sabato 22 ottobre 2011

Le pressioni di Lavitola su Frattini per l’amico dilpomatico


In una mail del 2011, il faccendiere amico di Berlusconi chiede al ministro degli Esteri la promozione dell'attuale ambasciatore italiano di Panama. La Farnesina si difende: "Non gli abbiamo mai risposta".
“Caro Franco, per piacere hai notizie della promozione dell’Ambasciatore Curcio? Ti abbraccio Valter”. Non ci sarebbe nulla di strano in una lettera così: sarebbe una comune richiesta di informazioni che somiglia a una raccomandazione, come se ne fanno tante al ministero. Se non fosse per il mittente, Valter Lavitola, attualmente latitante a Panama, e per il destinatario: Franco Frattini. È da giorni che il ministro degli Esteri prova a prendere le distanze da Lavitola: sorpreso in una fotografia durante un incontro con il ministro albanese in compagnia di Lavitola, ha dichiarato “Allora nessuno immaginava chi fosse, nel senso che non si parlava di affari illeciti e di indagini. Era lì come tante altre persone e se non ricordo male conosceva il ministro albanese assai prima di quando lo conoscessi io”. Insomma Lavitola era presente all’incontro del novembre 2009 alla Farnesina perché amico del ministro albanese e non perché aveva tampinato la segretaria di Frattini per essere presente.

Purtroppo per Frattini Il Fatto ha rintracciato una mail inviatagli dall’amico Valter un anno e mezzo dopo, alle 17,44 del 24 febbraio 2011. E in quella data Lavitola non era certo uno sconosciuto: era stato protagonista della rocambolesca acquisizione della lettera del ministro dell’isola di Saint Lucia che metteva nei guai Gianfranco Fini.

A rendere imbarazzante la mail non c’è solo il tono, ma anche il contenuto. Il terzo uomo della mail, quello per cui Lavitola chiede della promozione, è Giancarlo Maria Curcio, attuale ambasciatore di Panama. Lavitola si interessa della sua promozione. Curcio era stato appena nominato ambasciatore a Panama, ma nella carriera diplomatica era rimasto fermo al grado di Consigliere di ambasciata. Il suo nome era tra i promuovibili al rango di “ministro” e Lavitola tifava per lui. Dal tono della mail sembrerebbe che la questione fosse nota a Frattini.

Al Fatto la Farnesina, informata della mail, prima smentisce e poi precisa che “anche se ricevuta, (la mail, ndr), non è stata data risposta a Lavitola”. Quindi la segnalazione c’è, ma secondo la Farnesina a vuoto: “Curcio non è stato né proposto per la promozione a ministro plenipotenziario né promosso”. E comunque, prosegue la nota, “Lavitola in quel periodo non era indagato”. Lavitola non ci riesce ma ci prova e che il suo tentativo sia andato a vuoto lo scopriamo solo oggi. E scopriamo anche che l’ambasciatore Curcio si occupa attivamente degli affari panamensi degli imprenditori italiani che interessano a Lavitola.

Il Fatto ha pubblicato alcuni giorni fa un documento interno del Governo panamense nel quale si preventiva una spesa di 112 milioni di euro per costruire 4 carceri. I penitenziari dovevano essere costruiti da un consorzio legato a Lavitola. Sei mesi dopo l’interessamento di Valter per Curcio, l’ambasciatore scrive a Palazzo Chigi. Il Fatto ha visionato una mail del 2 agosto 2011, da Curcio a Luigi Maccotta, direttore centrale per l’America Latina del ministero e a MassimilianoMazzanti, che a Palazzo Chigi è lo sherpa del G20 competente per America. In copia l’addetto commerciale all’ambasciata di Panama. Curcio riferisce di avere ricevuto una telefonata del presidente panamense Martinelli il quale è furioso, perché Berlusconi non mantiene le promesse. Martinelli attende la costruzione di un ospedale pediatrico a Veraguas e la consegna di quattro motovedette alla Marina panamense. Curcio nella sua mail spiega quali sono i rischi: “La telefonata è da mettere in relazione ad alcuni contatti per cercare di sbloccare la questione della realizzazione delle carceri modulari dell’azienda italiana Svenmark”. La “questione delle carceri”, aggiunge Curcio, è già prevista dal Memorandum d’Intesa firmato da Martinelli e Berlusconi, ma il presidente panamense, irritato per la mancata consegna delle navi e dell’ospedale, non vuole saperne. Prosegue Curcio: “Sarebbe oltre modo opportuno un urgente contatto del Presidente Berlusconi con il Presidente Martinelli per cercare di rasserenare gli animi”.

Curcio quindi chiede a Berlusconi di intervenire per ridefinire gli impegni in favore dell’impresa che deve fare le carceri: la Svemark. E di chi è il consorzio Svemark? Come il Fatto ha già raccontato tra i suoi soci figura, oltre al ligure Paolo Passalacqua con la sua Precetti, anche l’imprenditore romano Angelo Capriotti, che fa affari con Lavitola e ha assunto la moglie di Giampaolo Tarantini. Insomma Curcio sta muovendo i massimi livelli della nostra diplomazia anche nell’interesse dell’amico di Valter, amico del “caro Franco”.

di Francesca Biagiotti e Antonio Massari


Come è stata svenduta l’Italia. di Antonella Randazzo.




Era il 1992, all'improvviso un'intera classe politica dirigente crollava sotto i colpi delle indagini giudiziarie. Da oltre quarant'anni era stata al potere. Gli italiani avevano sospettato a lungo che il sistema politico si basasse sulla corruzione e sul clientelismo. Ma nulla aveva potuto scalfirlo. Né le denunce, né le proteste popolari (talvolta represse nel sangue), né i casi di connivenza con la mafia, che di tanto in tanto salivano alla cronaca. Ma ecco che, improvvisamente, il sistema crollava. 
Cos'era successo da fare in modo che gli italiani potessero avere, inaspettatamente, la soddisfazione di constatare che i loro sospetti sulla corruzione del sistema politico erano reali?
Mentre l'attenzione degli italiani era puntata sullo scandalo delle tangenti, il governo italiano stava prendendo decisioni importantissime per il futuro del paese. 
Con l'uragano di "Tangentopoli" gli italiani credettero che potesse iniziare un periodo migliore per l'Italia. Ma in segreto, il governo stava attuando politiche che avrebbero peggiorato il futuro del paese. Numerose aziende saranno svendute, persino la Banca d'Italia sarà messa in vendita. La svendita venne chiamata "privatizzazione".
Il 1992 fu un anno di allarme e di segretezza. L'allora Ministro degli Interni Vincenzo Scotti, il 16 marzo, lanciò un allarme a tutti i prefetti, temendo una serie di attacchi contro la democrazia italiana. Gli attacchi previsti da Scotti erano eventi come l'uccisione di politici o il rapimento del presidente della Repubblica. Gli attacchi ci furono, e andarono a buon fine, ma non si trattò degli eventi previsti dal Ministro degli Interni. L'attacco alla democrazia fu assai più nascosto e destabilizzante.
Nel maggio del 1992, Giovanni Falcone venne ucciso dalla mafia. Egli stava indagando sui flussi di denaro sporco, e la pista stava portando a risultati che potevano collegare la mafia ad importanti circuiti finanziari internazionali. Falcone aveva anche scoperto che alcuni personaggi prestigiosi di Palermo erano affiliati ad alcune logge massoniche di rito scozzese, a cui appartenevano anche diversi mafiosi, ad esempio Giovanni Lo Cascio. La pista delle logge correva parallela a quella dei circuiti finanziari, e avrebbe portato a risultati certi, se Falcone non fosse stato ucciso.
Su Falcone erano state diffuse calunnie che cercavano di capovolgere la realtà di un magistrato integro. La gente intuiva che le istituzioni non lo avevano protetto. Ciò emerse anche durante il suo funerale, quando gli agenti di polizia si posizionarono davanti alle bare, impedendo a chiunque di avvicinarsi. Qualcuno gridò: "Vergognatevi, dovete vergognarvi, dovete andare via, non vi avvicinate a queste bare, questi non sono vostri, questi sono i nostri morti, solo noi abbiamo il diritto di piangerli, voi avete solo il dovere di vergognarvi".
Che la mafia stesse utilizzando metodi per colpire il paese intero, in modo da spaventarlo e fargli accettare passivamente il "nuovo corso" degli eventi, lo si vedrà anche dagli attentati del 1993.
Gli attentati del 1993 ebbero caratteristiche assai simili agli attentati terroristici degli anni della "strategia della tensione", e sicuramente avevano lo scopo di spaventare il paese, per indebolirlo. Il 4 maggio 1993, un'autobomba esplode in via Fauro a Roma, nel quartiere Parioli. Il 27 maggio un'altra autobomba esplode in via dei Georgofili a Firenze, cinque persone perdono la vita. La notte tra il 27 e il 28 luglio, ancora un'autobomba esplode in via Palestro a Milano, uccidendo cinque persone. I responsabili non furono mai identificati, e si disse che la mafia volesse "colpire le opere d'arte nazionali", ma non era mai accaduto nulla di simile. I familiari delle vittime e il giudice Giuseppe Soresina saranno concordi nel ritenere che quegli attentati non erano stati compiuti soltanto dalla mafia, ma anche da altri personaggi dalle "menti più fini dei mafiosi".[1]
Falcone era un vero avversario della mafia. Le sue indagini passarono a Borsellino, che venne assassinato due mesi dopo. La loro morte ha decretato il trionfo di un sistema mafioso e criminale, che avrebbe messo le mani sull'economia italiana, e costretto il paese alla completa sottomissione politica e finanziaria.
Mentre il ministro Scotti faceva una dichiarazione che suonava quasi come una minaccia: "la mafia punterà su obiettivi sempre più eccellenti e la lotta si farà sempre più cruenta, la mafia vuole destabilizzare lo stato e piegarlo ai propri voleri", Borsellino lamentava regole e leggi che non permettevano una vera lotta contro la mafia. Egli osservava: "non si può affrontare la potenza mafiosa quando le si fa un regalo come quello che le è stato fatto con i nuovi strumenti processuali adatti ad un paese che non è l’Italia e certamente non la Sicilia. Il nuovo codice, nel suo aspetto dibattimentale, è uno strumento spuntato nelle mani di chi lo deve usare. Ogni volta, ad esempio, si deve ricominciare da capo e dimostrare che Cosa Nostra esiste".[2] 
I metodi statali di sabotaggio della lotta contro la mafia sono stati denunciati da numerosi esponenti della magistratura. Ad esempio, il 27 maggio 1992, il Presidente del tribunale di Caltanissetta Placido Dall’Orto, che doveva occuparsi delle indagini sulla strage di Capaci, si trovò in gravi difficoltà: "Qui è molto peggio di Fort Apache, siamo allo sbando. In una situazione come la nostra la lotta alla mafia è solo una vuota parola, lo abbiamo detto tante volte al Csm".[3]
Anche il Pubblico Ministero di Palermo, Roberto Scarpinato, nel giugno del 1992 disse: "Su un piatto della bilancia c’ è la vita, sull’altro piatto ci deve essere qualcosa che valga il rischio della vita, non vedo in questo pacchetto un impegno straordinario da parte dello Stato, ad esempio non vedo nulla di straordinario sulla caccia e la cattura dei grandi latitanti".[4] 
Nello stesso anno, il senatore Maurizio Calvi raccontò che Falcone gli confessò di non fidarsi del comando dei carabinieri di Palermo, della questura di Palermo e nemmeno della prefettura di Palermo.[5]
Che gli assassini di capaci non fossero tutti italiani, molti lo sospettavano. 
Il Ministro Martelli, durante una visita in Sudamerica, dichiarò: "Cerco legami tra l’assassinio di Falcone e la mafia americana o la mafia colombiana".[6] Lo stesso presidente del consiglio Amato, durante una visita a Monaco, disse: "Falcone è stato ucciso a Palermo ma probabilmente l’omicidio è stato deciso altrove".  
Probabilmente, le tecniche d'indagine di Falcone non piacevano ai personaggi con cui il governo italiano ebbe a che fare quell'anno. Quel considerare la lotta alla mafia soprattutto un dovere morale e culturale, quel coinvolgere le persone nel candore dell'onestà e dell'assenza di compromessi, gli erano valsi la persecuzione e i metodi di calunnia tipici dei servizi segreti inglesi e statunitensi. Tali metodi mirano ad isolare e a criminalizzare, cercando di fare apparire il contrario di ciò che è. Cercarono di far apparire Falcone un complice della mafia. Antonino Caponnetto dichiarò al giornale La Repubblica: "Non si può negare che c’è stata una campagna (contro Falcone), cui hanno partecipato in parte i magistrati, che lo ha delegittimato. Non c’è nulla di più pericoloso per un magistrato che lotta contro la mafia che l’essere isolato".[7] 
L'omicidio di due simboli dello Stato così importanti come Falcone e Borsellino significava qualcosa di nuovo. Erano state toccate le corde dell'élite di potere internazionale, e questi omicidi brutali lo testimoniavano. Ciò è stato intuito anche da Charles Rose, Procuratore distrettuale di New York, che notò la particolarità degli attentati: "Neppure i boss più feroci di Cosa Nostra hanno mai voluto colpire personalità dello Stato così visibili come era Giovanni, perché essi sanno benissimo quali rischi comporta attaccare frontalmente lo Stato. Quell’attentato terroristico è un gesto di paura... Credo che una mafia che si mette a sparare ai simboli come fanno i terroristi... è condannata a perdere il bene più prezioso per ogni organizzazione criminale di quel tipo, cioè la complicità attiva o passiva della popolazione entro la quale si muove".[8] 
Infatti, quell'anno gli italiani capirono che c'era qualcosa di nuovo, e scesero in piazza contro la mafia. Si formarono due fronti: la gente comune contro la mafia, e le istituzioni, che si stavano sottomettendo all'élite che coordina le mafie internazionali.
Quell'anno l'élite anglo-americana non voleva soltanto impedire la lotta efficace contro la mafia, ma voleva rendere l'Italia un paese completamente soggiogato ad un sistema mafioso e criminale, che avrebbe dominato attraverso il potere finanziario.
Come segnalò il presidente del Senato Giovanni Spadolini, c'era in atto un'operazione su larga scala per distruggere la democrazia italiana: "Il fine della criminalità mafiosa sembra essere identico a quello del terrorismo nella fase più acuta della stagione degli anni di piombo: travolgere lo stato democratico nel nostro paese. L’obiettivo è sempre lo stesso:  delegittimare lo Stato, rompere il circuito di fiducia tra cittadini e potere democratico…se poi noi scorgiamo – e ne abbiamo il diritto – qualche collegamento internazionale intorno alla sfida mafia più terrorismo, allora ci domandiamo: ma forse si rinnovano gli scenari di dodici-undici anni fa? Le minacce dei centri di cospirazione affaristico-politica come la P2 sono permanenti nella vita democratica italiana. E c’è un filone piduista che sopravvive, non sappiamo con quanti altri. Mafia e P2 sono congiunte fin dalle origini, fin dalla vicenda Sindona".[9]
Anche Tina Anselmi aveva capito i legami fra mafia e finanza internazionale: "Bisogna stare attenti, molto attenti... Ho parlato del vecchio piano di rinascita democratica di Gelli e confermo che leggerlo oggi fa sobbalzare. E’ in piena attuazione... Chi ha grandi mezzi e tanti soldi fa sempre politica e la fa a livello nazionale ed internazionale. Ho parlato in questi giorni con un importante uomo politico italiano che vive nel mondo delle banche. Sa cosa mi ha detto? Che la mafia è stata più veloce degli industriali e che sta già investendo centinaia di miliardi, frutto dei guadagni fatti con la droga, nei paesi dell’est... Stanno già comprando giornali e televisioni private, industrie e alberghi… Quegli investimenti si trasformeranno anche in precise e specifiche azioni politiche che ci riguardano, ci riguardano tutti. Dopo le stragi di Palermo la polizia americana è venuta ad indagare in Sicilia anche per questo, sanno di questi investimenti colossali, fatti regolarmente attraverso le banche".[10] 
Anni dopo, l'ex ministro Scotti confesserà a Cirino Pomicino: "Tutto nacque da una comunicazione riservata fattami dal capo della polizia Parisi che, sulla base di un lavoro di intelligence svolto dal Sisde e supportato da informazioni confidenziali, parlava di riunioni internazionali nelle quali sarebbero state decise azioni destabilizzanti sia con attentati mafiosi sia con indagini giudiziarie nei confronti dei leaders dei partiti di governo".
Una delle riunioni di cui parlava Scotti si svolse il 2 giugno del 1992, sul panfilo Britannia, in navigazione lungo le coste siciliane. Sul panfilo c'erano alcuni appartenenti all'élite di potere anglo-americana, come i reali britannici e i grandi banchieri delle banche a cui si rivolgerà il governo italiano durante la fase delle privatizzazioni (Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers).
In quella riunione si decise di acquistare le aziende italiane e la Banca d'Italia, e come far crollare il vecchio sistema politico per insediarne un altro, completamente manovrato dai nuovi padroni. A quella riunione parteciparono anche diversi italiani, come Mario Draghi, allora direttore delegato del ministero del Tesoro, il dirigente dell'Eni Beniamino Andreatta e il dirigente dell'Iri Riccardo Galli.Gli intrighi decisi sulla Britannia avrebbero permesso agli anglo-americani di mettere le mani sul 48% delle aziende italiane, fra le quali c'erano la Buitonila Locatellila Negronila Ferrarellela Perugina ela Galbani. 
La stampa martellava su "Mani pulite", facendo intendere che da quell'evento sarebbero derivati grandi cambiamenti.
Nel giugno 1992 si insediò il governo di Giuliano Amato. Si trattava di un personaggio in armonia con gli speculatori che ambivano ad appropriarsi dell'Italia. Infatti, Amato, per iniziare le privatizzazioni, si affrettò a consultare il centro del potere finanziario internazionale: le tre grandi banche di Wall Street, Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers.
Appena salito al potere, Amato trasformò gli Enti statali in Società per Azioni, valendosi del decreto Legge 386/1991, in modo tale che l'élite finanziaria li potesse controllare, e in seguito rilevare. 
L'inizio fu concertato dal Fondo Monetario Internazionale, che, come aveva fatto in altri paesi, voleva privatizzare selvaggiamente e svalutare  la nostra moneta, per agevolare il dominio economico-finanziario dell'élite. L'incarico di far crollare l'economia italiana venne dato a George Soros, un cittadino americano che tramite informazioni ricevute dai Rothschild, con la complicità di alcune autorità italiane, riuscì a far crollare la nostra moneta e le azioni di molte aziende italiane. 
Soros ebbe l'incarico, da parte dei banchieri anglo-americani, di attuare una serie di speculazioni, efficaci grazie alle informazioni che egli riceveva dall'élite finanziaria. Egli fece attacchi speculativi degli hedge funds per far crollare la lira. A causa di questi attacchi, il 5 novembre del 1993 la lira perse il 30% del suo valore, e anche negli anni successivi subì svalutazioni.
Le reti della Banca Rothschild, attraverso il direttore Richard Katz, misero le mani sull'Eni, che venne svenduta. Il gruppo Rothschild ebbe un ruolo preminente anche sulle altre privatizzazioni, compresa quella della Banca d'Italia. C'erano stretti legami fra il Quantum Fund di George Soros e i Rothschild. Ma anche numerosi altri membri dell'élite finanziaria anglo-americana, come Alfred Hartmann Georges C. Karlweis, furono coinvolti nei processi di privatizzazione delle aziende e della Banca d'Italia. La Rothschild Italia Spa, filiale di Milano della Rothschild & Sons di Londra, venne creata nel 1989, sotto la direzione di Richard Katz. Quest'ultimo diventò direttore del Quantum Fund di Soros nel periodo delle speculazioni a danno della lira. Soros era stato incaricato dai Rothschild di attuare una serie di speculazioni contro la sterlina, il marco e la lira, per destabilizzare il sistema Monetario Europeo. Sempre per conto degli stessi committenti, egli fece diverse speculazioni contro le monete di alcuni paesi asiatici, come l'Indonesia e la Malesia. Dopo la distruzione finanziaria dell'Europa e dell'Asia, Soros venne incaricato di creare una rete per la diffusione degli stupefacenti in Europa.
In seguito, i Rothschild, fedeli al loro modo di fare, cercarono di far cadere la responsabilità del crollo economico italiano su qualcun altro. Attraverso una serie di articoli pubblicati sul Financial Times, accusarono la Germania, sostenendo che la Bundesbank aveva attuato operazioni di aggiotaggio contro la lira. L'accusa non reggeva, perché i vantaggi del crollo della lira e della svendita delle imprese italiane andarono agli anglo-americani.
La privatizzazione è stata un saccheggio, che ancora continua. Spiega Paolo Raimondi, del Movimento Solidarietà:  
Abbiamo avuto anni di privatizzazione, saccheggio dell'economia produttiva e l'esplosione della bolla della finanza derivata. Questa stessa strategia di destabilizzazione riparte oggi, quando l'Europa continentale viene nuovamente attratta, anche se non come promotrice e con prospettive ancora da definire, nel grande progetto di infrastrutture di base del Ponte di Sviluppo Eurasiatico.[11]
Qualche anno dopo la magistratura italiana procederà contro Soros, ma senza alcun successo. Nell'ottobre del 1995, il presidente del Movimento Internazionale per i Diritti Civili-Solidarietà, Paolo Raimondi, presentò un esposto alla magistratura per aprire un'inchiesta sulle attività speculative di Soros & Co, che avevano colpito la lira. L'attacco speculativo di Soros, gli aveva permesso di impossessarsi di 15.000 miliardi di lire. Per contrastare l'attacco, l'allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, bruciò inutilmente 48 miliardi di dollari. 
Su Soros indagarono le Procure della Repubblica di Roma e di Napoli, che fecero luce anche sulle attività della Banca d'Italia nel periodo del crollo della lira. Soros venne accusato di aggiotaggio e insider trading, avendo utilizzato informazioni riservate che gli permettevano di speculare con sicurezza e di anticipare movimenti su titoli, cambi e valori delle monete.
Spiegano il Presidente e il segretario generale del "Movimento Internazionale per i Diritti Civili - Solidarietà", durante l'esposto contro Soros:
È stata... annotata nel 1992 l 'esistenza... di un contatto molto stretto e particolare del sig. Soros con Gerald Carrigan, presidente della Federal Reserve Bank di New York, che fa parte dell'apparato della Banca centrale americana, luogo di massima circolazione di informazioni economiche riservate, il quale, stranamente, una volta dimessosi da questo posto, venne poi immediatamente assunto a tempo pieno dalla finanziaria "Goldman Sachs & co." come presidente dei consiglieri internazionali. La Goldman Sachs è uno dei centri della grande speculazione sui derivati e sulle monete a livello mondiale. La Goldman Sachs è anche coinvolta in modo diretto nella politica delle privatizzazioni in Italia. In Italia inoltre, il sig. Soros conta sulla strettissima collaborazione del sig. Isidoro Albertini, ex presidente degli agenti di cambio della Borsa di Milano e attuale presidente della "Albertini e co. SIM" di Milano, una delle ditte guida nel settore speculativo dei derivati. Albertini è membro del consiglio di amministrazione del "Quantum Fund" di Soros.
III. L'attacco speculativo contro la lira del settembre 1992 era stato preceduto e preparato dal famoso incontro del 2 giugno 1992 sullo yacht "Britannia" della regina Elisabetta II d'Inghilterra, dove i massimi rappresentanti della finanza internazionale, soprattutto britannica, impegnati nella grande speculazione dei derivati, come la S. G. Warburg, la Barings e simili, si incontrarono con la controparte italiana guidata da Mario Draghi, direttore generale del ministero del Tesoro, e dal futuro ministro Beniamino Andreatta, per pianificare la privatizzazione dell'industria di stato italiana. A seguito dell'attacco speculativo contro la lira e della sua immediata svalutazione del 30%, codesta privatizzazione sarebbe stata fatta a prezzi stracciati, a beneficio della grande finanza internazionale e a discapito degli interessi dello stato italiano e dell'economia nazionale e dell'occupazione. Stranamente, gli stessi partecipanti all'incontro del Britannia avevano già ottenuto l'autorizzazione da parte di uomini di governo come Mario Draghi, di studiare e programmare le privatizzazioni stesse. Qui ci si riferisce per esempio alla Warburg, alla Morgan Stanley, solo per fare due tra gli esempi più noti. L'agenzia stampa EIR (Executive Intelligence Review) ha denunciato pubblicamente questa sordida operazione alla fine del 1992 provocando una serie di interpellanze parlamentari e di discussioni politiche che hanno avuto il merito di mettere in discussione l'intero procedimento, alquanto singolare, di privatizzazione.[12]
I complici italiani furono il ministro del Tesoro Piero Barucci, l'allora Direttore di Bankitalia Lamberto Dini e l'allora governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi. Altre responsabilità vanno all'allora capo del governo Giuliano Amato e al Direttore Generale del Tesoro Mario Draghi. Alcune autorità italiane (come Dini) fecero il doppio gioco: denunciavano i pericoli ma in segreto appoggiavano gli speculatori. 
Amato aveva costretto i sindacati ad accettare un accordo salariale non conveniente ai lavoratori, per la "necessità di rimanere nel Sistema Monetario Europeo", pur sapendo che l'Italia ne sarebbe uscita a causa delle imminenti speculazioni. 
Gli attacchi all'economia italiana andarono avanti per tutti gli anni Novanta, fino a quando il sistema economico- finanziario italiano non cadde sotto il completo controllo dell'élite. Nel gennaio del 1996, nel rapporto semestrale sulla politica informativa e della sicurezza, il Presidente del Consiglio Lamberto Dini disse:
I mercati valutari e le borse delle principali piazze mondiali continuano a registrare correnti speculative ai danni della nostra moneta, originate, specie in passaggi delicati della vita politico-istituzionale, dalla diffusione incontrollata di notizie infondate riguardanti la compagine governativa e da anticipazioni di dati oggetto delle periodiche comunicazioni sui prezzi al consumo... è possibile attendersi la reiterazione di manovre speculative fraudolente, considerato il persistere di una fase congiunturale interna e le scadenze dell'unificazione monetaria.[13]
Il giorno dopo, il governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, riferiva che l'Italia non poteva far nulla contro le correnti speculative sui mercati dei cambi, perché "se le banche di emissione tentano di far cambiare direzione o di fermare il vento (delle operazioni finanziarie) non ce la fanno per la dimensione delle masse in movimento sui mercati rispetto alla loro capacità di fuoco". 
Le nostre autorità denunciavano il potere dell'élite internazionale, ma gettavano la spugna, ritenendo inevitabili quegli eventi. Era in gioco il futuro economico-finanziario del paese, ma nessuna autorità italiana pensava di poter fare qualcosa contro gli attacchi destabilizzanti dell'élite anglo-americana.
Il Movimento Solidarietà fu l'unico a denunciare quello che stava effettivamente accadendo, additando i veri responsabili del crollo dell'economia italiana. Il 28 giugno 1993, il Movimento Solidarietà svolse una conferenza a Milano, in cui rese nota a tutti la riunione sul Britannia e quello che ne era derivato.[14] 
Il 6 novembre 1993, l 'allora presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi scrisse una lettera al procuratore capo della Repubblica di Roma, Vittorio Mele, per avviare "le procedure relative al delitto previsto all'art. 501 del codice penale ("Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio"), considerato nell'ipotesi delle aggravanti in esso contenute". Anche a Ciampi era evidente il reato di aggiotaggio da parte di Soros, che aveva operato contro la lira e i titoli quotati in Borsa delle nostre aziende.
Anche negli anni successivi avvennero altre privatizzazioni, senza regole precise e a prezzi di favore. Che stesse cambiando qualcosa, gli italiani lo capivano dal cambio di nome delle aziende, la Sip era diventata Telecom Italia e le Ferrovie dello Stato erano diventate Trenitalia. 
Il decreto legislativo 79/99 avrebbe permesso la privatizzazione delle aziende energetiche. Nel settore del gas e dell'elettricità apparvero numerose aziende private, oggi circa 300. Dal 24 febbraio del 1998, anche le Poste Italiane diventarono una S.p.a. In seguito alla privatizzazione delle Poste, i costi postali sono aumentati a dismisura e i lavoratori postali vengono assunti con contratti precari. Oltre 400 uffici postali sono stati chiusi, e quelli rimasti aperti appaiono come luoghi di vendita più che di servizio.
Le nostre autorità giustificavano la svendita delle privatizzazioni dicendo che si doveva "risanare il bilancio pubblico", ma non specificavano che si trattava di pagare altro denaro alle banche, in cambio di banconote che valevano come la carta straccia. A guadagnare sarebbero state soltanto le banche e i pochi imprenditori già ricchi (Benetton, Tronchetti ProveraPirelli, Colaninno, Gnutti e pochi altri).
Si diceva che le privatizzazioni avrebbero migliorato la gestione delle aziende, ma in realtà, in tutti i casi, si sono verificati disastri di vario genere, e il rimedio è stato pagato dai cittadini italiani.
Le nostre aziende sono state svendute ad imprenditori che quasi sempre agivano per conto dell'élite finanziaria, da cui ricevevano le somme per l'acquisto. La privatizzazione della Telecom avvenne nell'ottobre del 1997. Fu venduta a 11,82 miliardi di euro, ma alla fine si incassarono soltanto 7,5 miliardi. La società fu rilevata da un gruppo di imprenditori e banche., e al Ministero del Tesoro rimase una quota del 3,5%. 
Il piano per il controllo di Telecom aveva la regia nascosta della Merril Lynch, del Gruppo Bancario americano Donaldson Lufkin & Jenrette e della Chase Manhattan Bank
Alla fine del 1998, il titolo aveva perso il 20% (4,33 euro). Le banche dell'élite, la Chase Manhattan e la Lehman Brothers,  si fecero avanti per attuare un'opa. Attraverso Colaninno, che ricevette finanziamenti dalla Chase Manhattan, l'Olivetti diventò proprietaria di Telecom. L'Olivetti era controllata dalla Bell, una società con sede a Lussemburgo, a sua volta controllata dalla Hopa di Emilio Gnutti e Roberto Colaninno.
Il titolo, che durante l'opa era stato fatto salire a 20 euro, nel giro un anno si dimezzò. Dopo pochi anni finirà sotto i tre euro.   
Nel 2001 la Telecom si trovava in gravi difficoltà, le azioni continuavano a scendere. La Bell di Gnutti e la Unipol di Consorte decisero di vendere a Tronchetti Provera buona parte loro quota azionaria in Olivetti. Il presidente di Pirelli, finanziato dalla J. P. Morgan, ottenne il controllo su Telecom, attraverso la finanziaria Olimpia, creata con la famiglia Benetton (sostenuta da Banca Intesa e Unicredit).
Dopo dieci anni dalla privatizzazione della Telecom, il bilancio è disastroso sotto tutti i punti di vista: oltre 20.000 persone sono state licenziate, i titoli azionari hanno fatto perdere molto denaro ai risparmiatori, i costi per gli utenti sono aumentati e la società è in perdita. 
La privatizzazione, oltre che un saccheggio, veniva ad essere anche un modo per truffare i piccoli azionisti. 
La Telecom , come molte altre società, ha posto la sua sede in paesi esteri, per non pagare le tasse allo Stato italiano. Oltre a perdere le aziende, gli italiani sono stati privati anche degli introiti fiscali di quelle aziende. La Bell, società che controllava la Telecom Italia, aveva sede in Lussemburgo, e aveva all'interno società con sede alle isole Cayman, che, com'è noto, sono un paradiso fiscale.
Gli speculatori finanziari basano la loro attività sull'esistenza di questi paradisi fiscali, dove non è possibile ottenere informazioni nemmeno alle autorità giudiziarie. I paradisi fiscali hanno permesso agli speculatori di distruggere le economie di interi paesi, eppure i media non parlano mai di questo gravissimo problema. 
Mettere un'azienda importante come quella telefonica in mani private significa anche non tutelare la privacy dei cittadini, che infatti è stata più volte calpestata, com'è emerso negli ultimi anni.
Anche per le altre privatizzazioni, Autostrade, Poste Italiane, Trenitalia ecc., si sono verificate le medesime devastazioni: licenziamenti, truffe a danno dei risparmiatori, degrado del servizio, spreco di denaro pubblico, cattiva amministrazione e problemi di vario genere. 
La famiglia Benetton è diventata azionista di maggioranza delle Autostrade. Il contratto di privatizzazione delle Autostrade dava vantaggi soltanto agli acquirenti, facendo rimanere l'onere della manutenzione sulle spalle dei contribuenti. 
I Benetton hanno incassato un bel po' di denaro grazie alla fusione di Autostrade con il gruppo spagnolo Abertis. La fusione è avvenuta con la complicità del governo Prodi, che in seguito ad un vertice con Zapatero, ha deciso di autorizzarla. Antonio Di Pietro, Ministro delle Infrastrutture, si era opposto, ma ha alla fine si è piegato alle proteste dell'Unione Europea e alla politica del Presidente del Consiglio.
Nonostante i disastri delle privatizzazioni, le nostre autorità governative non hanno alcuna intenzione di rinazionalizzare le imprese allo sfacelo, anzi, sono disposte ad utilizzare denaro pubblico per riparare ai danni causati dai privati. 
La società Trenitalia è stata portata sull'orlo del fallimento. In pochi anni il servizio è diventato sempre più scadente, i treni sono sempre più sporchi, il costo dei biglietti continua a salire e risultano numerosi disservizi. A causa dei tagli al personale (ad esempio, non c'è più il secondo conducente), si sono verificati diversi incidenti (anche mortali). Nel 2006, l 'amministratore delegato di Trenitalia,Mauro Moretti, si è presentato ad una audizione alla commissione Lavori Pubblici del Senato, per battere cassa, confessando un buco di un miliardo e settecento milioni di euro, che avrebbe potuto portare la società al fallimento. Nell'ottobre del 2006, il Ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, approvò il piano di ricapitalizzazione proposto da Trenitalia. Altro denaro pubblico ad un'azienda privatizzata ridotta allo sfacelo.
Dietro tutto questo c'era l'élite economico finanziaria (Morgan, Schiff, Harriman, Kahn, Warburg, Rockfeller, Rothschild ecc.) che ha agito preparando un progetto di devastazione dell'economia italiana, e lo ha attuato valendosi di politici, di finanzieri e di imprenditori. Nascondersi è facile in un sistema in cui le banche o le società possono assumere il  controllo di altre società o banche. Questo significa che è sempre difficile capire veramente chi controlla le società privatizzate. E' simile al gioco delle scatole cinesi, come spiega Giuseppe Turani: "Colaninno & soci controllano al 51% la Hopa, che controlla il 56,6% della Bell, che controlla il 13,9% della Olivetti, che controlla il 70% della Tecnost, che controlla il 52% della Telecom".[15]Numerose aziende di imprenditori italiani sono state distrutte dal sistema dei mercati finanziari, ad esempio la Cirio e la Parmalat. Queste aziende hanno truffato i risparmiatori vendendo obbligazioni societarie ("Bond") con un alto margine di rischio. La Parmalat emise Bond per un valore di 7 miliardi di euro, e allo stesso tempo attuò operazioni finanziarie speculative, e si indebitò. Per non far scendere il valore delle azioni (e per venderne altre) truccava i bilanci.
Le banche nazionali e internazionali sostenevano la situazione perché per loro vantaggiosa, e l'agenzia di rating, Standard & Poor's, si è decisa a declassare la Parmalat soltanto quando la truffa era ormai nota a tutti. 
I risparmiatori truffati hanno avviato una procedura giudiziaria contro Calisto Tanzi, Fausto Tonna, Coloniale S.p.a. (società della famiglia Tanzi), Citigroup, Inc. (società finanziaria americana), Buconero LLC (società che faceva capo a Citigroup), Zini & Associates (una compagnia finanziaria americana), Deloitte Touche Tohmatsu (organizzazione che forniva consulenza e servizi professionali), Deloitte & Touche SpA (società di revisione contabile), Grant Thornton International (società di consulenza finanziaria) e Grant Thornton S.p.a. (società incaricata della revisione contabile del sottogruppo Parmalat S.p.a.).
La Cirio era gestita dalla Cragnotti & Partners. I "Partners" non erano altro che una serie di banche nazionali e internazionali. La Cirio emise Bond per circa 1.125 milioni di Euro. Molte di queste obbligazioni venivano utilizzate dalle banche per spillare denaro ai piccoli risparmiatori. Tutto questo avveniva in perfetta armonia col sistema finanziario, che non offre garanzie di onestà e di trasparenza. Grazie alle privatizzazioni, un gruppo ristretto di ricchi italiani ha acquisito somme enormi, e ha permesso all'élite economico-finanziaria anglo-americana di esercitare un pesante controllo, sui cittadini, sulla politica e sul paese intero. 
Agli italiani venne dato il contentino di "Mani Pulite", che si risolse con numerose assoluzioni e qualche condanna a pochi anni di carcere.
A causa delle privatizzazioni e del controllo da parte della Banca Centrale Europea, il paese è più povero e deve pagare somme molto alte per il debito. Ogni anno viene varata la finanziaria, allo scopo di pagare le banche e di partecipare al finanziamento delle loro guerre. Mentre la povertà aumenta, come la disoccupazione, il lavoro precario, il degrado e il potere della mafia. 
Il nostro paese è oggi controllato da un gruppo di persone, che impongono, attraverso istituti propagandati come "autorevoli" (Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea), di tagliare la spesa pubblica, di privatizzare quello che ancora rimane e di attuare politiche non convenienti alla popolazione italiana. I nostri governi operano nell'interesse di questa élite, e non in quello del paese.
Antonella Randazzo ha scritto Roma Predona. Il colonialismo italiano in Africa, 1870-1943, (Kaos Edizioni, 2006); La Nuova Democrazia. Illusioni di civiltà nell'era dell'egemonia Usa (Zambon Editore 2007) e Dittature. La Storia Occulta (Edizione Il Nuovo Mondo, 2007). 
[1] http://www.reti-invisibili.net/georgofili/ 
[2] La Repubblica , 27 maggio 1992.
[3] La Repubblica , 28 maggio 1992.
[4] La Repubblica , 10 giugno 1992.
[5] La Repubblica , 23 giugno 1992.
[6] La Repubblica , 23 giugno 1992.
[7] La Repubblica , 25 giugno 1992. 
[8] La Repubblica , 27 maggio 1992.
[9] La Repubblica , 11 agosto 1992.
[10] L'Unità, 12 agosto 1992.
[11] Solidarietà, anno IV n. 1, febbraio 1996.
[12] Esposto della Magistratura contro George Soros presentato dal Movimento Solidarietà al Procuratore della Repubblica di Milano il 27 ottobre 1995. 
[13] Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica , Rivista N. 4 gennaio-aprile 1996.
[14] Solidarietà, anno 1, n. 1, ottobre 1993.
[15] La Repubblica , 5 settembre 1999.

http://www.disinformazione.it/svendita_italia2.htm




venerdì 21 ottobre 2011




Presso la facoltà di Scienze Umanistiche della Sapienza, Paolo Rossi ha presentato il suo nuovo spettacolo "Il mistero buffo nella versione Pop 2.0"



Servizio di: Gabriella Tesoro
Riprese di: Davide Apuzzo
Montaggio di: Alberto Terribile

http://uniroma.tv/video.asp?id=19749


Grillo pronto al salto. Si candiderà sindaco a Genova. - di Antonio Calitri




Beppe Grillo candidato sindaco di Genova. Dopo i successi che sta mietendo in tutta Italia il suo movimento 5 stelle, confermati alle ultime regionali di domenica in Molise, sembra che il comico ligure voglia tentare una mossa a sorpresa proprio nella sua città natale.
Dove spiazzerebbe tutti e tenterebbe di scalare palazzo Tursi, proprio come ha fatto Luigi De Magistris a Napoli, contro tutto e quasi tutti i partiti.
Una voce così insistente nei carrugi che piace anche ai suoi sostenitori ma fa tremare gli stessi vertici dei grillini del movimento genovese, con il portavoce Paolo Putti che ha già fatto una conferenza stampa a fine settembre per annunciare la sua candidatura a sindaco sperando di ripetere l'exploit dei candidati delle altre città con un buon 5% di consensi dati per sicuri, un'entrata sul tappeto rosso in consiglio comunale e 15 minuti di fama come quelli che sta avendo in queste ore il candidato grillino alla regione Molise, Antonio Federico. E invece, mentre alcuni dicono che il movimento di Grillo si potrebbe legare a quello del sindaco di Napoli per le prossime politiche, proprio come diceva De Magistris, salvo poi beccarsi insulti dal comico, nel capoluogo della Liguria il pensiero è alle comunali. E siccome a Genova in queste ultime settimane sembra assistere a quello che accadde all'inizio di quest'anno a Napoli, con lotte fratricide a sinistra e a destra, con le primarie previste a gennaio, l'uscente Marta Vincenzi assediata dal partito nazionale che punta su Roberta Pinotti, Sel che potrebbe andare per la sua strada con Marco Doria, il centrodestra che non trova un candidato, l'ex Pdl Enrico Musso che sta lavorando a una lista civica, la confusione potrebbe aprire a un vero outsider.
E a questo punto, sembra essersi chiesto Grillo, con il valore aggiunto del suo nome e di essere nato lì, perché non tentare il colpo gobbo. Una voce che è rimbalzata nel movimento. Con buona parte dei grillini felicissima di poter sostenere direttamente il comico e una piccola parte che invece teme la sua discesa in campo. Nessuno conferma o smentisce ma in questi giorni il sospetto è alimentato dal fatto che Grillo non si sia ancora fatto vedere in piazza, non abbia ancora organizzato qualcosa a sostegno della lista del movimento di Genova.
Eppure nelle altre città era sempre partito in anticipo rispetto ai partiti ufficiali mentre qui rischia di muoversi per ultimo. Certo se davvero ci sarà la sua discesa in campo, allora tutto quadrerebbe. E alla fine farebbe comodo anche allo stesso Putti (e agli altri candidati del movimento) che tanto da solo, sindaco non diventa mentre a ruota di Grillo potrebbe addirittura diventare assessore.
Insomma, dopo tante provocazioni e dopo aver mandato avanti giovani inesperti dimostrando che può davvero cambiare gli equilibri, fino ad ora favorendo il centrodestra (come è avvenuto in Piemonte prima e in Molise ora) potrebbe arrivare lui per raccogliere il risultato più importante.


Dai mutui ai derivati. L’inchiesta Euribor rischia di travolgere la finanza. - di Matteo Cavallito




L’accusa è grave: false comunicazioni sui costi dei prestiti interbancari con l’obiettivo di alterare il tasso di interesse di riferimento del mercato europeo. 


Una violazione della norme antitrust che rischierebbe di manipolare un mercato potenzialmente enorme, nell'ordine di migliaia di miliardi Di chiaro, per ora, c’è solo la definizione del possibile reato: manipolazione del tasso di riferimento europeo, l’Euribor, attraverso la costituzione di un cartello tra gli istituti continentali. Tecnicamente una forma di illecita concorrenza. Per il resto è un intreccio di indiscrezioni – poche, anzi pochissime – e di ipotesi, per lo più inquietanti, alimentate da preoccupanti analogie con il recente passato. Con una mossa a sorpresa, la Commissione antitrust europea ha perquisito ieri le sedi di alcuni istituti associati all’Ebf, la European Banking Federation. A renderlo noto è stata la stessa commissione che, tuttavia, non ha voluto fornire ulteriori dettagli. Lasciando così campo libero all’immaginazione ragionata degli osservatori.


Difficile, per il momento, capire la reale portata dell’inchiesta. Ma qualche punto fermo può già essere individuato. L’Euribor è un tasso di riferimento interbancario, frutto delle media dei tassi applicati sui prestiti tra le banche stesse. In pratica un indicatore primario del costo del denaro che influenza tanto il mercato retail (i prestiti concessi dalle banche alle famiglie e ai piccoli risparmiatori) quanto il resto del comparto (società finanziarie, grandi investitori). In Europa, le banche coinvolte nel suo calcolo, e quindi potenzialmente oggetto dell’inchiesta, sono 44 distribuite su 15 Paesi. A quanto si apprende oggi, però, l’indagine si starebbe svolgendo in non più di 10 Stati, il che, di fatto, restringerebbe comunque il campo.


Nelle ultime ore hanno iniziato a circolare i nomi di Deutsche Bank e di Ubs (ovvero della sua filiale olandese) ma al momento non esistono ancora conferme ufficiali. L’ipotesi di reato è però chiara. Il sospetto è che una parte degli istituti facenti capo all’Ebf abbia comunicato dati falsi sui tassi applicati ai prestiti interbancari. Manipolando così alla fonte la definizione dell’indice di riferimento con l’obiettivo di ottenere un vantaggio sul mercato dei mutui a tasso variabile che all’Euribor sono indicizzati. In sintesi, siccome l’interesse complessivo su questo genere di prestiti è calcolato sommando uno spread fissato dalla banca e il tasso di riferimento europeo, è lecito temere che qualora quest’ultimo fosse stato manipolato, una buona parte della clientela del vecchio continente (tra cui per lo meno una quota delle 400mila famiglie italiane che ogni anno accendono un mutuo variabile) possa essersi trovata a pagare un interesse eccessivo. Garantendo alle banche un profitto extra del tutto illegittimo.


Il problema principale, tuttavia, è dato dal fatto che la questione sollevata dall’inchiesta non si esaurirebbe nel solo settore dei mutui ipotecari. Coinvolgendo al contrario un mercato potenzialmente smisurato. E qui è utile fare un raffronto con un’inchiesta molto simile di cui era stata data notizia alcuni mesi fa: quella sulle sospette alterazioni del Libor, l’omologo londinese del tasso di riferimento continentale. L’indagine, in quel caso, era partita da una denuncia presentata lo scorso mese di aprile contro alcuni istituti bancari (tra cui Bank of America, Citigroup e UBS) da FTC Capital GmbH, un fondo speculativo di base a Vienna.  I suoi gestori, ovviamente, non avevano acceso un semplice mutuo sulla casa di famiglia. In compenso, però, avevano deciso di puntare su alcuni prodotti finanziari denominati eurodollar futures. Gli eurodollar sono titoli derivati utilizzati per scommettere sull’andamento del costo del denaro e il loro valore, ovviamente, era ed è tuttora profondamente influenzato dall’andamento del tasso di riferimento in questione.


Il vero problema, però, è che questi prodotti sono in buona compagnia visto che il controvalore di tutti i derivati soggetti agli umori del Libor equivale a circa 350 mila miliardi di dollari. Sommando la piccola quota dei prestiti a tasso variabile, arriviamo a 360 mila. Come a dire che se i sospetti di FTC fossero confermati, un mercato grande come il prodotto interno lordo del Pianeta moltiplicato cinque volte sarebbe di fatto alterato.


Quanto vale invece il mercato dei derivati legati all’Euribor? Difficile stabilirlo con precisione ma, di certo, l’ordine di grandezza è decisamente il medesimo, quello dei trillions. Ed ecco allora sorgere la domanda spontanea del caso: quando potrebbe essere drogato questo mercato così poco familiare alla clientela comune delle banche ma così significativo, proprio per la sua portata, nell’influenzare la speculazione, le borse, i mercati e in definitiva l’intera economia europea e globale? E’ il quesito chiave dell’inchiesta appena partita, un’indagine che rischia ora di assumere una dimensione potenzialmente enorme. “Non abbiamo nulla da nascondere. Assicuriamo la buona governance di Euribor/Ebf e lo stretto monitoraggio del benchmark” ha dichiarato il ceo di Ebf Guido Ravoet in una nota ufficiale. Si attendono sviluppi.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/20/dai-mutui-ai-derivati-l%E2%80%99inchiesta-euribor-rischia-di-travolgere-la-finanza/165149/


giovedì 20 ottobre 2011

Corruzione, trasmesse a Palazzo Madama le telefonate del senatore Carlo Vizzini. - di Giuseppe Pipitone


Il senatore del PdL Carlo Vizzini


Il gip Piergiorgio Morosini ha trasmesso al Senato gli atti di tutte le 40 intercettazioni che coinvolgono il parlamentare del Pdl indagato per corruzione nell'ambito dell'inchiesta sulle operazioni finanziarie del Gruppo Gas.


"Ti cercavo perché sono un po’ nei guai, mi sono pure dovuto operare … purtroppo tocco sempre per ora male, capisci, per ora sono il contrario di Re Mida, quello che tocco io diventa merda”. E poi ancora  ”ma se io ti aspetto da sabato … dai Gianni … va bene fai quello che devi fare … e poi mi fai sapere”. Quindi l’insana proposta: “dico, non è che io debbo predisporre il mio suicidio!”. La voce nervosa, via via più insistente, che si descrive come un “il contrario di Re Mida” è quella di Carlo Vizzini, senatore palermitano del Pdl.


L’interlocutore a cui il senatore rivolge le sue richieste è sempre lo stesso: Gianni Lapis, affermato tributarista palermitano e amministratore della Gas spa, società di fornitura energetica riconducibile a se stesso, a Massimo Ciancimino e in precedenza a al padre di quest’ultimo, l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino. Sono telefonate insistenti quelle che Vizzini fa a Lapis e alla base delle quali ci sarebbero “comunicazioni sulle operazioni finanziarie del Gruppo Gas da cui ricavare la provvista per dazioni di somme di danaro da Lapis a Vizzini”. Diciotto chiamate in totale tra il 7 luglio e il 28 ottobre 2003 che però “come di incanto, subito dopo il 18 gennaio 2004 (data in cui verosimilmente riesce ad ottenere una prima tranche di denaro) spariscono completamente”.


A scriverlo è il gip di Palermo Piergiorgio Morosini che oggi ha trasmesso al Senato gli atti di tutte le 40 intercettazioni che coinvolgono l’ex segretario del Partito Socialdemocratico. Il giudice palermitano venerdì scorso aveva già invitato alla Camera gli atti delle telefonate che coinvolgono il ministro delle Politiche agricole Saverio Romano. Adesso è il turno degli atti riguardanti Vizzini, che con Romano e Salvatore Cuffaro è indagato per corruzione. Le quaranta telefonate che coinvolgono il senatore del Pdl sono state intercettate tra il 2003 e il 2004, e inserite nell’inchiesta sul cosiddetto “gruppo Gas” dai sostituti procuratori della Dda di Palermo Nino Di Matteo, Paolo Guido e Sergio Demontis che indagano sugli episodi di corruzione dei politici nella gestione del “gruppo Gas”.


Secondo Morosini, dalle telefonate di Vizzini si rileva “da un lato la percezione di somme di danaro contante che il senatore Vizzini avrebbe, in più occasioni ricevuto da Gianni Lapis, dall’altro uno stabile rapporto di messa a disposizione delle funzioni pubbliche esercitate dal senatore Vizzini in favore degli interessi della società riconducibili tra gli altri al predetto Lapis”. La mattina del 6 aprile 2004, per esempio, Gianni Lapis chiama Vizzini, spiegandogli che dovrà recarsi in Giappone per affari, chiedendo quindi al senatore agevolazioni per ottenere in tempi rapidi l’accreditamento presso l’ambasciata italiana a Tokio ed avere così a propria disposizione un addetto commerciale e alcuni interpreti.


Vizzini si mette a disposizione invitando addirittura Lapis a mandargli una memoria sulla questione (“dovresti farmi una memoria” “così io faccio prendere contatto attraverso il ministero con l’ambasciatore”). Già la mattina seguente Lapis chiama poi la segretaria di Vizzini, Francesca Li Vigni, per sincerarsi sullo stato delle cose. “La donna – scrive sempre Morosini – lo tranquillizza dicendo di aver già inviato un fax direttamente alla segreteria del ministro Frattini i cui funzionari si erano già attivati e che eventualmente Vizzini avrebbe parlato personalmente con il capo segreteria (… “io ho mandato un fax alla segreteria del ministro Frattini, che aspettavano che arrivasse il capo segreteria per farlo siglare e passarlo al funzionario con cui hanno già parlato … il senatore m’ha detto che eventualmente parla con lui con il capo segreteria direttamente …”). La vicenda si evolve in tempi record. Infatti appena 6 giorni dopo la richiesta di Lapis, Vizzini chiama il tributarista raccontandogli che per la vicenda del viaggio in Giappone si stava spendendo in prima persona (“Comunque da domani mattina, noi continueremo a … a chiamare il Ministero … perché questo è un contatto diretto con l’Ambasciata che ho fatto io”).


I contatti tra Lapis e Vizzini sono continui. E coinvolgono anche altre amicizie di Lapis. Il 31 luglio del 2004 il tributarista palermitano chiama il senatore chiedendogli d’intercedere con Enrico La Loggia, all’epoca ministro di Silvio Berlusconi per gli Affari regionali. Per aiutare Antonina Bertolino, proprietaria dell’omonima distilleria di Partinico. La donna infatti aveva appena chiamato Lapis manifestandogli la sua preoccupazione per un’iniziativa da parte dell’allora assessore all’Energia della Provincia di Palermo Salvatore Glorioso, che avrebbe messo a rischio l’attività finanziaria della sua azienda. Glorioso, secondo la Bertolino, è uomo vicino a La Loggia. Lapis rassicura subito la Bertolino che si muoverà, facendo parlare il loro “amico comune” direttamente con La Loggia (“Io vedo di parlare subito col mio amico che lei sa chi è e gli dico se può intervenire immediatamente con Enrico). “L’amico comune”, secondo l’accusa, è Carlo Vizzini. Che però non è in buoni rapporti con La Loggia, che arriva a definire addirittura come “un pezzo di merda”. Dopo qualche insistenza però Vizzini si mette a disposizione per risolvere la faccenda. (“Lunedì casomai te… te lo faccio cercare con la batteria, faccio dire che tu lo cerchi, lo… lo avviso al ministero, cioè il contatto te lo creo”).


Poi ci sono le richieste fatte da Lapis a Vizzini per ottenere un’autorizzazione al volo per seguire una manifestazione internazionale di windsurf in svolgimento nel golfo di Mondello a Palermo, ospitando una troupe televisiva della Rai a bordo degli elicotteri della loro società Air Panarea, società di elicotteri riconducibile a Massimo Ciancimino. Vizzini cerca d’intervenire sul dottor Marino, prefetto di Palermo, che avrebbe cercato di ottenere in giornata l’autorizzazione dal questore di Palermo (“Ho parlato col Prefetto ……” dice “comunque ora io parlo col questore e vediamo se possiamo rimediare”).


Secondo gli inquirenti, lo “stabile rapporto di messa a disposizione delle funzioni pubbliche di Vizzini” sarebbe stato poi ricompensato con denaro sonante elargito da parte di Lapis. Il 18 gennaio 2004 il tributarista palermitano ha appena ricevuto 1 milione e 300 mila euro da Massimo Ciancimino , prelevati due giorni prima dal conto “Mignon” presso il Credit Lyonnais. Gli investigatori sospettano che da quella somma siano state poi prelevate le tangenti destinate ai politici. La società Gas è infatti appena stata ceduta agli spagnoli di Endesa e secondo Massimo Ciancimino “circa 1.000.000 di euro erano da consegnare al Vizzini”. Una sorta di premio essendo quest’ultimo da sempre un punto di riferimento per lo stesso Lapis, ha rivelato l’avvocato Giovanna Livrieri, legale della famiglia Brancato, azionista del gruppo “Gas”.


La difesa del senatore palermitano giustifica però quella somma come parte dell’investimento effettuato nella società del gas da Vizzini anni prima. Ma Ciancimino junior, negli interrogatori con i magistrati palermitani, parla anche di una tranche di contanti per un ammontare di 250.000,00 euro fatta personalmente al Vizzini attraverso la consegna delle banconote presso l’hotel Borgognoni di Roma (con l’ordine, proveniente dal Lapis, di allontanarsi immediatamente da quel luogo per non destare sospetti). Secondo il figlio di Don Vito infatti  ”il senatore Vizzini era un punto di riferimento costante per il Lapis e che quest’ultimo per svolgere più proficuamente le sue attività aveva bisogno dell’appoggio di politici, i quali attraverso i loro contatti potevano garantire una serie di favori utili ad allargare il giro d’affari”. Tra le intercettazioni che Morosini ha inviato a Palazzo Madama anche un’inquietante intercettazione in cui Ciancimino Junior parla a Lapis di presunte pressioni, nei mesi di settembre-ottobre del 2002, fatte sul collaboratore di giustizia Giuffrè Antonino affinché non riferisse le sue conoscenze sul “Gruppo Gas”, cointeressenze del senatore Vizzini in quella compagine societaria. Pressioni che venivano direttamente da suo padre Vito.


Ciancimino: “Sì perché lo voleva massacrare, poi siamo riusciti a… a farlo ragionare, mi sembrava che c’era qualcosa su di lei, mi è venuto il freddo, ho detto ‘che cosa ha fatto, ho detto”.


Lapis: “Su di me?”


Ciancimino: “Sì (inc.) non hai capito, zitto, Giuffrè per far vendere i giornali (inc.) un altro, ho detto che ha detto che poi si ricorda a suo tempo”.


Lapis: “Mi ricordo”.


Ciancimino: “Gli avevamo detto proprio no quando ci siamo andati con Vizzini a suo tempo e gli abbiamo detto proprio di non dire niente”.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/20/corruzione-trasmesse-a-palazzo-madama-le-telefonate-del-senatore-carlo-vizzini/165197/