Prospettive - Il peso in rapporto al Pil è esploso in tutto il mondo e non scenderà a breve: che fare? Le proposte: dai titoli perpetui alla cancellazione fino al riacquisto continuo delle banche centrali.
Fra gli articoli di fede dell’economia mainstream, la repulsione per il debito pubblico era una delle più incrollabili. La crisi da Covid però ha fatto cambiare idea anche ai più conservatori. L’alto debito pubblico da “problema” è diventato “male minore” e oggi è una realtà con cui convivere: il suo aumento dovunque nel mondo è qualcosa da cui non si tornerà indietro.
La combinazione di maggiori spese, minori entrate e caduta dell’attività economica ha portato ad aumenti vertiginosi del rapporto debito/Pil. In Italia eravamo al 135% nel 2019: l’Ocse prevede che con la seconda ondata si salirà al 170%. La Germania, che negli anni scorsi s’era portata sotto la soglia di Maastricht del 60%, si troverà alla fine dell’anno all’83%. In Francia il balzo è impressionante: dal 98% al 122%. E lo è ancora di più in Spagna: dal 95% al 130%. Negli Usa il debito pubblico lordo (federale e locale) crescerà dal 109% al 132%. In Giappone, dove l’indebitamento pubblico ha smesso da tempo di essere un tabù, si salirà dal 225% al 248%.
Forse nel 2021 il rapporto debito/Pil si stabilizzerà in molti Paesi, ma di certo non tornerà ai livelli pre-crisi. Accantonata l’austerità, si può pensare a come far crescere l’economia in modo sano. Ma non sarà un lavoro facile. Tradotto: se sicuramente non si tornerà indietro, le idee sono meno chiare su come andare avanti.
Cancellazione. Come convivere con alti livelli di debito pubblico? La via più facile sembra la cancellazione del debito emesso durante la crisi: dato che le banche centrali ne hanno acquistato una parte notevole, potrebbero teoricamente eliminarlo dai loro libri contabili con un semplice tratto di penna. A ottobre, tuttavia, la presidente Bce Christine Lagarde ha escluso questa possibilità per l’Europa: sarebbe una violazione dei trattati, sostiene. Il problema, però, non è aggirare i trattati con interpretazioni “non convenzionali” (qualcosa che Mario Draghi ha fatto egregiamente in passato): per fronteggiare la crisi probabilmente il debito salirà ancora e cancellare quello emesso finora significherebbe solo calciare la palla più in là.
Perpetuities. C’è chi propone in alternativa l’emissione di titoli a lunga scadenza (30 o 50 anni) o addirittura perpetuities, cioè senza scadenza e a cedola fissa. Ne ha parlato John Cochrane della Stanford University e in Italia Francesco Giavazzi e Guido Tabellini: per i due prof della Bocconi i titoli perpetui dovrebbero essere garantiti dalla capacità comune degli Stati dell’Eurozona e supportati dalla Bce. L’obiettivo? Evitare una nuova crisi dei debiti sovrani dagli esiti imprevedibili. Ma non è scontato riuscire a piazzare le perpetuities sul mercato, soprattutto se devono farlo i singoli Stati.
Eurobond. Altri propongono l’emissione di veri e propri eurobond emessi da un ministero del Tesoro Ue. Fra chi ha parlato di questa possibilità c’è anche il tedesco Jeromin Zettelmeyer del Peterson Institute. Decine di paper e articoli sono stati scritti a riguardo. La questione principale, tuttavia, non è tecnica. Gli eurobond presuppongono una mutualizzazione sostanziale del debito, da discutere politicamente. Se qualcosa del genere è stato fatto con i fondi Sure per la cassa integrazione, per rendere gli eurobond una soluzione stabile è necessario un radicale cambiamento delle posizioni di molti governi e ampie fasce dell’elettorato. Improbabile, per ora.
Per aggirare questo dilemma, alcuni professori italiani (Amato, Belloni, Falbo e Gobbi) hanno delineato il progetto di un’agenzia del debito europea, un’idea già abbozzata da Juncker e Tremonti. Secondo questi studiosi questo organismo dovrebbe finanziare gli Stati dell’Eurozona con prestiti perpetui, eliminando il rischio di liquidità e considerando solo il rischio fondamentale di ogni Stato. L’agenzia del debito troverebbe sui mercati i soldi da prestare emettendo bond comuni. In questo modo si eviterebbero sia spread ingiustificatamente alti, sia una mutualizzazione politicamente difficile. E la Bce potrebbe acquistare i titoli comuni senza nessun ostacolo legale.
Tuttavia, applicare questa proposta significherebbe ridefinire radicalmente i rapporti fra istituzioni europee e Stati nazionali. Si colpirebbe direttamente il nodo irrisolto dell’euro: aver pensato che una competizione per l’accesso ai mercati del debito avrebbe portato maggiore efficienza. Non ha funzionato proprio così: la competizione per piazzare titoli di Stato ha aggravato le divergenze fra le economie nazionali e creato pericolose spaccature.
Rollover. Finora ci siamo concentrati sull’Europa, proprio perché qui il problema del debito pubblico è più spinoso. In ogni caso, in tutto il mondo la probabile tendenza nel prossimo futuro sarà un rollover continuo del debito da parte della banca centrale. Che vuol dire? Le banche centrali a scadenza rinnoverebbero i titoli, girando gli interessi al Tesoro: sarebbe come se quella parte del debito non esistesse (quindi cancellarlo ha poco senso). Anche in questo caso, però, il problema in Europa resterebbe: rendere strutturale il programma di acquisti della Bce senza cambiare i trattati è una scelta esposta a rischi legali (vedi corte costituzionale tedesca) e a ricatti politici, come la recente minaccia di ridurre gli acquisti per chi non accetta i prestiti Ue.