissimi socialdemocratici di LeU) che continuano ad offrire piattaforme che si rifanno alla idea del conflitto sociale. C'è solo l'imbarazzo della scelta. Il fatto è che non li vota nessuno, non li segue nessuno, non li ascolta nessuno.
Perché? Perché nessuno crede più all'idea di conflitto di classe. E non perché quei partiti dicano scemenze (o solo scemenze) ma perché la società nella quale viviamo si è trasformata radicalmente (antropologicamente, diceva Pasolini) e domina un sentimento universale di opportunismo qualunquista che io, per mia comodità personale, chiamo piccolo-borghesismo. Un sentimento che fa ritenere, per esempio, al sottoproletario urbano di essere un benestante borghese perché ha in mano (non importa come lo ha ottenuto) un iphone e siede accanto al suo tavolo in un pub a bere una birretta.
Dalla parte opposta, a destra, invece viene votata - con una tranquillità che fa impressione - qualunque cosa a seconda degli umori del momento. Berlusconi, il Pd, la Lega, il M5S, qualunque cosa, insomma, non faccia più, manco per scherzo, riferimento all'idea del conflitto di classe. E dire che di cazzate immani, di stronzate intellettualmente infime e ridicole e razziste e pericolose e delinquenziali ed eversive, questi partiti ne dicono e ne fanno ben più di qualunque partitello di sinistra radicalissima.

A me la situazione pare questa. E me ne convinco sempre più che sia questa perché altrimenti non mi spiego il continuo successo delle destre comunque si chiamino e chiunque ne sia leader da un trentennio a questa parte (e non solo in Italia).
E fino a che non resuscita, per un qualche miracolo, l'idea del conflitto tra classi è inutile perdere tempo a schiamazzare sul fatto che in Umbria (in Sardegna, in Basilicata e ovunque) vinca la Lega e perda il Pd perché corrotto. E' una cazzata inaudita.
Il Pd perde perché non interpreta bene la voglia di destra radicale che circola nel paese. La corruzione non c'entra una minchia. Altrimenti non si voterebbe un partito che ha fatto sparire 49 milioni di euro di finanziamento pubblico. E non c'entra manco la questione dell'immigrazione: ché non mi pare che il PD abbia abolito, ora che è al governo, i decreti salvini. C'entra molto di più, invece, la questione della Flat Tax ad esempio, che tutti vogliono e desiderano come la panacea di tutti i mali. O l'altra questione pompata ad arte dai media: quella di ripristinare l'ordine sociale manomesso e sovvertito dalla crescente (altra stupidaggine) criminalità e microcriminalità.
Il fatto è che questa crisi, questo capitalismo libero dalla zavorra ideologica del conflitto di classe, ha prodotto milionate di incertezze ancora prima che milionate di disoccupati, sotto occupati ed emigrati. C'è una società in cui ogni cosa che sembrava eterna (il posto fisso, la casa di proprietà e quella di villeggiatura, la pensione, l'ascensore sociale dei titoli di studio, ecc.) si è sfarinata.
E alle incertezze si risponde con le certezze. In una politica fatta di spettacolo e di talk show vince chi ne offre di più. La Lega offre certezze, l'altra destra, quella social-liberista, offre dubbi, tentennamenti, distinguo (anche se poi fa le stesse cose della destra liberista: chi ha snaturato lo Statuto dei lavoratori? Berlusconi o Salvini? No, Renzi e il PD).
Il piccolo borghese in difficoltà non ama i dubbi e non ama chi li propone, ama le certezze e i capi.
Questo piccolo borghese adesso tutto patria e sovranità, tutto trumpista anti mondializzazione è lo stesso piccolo borghese intellettualmente mefitico e qualunquista che quando a Genova la polizia pestava a sangue e torturava i no-global non stava dalla parte di questi: stava dalla parte di chi le cariche di polizia le ordinava. A quei tempi, il sovranista nazionalista di oggi, era mondialista.
Fa schifo questa cosa, vero?
Eppure è così, ne conoscete tanti di questi qua. Ci lavorate accanto, ci andate a passeggio, ci parlate ogni giorno al bar.
Forse siete così anche voi.
Nulla di grave se è così.
Anzi, rallegratevene: siete ormai la maggioranza.
Vincerete voi.
Da noi, che crediamo ancora qualcosa che assomigli all'idea di conflitto di classe, non avete nulla più da temere.
Noi da voi sì.

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(1) per capirci: liberismo=forza italia, social-liberismo=PD/Renzi, corporativismo=fratelli d'Italia, sovranismo=Lega, qualunquismo=M5S.


https://www.facebook.com/turi.comito/posts/10217607687217948

venerdì 27 gennaio 2017

Ora ci divertiamo. - Marco Travaglio

Virginia Raggi Marra

Evviva evviva! 
Da 23 anni, da quando B. scese in campo, martelliamo la classe politica perché proibisca duramente per legge i conflitti d’interessi. E ora scopriamo che non c’è bisogno di leggi: il conflitto d’interessi è già severamente punito. E sul piano penale. È infatti per non aver impedito il conflitto d’interessi di Raffaele Marra, capo del Personale che seguiva i concorsi e le promozioni dei dirigenti comunali, compreso il fratello Renato, che Virginia Raggi è indagata con lui per abuso d’ufficio: lui per aver violato il Codice deontologico dei dipendenti comunali, lei il Regolamento di Roma Capitale. Abuso che, per l’accusa, si trascina dietro anche un falso: infatti la sindaca dichiarò all’Anticorruzione di aver deciso in totale autonomia di promuovere Renato Marra da dirigente dei vigili (fascia 1) a capo della Direzione Turismo (fascia 3), per risarcirlo della rinuncia alla sua vera aspirazione – il comando della Polizia municipale (fascia 5) – ed evitare un suo ricorso al Tar per l’ingiusta esclusione. E questa sarebbe una bugia, perché Raffaele avrebbe avuto un ruolo attivo nella nomina di Renato.
Al momento, cos’abbia fatto davvero Raffaele e dunque se la sindaca abbia abusato del suo ufficio e mentito oppure no, non lo sa nessuno. La Raggi ripete di aver deciso la promozione di Renato con l’assessore al Commercio Meloni, che aveva apprezzato il lavoro del dirigente nei blitz contro l’abusivismo commerciale. Vedremo se, nell’interrogatorio del 30 gennaio, riuscirà a convincere i pm. Nella famosa chat del quartetto Raggi-Frongia-Romeo-Raffaele Marra, non c’è nulla che confermi né smentisca la versione della sindaca. Che, a quanto risulta, si limitò a chiedere al suo capo del Personale quali fossero le procedure previste dalla legge e quale aumento di stipendio comportasse la promozione del fratello. In ogni caso, quando l’Anac di Cantone ha girato il rapporto alla Procura di Roma, questa non poteva far altro che aprire un fascicolo, iscrivere la Raggi (e Marra) sul registro e convocarla con invito a comparire per interrogarla. Ma il risultato è che, per la prima volta a memoria d’uomo, almeno su un politico di peso, il conflitto d’interessi innesca un processo penale. Splendida notizia: se il nuovo rito capitolino dovesse contagiare le altre Procure, si salverebbero in pochi. Resta il rammarico che la nuova giurisprudenza, inaugurata in esclusiva mondiale da Raggi e Marra, sia stata scoperta solo ora. Bastava un mese di anticipo, e la stessa Procura avrebbe faticato a chiedere l’archiviazione per Gianluca Gemelli.
Cioè il compagno lobbista della ministra Federica Guidi, che reclamava e otteneva emendamenti à la carte dal governo dell’amata. Anzi, in base al lodo Raggi-Marra, avrebbe dovuto indagare pure l’ex ministra. E pure Maria Elena Boschi, per tutti i Consigli dei ministri cui ha partecipato per discutere di banche, fra cui l’Etruria già vicepresieduta da suo padre. Se poi, Dio non voglia, il vento di Roma dovesse soffiare fino a Milano, il sindaco Sala – oltreché per le false dichiarazioni con ville e società dimenticate e per il taroccamento della principale gara d’appalto di Expo – verrebbe ipso facto inquisito per aver promosso assessore al Bilancio non il parente di un collaboratore, ma direttamente il suo socio in affari. Idem l’ex ministra Cancellieri, per le telefonate – ritenute non penalmente rilevanti perché “solo” in conflitto d’interessi – in cui perorava la scarcerazione della figlia di Ligresti, datore di lavoro di suo figlio. Quella di Napoli dovrebbe procedere a pie’ fermo su Vincenzo De Luca, governatore della Campania che tratta i fondi regionali al Comune di Salerno con l’assessore al Bilancio Roberto De Luca, suo figlio. E quella di Bologna dovrebbe rivedere il caso dell’ex governatore Vasco Errani, ora commissario al terremoto, la cui giunta finanziò con un milione la coop del fratello per una cantina sociale mai nata. Ma dovrebbe mobilitarsi, e alla svelta, anche la Procura di Firenze, per i possibili conflitti d’interessi fra papà Renzi e il premier Renzi e fra l’allora sindaco Matteo e l’amico Marco Carrai, che mentre gli metteva a disposizione un appartamento gratis in centro città, ne veniva nominato capo di Firenze Parcheggi e Aeroporti Firenze.
Siccome, poi, nel caso Raggi-Marra c’è di mezzo l’Anac, la Procura di Roma ha l’occasione di proseguirne l’opera occupandosi dell’ad Rai Antonio Campo Dall’Orto, a proposito degli 11 dirigenti esterni ingaggiati a peso d’oro senza job posting fra gli interni: a cominciare da quel capolavoro di conflitto d’interessi chiamato Genséric Cantournet, nuovo capo della Security fatto selezionare da Cdo a una società di provata indipendenza: quella di suo padre. Ma, volendo, ci sarebbe pure la spiacevole vicenda di Alessandro Alfano, fratello del ministro Angelino, assunto come dirigente dalle Poste e pagato 200 mila euro l’anno per non firmare un solo atto. Per non parlare di B., che dal 1994 al 2011 legiferò e decretò decine di volte per i suoi processi e le sue aziende: prima che scatti la prescrizione, si fa in tempo a dargli l’ergastolo. E noi che, malfidati, eravamo rassegnati a considerare queste vicende eticamente imbarazzanti, ma penalmente irrilevanti per vuoto normativo. Ora che invece il conflitto d’interessi diventa reato per Raggi e Marra, siccome la legge è uguale per tutti, ci divertiremo un mondo. O no?
Ps. Ieri, c.v.d., la Consulta ha stabilito che Renzi e la sua maggioranza (la stessa di Gentiloni) non hanno violato un codice deontologico o un regolamento comunale: hanno calpestato la Costituzione due volte in una sola legge. Chissà oggi lo sdegno dei giornaloni e dei telegiornaloni. 

O no?

lunedì 7 marzo 2016

La Grecia intercetta una nave turca carica di armi e munizioni per i jihadisti dell’SIS in Libano.

Nave turca intercettata

I guardia coste greci hanno intercettato ieri una nave turca al largo dell’isola di Creta ed hanno proceduto al sequestro di un carico di armi, munizioni ed esplosivo contenuto in sei containers che erano destinati in Libano. Sono stati arrestati tutti i componenti dell’equipaggio: 6 siriani, 4 indiani ed un libanese.
La nave proveniva dalla Turchia ed in particolare era salpata dal porto di Izmir dove aveva imbarcato il carico. Secondo il portavoce della polizia greca la nave è stata costretta ad attraccare al porto greco di la Canea, nell’Ovest dell’Isola di Creta dove le autorità greche hanno effettuato un attento controllo del carico.
Un episodio apparentemente minore che in realtà dimostra fin dove si spinge la macchinazione turca in Medio Oriente.
Secondo il giornale Al Akhbar, l’operazione con cui è stato intercettata questa nave ricorda un altro antecedente, quello della nave Lutfullah 2, che fu intercettata dall’Esercito libanese nel 2012. Questa nave portava a bordo decine di tonnellate di armamenti provenienti dalla Libia con destinazione al porto di Tripoli, nel Nord del Libano. Questa regione libanese conta con parecchi seguaci dell’ISIS e del Fronte al Nusra.
L’invio di questa nave potrebbe essere opera dei servizi di intelligence turchi che stanno collaborando con i sauditi nell’obiettivo di destabilizzare il Libano.
I turchi ed i sauditi stanno operando sulla regione nord del Libano al fine di consolidare la posizione del partito islamista libanese Yamaat Islamiya. L’obiettivo sarebbe quello di svincolarlo dalla corrente Futuro, diretta da Saad Hariri e mettere questo partito in antagonismo con Hezbollah. Questo consentirebbe ai sauditi e turchi di assicurarsi un insediamento confessionale in Libano per attaccare e destabilizzare il paese sulla base di un conflitto confessionale contro sciiti, drusi e cristiani, visto che anche questi ultimi appoggiano Hezbollah, considerato l’unico difensore della sicurezza delle comunità cristiane e druse dagli attacchi degli integralisti.
Nota: La Turchia, in alleanza con l’Arabia Saudita, sta cercando di aprire un nuove fronte in Libano per colpire le forze di Hezbollah, alleate della Siria, che hanno il loro quartire generale a Beirut, nella zona sciita.Il piano turco saudita si basa sulla possibilità di effettuare attacchi terroristici mediante cellule dell’ISIS e di Al Nusra, fatte infiltrare in Libano e reclutate nei campi profughi presenti nel paese.
Un grosso attentato a Beirut era già avvenuto tre mesi fa ed aveva colpito il quartiere sciita di „ Bourj al-Barajne“ , nella periferia della capitale libanese, con un bilancio di 40 morti e 105 feriti. Il quartiere viene considerato una roccaforte del movimento Hezbollah ed era apparsa chiara l’intenzione del gruppo terrorista di assestare un colpo agli Hezbollah, che sono considerati i peggiori nemici dei miliziani salafiti.
Da allora si sono verificati altri fatti e vari tentativi di infiltrazione alla frontiera libanese siriana che sono stati però sempre bloccati dagli Hezbollah che vigilano attentamente sui passi montuosi che mettono in comunicazione il Libano con la vicina Siria.
Gli Hezbollah svolgono un ruolo chiave nella guerra siriana con il loro appoggio alle operazioni militari dell’Esercito siriano con cui operano fianco a fianco ed attualmente sono sotto le dipendenze del comando unificato Russo-siriano-Iraniano che coordina le operazioni militari in Siria.
Si calcola che in Siria vi siano almeno 5.000 combattenti di Hezbollah. L’ Iran sostiene militarmente e logisticamente il movimento sciita libanese ed ultimamente ha fornito una serie di armi avanzate fra cui i nuovi missili iraniani di tipo “Fateh”, con una gittata di 250-350 chilometri, capaci di trasportare testate da 500 kg. Oltre all’arsenale di razzi, Hezbollah avrebbe acquisito anche avanzati sistemi di difesa anti-aerea e anti-navale dalla e/o attraverso la Siria, e avrebbe accresciuto i suoi armamenti anti-carro e anti-blindati. Ilpotenziale di Hezbollah è risultato talmente fortificato da preoccupare notevolmente anche le autorità militari di Israele.
Risulta che ci sia un accordo segreto fra Israele, Arabia Saudita e Turchia per attaccare il Libano con lestesse tecniche di sobillazione utilizzate in Siria, attraverso azioni di sabotaggio e di terrorismo contro obiettivi civili ed istituzionali del paese per poi spacciare tale azioni (con la complicità dei media occidentali) come una “insurrezione popolare” ed avere quindi il pretesto di un intervento armato. Il ruolo chiave sarebbe esercitato (come in Siria) dai gruppi terroristi jihadisti e mercenari arruolati ed addestrati in Arabia Saudita e Turchia. Alla Turchia , per la sua vicinanza alle coste libanesi, sarebbe assegnato il compito di rifornire di armi ed esplosivi i gruppi terrroristi. Questo spiega l’interesse delle autorità turche di far entrare via mare nel paese carichi di armi ed esplosivi destinati alle cellule dei terroristi già presenti nel paese.
Non è escluso che il contraccolpi negativi subiti dalla Turchia in Siria, per causa dell’intervento russo e con la perdita delle postazioni ad Aleppo e Latakia, abbiano spinto Erdogan alla decisione di aprire un altro fronte ad Ovest della Siria per cercare di colpire alle spalle la coalizione Siria-Iran-Hezbollah.
Fonti: Al Manar Al Akhbar - Traduzione e nota: Luciano Lago
Aveva ragione Putin quando sosteneva che la Turchia appoggiava l'ISIS ....

martedì 27 gennaio 2015

Il ''conflittuccio'' d'interesse del ministro #Boschi.




"Ormai è chiaro che in tema di conflitti di interessi Renzi e il suo governo hanno ben poco da invidiare al grande maestro, l'ex Cavaliere di Arcore. 
Ora si scopre che il ministro Boschi è anche azionista della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, istituto che ha fatto un balzo del 66% in Borsa per effetto degli annunci trapelati, a mercati aperti, da Palazzo Chigi sulla riforma delle maggiori banche regolate dal voto capitario. 
Non bastava sapere che papà Boschi è vicepresidente della Popolare dell'Etruria, intermediario del credito presso cui lavora pure il fratello del ministro delle Riforme. 
Adesso si scopre, dunque, che esiste anche un interesse formale diretto, seppur piccolo, della giovane Maria Elena nell'istituto. 
E pensare che Boschi non si è neppure astenuta dal voto nella seduta del Cdm del 20 gennaio che ha approvato il decreto di riforma delle popolari. 
Non ha nemmeno salvato ipocritamente la forma e ha finito per fare peggio di Berlusconi che, da premier, ogni tanto si alzava e usciva dal Consiglio dei ministri quando si decideva qualcosa sui suoi affari privati. 
Noi abbiamo già annunciato un esposto a Consob sulle fughe di notizie che hanno sconvolto la Borsa sul finire della settimana scorsa. 
Adesso faremo in modo che il governo venga a rispondere in Parlamento di questo modo protervo e arrogante di trattare le commistioni tra la cosa pubblica e gli interessi privati." M5S Parlamento

http://www.beppegrillo.it/2015/01/il_conflittuccio_dinteresse_del_ministro_boschi.html

martedì 29 luglio 2014

Norman G. Finkelstein.




Norman Finkelstein : per rispetto dei miei genitori sterminati nei lager nazisti non starò in silenzio sui crimini d'Israele verso i Palestinesi .

Norman G. Finkelstein, ebreo scienziato politico americano e autore, specializzato in questioni legate al conflitto israelo-palestinese.