martedì 15 gennaio 2013

Expo 2015, rapporti con Cosa nostra: sospesa azienda siciliana. - Davide Milosa


Expo 2015


La Prefettura di Milano ha emesso un'interdittiva per la Ventura spa, azienda messinese. Secondo quanto accertato dalla Direzione investigativa antimafia emergono rapporti con i potenti boss del clan di Barcellona Pozzo di Gotto.

Dopo gli allarmi, le conferme. L’Expo si ritrova in casa un’azienda sospettata di avere rapporti poco chiari con uomini legati a Cosa nostra. Risultato: la Prefettura di Milano ha emesso un’interdittiva per la Ventura spa di Furnari, paese non lontano da Barcellona Pozzo di Gotto. Mafia messinese, dunque, da sempre alimentata da un brutto impasto tra criminalità, massoneria e grigi settori della buona borghesia locale. La ditta ha un’importante sede milanese nel comune di Pieve Emanuele.
Attualmente la società siciliana fa parte di un’associazione temporanea d’impresa che si è aggiudicata l’appalto fino ad ora più goloso di Expo, vale a dire la costruzione della cosiddetta piastra sulla quale sorgeranno gli edifici dell’esposizione. Il tesoretto ammonta a 165 milioni e 130mila euro, portato a casa con un ribasso del 43%. Una percentuale pazzesca che ha fatto drizzare le antenne della procura di Milano. A tirare il gruppo è la veneta Mantovani, come venete sono la Silev e la Coveco, dopodiché c’è la romana Socostramo e quindi la Ventura, società quest’ultima iscritta alla Compagnia delle opere, il braccio finanziario del movimento cattolico Comunione liberazione.
All’azienda, seguendo una prassi ormai consolidata, verrà sospeso il certificato antimafia e dunque anche la possibilità di operare per Expo. Sospensione, si badi, che sulla carta può essere temporanea, visto che l’interdittiva può essere impugnata davanti al Tar. Così come fece la milanese Edil Bianchi, colosso del cemento al quale nel 2008 il Prefetto tolse la possibilità di operare dopo che le indagini certificarno l’affidamento di diversi subappalti a ditte calabresi in odore di ‘ndrangheta. Una decisione che fu però ribaltata dal Tribunale amministrativo che rimise in moto i camion della società. Questo per dire che, naturalmente, la scelta del Prefetto non qualifica la Ventura spa come ditta mafiosa, ma solo indica un sospetto ed evidenzia un rischio d’infiltrazione.
Un rischio che va cercato nelle carte dell’indagine Gotha tre, la maxi-operazione del Ros che nel luglio scorso ha portato in carcere dodici persone, tra cui l’avvocato Rosario Cattafi, oggi pentito e ritenuto uno degli uomini chiave per svelare finalmente i segreti della trattativa Stato-mafia. La Dia e il prefetto di Milano, però, non si sono spinti così in alto. Molto più banalmente, analizzando tutte le carte di quell’indagine, hanno incrociato più volte il nome della ditta Ventura. Ditta che, va detto, non sarà mai coinvolta penalmente in quell’operazione. A inguaiare gli imprenditori saranno,però, le dichiarazioni di alcuni testimoni verbalizzate dagli investigatori. Saranno loro, infatti, a coinvolgere la Ventura nel giro delle imprese collegate ai boss e alla grande spartizione degli appalti pubblici in tutto il Messinese.
Protagonista e puparo del gioco è Salvatore Sam Di Salvo, origini canadesi, ma curriculum (mafioso) tutto messinese. E’ lui, secondo la ricostruzione dei carabinieri, ad avere i rapporti con i Ventura. E così si scopre che nel 2003, durante una perquisizione in casa di Di Salvo i magistrati trovano una serie di certificati Soa, alcuni intestati alla ditta Ventura. Ma agli atti viene messo anche altro: e cioè la partecipazione della Ventura a un consorzio temporaneo di imprese composto da ditte tutte (o quasi) riconducibili ai Ventura.
Racconta, invece, l’imprenditore Maurizio Marchetta: “Salvatore Di Salvo mi ha invitato, tra il fine 2002 ed i primi mesi del 2003 (…) a partecipare ad una riunione presso gli uffici dell’impresa Ventura Giuseppe. A questa riunione (…) Aquilla e Di Salvo (…) dicevano di voler organizzare in maniera più attenta, cioè più precisa, le turbative delle aste. Loro volevano coinvolgere Ventura e Scirocco per le sue conoscenze di altri imprenditori siciliani e del Nord. Infatti a loro interessava raccogliere un numero maggiore di offerte per condurre la turbativa con minimi margini di errore ed aggiudicarsi con maggiore certezza gli appalti di loro interesse (…) Sia io che Pippo Ventura abbiamo espresso le nostre perplessità in ordine alla riuscita di questa organizzazione delle turbative”.
Nel dicembre 2012, un’inchiesta dell’Espresso aveva già messo in luce i rapporti opachi della Ventura con i professionisti dei clan. All’epoca, il numero del settimanale uscì il 6 dicembre, i vertici di Ventura risposero con un secco comunicato stampa dove si precisava “che non risulta coinvolgimento alcuno e ad alcun titolo di suoi soci o amministratori nelle indagini condotte dalle Procure della Repubblica evidenziate; come d’altro canto certificato da tutti gli organismi deputati allo scrutinio dei rigidi requisiti richiesti per l’aggiudicazione di gare d’appalto di tale rilevanza”. Una rigidità nel controllo, rivendicata nei giorni successivi, dalla stessa società che gestisce Expo 2015. Anche in quel caso si fece appello agli alti livelli di controllo. Conclusione: pochi giorni fa la decisione del Prefetto di escludere la Ventura per sospetti legami con i clan.

Figlio di Luigi Bisignani nominato capo ufficio stampa della Ferrari. - Antonella Beccaria


Figlio di Luigi Bisignani nominato capo ufficio stampa della Ferrari


Renato, 27 anni, laurea alla Bocconi, da sempre in corsia preferenziale nell'azienda di Maranello di cui era già business development manager. Il padre Luigi invece è alle prese con le disavventure giudiziarie, per ultimo il patteggiamento a 19 mesi per l'inchiesta sulla P4.

Le colpe dei padri non devono ricadere sui figli. E infatti non accade a Renato Bisignani, figlio di Luigi, da oggi responsabile della comunicazione attività sportive della casa automobilistica Ferrari.  Per il papà Luigi, invece, le ultime disavventure giudiziarie annoverano un patteggiamento a 19 mesi per l’inchiesta sulla P4 e più recentemente (era la fine d novembre 2012), il ricorso contro la condanna è stato respinto dalla sesta sezione della corte di Cassazione e la sentenza è diventata così esecutiva. Ma il rampollo del giornalista che fu all’Ansa e ancor prima capo dell’ufficio stampa del ministro del Tesoro Gaetano Stammati procede nella sua carriera.
Nato a Roma 27 anni fa, le scuole superiori frequentate nella capitale andando alla Marymount International School e una laurea in economia internazionale alla Bocconi di Milano, Bisignani junior vanta nonostante la giovanissima età una carriera tutta nel mondo dei motori. Prima ha lavorato nel settore commerciale del team di Formula 1 della Renault e poi, nel 2010, entra nella casa di Maranello come business development manager prendendo il posto di Luca Colajanni, che da 9 anni occupava quel ruolo e che è considerato uno storico collaboratore di Luca Cordero di Montezemolo. Infine ecco che approda alla veste di responsabile della comunicazione attività sportive del Cavallino Rampante assumendo la veste di capo ufficio stampa.
Frequentatore dei salotti più esclusivi della Roma bene, oltre che di quella blasonata, il giovane manager non ha avuto guai con la giustizia. L’unica volta che il suo nome viene fuori è un’intercettazione datata 12 settembre 2010 quando Luigi Bisignani gli telefona e nel corso della conversazione vengono formulati giudizio poco lusinghieri sui costumi personali dell’allora ministro del Turismo, Maria Vittoria Brambilla. Ma non è per il contenuto irriverente della telefonata che l’ex giornalista viene condannato.
Lo sono le accuse di favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio che gli hanno mosso i pm di Napoli Henry John Woodcock e Francesco Curcio e a cui è seguita la condanna inflitta dal giudice partenopeo Maurizio Conte in fase di udienza preliminare. Nel frattempo un altro gip, Luigi Giordano, aveva firmato l’ordinanza che revocava, sempre la vicenda P4, gli arresti domiciliari in base a due elementi. Da un lato c’era la richiesta di patteggiamento e dall’altra l’avvio l’8 novembre scorso del processo ad Alfonso Papa, il parlamentare del Pdl che, con l’avvio dell’indagine napoletana, si era autosospeso dai suoi incarichi istituzionali.
Luigi Bisignani, risultato negli elenchi della P2 ritrovati il 17 marzo 1981 a Castiglion Fibocchi in possesso di Licio Gelli, commentò in questo modo l’inserimento del suo nome in quella lista: “Seguo da tempo per l’Ansa le notizie sulla massoneria e conosco, pertanto, molti alti elementi della massoneria, compreso Licio Gelli. I quali abitualmente mi fanno avere i loro comunicati in redazione. Smentisco però categoricamente la mia appartenenza a qualsiasi loggia massonica, compresa ovviamente la P2. Faccio notare che non avrei neppure l’età per l’iscrizione alla P2 che sarebbe di 30 anni come ho scoperto leggendo il libro ‘I massoni d’Italia’ edito dall’Espresso”.
Superata la bufera della P2 e interrotto il suo rapporto con l’Ansa, Bisignani passa nel 1992 al Gruppo Ferruzzi, ma appena dopo arriva un nuovo guai giudiziario: l’inchiesta Enimont e un’accusa per violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti. Bisignani viene arrestato e condannato in via definitiva a 2 anni e 6 mesi mentre appena dopo giunge anche la radiazione all’albo dei giornalisti. Ricomparso nelle cronache giudiziarie ai tempi dell’indagine Why Not di Luigi De Magistris, allora pubblico ministero e oggi sindaco di Napoli, giunge infine in ciclone P4, secondo le ipotesi degli inquirenti un potente gruppo d’affari che operava all’interno della pubblica amministrazione e della giustizia.

Blitz contro trafficanti di somali, 55 arresti.



Operazione polizia e Gdf coordinata da Dna e procure Catania e Firenze.

ROMA - Maxi operazione di Polizia e Gdf - coordinata dalle procure distrettuali di Catania e Firenze e dalla Dna - contro due organizzazioni criminali somale accusate di traffico di esseri umani: 55 gli arresti in esecuzione. In manette un mediatore culturale dell'Ambasciata italiana di Nairobi e un collaboratore del World Food Program.
   Gli arrestati sono accusati, a vario titolo, di favoreggiamento aggravato dell'immigrazione clandestina di cittadini provenienti dall'area del Corno d'Africa e diretti, attraverso il territorio italiano, verso il Nord Europa, oltre che di contraffazione di documenti, esercizio abusivo dell'attivita' finanziaria, riciclaggio ed altri reati.
  Secondo le indagini coordinate dalla Direzione nazionale antimafia, il cartello criminale, composto da cellule operative radicate in Italia, in Kenya e in Libia, conduceva i migranti verso Malta e la Grecia per poi convogliarli in Italia presso alcune basi logistiche individuate a Roma, Milano, Torino, Firenze, Prato, Bergamo, Cuneo e Napoli, considerate citta' strategiche per la loro vicinanza agli aeroporti che collegano, anche con voli low cost, le principali capitali europee.
   I migranti venivano quindi muniti di falsi documenti e avviati verso paesi del Nord Europa, in particolare Olanda, Francia, Danimarca, Regno Unito e, soprattutto, Norvegia, Svezia e Finlandia. In alcuni di questi Paesi sono state individuate altre cellule operative dell'organizzazione.
   Tra gli arrestati, anche Hussein Mohamed Abdurahman, soprannominato 'Banje', mediatore culturale presso l'Ambasciata italiana di Nairobi (l'Italia non ha rappresentanze in Somalia), considerato il punto di riferimento per l'ottenimento, illecito, dei visti d'ingresso in territorio italiano e Mohamed Sheik Ali Bashir, collaboratore del Wfp.
   Altre 23 persone accusate di aver agevolato le attivita' illecite dell'organizzazione sono state denunciate a piede libero, mentre nelle prossime ore saranno eseguiti numerosi sequestri preventivi di attivita' economiche, conti correnti, agenzie di 'money transfer' ed altri beni riconducibili alla stessa organizzazione criminale, il cui giro d'affari e' stato stimato dagli inquirenti in circa 25 milioni di euro l'anno.

lunedì 14 gennaio 2013

GIANNI DE GENNARO: UNA CARRIERA COL MARCHIO FBI.



Pare che anche a Monti possa capitare di dire la verità. Secondo alcuni organi d'informazione, Monti avrebbe infatti dichiarato che l'Italia non è una colonia dell'Unione Europea. [1] 
L'Italia, e anche la stessa Unione Europea, sono infatti colonie della NATO. Monti, prima di diventare Presidente del Consiglio, era un advisor del Consiglio Atlantico della NATO; lo stesso vale per l'attuale ministro della Difesa, Di Paola, che è stato presidente del Comitato militare della NATO sino al novembre scorso. 
Ma c'era bisogno di rafforzare la presenza americana nel governo, così Monti ha nominato Gianni De Gennaro a sottosegretario, con incarico di Autorità sulla "intelligence", cioè sui servizi segreti. Già prima della nomina a sottosegretario, De Gennaro era il supercapo dei servizi segreti, ed ora ne diventa una sorta di divinità. De Gennaro è l'uomo la cui fama è legata soprattutto alla vicenda del massacro nella scuola Diaz di Genova, ma che avrebbe anche altri motivi per essere giustamente famoso. 
De Gennaro è infatti l'uomo di fiducia del Federal Bureau of Investigation. Dal sito dello stesso FBI, si apprende infatti che De Gennaro nel 2006 è stato insignito della medaglia per "Meritorious Achievement", una delle maggiori onorificenze concesse dal Bureau. [2] 
Tra le imprese meritorie di De Gennaro di cui si parla nella motivazione ufficiale del premio, c'è anche quella di aver operato per più di trenta anni da "consigliere informale" degli ambasciatori statunitensi in Italia. Gli "informali" potrebbero quindi adottare De Gennaro addirittura come loro maestro. Qualcuno direbbe che De Gennaro fa la spia per conto degli ambasciatori americani, ma si tratterebbe chiaramente di calunnie senza fondamento. 
A confermare l'assoluta affidabilità di De Gennaro provvedono infatti gli stessi Americani. Quando, nel 2010, Ciancimino figlio ha tirato in ballo il nome di De Gennaro a proposito di favoreggiamento nei confronti della mafia, il soccorso è immediatamente arrivato dal direttore FBI, Robert S. Mueller, che ci ha garantito che De Gennaro è un insospettabile, poiché egli ha collaborato per "quasi" trenta anni con la superpolizia federale statunitense. C'è questa piccola dissonanza tra le due dichiarazioni di fonte FBI: più di trenta anni nella motivazione ufficiale del premio, quasi trenta anni nella dichiarazione a sostegno. Forse non significa nulla, ma potrebbe anche indicare che la collaborazione di De Gennaro con gli USA era cominciata molto prima che avesse il crisma dell'ufficialità. [3] 
Non c'è quindi da sorprendersi che sia stato Ciancimino a finire nei guai dopo le sue accuse a De Gennaro. A sua volta nel 2000 De Gennaro si era fatto garante di un altro poliziotto accusato di rapporti con la mafia, Ignazio D'Antone. In quell'occasione De Gennaro aveva agito facendo squadra con Antonio Manganelli (attuale capo della polizia, divenuto leggendario per il suo mega-stipendio) e, infine, con Arnaldo La Barbera. [4] 
La Barbera è morto nel 2002, prima di dover rispondere di depistaggio per la strage di Borsellino e della sua scorta. A proposito di La Barbera è risultato anche che fosse al contempo capo della Squadra Mobile di Palermo ed agente del SISDE.[5] 
Manco a dirlo, il trio De Gennaro-Manganelli-La Barbera è lo stesso che stava dietro i fatti di Genova. Insomma, ci si dava una mano quando era necessario. Il tutto però sotto la sacra tutela del Federal Bureau of Investigation. 
Il bello è che non c'è assolutamente nulla di segreto, poichè l'FBI certe notizie su De Gennaro te le sbatte in faccia addirittura dal suo sito ufficiale. Tanto nessun giornalista andrebbe mai a recuperare certe informazioni sulle ingerenze USA in Italia per metterle nella opportuna evidenza. Eccoli invece gli opinionisti ufficiali, tutti seri e impegnati, a fare l'esegesi delle elucubrazioni di un poetastro mitomane, che chiaramente non ha nessun legame con l'attentato al manager di Ansaldo Nucleare.[6] 
Il primo a rivelare agli Italiani che De Gennaro è un "manutengolo dell'FBI" è stato Francesco Cossiga, in un discorso in senato in seguito a delle sue interpellanze presentate al governo Prodi. Il discorso di Cossiga fu mandato suo tempo in tv, ed è reperibile ora su Youtube. [7] 
Ciò non impedì allo stesso governo Prodi di nominare, nel gennaio 2008, De Gennaro alla carica di commissario straordinario all'emergenza-rifiuti in Campania, così che non fu difficile capire che in quella strana emergenza c'era di mezzo qualche interesse statunitense. [8] 
In quella circostanza i due partiti comunisti al governo con Prodi ingoiarono il rospo, e qualche loro esponente farfugliò come scusa che l'incarico di commissario per l'emergenza-rifiuti avrebbe potuto costituire per De Gennaro l'occasione per riscattarsi dai fatti di Genova. In realtà la costante di tutti i passi della vicenda di De Gennaro è la presenza dei servizi segreti, che con lui sono andati a gestire direttamente l'emergenza- rifiuti. 
Ma l'impronta dei servizi segreti non mancò neppure nei fatti di Genova. Pochi giorni prima del G8, il 23 giugno, il quotidiano "La Repubblica" infatti pubblicò un'allarmante informativa del SISDE, che narrava una di quelle fiabe inquietanti che fanno parte del tipico repertorio del vittimismo preventivo e pretestuoso del potere. Secondo il SISDE, i manifestanti di Genova avrebbero avuto l'intenzione di sequestrare dei poliziotti per usarli come "scudi umani". Quindi il massacro di Genova era stato non solo preordinato, ma anche annunciato.[9] 


[1] http://www.blitzquotidiano.it/rassegna-stampa/bot-rehn-monti-manovra-1228464/
[2] http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=http://www.fbi.gov/news/pressrel/press-releases/fbis-medal-of-meritorious-achievement&ei=Qi-xT-kskZazBoumzY4E&sa=X&oi=translate&ct=result&resnum=1&ved=0CCkQ7gEwAA&prev=/search%3Fq%3Dgianni%2Bde%2Bgennaro%2Bfbi%26hl%3Dit%26prmd%3Dimvns
[3] http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/articoli/articolo497500.shtml
[4] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/11/28/de-gennaro-manganelli-la-barbera-difendono-investigatore.html
[5] http://www.repubblica.it/cronaca/2010/06/09/news/la_barbera_servizi-4684087/
[6] http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10091
[7] http://www.youtube.com/watch?v=7Bp4GttxHqE
[8] http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=77417
[9] http://www.repubblica.it/online/politica/gottodue/sisde/sisde.html


http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=487

C'è il taxi a 2 euro ma nessuno lo sa partenza flop per il nuovo servizio. - Isabella Napoli


C'è il taxi a 2 euro ma nessuno lo sa partenza flop per il nuovo servizio


Due euro a persona per gruppi di almeno tre persone per le corse urbane, otto euro per l'aeroporto. Il Comune e le cooperative fanno partire il taxi condiviso ma in città non lo sa nessuno. E il servizio parte con un flop. Iniziative dei tassisti per far conoscere le nuove tariffe.

Solo una ventina di "auto bianche"  in città hanno aderito sabato al debutto del taxi sharing promosso  dalle cooperative Trinacria e RadioTaxi in collaborazione con il Comune di Palermo. E per evitare il flop totale, pochi volenterosi tassisti hanno preso a bordo anche due o tre persone, facendoli pagare il prezzo "collettivo" e scontato che dovrebbe scattare invece con 4 passeggeri a bordo. E' successo alla stazione centrale, e in via Libertà lungo la linea del 101. Su 320 licenze di taxi, dovevano coprire i due percorsi 60 auto, 30 a cooperativa. Ma cosa è andato storto? "In tanti hanno rinunciato in polemica con la mancanza di una campagna  pubblicitaria da parte del Comune - spiega Orazio Marra, segretario regionale dell'Uti -  c'è stato anche qualche intoppo nella distribuzione dei tagliandi da mettere sul parabrezza: non li hanno ricevuti in tempo tutte le auto. Il servizio ha funzionato meglio a ora di pranzo e nel primo pomeriggio. Cinque tassisti sono riusciti a formare gruppi alla stazione centrale e altri a piazza Matteotti e pur di lavorare hanno effettuato la corsa  anche con tre persone anziché quattro".

"Poteva andare peggio - dice ancora Marra - il bilancio è di  una cinquantina di corse per il centro e qualcuna per l'aeroporto". Due corse di taxi-sharing con meno di 4 passeggeri per   Pippo Calaiò, tassista della cooperativa Trinacria. "Di mattina ho preso a bordo tre signore, in attesa alle fermate del 101 - racconta - una in via Libertà all'altezza di via Marco e  due  alla fermata del Politeama. La prima è scesa a piazza Verdi, le altre hanno  proseguito fino alla stazione centrale. Ho fatto pagare a ciascuna 2 euro, come previsto dall'accordo con il Comune e ho  guadagnato 6 euro, più o meno quanto una corsa normale. L'ho fatto per promuovere il servizio, perché sia positivo. Con la crisi, lavoriamo poco e queste tariffe possono incoraggiare anche chi non si può permettere il costo di un    taxi". 

Tra i clienti che hanno provato il taxi sharing, Nunzia Giaconia, impiegata. Calaiò la fa salire in auto ad una fermata del 101 in via Roma, a bordo ha  già  un altro passeggero ma per convincerla, deve fermarsi e spiegare il servizio.  "E' un'ottima iniziativa - commenta la Giaconia - non ho l'auto e utilizzo spesso i mezzi pubblici anche in compagnia di altre amiche. Costa poco più del biglietto Amat e potrebbe essere un'ottima alternativa ad autobus sovraffollati e che  si aspettano a lungo. Spero che sia incrementato". Non è semplice per chi è solo aggregarsi a un gruppo e nella prima giornata, con pochi taxi con il "bollino" (il disco  giallo sul parabrezza identifica  i taxi in servizio lungo la linea del 101 a 2 euro, uno di colore  arancio, invece,  quelli  diretti al Falcone-Borsellino a 8 euro a persona). E' quindi un caso fortunato trovare il tassista che si ferma appositamente  alle fermate del 101. Ai parcheggi principali del centro, a piazza Castelnuovo e piazza Verdi, ci sono una decina di auto bianche  in servizio per l'aeroporto.   

"Accettiamo solo gruppi di un minimo di quattro persone - spiega un tassista - altrimenti ci rimettiamo pure il prezzo della benzina".  Di taxi  sharing per il centro, ce ne sono alcuni al parcheggio di via principe di Granatelli all'angolo con la via Roma. "Potrebbe funzionare meglio con una maggiore pubblicità - commenta Francesco Chinnici, uno dei tassisti con il "bollino" - abbiamo cercato in alcuni casi di convincere le persone lungo le fermate del 101 ma c'è ancora molta diffidenza. Eppure, un  servizio del genere a basso costo potrebbe sfondare". Alle fermate degli autobus, in pochi sanno dell'iniziativa e alcuni dettagli della nuova formula si vanno definendo solo ora che è partita. "I taxi condivisi in servizio da piazza De Gasperi alla stazione centrale  si possono prendere lungo le fermate degli autobus - chiarisce Marra - quelli per l'aeroporto anche ai  parcheggi dedicati ai taxi ma solo se in gruppo. Ai call center,  possono prenotare le vetture in condivisione solo i gruppi già formati da 4 a 8 persone". 

"Dalla prossima settimana - commenta Massimiliano Federico, presidente della cooperativa Radio Taxi -  contiamo di  distribuire i tagliandi  a tutti gli autisti e   di  incrementare il numero di auto dedicate al taxi sharing. Promuoveremo il servizio con un volantinaggio alle fermate degli autobus e l'affissione di locandine pubblicitarie.  Abbiamo  fatto tutto a nostre spese, perché il Comune non aveva fondi per sponsorizzare l'iniziativa. Ma contiamo di proseguire fino al 15 febbraio".


http://palermo.repubblica.it/cronaca/2013/01/14/news/c_il_taxi_a_2_euro_ma_nessuno_lo_sa_partenza_flop_per_il_nuovo_servizio-50494113/

I NEMICI DI CHAVEZ VEDONO UN'OPPORTUNITA' NEL SUO CANCRO. - Mike Whitney



“Quando Chavez è diventato presidente, il paese stava barcollando… ha dato tutto se stesso, sudore, anima, forza, energia, intelligenza e amore per recuperare la dignità, la crescita, la sovranità e la costruzione del Venezuela. Ha contribuito fortemente a renderlo un paese forte, bello e felice… Oggi, il Venezuela prospera e continua a prosperare grazie al suo impegno e alla sua visione, grazie alla sua perseveranza e determinazione, grazie al suo amore.”
Eva Golinger, Postcards from the Revolution 
Il presidente venezuelano Hugo Chavez è molto malato. E’ ora all’Havana, a Cuba, dove si sta curando per una grave insufficienza respiratoria a seguito del suo quarto intervento chirurgico in meno di due anni. Non si mostra in pubblico da più di tre settimane.

La settimana scorsa, il vicepresidente del Venezuela, Nicolas Maduro, ha fatto una dichiarazione mirata a mettere a tacere tutte le varie voci maligne su quale fosse realmente lo stato di salute del presidente e anche per informare i sostenitori sulle sue condizioni. Ecco cosa ha detto:

“Siamo stati informati di nuove complicazioni a seguito dell’infezione polmonare precedentemente diagnosticata. Ieri abbiamo avuto modo di constatare la sua attuale condizione e su come sta rispondendo alle cure. Abbiamo incontrato più volte lo staff medico che lo seguono e la sua famiglia. Proprio pochi minuti fa eravamo insieme al Presidente Chavez stesso. Ci ha salutato e ci ha parlato delle complicazioni sopraggiunte.
Dopo diciannove giorni dall’ultimo intervento chirurgico, le condizioni di salute del Presidente Chavez continuano ad essere delicate a causa di complicazioni legate ad un processo di cura che non è senza rischi. Ma grazie alla sua grande forza fisica e spirituale, il Comandante Chavez sta affrontando coraggiosamente questa difficile prova.
Abbiamo deciso di restare con lui all’Havana per le prossime ore, per poter seguire più da vicino gli sviluppi della situazione.”

I grandi canali d’informazione hanno riportato con malcelata contentezza le notizie del cancro di Chavez, quasi gli brillavano gli occhi dalla gioia. Il MSM, che rappresenta gli interessi dei banchieri, dei grandi gruppi societari, dei petrolieri e delle industrie belliche, da tempo combattono una dura ed aspra guerra contro l’uomo che ha osato opporsi al sistema dei profitti, nazionalizzare l’industria nazionale del petrolio e respingere le ambizioni imperialiste di Washington nell’area. Per questo Chavez è stato demonizzato dai canali d’informazione e definito“un osso duro della sinistra” e un “dittatore”. I mandarini societari vedono nella malattia di Chavez un’opportunità per poter ricolonizzare il prospero Venezuela e sostituire il suo attuale governo democraticamente eletto con un classico fannullone nato con la camicia, uno di quelli che gli USA tengono in serbo per situazioni come queste (Esempio: Karzai). Sono fallite ben due azioni d’intelligence (indovinate di chi?) mirate a far cadere il popolare e tenace Chavez. Ora possiamo solo sperare che possa resistere anche all’attacco del suo cancro.

I media hanno lanciato un’impressionante propaganda denigratoria contro Chavez, allo scopo di screditare i suoi successi e conquiste e per creare sfiducia nel futuro. L’intenzione è quella di fomentare l’instabilità pollitica e creare consenso nell’opposizione dell’ala conservatrice, che gode dell’implicito appoggio di Washington. Ecco un esempio delle bugie che stanno diffondendo i nemici di Chavez:

La ABC spagnola ha riportato lunedì scorso che il presidente Chavez “è stato messo in coma farmacologico, i suoi segni vitali sono deboli e mantenuti in modo artificiale”…”Alcune fonti di ABC avrebbero confermato sempre lunedì scorso che è stato messo in programma l’arresto del mantenimento artificiale…un arresto, con la prevedibile morte che ne deriverà da un momento all’altro.”

L’articolo diceva anche che “è stato rimosso quasi mezzo metro d’intestino” e che Chavez da tempo ormai non si nutre più di cibi solidi.

L’ABC spagnola insinuava anche che “i funzionari del governo stavano preparando il paese alla notizia della morte di Chavez”.

La notizia è stata ripetuta e rilanciata da altri grandi canali d’informazione, e fa seguito ad una precedente notizia, sempre da ABC, secondo cui “a Chavez hanno dovuto praticare una tracheotomia” e “collegarlo ad un respiratore artificiale.” (“Il Governo Venezuelano denuncia la ‘guerra psicologica’ intorno alla salute di Chavez.” Venezuelanalysis). 

Tutte menzogne. Sono tutte sparate politicamente motivate. Chavez NON E’ in coma, NON E’ stato rimosso mezzo metro del suo intestino, NON GLI HANNO PRATICATO una tracheotomia ed il governo NON STA PREPARANDO il paese alla notizia della sua morte. Queste voci ci mostrano soltanto quanto è malvoluto Chavez da quegli ambienti plutocratici che sorseggiano brandy ad ogni ora, pronti a far tornare il Venezuela ai suoi “anni d’oro” in cui era un paese profondamente ignorante, ingiusto e misero, dove l’1% della popolazione conduceva tutti i giochi, in perfetto stile feudale. 

Chavez ha rimosso quei felloni dalle loro poltrone, ristabilito la legge, dato il via ad una programma sociale che ha salvato milioni di persone dalla miseria, elevato il livello di vita in tutto il paese, ridotto sensibilmente l’analfabetismo, combattuto la disoccupazione, aperto il sistema sanitario a tutti, aumentato le pensioni ed innalzato il minimo salariale, nazionalizzato la fiorente industria petrolifera e conficcato più volte le dita nell’occhio imperialista dello Zio Sam. Ecco perché viene denigrato dai grandi media, dalle suite degli attici societari e dell’Ufficio Ovale. Come ha detto in un recente articolo Lisa Holland, corrispondente estera di Sky News:

“Fortemente critico verso la politica estera degli Stati Uniti, Chavez è stato la spina nel fianco di Washington ed è stato sempre pronto a offrire rifugio e farsi portavoce di tutti quei paesi che gli USA hanno combattuto.” (Sky News.)
E ci mancherebbe che non l’avesse fatto! E’ per questo che lo amiamo. 

Auguri per una rapida guarigione, Hugo. Io sono Chavez! 

Mike Whitney vive nello Stato di Washington. Ha scritto per  HOPELESS - Senza speranza: Barack Obama e la Politica delle illusioni (AK Press).  HOPELESS è anche disponibilie qui: Kindle edition.  Lo si può contattare a: fergiewhitney@msn.com.


http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=11323

OBAMA S'INVENTA UNA NUOVA MONETA PER ABBATTERE IL DEBITO. - Mauro Bottarelli




Avvertenza di inizio articolo: quanto state per leggere è tutto vero, non è frutto di allucinazioni. Avendo rimandato il possibile tonfo nel precipizio fiscale di due mesi, ora però gli Usa rischiano di prendere la direzione opposta: ovvero, sbattere la testa contro il cosiddetto "debt ceiling", ovvero il limite legale di indebitamento. Che fare? Innalzare quel limite, la scelta molto furba compiuta nel luglio del 2011 dopo settimane di pantomime? Creare una botola? Una nuova skyline? No, a Washington stanno prendendo in considerazione un'altra ipotesi: ovvero, essendoci un limite legale nel numero di banconote in circolazione e anche per le monete in oro, argento e rame, si sta pensando di creare un moneta in platino, materiale che non conosce limite legale nell'emissione di moneta, da 1 triliardo di dollari per abbattere parte del debito e metterla in saccoccia un'altra volta al "debt ceiling".

Lo ha confermato al programma Today della Bbc l'analista finanziario Cullen Roche, fondatore dell'Orcam Financial Group e blogger di Pragmatic Capitalism, secondo cui questa ipotesi «è stata presa in qualche modo molto seriamente a Washington. So che ne hanno parlato alla Casa Bianca e anche un gruppo di prominenti personalità, tra cui molti membri del Congresso». Non essendoci un limite legale alle monete in platino (solitamente usate solo a scopo commemorativo), in teoria Obama potrebbe dar vita a un "Platinum Coin Act", dare ordine al Tesoro che venga forgiata la moneta con impressa la cifra a dodici zeri e dallo stesso Treasury poi depositata sul suo conto presso la Fed, operazione che permetterebbe - sempre in teoria - di abbattere o cancellare un triliardo degli attuali 16,4 di debito. 

Lo so, pare una barzelletta, non a caso il presentatore-comico statunitense Stephen Colbert ha dedicato alla questione tre minuti di ironia fulminante nel suo "The Colbert Report " (*) su Comedy Central, concludendo che la cosa è probabile, visto che il motto di Obama era "Change" (che significa sì cambiamento ma anche resto, inteso come le monete che vi danno dopo aver effettuato un pagamento con banconota per un importo maggiore). Per Roche si tratta di un «un artificio contabile ma anche un'idea stupida da utilizzare contro un'altra idea stupida, ovvero quella in base alla quale gli Stati Uniti facciano volontariamente default sul proprio debito. Si parla di questa ipotesi da un anno, all'epoca era solo uno scherzo ma ora devo constatare che la situazione è davvero triste, se un organo come il Congresso è diventato così disfunzionale da prendersi la briga di riesumarla». Sempre Roche pensa che «Obama non andrà avanti a livello operativo ma potrebbe usare la moneta da un triliardo come un minaccia al Congresso, ovvero "se provate ad accettare l'ipotesi di default sul debito, io attivo l'opzione moneta"». Ma se pensate che l'America sia ormai fuori di testa, allacciate le cinture di sicurezza prima di sentire cosa ha intenzione di fare il Giappone. Il ministro delle Finanza nipponico, Aso, ha reso noto nell'ordine che: il suo Paese acquisterà bonds del fondo europeo ESM, che lo farà per un ammontare non ancora deciso, che lo farà utilizzando riserve valutarie estere e al fine di stabilizzare lo yen. Insomma, per stabilizzare la sua valuta, il Giappone monetizzerà il debito europeo, forse non essendo ancora sufficiente il quadrilione di yen del suo che già detiene.

Ma c'è poco da fare, il dado è tratto, tanto che il neo-premier Abe vuole una dichiarazione da parte della Bank of Japan di cooperazione con il governo, prontamente sottoscritta - almeno a parole - dal governatore Amari. D'altronde, Abe sembra intenzionato a proseguire sulla sua strada come un carrarmato e sta preparando il più grande extra-budget dalla crisi innescata dal crollo di Lehman Brothers, qualcosa pari 12-13 triliardi di yen (circa 140 miliardi di dollari), il 2% del Pil e molto vicino alla manovra monster da 13,9 triliardi di yen posta in essere nell'aprile 2009 dall'ex premier Taro Aso. Di quella mole di denaro, circa 6 triliardi di yen sarebbero destinati a progetti di lavori pubblici, più dei 4,6 triliardi preventivati nel budget iniziale di 90 triliardi di yen per l'anno fiscale in atto deliberato nel marzo scorso. Insomma, un bazooka vero e proprio. 

E a farci capire come gli stessi giapponesi stiano prendendo molto sul serio la decisione di Abe di portare l'inflazione al 2% per svalutare lo yen, lo dimostra la mossa dei fondi pensione nipponici, i secondi al mondo per assets investiti dopo quelli Usa, di raddoppiare le loro detenzioni in oro, passando dagli attuali 45 miliardi di yen a 100 miliardi (1,1 miliardi di dollari) nel 2015, manovra di hedging dichiaratamente anti-inflattiva anche in vista di uno shock sul mercato obbligazionario sovrano nipponico, un quadrilione di yen quasi interamente in mano a giapponesi. 

Per capire le dimensioni degli operatori di cui stiamo parlando basti dire che il Government Pension Investment Fund of Japan gestisce assets per 113,6 triliardi di yen, di cui il 67% denominati in bonds giapponesi. In totale, i fondi pensione nipponici fanno capo a investimenti per 3,36 triliardi di dollari e quelli aziendali stanno per diversificare i loro 72 triliardi di yen dopo che gli investimenti in azioni di aziende nazionali hanno fruttato ritorni molto deludenti. 

Ora, se veramente raddoppieranno le detenzioni in oro, gli investimenti nel metallo prezioso rappresenteranno lo 0,03% di tutti gli assets pensionistici del Paese. Noccioline, per ora ma se veramente il governo raggiungerà il suo obiettivo inflazionistico al 2% e i fondi pensioni trasformeranno in oro l'1% o il 2% o addirittura il 5% dei loro investimenti, cosa succederà al prezzo dell'oncia? Yukio Toshima, gestore di uno di quei fondi non ha dubbi: «Se l'1% degli assets totali si sposterà sul metallo prezioso, il mercato dell'oro esploderà». Con prezzi alle stelle e troppi contratti di carta che dovranno trovare oro fisico per onorare la posizione. Poi ditemi se non stiamo vivendo in un mondo di follia finanziaria.


http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=11322