Il ministro dello Sviluppo vuole raddoppiare la quantità di petrolio estratto nel nostro Paese per portarlo al 20% della domanda. Una idea che passa per forza dalle coste siciliane, dove già oggi si concentra più di un terzo delle attività di ricerca. Una scelta che piace alle compagnie ma osteggiata dagli ambientalisti: "Dannoso e inutile - per Legambiente - se estraessimo tutto il petrolio presente in mare, l'Italia lo esaurirebbe in sole 7 settimane".
Le coste dell’isola di Favignana, dove una volta andava in scena la mattanza del tonno, ma anche la splendida isola di Pantelleria, ricca di capperi e con le spiagge incontaminate. E poi il mare di fronte a Marsala e quello di Sciacca, il canale di Sicilia e la costa di Pozzallo. È questa la lista della spesa delle principali compagnie petrolifere del mondo: squarci di paradiso in cui venire a cercare oro nero. In Sicilia sono undici i permessi di ricerca concessi, e mentre ben diciotto richieste sono ancora in attesa di valutazione, in tre casi sono già spuntate all’orizzonte piattaforme in piena regola a pochi chilometri dalla costa. A beneficiarne compagnie importanti come la Shell, che cerca il petrolio dalle parti di Favignana, la Transunion Petroleum, che scandaglia i fondali del canale di Sicilia, ma anche società minori come la San Leon Energy, una srl con capitale di diecimila euro titolare di ricerche importanti come quelle di fronte alla costa di Sciacca.
Adesso, però, la già inarrestabile corsa all’oro nero di Sicilia potrebbe addirittura accelerare. Almeno secondo il piano energetico di Corrado Passera, ministro dello sviluppo economico di Mario Monti. La proposta di Passera ha una semplice parola d’ordine: raddoppiare l’estrazione di olio nero nella penisola fino ad arrivare al 20 per cento della domanda. Un programma che piace molto alle grandi società d’estrazione, soprattutto perché sul tavolo del governo c’è la proposta di abolire il limite delle dodici miglia di distanza dalla costa, entro il quale oggi non si possono impiantare trivelle. Una possibilità che ha fatto andare su tutte le furie gli ambientalisti. “Il ministro Passera ignora la necessità di tagliare drasticamente le emissioni di Co2, ascolta solo le lobby dei combustibili fossili e soprattutto condanna l’Italia a non puntare sull’economia del futuro” dice Mariagrazia Midulla di Wwf Italia. “Nel Canale di Sicilia – ha avvertito Greenpeace – si prepara una folle corsa all’oro nero: da una dettagliata analisi delle richieste e dei permessi, le compagnie petrolifere da un lato hanno già trovato dei giacimenti che si preparano a sfruttare, dall’altro moltiplicano le richieste per esplorare i fondali marini alla ricerca di nuovo petrolio”.
In pratica le diciotto richieste d’estrazione si raddoppierebbero in poche settimane, e nel frattempo aumenterebbero i permessi accordati per cercare petrolio nel mare siciliano. Ma non aumenterebbe la produzione. Almeno secondo Stefano Ciafani, vice presidente di Legambiente: “Se estraessimo tutto il petrolio che, secondo il ministero dello Sviluppo Economico, è presente in mare, l’Italia lo esaurirebbe in sole 7 settimane. E se al petrolio marino aggiungiamo quello estratto a terra, arriveremmo a 13 mesi. Un quantitativo che definire ridicolo è poco”. Nonostante la corsa per cercare l’oro nero di Sicilia sia affollata, il sottosuolo made in Italy infatti è tutt’altro che ricco. Le compagnie estrattrici però rimangono molto interessate alle ricerche nel nostro mare. E ancora di più lo saranno se dovesse passare il piano di Passera. Il motivo è tutto da ricercare nelle royalties che le compagnie pagano al nostro paese. In Sicilia, la regione più interessata dalle ricerche con 11 concessioni su un totale di 26, le tasse sono le più basse d’Italia, inferiori di 33 volte a quelle che si pagano in Emilia Romagna, nonostante le diverse caratteristiche del sottosuolo. Tutta la penisola è poi uno dei paesi che incassa di meno dai cercatori d’oro nero: il 4 per cento di tasse per i permessi offshore, che dovrebbero arrivare al 7 per cento, ma soltanto sopra le 50mila tonnellate di petrolio prodotte ogni anno. Un’inezia rispetto all’85 per cento chiesto dalla Libia e all’80 della Russia: prezzi stracciati che hanno valso all’Italia il titolo di “miglior paese per l’estrazione di petrolio off-shore” secondo la compagnia Cygam.
“Cifre ridicole a fronte del preoccupante impatto delle trivellazioni per la biodiversità del Canale” sottolinea Greenpeace, che durante tutto il 2012 ha lanciato una campagna dichiarare il canale di Sicilia zona ecologica protetta. Il proliferare delle trivelle però non mette in pericolo soltanto la biodiversità. “Occorre fermare le trivellazioni – dice Carlo Cassaniti, vicepresidente dei geologi siciliani – i nostri mari presentano purtroppo le stesse pericolosità geologiche dei territori emersi: in particolare nel Canale di Sicilia sono presenti numerose ed importanti strutture geologiche e non è neanche da sottovalutare la presenza di vulcani sottomarini”.
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