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giovedì 18 febbraio 2021

Imprese vs salari e diritti confronto Draghi-Conte. - Salvatore Cannavò

 

Diceva il Nerone di Petrolini: “Quando il popolo si abitua a dire che sei bravo, pure che non fai niente, sei sempre bravo”. Al posto del popolo mettete il 90 per cento del Parlamento, uno stuolo di giornalisti compiacenti e l’equazione regge lo stesso. Quello bravo è Mario Draghi, ma se si ha la pazienza di andarsi a rileggere il discorso con cui Giuseppe Conte inaugurò il suo secondo governo, si scoprirà che era bravo anche lui e che la distanza tra i due è invece misurabile in una diversa attitudine sociale: più legato al lavoro e ai diritti sociali Conte; più attento all’impresa Draghi. Se questo àncora il proprio governo a uno “spirito repubblicano”, l’ex avvocato del popolo si rifaceva a un “nuovo umanesimo” basato su principi “non negoziabili” saldamente allacciati alla prima parte della nostra Costituzione. A rigore istituzionale, insomma, sono almeno pari.

Sui temi Draghi deve concentrarsi sulla crisi pandemica, ancora inesistente nel settembre del 2019, ma egli stesso invita a guardare oltre. Sulla Scuola, ad esempio, sottolinea con forza “l’attenzione agli Istituti tecnici”, richiesta storica di Confindustria. Conte si dilungava invece sul diritto allo studio, sui costi per le fasce più deboli e sugli asili nidi, assenti nel discorso di ieri. Su università e ricerca invece dicono circa le stesse cose: “Investire adeguatamente, puntando all’eccellenza, ovvero a una ricerca riconosciuta a livello internazionale” (Draghi); “La qualità della nostra ricerca, già eccellente, può e deve essere ulteriormente accresciuta anche attraverso un più intenso coordinamento tra centri universitari ed enti di ricerca” (Conte).

Entrambi insistono sulla riforma della Pubblica amministrazione e la sua digitalizzazione. Anche sul terreno scabroso della Giustizia si legge che occorre “aumentare l’efficienza del sistema giudiziario civile” (Draghi) e che “il nostro Paese necessita di una riforma della giustizia civile, penale e tributaria, anche attraverso una drastica riduzione dei tempi” (Conte, il quale aggiunge la riforma del metodo di elezione del Csm – Palamara doveva ancora arrivare, ndr –, ma anche una preoccupazione per la lotta alla mafia, che Draghi non cita mai).

Di Draghi si dice che è il miglior governo sull’Ambiente, anche se si è limitato solo ad alcuni slogan, a parte il riferimento a Papa Francesco. Conte parlava già a fine 2019 di “transizione ecologica”, riferendosi al Green New Deal, “riconversione energetica, fonti rinnovabili, biodiversità dei mari, dissesto idrogeologico ed economia circolare”. E indicava subito lo stop alle trivellazioni come impegno immediato. Quasi simili sul Mezzogiorno: “Capacità di attrarre investimenti privati, creare lavoro, irrobustire le amministrazioni” (Draghi); “Banca pubblica, investimenti, capitale fisico umano e sociale, zone economiche speciali, Fondi europei di sviluppo e coesione” (Conte). Identici sul Fisco: “Ridurre gradualmente il carico fiscale preservando la progressività; rinnovato e rafforzato impegno nell’azione di contrasto all’evasione fiscale” (Draghi). “Graduale rimodulazione delle aliquote a sostegno dei redditi medio-bassi, in linea con il fondamentale principio costituzionale della progressività della tassazione” (Conte, che segna qui la sua differenza sociale: “Il nostro obiettivo è ridurre le tasse sul lavoro a totale vantaggio dei lavoratori e individuare una retribuzione giusta”). Quando parla di lavoro, Draghi si limita a citare le “politiche attive”, l’assegno “di riallocazione” e il personale per i centri per l’impiego.

Draghi vincola il governo all’Europa? Conte aveva detto che “l’Italia sarà protagonista di una fase di rilancio e di rinnovamento dell’Unione” e che “l’interesse nazionale sarà rafforzato se le istituzioni dell’Ue e la sua coesione interna ne usciranno rafforzate”. Pressoché analoghi gli impegni sulle migrazioni: rigore sui rimpatri, accoglienza ai richiedenti asilo, patto di Dublino. E poi si arriva alla tanto decantata svolta atlantica di Draghi come se l’Italia nell’ultimo anno e mezzo si fosse iscritta al Cominform. Eppure Conte aveva indicato chiaramente “tre assi fondamentali”: Unione europea, relazioni transatlantiche, con il corollario della nostra appartenenza alla Nato, “e l’imprescindibile legame con gli Stati Uniti e la stabilizzazione e lo sviluppo del Mediterraneo allargato”. Anche i rapporti con India, Russia e Cina, aveva aggiunto, devono essere “compatibili con la nostra vocazione euro-atlantica”.

Il binomio “bravo” e “incompetente”, come si nota, è solo propaganda. Basti pensare al Ricovery Fund che Draghi non intende riscrivere, ma solo “approfondire e completare” perché i progetti costruiti finora sono di “alto livello”. Appunto. Lo farà, però, da solo, con i ministri fidati che si è scelto lui. E alla fine, la sostanza è tutta qui.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/18/imprese-vs-salari-e-diritti-confronto-draghi-conte/6105229/

mercoledì 2 dicembre 2020

Ormai “Report” è un’ istituzione. Aldo Grasso

 

Giorni fa, da un conoscente ho ricevuto il seguente messaggio: «Lunedì tutti su Rai3, stanno tentando di far chiudere la trasmissione di Sigfrido Ranucci “Report” adducendo che la gente non lo guarda. Dimostriamo il contrario guardando tutti la sua trasmissione. Se puoi condividi il messaggio».

Siccome l’ appello proveniva da una persona che stimo, ho provato a rispondergli dicendo che la notizia mi pareva impossibile. Per almeno due ragioni. La prima è che il conduttore Sigfrido Ranucci è stato da poco nominato vicedirettore di Rai3 e l’ incarico ha un significato non di poco conto. Milena Gabanelli era una freelance, una giornalista esterna all’ azienda e a ogni rinnovo di contratto doveva garantirsi anche la tutela legale.

Conquista non facile e più volte messa in discussione dai vertici di Viale Mazzini: «Senza tutela legale – affermava la giornalista – un programma come “Report” non si può fare, sarebbe come andare sull’ Everest in costume da bagno». Ranucci può invece tranquillamente mettersi in costume da bagno, nessuno lo toccherà (non per caso è ospite fisso di «Che tempo che fa»).

La seconda ragione è che ormai «Report» (accento sulla o) è un’ istituzione. Può parlare, come ieri sera, di Alitalia, di Air Force Renzi, del piano pandemico italiano non aggiornato, dell’ Organizzazione mondiale della sanità, dell’ impreparazione della sanità italiana di fronte alla seconda ondata, può parlare di tutto.

Al massimo, si limiterà a frettolose scuse se nelle sue inchieste avrà coinvolto persone che non c’ entrano. Senza lo scudo di «Report» versione Ranucci, la Rai faticherebbe non poco a giustificare il canone verso una larga fetta di popolazione assetata di giustizia mediatica. Risposta dell’ illustre conoscente: «Se la chiusura è una bufala, avremo solamente seminato un po’ di indignazione che non guasta quasi mai e non perderemo “Report”».

https://infosannio.com/2020/12/01/ormai-report-e-un-istituzione/

mercoledì 3 giugno 2020

Il Coniglio superiore. - Marco Travaglio

Consiglio superiore della magistratura: rimossi due giudici di ...
Si pensava e sperava che leggendo le intercettazioni, penalmente irrilevanti ma moralmente rilevantissime, dell’inchiesta Palamara i nostri partiti avessero capito non solo che, ma anche come vanno riformati il Consiglio superiore della magistratura e l’Ordinamento giudiziario. Purtroppo non è così e infatti non solo il centrodestra, ma anche il Pd si oppongono a una delle proposte di maggior buonsenso avanzate dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede: quella che, per rompere il circuito perverso delle porte girevoli fra politica e magistratura, impedisce ai magistrati che entrano in politica di tornare in toga con funzioni penali (sia inquirenti sia giudicanti???), ma vieta anche a chi ricopre cariche elettive (parlamentare, ministro, amministratore locale) di diventare subito dopo membro laico del Csm. Cioè dell’organo costituzionale che è il supremo garante dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura da ogni altro potere e dunque dev’essere esso stesso autonomo e indipendente da ogni altro potere. Anzitutto quello politico. Noi siamo per abolire i membri laici, cioè eletti dal Parlamento, affinché il Csm sia davvero un organo di autogoverno e non di eterogoverno dei magistrati, ma sappiamo bene che ciò richiederebbe una riforma costituzionale e che non esiste purtroppo una maggioranza (per giunta dei due terzi) disposta ad approvarla. Ma evitare che un ministro, un sottosegretario o un parlamentare vada direttamente a giudicare disciplinarmente i magistrati e a deciderne le carriere è proprio il minimo sindacale (poi, certo, va anche restituita la titolarità dell’azione penale ai singoli pm e non più soltanto ai procuratori capi, vanno aboliti i limiti di 8 anni per gli incarichi direttivi e semidirettivi delle Procure e va istituito un sistema misto, col sorteggio preliminare, per l’elezione dei membri togati del Csm).
E invece il Pd, per bocca del suo ineffabile sottosegretario alla Giustizia Andrea Giorgis, fa sapere che è cosa buona e giusta che un parlamentare cambi cappello e vada al Csm. Addirittura come vicepresidente, cioè come capo effettivo dell’insigne consesso, visto che raramente il presidente di diritto – il capo dello Stato – partecipa alle sedute. Del resto lo dobbiamo al Pd se i vicepresidenti degli ultimi due Csm, Giovanni Legnini di quello passato e David Ermini di quello in carica, erano fino al giorno prima parlamentari (Legnini addirittura sottosegretario all’Economia del governo Renzi). Alla faccia dell’autonomia e dell’indipendenza. Purtroppo i padri costituenti non avevano previsto le degenerazioni della partitocrazia. Dunque non avevano immaginato che il Csm si sarebbe trasformato in una casa di riposo per politici trombati o un plotone di esecuzione della peggiore politica contro la migliore magistratura. Ma ciò che sognavano, quando introdussero nel Csm la quota dei laici (pur minoritaria rispetto ai togati), era chiaro e lampante: e cioè che il Parlamento designasse figure di alto prestigio, professionalità e indipendenza nel mondo del diritto. Infatti prescrissero di sceglierli “tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio”. Non tra parlamentari o sottosegretari in carica. Ci volle la spudoratezza prima di B., poi della Lega, poi del centrosinistra e infine dell’Innominabile per mandarci gli avvocati di stretta fiducia dei leader che, per comodità, se li erano già portati in Parlamento e al governo. Infatti, quando la politica era una cosa seria, anche i partiti più malfamati della Prima Repubblica mandarono a vicepresiedere il Csm giuristi cristallini come Vittorio Bachelet, Giovanni Conso, Vittorio Bachelet e Cesare Mirabelli, insieme a ex politici molto autorevoli e defilati come Alfredo Amatucci, Giacinto Bosco, Giancarlo De Carolis e Giovanni Galloni (con l’eccezione di Ugo Zilletti, beccato nelle liste della P2). Poi, con l’arrivo di B., lo sbraco: nel Csm entrarono i pasdaran antigiudici forzisti Viviani, Buccico, Casellati, Anedda, Di Federico, Spangher e Leone, uno degli avvocati di B. (Saponara), l’avvocato di Bossi (Brigandì, poi decaduto perché indagato e incompatibile, mentre raccoglieva dossier sulla Boccassini), l’avvocato di Etruria e di papà Boschi (Fanfani), due avvocati dalemiani (Di Cagno e Calvi), per finire in bellezza con i vicepresidenti Mancino (napolitanista), Vietti (piercasinista) ed Ermini (turborenziano e lottiano, poi convertito sulla via di Perugia).
Una galleria degli orrori che s’è aggiunta ai traffici di corrente dei membri togati, giocando di sponda con loro e col Quirinale (specie ai tempi di Re Giorgio) in conto terzi (i partiti di provenienza) per punire i magistrati migliori e promuovere i peggiori ben prima che il trojan nel cellulare di Palamara squarciasse il velo dell’ipocrisia. I casi De Magistris, Apicella, Nuzzi, Verasani, Woodcock, Iannuzzi, Robledo, Forleo, Di Matteo, Ingroia, Lo Forte, Scarpinato e tanti altri sono ancora lì, impuniti e graveolenti, a imperitura memoria (per chi ne possiede una). E ora che finalmente il re è nudo, tocca pure sentire qualcuno che non vuole cambiare le cose. O vuole fingere di cambiare tutto per non cambiare nulla. La verità è che i vecchi partiti non rimproverano a Palamara di aver fatto ciò che facevano tutti da 25 anni. Ma di essersi fatto beccare.