sabato 17 dicembre 2011

Il risveglio degli zombie padani. - di Furio Colombo.






Doveva essere sciolto e invece si è pietrificato il Parlamento italiano. Figure irrigidite nell’ultimo ruolo rivestito in vita si aggirano come zombie fra le macerie ingombranti di ciò che c’era e sembrava destinato a durare “tutta la legislatura” e invece è andato giù di colpo, come il palco di Jovanotti, anche qui facendo vittime, non la vita ma quel che resta della dignità e della ragione di esistere di un gruppo politico. Come il deputato leghista Buonanno che, alle ore 11:10 del giorno 15 dicembre, in un’assemblea gremita quasi solo di deputati della Lega intenti a urlare e fischiare, si è alzato come da un sonno, si è guardato intorno e ha gridato: “Siete tutti comunisti, tutti comunisti, qui ci vuole il lanciafiamme“. E ha ripetuto a lungo l’invocazione di quell’arma micidiale che, a quanto pare, sarebbe stato il solo oggetto capace di lenire il suo tormento: non c’è più il governo. Non c’è più il potere. Poi il brusco risveglio del deputato torna a mischiarsi con le grida, i cori, la nuova abitudine di richiamare l’attenzione con fischi prolungati (che il presidente Fini, gelido, ha ritenuto di definire “alla pecorara”), che sono il messaggio che manda adesso ai cittadini il partito della Lega Nord.

Probabilmente di tutto ciò nulla si salverà. “Tutto ciò” è il racconto con immagini di una settimana alla Camera dei deputati della Repubblica italiana. Qualcuno ha lavorato, anche molto, anche bene, in questi ultimi quattro giorni, nelle commissioni che stanno trasformando in legge il piano di salvataggio del governo tecnico, con la sua competenza chirurgica e la sua quasi completa estraneità ai destini individuali. Chi vi ha partecipato ha dovuto constatare, persino a destra, che tutto ciò è accaduto perché per tre anni la stanza delle scelte, dei piani, delle decisioni, è stata abbandonata dopo avere chiuso porte e finestre su ciò che davvero stava accadendo.

E così, a parità di difficoltà e di destini, l’Italia è stata lasciata inerte e immobile, estranea a ogni tentativo di schivare i colpi che intanto si abbattevano sulle aziende, sul lavoro, sulla fiducia verso questo Paese. La Lega Nord ha montato la guardia alla stanza vuota e per anni ha avuto forza e mano libera per cambiare discorso: ha fatto credere che il problema fossero “i clandestini assassini ” (citazione da Radio Padania); che la sicurezza – intesa come persecuzione agli immigrati – era il bene più urgente; che la politica estera consistesse nel diritto dei delittuosi “respingimenti in mare”.

In nome di questa visione chiusa e ottusa hanno avuto, esercitato e profittato, in posizione chiave, di un potere molto grande, addirittura il controllo del ministero dell’Interno, una funzione di vero dominio, su quasi tutti gli aspetti della vita italiana. Non si dà indietro facilmente e con mitezza un potere così grande in cambio di niente. Perché tutto è caduto sull’incompetenza a tenere testa a una complicata situazione internazionale che avrebbe richiesto esperienza e competenza, il potere di Maroni di infierire sui “clandestini” e di usare l’esercito contro i campi nomadi, e quello diCalderoli di farsi filmare mentre brucia, ridendo, scatoloni (lui dice) di leggi inutili (come il suo ministero) non sarà mai più restituito. E allora irrompono a Montecitorio, corrono in alto nell’emiciclo, urlano, fischiano, mostrano cartelli stralunati, minacciano da vicino i pochi sottosegretari seduti al banco del governo mentre dovrebbe esserci una serrata e competente discussione sul progetto Monti. Fingono di essere oppositori, ma non sanno di cosa.

I loro complici del Pdl, coloro che hanno consentito, per ricevere voti, la finzione del grande partito popolare con radici nel territorio, stanno alla larga. Solo una volta La Russa fa capolino per suggerire alla Mussolini un’aggressione maleducata e scomposta a Fini, unico gesto di collaborazione verso la schizofrenia della Lega. Ma il vistoso e clamoroso sdoppiamento del partito di Bossi in aula, davanti a tutti, fra un’immagine di partito di governo sempre piuttosto arrogante e convinto di avere per sempre il potere e la gang da pub screditato che va e viene urlando dentro un’aula del Parlamento è uno spettacolo che segnerà la storia della Repubblica. Insultano come in una curva da stadio i deputati Buonanno e Ranieri. Ma quando sono espulsi restano in aula e partecipano al voto. Sono presenti in buona parte i deputati del Pd e di Idv. E assieme ai pochi e imbarazzati sopravvissuti del mondo di Berlusconi, bocciano la “pregiudiziale di incostituzionalità ” della Lega (pensate, della Lega, che è sempre stata fuori dalla Costituzione). Urlano con tutte le forze quando il ministro Giarda annuncia il voto di fiducia. E poi tacciono subito esausti per le ore trascorse a rimpiangere, con furiosa e sgangherata violenza, il potere perduto e la fine della brutta fiaba chiamata Padania.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/16/il-risveglio-degli-zombie-di-padania-tra-urla-e-cartelli/177876/

Regione Lazio, scatta il blitz notturno: vitalizio a 50 anni anche per gli assessori.




Scoppiano le polemiche. Il Pd: «Vergogna». Ma la Polverini difende il provvedimento: «Abbiamo corretto un'anomalia».


Renata Polverini

ROMA - Mentre il governo taglia le pensioni degli italiani, il Consiglio regionale del Lazio, con un blitz avvenuto stanotte alle 2.15 concede il vitalizio agli assessori (anche agli ex). Gli stipendi dei consiglieri regionali vengono invece "congelati" alla data del 1° dicembre 2011, ma poi indicizzati annualmente al costo della vita (l'adeguamento che il governo ha invece bloccato per le pensioni). Ma la presidente del Lazio Renata Polverini difende il provvedimento: «La mancata equiparazione degli assessori ai consiglieri era un'anomalia della nostra regione». 

I nuovi vitalizi. Di fatto, in realtà, il Lazio sembra andare controcorrente. Mentre diverse regioni italiane, infatti, hanno già proceduto con l'abolizione dei vitalizi (le ultime sono state oggi le Marche) il Consiglio regionale del Lazio inserisce diverse modifiche all'articolo 11 della Finanziaria, approvata la notte scorsa dalla commissione Bilancio presieduta da Franco Fiorito (Pdl). Modifiche che devono ora essere approvate dall'Aula. 

Vitalizi consiglieri aboliti dal 2015. Resta l'abrogazione del vitalizio per i consiglieri regionali (che attualmente vanno in pensone a 50 anni) a partire dalla prossima legislatura, ma per quanto riguarda quella in corso ci sono delle novità. Innanzitutto, i vitalizi per la giunta: «Per i consiglieri regionali e gli assessori in carica o cessati dal mandato nella IX Legislatura (quella in corso, ndr) - si legge nel testo approvato - si applicano le disposizioni di cui alla l.r. 19/1995». 

Il capitolo indennità. La normativa tuttora vigente prevede che sia pari all'80% di quello dei parlamentari. Il comma 3 del nuovo articolo 11 invece lo "congela": «Le indennità - si legge nel testo approvato in commissione - sono fissate alla data del 1° dicembre 2011 e sono indicizzate annualmente sulla base della variazione del costo della vita accertato dall'Istat». Un modo per evitare che eventuali tagli allo stipendio dei deputati possano avere effetti sulle indennità regionali. Infine sono spariti dall'articolo 11 gli aggravamenti sulle trattenute della retribuzione, fissate dalla giunta al 32% contro il vecchio 27%, e all'8% contro l'1% per il Tfr. 

Contributivo anche per i consiglieri. C'è poi nel nuovo testo un comma che afferma: «Il Consiglio regionale stabilisce con legge, entro la fine della presente legislatura, un sistema previdenziale contributivo per i consiglieri eletti a partire dalla X Legislatura basato sul sistema di calcolo vigente per i dipendenti pubblici con il limite inderogabile del requisito anagrafico minimo pari a 60 anni».

Polverini: corretta un'anomalia. Le novità sucitano le immediate reazioni dell'opposizione, ma la Polverini difende le modifiche: «Il lavoro di un assessore in termini di responsabilità, non può essere valutato con la sua presenza in consiglio regionale perché altrimenti parliamo di discriminare o non dare una opportunità che, oggettivamente, merita chi si assume una responsabilità enorme nello svolgere l'incarico di assessore. Eravamo noi che forse per un dibattito interno dalla precedente maggioranza, eravamo andati in una direzione assolutamente inadeguata. Così si stabilisce che non esistono assessori esterni: esistono consiglieri regionali ed assessori come in tutte la altre giunte e consigli, come anche nel Parlamento». 

La protesta del Pd: vergogna. Il candidato segretario del Pd Lazio Marco Pacciotti sale sulle barricate: «È una norma vergognosa. Da lunedì la Finanziaria passerà all'esame dell'aula: ci aspettiamo che contro l'emendamento notturno l'opposizione sia durissima».

Sarà battaglia. In una nota congiunta, Esterino Montino, Luigi Nieri, Vincenzo Maruccio, Angelo Bonelli, capigruppo Pd, Sel, Idv e Verdi in Consiglio regionale parlano di «inaccettabile forzatura» a cui l'opposizione si è opposta e si opporrà «in modo compatto», a meno che non si arrivi ad un ripensamento. I Consiglieri regionali Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo (Lista Bonino Pannella Federalisti Europei) attaccano: «I cittadini dovranno sopportare maggiori oneri per garantire nuovi privilegi».

Idv: marcia indietro rumorosa. Il capogruppo e segretario regionale dell'Italia dei Valori, Vincenzo Maruccio, parla di «marcia indietro rumorosa» e chiede alla Polverini di «sconfessare l'operato della sua maggioranza annunciando «battaglia in Aula».

Sull’affare sporco dei rifiuti “Comunque Formiga sa tutto”. - di Davide Milosa.



Nicoli Cristiani, intercettato, coinvolge il governatore della Lombardia. "Un'attività lobbistica ad altissimi liveli" per appalti legati anche ad Expo 2015.


Il vice presidente del consiglio regionale lombardo parla al telefono con il dirigente dell’Arpa. Dice: “Comunque Formiga sa tutto”. È il 14 novembre scorso. E questo è solo il frammento di una conversazione più ampia che, secondo quanto scrivono i carabinieri di Brescia, mette in evidenza “un’attività lobbistica ad altissimi livelli” finalizzata a procurare all’imprenditore Pierluca Locatelli l’incontro con Paolo Alli (non indagato), uno dei cosiddetti quattro sottosegretari d’oro del presidente della Regione Lombardia, con la delega all’attuazione del programma di Expo 2015.

Uomo vicino a Comunione e liberazione e braccio destro di Formigoni, il nome di Alli compare anche nelle carte dell’inchiesta sulla P3. Il punto è noto: nel marzo 2010, la lista di Roberto Formigoni, su denuncia dei Radicali, viene esclusa dalle regionali per la questione delle firme false. Formigoni fa ricorso. E sarà lo stesso Alli, che non risulta indagato, a tenere i contatti con gli uomini della presunta loggia massonica. Obiettivo: capire il destino del ricorso stesso.

Dunque c’è il sottosegretario, ma anche altri personaggi legati a Cl. Tutti impegnati a tirare la volata all’imprenditore Locatelli. Della partita anche il presidente e il vicepresidente della Compagnia delle opere di Bergamo. Torniamo allora alla telefonata del 14 novembre, che viene intercettata sul cellulare di Giuseppe Rotondaro. Dall’altra parte c’è Franco Nicoli Cristiani. Entrambi, il 30 novembre scorso, finiranno in carcere con l’accusa di corruzione. Mandato d’arresto condiviso con lo stesso Locatelli indagato anche per traffico illecito di rifiuti. L’inchiesta, iniziata dalla procura di Brescia, è stata trasferita, per quanto riguarda il filone della corruzione, a Milano. E proprio ieri si sono svolti gli interrogatori di garanzia.

I tre, raccontano le informative dei militari, da tempo condividono interessi comuni. Locatelli, attraverso la sua Cave nord, è titolare di un terreno che vuole trasformare in discarica di amianto. Il progetto, dovesse andare in porto, libererebbe un mutuo da oltre dieci milioni di euro che darebbe nuova energia alle sue imprese. Di più: la cava di Cappella Cantone nel Cremonese, se attivata, raccoglierebbe anche i rifiuti provenienti dai cantieri di Expo. Insomma, un bell’affare. Locatelli, naturalmente ci tiene ed è disposto a tutto. Anche a oliare gli ingranaggi della burocrazia. Tradotto: una tangente da 100 mila euro. Mediata da Rotondaro e intascata da Nicoli Cristiani ai tavoli del ristorante milanese Da Berti. La trattativa va in porto il 26 settembre.

I contatti, però, non si fermano. Anzi proseguono e puntano a livelli ancora più alti. Fino a entrare negli uffici della presidenza di Regione Lombardia. E così si arriva alla telefonata del 14 novembre. Cosa dovrebbe sapere Formigoni? Lo spiegano gli investigatori: “Nicoli Cristiani comunica a Rotondaro che si è adoperato per stabilire un contatto tra Locatelli e il sottosegretario regionale Alli” Per farlo bisogna avere l ’ ok dello stesso Formigoni. La conferma arriva dalle intercettazioni. “Venerdì sera – dice Nicoli – Formiga mi ha autorizzato a parlarne con Alli, io lo vedo domani mattina”. Quindi chiede a Giuseppe Rotandaro di far sapere a Locatelli che “mi sono mosso in questo modo, e comunque Formiga sa tutto”. La circostanza sarà confermata dallo stesso governatore giorni dopo gli arresti. Conferma con precisazione: “L’incontro tra Alli e Locatelli non è mai avvenuto”.

A metà novembre, però, i giochi sono ancora tutti aperti e Nicoli Cristiani è attivo “su quella partita”. E così, dopo aver parlato con il politico, Rotondaro chiama Locatelli per comunicargli la notizia: “Oggi – dice – mi sono visto con Franco e mi ha detto di dirti che lui ha avuto un contatto con il presidente, gli ha dato l ’ ok, domani parlerà con Paolo”. Quindi specifica: “È quella cosa che vi eravate detti per Expo”. Locatelli è entusiasta: “Se devo venire giù, io volo”. La torta del 2015 naturalmente fa gola. Ma certo inquieta che l’attivtà lobbistica del vicepresidente del consiglio lombardo, oltre a fare sponda con il presidente Roberto Formigoni, tenti di favorire l’impresa di Locatelli che nel 2009, attraverso due suoi dipendenti, incrocia gli interessi della ‘ ndrangheta nei lavori dell’Alta Velocità.

La procura di Napoli: “A Panama Lavitola ha corrotto il Governo”






Inchiesta per l'appalto da 100 milioni delle carceri. Perquisiti a Roma due giornalisti panamensi mentre è stato sentito un imprenditore italiano.


“Polizia”, dicono gli agenti, mostrando il tesserino in un bar di via Nazionale a Roma, e in quel momento Lina e Santiago capiscono di essere nel posto giusto al momento giusto: la Digos, inviata dai pm Vincenzo Piscitelli ed Henry John Woodcock, ha il mandato di perquisire le loro stanze d’albergo. Ma il punto è un altro: Lina Vega e Santiago Cumbrera sono due inviati del quotidiano panamense La Prensa, appena arrivati in Italia per raccontare le relazioni pericolose tra Valter Lavitola, il loro presidente Ricardo Martinelli e Finmeccanica. E nel mandato di perquisizione hanno modo di leggere che Lavitola è indagato per corruzione nei confronti di membri di stati esteri. Nell’atto il riferimento a Panama è esplicito: “Reato accertato in Napoli, in epoca anteriore e prossima al luglio 2011, in relazione a condotte specificamente esistenti tra Lavitola e il governo panamense, inerenti l’affidamento, intermediato da Lavitola, di lavori e commesse milionarie, riguardanti la costruzione di carceri e altre opere pubbliche, oggetto di specifico approfondimento investigativo”. La loro perquisizione, in fondo, dimostra proprio quello che cercavano: è la prova che la procura di Napoli sta indagando sugli affari stretti con il governo panamense. Lina e Santiago sono pronti a scrivere lo scoop per La Prensa, la notizia farà tremare il presidente Martinelli e il governo intero, ma c’è di più: è la prova che le indiscrezioni pubblicate in esclusiva da Il Fatto Quotidiano il 18 ottobre scorso sono più che fondate. Parliamo di un affare da 100 milioni di euro, poi sfumato, sulla costruzione di carceri con celle modulari. Eppure c’era stata un’intesa, firmata nel 2010, tra Silvio Berlusconi e Martinelli. E anche in quel caso, ci avevano spiegato fonti riservate, c’era lo zampino di Lavitola. Il sospetto è confermato dalla perquisizione che la procura di Napoli ha disposto due giorni fa. L’accordo per le carceri a Panama arriva nelle stesse ore dell’intesa per gli affari con Finmeccanica.

Il partner italiano prescelto dai panamensi per l’affare delle celle modulari è il consorzio Svemarke Lavitola è messo al corrente dell’evoluzione dell’affare. Non solo. Tra i soci della Svemark c’è anche Angelo Capriotti. Lo stesso Capriotti che ha assunto la moglie di Gianpi TarantiniNicla De Venuto, e così l’affare panamense – per il tramite di Lavitola – inizia a trovare contatti con un’altra inchiesta: quella avviata, sempre dalla procura di Napoli (e poi approdata a Roma e Bari), sui soldi pagati da Berlusconi a Tarantini, proprio attraverso Lavitola, per mentire alla procura di Bari nel procedimento sulle escort. Non c’è solo Capriotti, però, nella Svemark: tra i soci c’è anche Mauro Velocci. Ed è proprio lui che Woodcock e la Digos stanno cercando, quando decidono di perquisire gli inviati de La Prensa: “Velocci Mauro – si legge negli atti – s’è incontrato, o meglio si sta incontrando, nel pomeriggio odierno, con una giornalista panamense presso l’hotel …”. La Digos rintraccia Velocci proprio mentre sta parlando con i giornalisti. Gli agenti esibiscono il tesserino sotto gli occhi increduli degli inviati panamensi. Due giorni fa, il quotidiano filo governativo El Panama America, aveva anticipato l’arrivo di Velocci in Italia da Panama, scrivendo che, proprio Velocci, era la fonte delle notizie rivelate dalla leader dell’opposizione, Balbina Herrera, che in tv aveva letto alcune e-mail tra Lavitola e Martinelli. Al centro dello scandalo a Panama ci sono oltre agli affari di Lavitola con Velocci sul fronte carceri, anche le commesse ottenute da Finmeccanica, grazie anche al faccendiere, per l’acquisto di radar ed elicotteri. Per favorire un clima positivo tra Italia e Panama, Lavitola aveva sponsorizzato il dono di alcune navi dall’Italia e un trattato che avrebbe aiutato il paese centro americano ad uscire dalla lista dei paradisi fiscali.

Proprio in queste ore, tra i cronisti panamensi, circolano i testi di altre conversazioni tra Lavitola e Martinelli. Come la seguente, che sembra una sorta di programma del governo: “Capo”, scrive Lavitola a Martinelli, “programmi Tv ok (forse Lavitola si riferisce alle trattative con Raitrade, ndr), trattato doppia tributazione ok, navi ok (aspetto la conferma per la visita dei marinai), radar: l’autorizzazione del ministero (Garuz) è partita questa settimana. La controlleria ha trattenuto i documenti per più di due mesi. Entro 30 / 60 giorni sarà tutto ok. Ti prego con tutto il cuore di fidarti di me. Un fraterno abbraccio. Valter”. “Gracie mille”, risponderà poche ore dopo Martinelli. Era il 22 gennaio 2011. In effetti, come rivelato da Il Fatto quotidiano, il 30 dicembre 2010 era stato firmato il trattato di doppia imposizione fiscale con Panama, che però l’Italia non ha mai ratificato. Anche per le navi, almeno nei primi tempi, l’affare stenta a realizzarsi, tanto che l’ambasciatore italiano a Panama, Curcio, scrive a due funzionari di Palazzo Chigi. Riferisce di aver ricevuto una telefonata, dal presidente Martinelli, che è furioso perché Berlusconi non sta rispettando due impegni. Il primo riguarda la costruzione di un ospedale a Veraguas, il secondo la consegna di quattro motovedette alla marina panamense. Curcio però aggiunge: “La telefonata è da mettere in relazione con alcuni contatti per cercare di sbloccare la questione delle carceri modulari dell’azienda italiana Svemark …”. Sempre parlando di Martinelli, Curcio prosegue: “Ha detto che le carceri modulari sono care e non le farà mai”, conclude l’ambasciatore, chiedendo l’intervento di Berlusconi. E proprio di “carceri e altre opere pubbliche” parla il decreto di perquisizione: Velocci – che è presidente della Svemark Panama – in queste ore è stato sentito dagli inquirenti napoletani: la sua deposizione può far tremare Lavitola e l’intero governo panamense.

di Francesca Biagiotti e Antonio Massari da “Il Fatto Quotidiano

La Consulta inguaia Bossi: via l’immunità sul tricolore.


RomaNon sono più coperte da immunità parlamentare alcune dichiarazioni di Umberto Bossi di dieci anni fa, che la Camera aveva dichiarato protette dall'ombrello dei deputati ma che ora la Corte Costituzionale, con una sentenza pubblicata ieri, ha consegnato alla giustizia. 

La Consulta ha infatti annullato la delibera della Camera su Bossi. Le dichiarazioni incriminate riguardano una pesante critica che Bossi aveva rivolto al giudice di Cantù, Paola Braggion, la quale lo aveva condannato per vilipendio della bandiera. Il leader leghista aveva infatti detto che il tricolore andrebbe usato come carta igienica, con un linguaggio non da salotto, come d'abitudine. Braggion aveva chiesto il risarcimento danni a Bossi e la Corte d'appello di Brescia lo aveva condannato a pagare 40mila euro al magistrato. Bossi impugnò la sentenza e la Camera approvò una delibera in cui si dichiarava che le affermazioni del capo del Carroccio non erano perseguibili, in quanto espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari. Ma a quel punto la Cassazione ha sollevato il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera e ora la Consulta lo ha accolto, escludendo l'immunità parlamentare. 
Le dichiarazioni di Bossi, che gli erano costate la condanna per vilipendio, risalgono al 26 luglio 1997, quando nel corso di un comizio a Cabiate (Como) il leader della Lega notò la bandiera italiana che sventolava da una scuola vicina e disse: «Quando vedo il tricolore mi incazzo. Il tricolore lo uso per pulirmi il c...». La condanna arrivò nel 2001: un anno e quattro mesi per vilipendio della bandiera. Nei giorni seguenti il Senatùr in diverse interviste si scagliò contro il giudice Braggion, accusandola di strumentalizzare il proprio ufficio per incidere sulla competizione politica.
Braggion chiese il risarcimento danni, ma la Camera sollevò Bossi da ogni responsabilità giuridica. «Non spettava alla Camera - rileva ora la Corte Costituzionale nella sentenza - affermare che le dichiarazioni rese dall'onorevole Umberto Bossi costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni». 


http://www.ilgiornale.it/interni/la_consulta__inguaia_bossi_via_limmunita_tricolore/17-12-2011/articolo-id=562746-page=0-comments=1

Frequenze tv, sì del governo all'asta Berlusconi: da Mediaset neanche un euro. - di Marco Conti




Silvio Berlusconi

ROMA - «Il nostro appoggio è stato sempre fuori discussione ma qui c’è il problema della tenuta del Pdl». L’ex ministro è nel cortile di Montecitorio dove è più facile inviare sms per bloccare i molti deputati pronti a salire su un aereo o su un treno per rientrare a casa prima del voto di fiducia finale. In aula il partito di Alfano ha già perso pezzi nel primo voto e, soprattutto, ha lasciato che alcuni deputati votassero contro, come Stracquadanio e Mussolini, e altri si astenessero come Martino e Moles. «Non possiamo lasciare alla Lega il monopolio dell’opposizione. Così come non possiamo permettere che il Pd recuperi il dissenso grazie alla Cgil». Il ragionamento del Cavaliere sembra però più il frutto di una presa d’atto che di una strategia e sconta la matta voglia degli ex di An di votare contro. «Se toccavano i tassisti e le farmacie l’avremmo mandato sotto», insinua un deputato romano cresciuto in via della Scrofa.


La decomposizione del centrodestra, si materializza in serata, quando la Camera vota un emendamento dell’Idv e della Lega che annulla la distribuzione gratuita delle frequenze e stabilisce l’asta.Un colpo basso che il disorientato gruppone guidato da Fabrizio Cicchitto, incassa con un sommesso brusio che taglia i banchi. Berlusconi non è in aula al momento del voto, ma si aspettava il colpo basso del Carroccio frutto, a suo giudizio, anche della guerra più o meno sotterranea che contrappone nella Lega il capogruppo Reguzzoni all’ex ministro Maroni che da tempo vorrebbe un suo uomo alla guida del gruppo leghista di Montecitorio. «L’asta non mi interessa e Mediaset non tirerà fuori un euro», continua a sostenere il Cavaliere poco o nulla turbato per il voto sull’ordine del giorno che di fatto non cambia nulla.

La sfida lanciata dalla Lega è però solo la prima di una lunga sequenza di colpi sotto la cintura che mirano ad innervosire il Pdl, ma non scalfiscono l’accordo fatto da Berlusconi con Monti prima del primo voto di fiducia e che sostanzialmente, raccontano a palazzo Grazioli, impone al governo di non intervenire sul sistema radio-televisivo. Ieri sera Berlusconi si diceva «tranquillo» con i suoi. Al punto da sbracciarsi e spiegare che con quel «disperato non volevo offendere il governo e Monti. Anzi, era un modo per condividere difficoltà che ben conosco». Malgrado gli sforzi di Berlusconi e Bossi, l’alleanza di centrodestra, così come è stata sino al 2008, non c’è più e, viste le assenze in aula di ieri, potrebbero essere tutti in salita i prossimi appuntamenti in aula. A cominciare dal voto di giovedì prossimo sull’uso delle intercettazioni che riguardano l’ex ministro Romano e dal voto in commissione che dovrebbe autorizzare o meno l’arresto di Cosentino. La Lega è infatti pronta a schierarsi con Idv e Pd pur di dare un pesante segnale all’alleato. Non solo, ma incassata una manovra che alla fine scontenta più il Pd che il Pdl, Berlusconi teme che al prossimo giro, ovvero sul pacchetto crescita e liberalizzazioni, sia il centrodestra a dover pagare il prezzo più alto con un Pdl chiamato a dare prova di unità su tassisti, municipalizzate e farmacie. Uno scenario che solletica l’ala centrista del partito di Alfano che da tempo medita l’emarginazione degli ex An.

venerdì 16 dicembre 2011

Pdl, Stefania Craxi passa al gruppo Misto “E’ finito e Berlusconi non se n’è accorto”.






Il Cavaliere si è detto amareggiato dalla decisione dell'ex sottosegretario agli esteri. Ad abbandonare definitivamente il partito anche Letizia Moratti, dopo appena due anni di iscrizione. L'ex sindaco di Milano sta dialogando con il Terzo Polo: ieri due incontri a Roma con Gianfranco Fini


Silvio addio. Dopo Letizia Moratti, che a novembre non ha rinnovato l’iscrizione al Pdl dopo appena due anni, anche Stefania Craxi lascia il partito. E se l’ex sindaco di Milano sta da tempo dialogando con i vertici del Terzo polo (mercoledì ha incontrato il presidente della Camera) la primogenita di Bettino Craxi nega di guardare al partito di Gianfranco Fini (“non è un riformista”) e si iscrive al gruppo Misto, nel giorno della fiducia al governo di Mario Monti.

“Lascio il Pdl. Un ciclo è finito, l’alleanza di centrodestra non esiste più e Berlusconi purtroppo non se ne è accorto”. Il suo addio segna la fine di un rapporto familiare oltre che politico. Ma la primogenita di Bettino Craxi è critica da mesi con il Cavaliere. “Berlusconi è al tramonto, esca di scena”, disse lo scorso aprile. “Deve smetterla di raccontare barzellette oscene”. Nelle ultime settimane ha bocciato la riorganizzazione interna del partito, a suo avviso inutile perché Berlusconi conserva “poteri straordinari, diventa Lord protettore del partito”. Dunque l’addio. “Ho aspettato venti giorni che qualche dirigente ponesse un interrogativo su questa decisione”. Ed ha atteso anche un incontro con l’ex premier: “Ho chiesto più volte un appuntamento, senza mai ottenerlo”. Eppure oggi Berlusconi si è detto “amareggiato” dalla decisione di Stefania Craxi. “Conosco la storia di Stefania e conoscevo bene suo padre”, ha confidato ad alcuni deputati in aula.

Il legame tra le due famiglie, di fatti, parte da lontano. Bettino Craxi e la moglie Anna furono i testimoni di nozze di Berlusconi e Veronica Lario. Dai banchi del governo, il leader del Psi, salvò per decreto le tv del Cavaliere che poi lo difese ai tempi di Tangentopoli. Poi i figli. Stefania è eletta alla Camera nel 2006 con Forza Italia, nominata sottosegretario agli Esteri nel governo del 2008, si schiera al fianco di Berlusconi contro gli “attacchi da parte della magistratura” ma assumendo spesso posizioni critiche. Il passaggio di mano della guida del partito ad Angelino Alfano aveva lasciato sperare, spiega oggi Stefania Craxi, un cambiamento di rotta. Mai realmente avvenuto. “Il Pdl non ha una linea politica, finché Berlusconi ne sarà proprietario Casini non scenderà a patti”, afferma oggi. “Con una atto di generosità – prosegue l’ex sottosegretaria – Berlusconi avrebbe dovuto permettere al Pdl di diventare un vero partito politico, ma questo non è avvenuto”. Secondo Craxi “il 14 dicembre di un anno fa Berlusconi avrebbe dovuto mediare con Fini, compattare la maggioranza e procedere con il programma di riforma e non rimanere arenati per un anno su scandali e questioni giudiziarie. Berlusconi dovrebbe andarsene ora dal partito”. Ma, garantisce Craxi, nessuna apertura al leader di Futuro e Libertà. L’intenzione è quella di creare una vasta area di riformisti” e “Fini non sarà compreso nei riformisti”.

Chi invece guarda con interesse a Futuro e Libertà è l’ex sindaco di Milano. Ieri Letizia Morattiha incontrato Fini a Roma come preludio a una collaborazione con la forza centrista. Il faccia a faccia nella Capitale ha scatenato in Consiglio comunale una ridda di voci e recriminazioni da parte degli ex alleati verso la candidata del centrodestra alle ultime elezioni amministrative. L’accusa è di tradimento.

Nel pomeriggio la Moratti ha infatti avuto una serie di incontri a Roma con i vertici di Fli e un doppio faccia a faccia con Fini, prima alla Camera e poi a pranzo nell’appartamento della terza carica dello Stato. Tutto sembra confermare il definitivo addio al Pdl. Un amore, quello per il partito del Cavaliere, che non è mai scoppiato o che comunque è andato in pezzi in tempi record. Sono infatti passati due anni e due giorni dalla consegna, dalle mani dell’allora premier Silvio Berlusconi, della tessera del Popolo della Libertà, tessera che poi non era stata rinnovata. Era il 13 dicembre 2009 (il giorno dell’aggressione a Berlusconi) e la Moratti, allora sindaco di Milano da tre anni, saliva sul palco allestito in piazza Duomo per entrare ufficialmente nel partito. Da allora le incomprensioni furono continue ed esplosero dopo la sconfitta alle elezioni per la riconferma a Palazzo Marino.

Recriminazioni che sono tornate a galla ieri, tra gli scranni del Pdl in Consiglio comunale, dopo la notizia dell’incontro con Fini. L’ex sindaco non è stata infatti solo accusata di tradimento, ma di aver causato la sconfitta del centrodestra nella città simbolo del berlusconismo. “Ci spiace che la Moratti non abbia preso questa decisione prima della campagna elettorale. Avremmo scelto – attacca il vice-coordinatore cittadino Marco Osnato – una persona più rappresentativa del nostro elettorato”. Anche Riccardo De Corato, suo vice per cinque anni, si dice dispiaciuto, ma poi ribatte: “Sarebbe bastato che avesse avuto le idee più chiare prima, così ci saremmo salvati anche noi”.

Moratti “dovrebbe chiarire la sua scelta con quel 42% dei milanesi che l’hanno votata come candidata di una coalizione – prosegue l’ex vicesindaco – che ora abbandona e tradisce”. Il capogruppo Pdl Carlo Masseroli ironizza invece sulla sua presenza in aula (14 sedute su 38, ovvero il 37%) come capogruppo e unica eletta della sua lista civica. “Non sentiremo la sua mancanza in aula – afferma ironico – dove non si è rimboccata le maniche nelle battaglie dell’opposizione”. Più caustici invece il leghista Matteo Salvini e il presidente del Consiglio comunale Basilio Rizzo (Fds). Il primo giudica il possibile passaggio dell’ex sindaco al Terzo Polo come “una fine veramente misera” da “gente con lo stomaco felpato” che “non fa di certo palpitare il cuore dei milanesi, nè tantomeno quello della Lega”. Il secondo invece scherza parodiando uno spot di successo: “Vedere Letizia Moratti consigliere del gruppo Manfredi Palmeri (ex Pdl poi passato nel Terzo Polo e suo avversario alle scorse comunali, ndr) non ha prezzo”.