martedì 20 ottobre 2020

Economia o salute: la scelta più difficile. - Maria Rita Gismondi*

 

Può arrivare un momento nel quale la scienza deve riconoscere i suoi limiti e deve avere il coraggio di rivedere i propri percorsi. Non sempre un esperimento progettualmente perfetto porta a risultati ottimali. Mi riferisco al momento in cui ci troviamo. Siamo in un punto di stallo, ma non sappiamo qual è il precipizio che ci attende. Forse per la prima volta nella storia dell’uomo ci troviamo a dover scegliere tra la sconfitta di un virus e la distruzione dell’economia con quello che ne deriva: “Se non c’è salute non c’è economia”. Certamente, ma è altrettanto vero che “se non c’è economia, non c’è salute”. Le due affermazioni non hanno bisogno di spiegazione ma di una decisione non facile. Una dichiarazione è stata redatta e firmata a Great Barrington, negli Stati Uniti d’America il 4 ottobre 2020, da parte del dottor Martin Kulldorff, professore di Medicina all’Università di Harvard, biostatistico ed epidemiologo con esperienza nell’individuazione e nel monitoraggio delle epidemie di malattie infettive e nella valutazione della sicurezza dei vaccini, il dottor Sunetra Gupta, professore all’Università di Oxford, epidemiologo con esperienza in immunologia, sviluppo di vaccini e modellazione matematica delle malattie infettive e il dottor Jay Bhattacharya, professore alla Stanford University Medical School, medico, epidemiologo, economista sanitario ed esperto di politica sanitaria pubblica, con particolare attenzione alle malattie infettive e alle popolazioni vulnerabili. In breve sostengono che è arrivato il momento di tutelare i fragili (anziani e malati cronici) ma di aprire ogni attività al resto della popolazione. Dall’altra parte, a maggio, uno studio pubblicato da Nature sosteneva che senza lockdown, fino al 4 maggio, in Italia ci sarebbero stati 600.000 decessi. C’è però da aggiungere che questi dati erano calcolati su tutta la popolazione, compresa la fascia “critica”. Nessuno ha pubblicato proiezioni e modalità per applicare il modello ipotizzato negli Usa. In una situazione nuova per tutti, nessuna ipotesi può essere esclusa, né si può cedere a condizionamenti ideologici. Ciò che è certo è che il vaccino non c’è ancora, che il virus circola, malgrado ogni nostro sforzo, che l’economia agonizza. Dobbiamo rispondere alla domanda: “Cosa fare se lo scenario permane così e potrebbe esserlo per anni?”.

*Maria Rita Gismondo Direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano.

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Se i numeri sono approssimativi, anche le misure sanitarie lo saranno. - Maria Rita Gismondo

 

In questa fase che alcuni chiamano seconda, altri onda dell’unica fase, si continuano a ripetere molti degli errori del primo periodo pandemico e che abbiamo più volte evidenziato. Oggi, però, stressati come siamo, fragili psicologicamente, ogni dato ha un valore amplificato e bisogna davvero controllare che sia corrispondente a realtà. Se tutto è approssimativo, anche le deduzioni scientifiche e le misure sanitarie lo saranno. Mi riferisco ai numeri che sin da marzo ci hanno accompagnati, ai quali abbiamo affidato il nostro umore, le nostre azioni quotidiane. Indimenticabile la conferenza stampa di Borrelli, appuntamento cui tutti gli italiani, costretti a casa, affidavano le speranze di essere liberati. Certo abbiamo bisogno di avere dati, ma se questi sono sbagliati, il rischio è che siano fuorvianti. Cominciamo con il numero di casi positivi. Ogni giorno ci comunicano quanti risultati positivi siano stati prodotti dai laboratori che hanno processato i tamponi rinofaringei dei vari soggetti. Dalla somma di questi positivi scaturirà la totalità dall’inizio della pandemia. Ebbene, se si sommano i singoli dati giornalieri, risultano essere almeno un 15% in più rispetto ai soggetti saggiati. Perché? Il motivo sta nelle stesse normative. Il soggetto risultato positivo dovrà ripetere almeno per 2 volte il tampone, alla fine del suo isolamento. A ciò si aggiunga che un buon numero di tali soggetti non si negativizza per lunghi periodi e continua a sottoporsi a tamponi. Altri, poi, in momenti diversi, hanno fatto un tampone. Dall’esame dei test eseguiti nel nostro laboratorio arriva la conferma. A fine settembre, i test eseguiti su tampone rinofaringeo erano 73115, i soggetti esaminati 61.850. E’ evidente che solamente da uno dei laboratori attivi, seppur uno dei più produttivi in numero di test effettuati, l’errore che ne deriva è pari al 15,5%. Se questo dato di calcola su tutti i tamponi eseguiti, risulta che i soggetti positivi ad oggi, non sarebbero 402. 536, bensì 340.203.

Questo per quanto riguarda i numeri. Ma i positivi sono solo quelli? In realtà no. Molti di più. Si calcola che almeno il 5% della popolazione oggi sia positiva. È la percentuale rilevata con lo studio di sieroprevalenza. Un’altra precisazione va data quando viene annunciato quanti “sono stati i positivi oggi”. Il dato temporale è quanto mai vario in Italia. È come se avessimo di fronte una foto con alcune zone con fuochi diversi. Sappiamo che i tempi di consegna dei risultati di un tampone sono molto diversi tra le regioni. Pertanto in alcune regioni si danno i risultati corrispondenti ai soggetti analizzati 24 ore prima, in altre si arriva fino a 7 giorni prima. È evidente che il panorama non è omogeneo e che il dato si riferisce a giorni diversi, non riuscendo a dare un’idea esatta dell’istantanea epidemiologica che si comunica. Per quanto riguarda i decessi, sono ormai consolidate le informazioni a riguardo delle loro denunce. Ogni malato ricoverato in ospedale, con qualsiasi patologia, se risulta positivo al Covid, in caso di decesso, sarà annoverato fra i decessi per Covid. Andiamo al quadro pubblicato dalla Protezione Civile, oggi si legge Attuali Positivi 116.935 (incremento 96239), Dimessi/Guariti 249.127 (incremento 1255), Deceduti 36.474 (incremento 47) ed infine Totale casi 402.536 (incremento 10925). Quest’ultimo incremento è l’esatta somma di tutti gli altri incrementi, qualcosa non funziona.

Vago il concetto di “guarito”. In alcune regioni in questa voce si contano i dimessi, i guariti dai sintomi ricoverati in altro reparto o a casa e coloro che da positivi si sono negativizzati. Ne abbiamo parlato qualche mese fa, ma ci risiamo.

Oltre l’edicola, gli articoli di Un Fatto in più.


Il Tenero Sileri vince per sfinimento in tutti i talk-show. - Andrea Scanzi

 

C’è un uomo che, da mesi, combatte contro tutto e tutti. Il Covid non teme, anche perché l’ha già avuto. Di Giletti non ha paura, anche perché nel suo salotto ormai ci vive o quasi. E di fronte ai troppi Fusaro non trema, se non forse per il freddo.

Non viene da Gotham City, da Darkwood e neanche da Krypton. Non ha le stimmate dell’eroe, i lineamenti del guerriero impavido e neanche la dialettica di Augias: è soltanto un viceministro aduso ai salotti tivù. Eppure, nel suo piccolo, Pierpaolo Sileri vive e lotta in mezzo a noi.

Chi si nasconde dietro le placide fattezze di questo quasi cinquantenne dalla capacità non comune di incassare colpi neanche fosse Chuck Wepner? Nato a Roma nel 1972. Laurea con lode in Medicina e Chirurgia nel 1998 presso l’Università di Roma Tor Vergata, dove consegue la specializzazione in Chirurgia dell’apparato digerente e il Dottorato di ricerca in Robotica e scienze informatiche applicate alla chirurgia. Nel 2018 è eletto senatore con il Movimento 5 Stelle nel collegio uninominale Roma-Collatino. Prima presidente della 12esima Commissione permanente Igiene e Sanità del Senato, quindi membro della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza del Senato. E poi viceministro della Salute nel Conte-2, all’ombra di Roberto Speranza.

Forse Sileri si aspettava tutta questa esposizione mediatica e più probabilmente no. Di fatto, da febbraio, sta in tivù persino più della D’Urso. Il Covid lo conosce bene. Già il 2 febbraio era partito per Wuhan come coordinatore di un team di medici e infermieri in una missione volta a consentire il rimpatrio di 56 connazionali colpiti da Coronavirus. Poi, il virus, se lo è beccato lui. Per fortuna senza gravi conseguenze.

I talk-show da febbraio sono cambiati: sempre meno politica politicante e sempre più salute. Tamponi, test sierologici. Mascherine, quarantena. Ok, si saran dette le redazioni, ma allora chi chiamiamo? Un virologo, e lì c’era (e c’è) l’imbarazzo della scelta. Qualche opinionista, ora tremendista e ora minimizzatore, così magari litigano pure sulla pandemia. Sì, d’accordo: manca però un politico. Uno che, di salute, ne sappia. Ci sarebbe Speranza, certo, ma lui è il ministro: mica può andare in tivù tutti i giorni. Servirebbe uno delle retrovie ma non troppo, un tipo mansueto da bosco e da riviera: ed ecco allora il Tenero Sileri. Di colpo, quest’omino garbato e un po’ impacciato ha cominciato a essere ovunque. Inizialmente non lo ha notato nessuno, poi si è capito che la sua ostinata “medietà” era una cifra distintiva.

Sileri si presenta come un mezzo bamboccione: nessuno punterebbe su di lui. Infatti lo chiamano anche e soprattutto quei talk che, se potessero, al governo Conte-2 darebbero fuoco. Sileri accetta ogni invito, forse per senso del dovere e forse per masochismo. Puntualmente tutti cominciano a usarlo come punching ball, e i Porro di turno gongolano. Ma è qui – a un passo dal ko – che la normalità del Tenero Sileri funziona. Lui incassa ogni colpo, rintuzza a modo suo i colpi e si fa ogni volta concavo e convesso. Non è che i dibattiti li vinca lui; più che altro, sono gli altri che mollano la presa perché ormai stanchi di attaccarlo. Il Tenero Sileri li prende tutti per sfinimento.

Non si è ancora capito se la sua sia tattica, flemma atavica o genetica attitudine alla quiete un po’ goffa. Di sicuro, quasi inspiegabilmente, quel suo buffo mix tra serietà e “non-televisività” funziona. Lo guardi, lo ascolti e ti dici: “Bah, tutto sommato di uno così io mi fido”. Per dirla con il grande Battiato, viviamo proprio strani giorni.

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Conte: Manovra per ridare fiducia. Il Mes? Ieri ho solo risposto a una domanda, ne parleremo nelle sedi opportune'.

 

Gualtieri: 'Assegno unico fino a 200 euro al mese'. Catalfo: 'Non c'è alcuna nuova tassa'. Arrivano 4,6 miliardi per l'equità tra Regioni con ddl Autonomie.

La manovra "ha due obiettivi, sostegno e rilancio dell'economia, abbiamo elaborato un progetto che guarda a restituire fiducia e sviluppo al paese". Così il premier Giuseppe Conte in conferenza stampa a Palazzo Chigi per illustrare i contenuti della manovra.

Conte, sollecitato in conferenza stampa, è anche tornato sulla questione del Mes: "Ho risposto a una domanda ma non vuol dire che" la questione del Mes "è risolta ieri in conferenza stampa. Ci sono le sedi opportune e ci sarà l'opportunità per parlarne. Anzi vi anticipo: siccome le forze di maggioranza hanno chiesto un momento di confronto ritengo quantomeno opportuno un confronto politico per definire le priorità, per definire un patto in vista della fine Legislatura". Conte ha sottolineato che "in questa fase il M5S ha già fissato un appuntamento importante", vale a dire gli Stati generali, e come dunque "sia opportuno definire prima questo passaggio, a meno che il Movimento non sia in condizioni per anticipare".

"C'è un negoziato in corso in Ue - ha detto sul Recovery Fund - e un'interlocuzione serrata tra Parlamento e Merkel, Consiglio. Non vedo grosse criticità: ancora ballano alcuni miliardi ma sull'ammontare complessivo di 800 miliardi non è un grosso problema e sono molto fiducioso. Il piano nazionale è pluriennale, sono più preoccupato di sopperire al deficit di capacità amministrativa di spesa con meccanismi e strutture normative che non si possano sprecare un euro. Per il resto, troveremo il modo già a inizio anno di avere anticipi in linea con il quadro programmatico che vogliamo assumere".

Ci sono - ha evidenziato il premier - "risorse significative per rafforzare la sanità, rafforzare il trasporto scolastico, dare sostegno ai settori più colpiti, per un nuovo ciclo di cassa integrazione, e per misure di sostegno per favorire la liquidità delle imprese". "Per il 2021 - ha detto il ministro dell'Economia Gualtieri - il governo mobilita circa 70 miliardi di risorse per la ripresa" tra quelle già stanziate con i decreti durante l'emergenza e quelle della manovra. 

Con la manovra "mettiamo le risorse per far partire dal 1 luglio l'assegno universale per le famiglie con figli, che potrà arrivare fino a 200 euro al mese per figlio per tutte le tipologie di famiglie".

Riforma fiscale: "Abbiamo posto un primo - ha detto Conte - e significativo tassello per la riforma organica del nostro sistema fiscale. Abbiamo messo in campo 5-6 miliardi per varare già, da metà dell'anno, l'assegno unico". Per il fisco, ha spiegato, "non vogliamo aggiustamenti marginali, ma una organica riforma dell'intero sistema fiscale e tributario, ci lavoreremo da subito e ci affideremo per i prossimi mesi a una legge delega per rivedere il sistema della riscossione, ridefinire il contenzioso tributario, riformare il processo tributario e anche per quel che riguarda l'Irpef e la riforma delle aliquote". "Stanziamo ben 8 miliardi inserendoli in un fondo dedicato cui aggiungeremo risorse dalla lotta all'evasione e dal recupero dell'economia sommersa". L'obiettivo è "una revisione integrale dell'intero sistema per avere maggiore equità, trasparenza, efficienza e modernità, pagare tutti perché tutti possiamo pagare meno".

Il premier Conte ha parlato anche di Covid. "Dobbiamo essere vigili - ha sottolineato - come sulle palestre, e agire con adeguatezza e proporzionalità, in modo ragionato, non emotivo".  "Ci siamo sentiti - ha fatto sapere - con Decaro e Lamorgese e abbiamo già concordato un protocollo che consentirà ai sindaci, sentite le Asl, di adottare una proposta per le piazze e le vie che più si prestano ad assembramenti. Poi nell'ambito di una riunione tecnica comitato ordine e sicurezza pubblica si cercherà una soluzione per controlli e attuazione da parte di tutte le autorità competenti. Si tratta di misure sperimentali: dobbiamo costruire anche qualcosa di nuovo". "Prima non eravamo preparati e siamo arrivati al lockdown generalizzato che non potevamo evitare. Ora invece abbiamo lavorato, per fare i test, distribuire le mascherine, abbiamo lavorato nelle scuole, negli uffici per garantire la massima sicurezza e ora dobbiamo garantire una strategia diversa: la curva è obiettivamente preoccupante, ci stiamo predisponendo per evitare il lockdown generalizzato, ma non possiamo escludere che se le misure non daranno effetti saremo costretti a tararle piu' efficacemente e arrivare a lockdown circoscritti perchè uno generalizzato dobbiamo evitarlo".

Di manovra hanno parlato anche altri ministri. Con la manovra "non introduciamo alcuna nuova tassa. Al contrario finanziamo la messa a regime del taglio del cuneo fiscale entrato in vigore lo scorso luglio e che prevede un aumento in busta paga fino a 100 euro per i redditi fino a 40mila euro". Lo afferma la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, parlando in un post su Facebook della misure della legge di bilancio, con la quale, spiega il governo garantisce "un forte impulso alla ripresa economica del nostro Paese già avviata nei mesi scorsi, potenziando al contempo le misure di protezione sociale necessarie per affrontare in sicurezza l'attuale fase di recrudescenza del virus".

VIA LIBERA ALLA MANOVRA DA 40 MIIARDI, LE MISURE.

Con la legge di bilancio, spiega, "investiamo innanzitutto nei giovani. Dal prossimo anno, infatti, scatta la decontribuzione al 100% per tre anni per le aziende che assumono lavoratori under 35. Allo stesso tempo, espandiamo gli aiuti per le famiglie con l'introduzione, da luglio del 2021, dell'assegno unico per i figli.

Non solo. Favoriamo ulteriormente l'occupazione agevolando i meccanismi di uscita dei lavoratori più anziani mediante soprattutto la proroga di Opzione donna, il rinnovo di Ape Sociale e l'ampliamento della platea del contratto di espansione attraverso la riduzione dei criteri dimensionali di accesso per le imprese (da 1.000 a 500 dipendenti)".

Con quasi sei miliardi, viene assicurata "un'ulteriore spinta al mercato del lavoro nel Sud Italia. Grazie a queste risorse, infatti, mettiamo a regime la fiscalità di vantaggio per le imprese del Mezzogiorno, che possono così continuare a godere di uno sgravio del 30% dei contributi per tutti i loro dipendenti e per i nuovi assunti. Infine, rafforziamo la rete di protezione per i settori che stanno maggiormente risentendo dell'impatto economico del Coronavirus (come ad esempio il turismo e la ristorazione). Quattro miliardi verranno destinati a un Fondo per il sostegno di queste attività, mentre con altri cinque miliardi finanziamo la proroga della Cassa integrazione Covid per le aziende che faticano a ripartire", conclude.

Circa 4,6 miliardi da destinare a un fondo di perequazione infrastrutturale. E' quanto prevede la prossima legge di Bilancio per procedere con la legge per l'Autonomia differenziata. Inizialmente il ministro Francesco Boccia aveva previsto le risorse all'interno del ddl, che era pronto per essere presentato ma è stato poi bloccato dall'emergenza Covid. Ora le risorse sono state incluse nelle tabelle della manovra e, viene spiegato, saranno a disposizione del Mezzogiorno, delle aree interne e delle aree di montagna non appena sarà approvata la legge sull'autonomia. 

https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2020/10/19/manovra-catalfo-non-ce-alcuna-nuova-tassa_f73c2130-6dd5-440e-ab30-b5b4de62c94d.html

Conte scende? I sondaggisti ce lo dicano… - Antonio Padellaro

 

È con viva curiosità che attendiamo a breve un sondaggio sulla popolarità del premier Conte, dopo l’annuncio di domenica sera sulla nuova stretta anti-Covid. Perché delle due l’una. O gli italiani considerano il Dpcm del presidente del Consiglio un “decretino” dileggiato dalla destra dattilografa, per giunta “inutile” (Giorgia Meloni), privo di “visione” (Repubblica), un provvedimento “scaricabarile” che “suscita l’ira dei comuni” (Corsera). Insomma, un vero disastro che se confermato da ciò che pensa il Paese comporterebbe il collasso dei consensi che Conte continua a registrare stabilmente dai giorni del lockdown (e in tal caso, probabilmente, la coalizione giallorosa ne sarebbe scossa dalle fondamenta). Oppure si potrebbe ipotizzare che proprio perché non rinchiude ma socchiude, non vieta ma ammonisce, non divide ma condivide (o almeno ci prova), l’avvocato di Palazzo Chigi possa avere convinto, una volta di più, la maggioranza dei suoi concittadini. Non parliamo della solita gara pro-contro, ma della possibilità reale che la pandemia, oltre ad aver sconvolto il pianeta, stia modificando i parametri sui quali si costruisce il consenso nelle democrazie. Poiché il virus non è di destra né di sinistra (e neppure centrista o sostenitore della rivoluzione liberale) sembra evidente che le tradizionali categorie della comunicazione politica non reggono più. Come negli Stati Uniti dove Trump potrebbe, a giorni, giocarsi la Casa Bianca per ciò che non ha fatto contro il diffondersi del contagio. Come a Parigi e a Londra dove sia Macron sia Johnson rincorrono in crescente affanno il tempo perduto a sottovalutare. Come mai, invece, in Italia malgrado la pessima stampa e l’ostilità personale dei leader sovranisti, che non smettono di considerarlo un abusivo (e sotto sotto un incapace), il virus (almeno fino a ieri) non aveva affatto indebolito il premier? Forse perché nello smarrimento collettivo egli resta comunque un punto di riferimento rassicurante? Forse perché quando si tratta della salute, le decisioni del governo hanno un peso maggiore rispetto alle proteste dell’opposizione? Forse perché i giornali non contano più niente? Forza Pagnoncelli, ci faccia sapere.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/20/conte-scende-i-sondaggisti-ce-lo-dicano/5972520/

Il corpo estraneo. - Marco Travaglio

 

Si attendeva con ansia un segnale di riscatto della magistratura, dopo gli ultimi scandali culminati nel più sfacciato, ma non certo più grave: il caso Palamara. E quel segnale è arrivato: Piercamillo Davigo cacciato dal Csm. Il simbolo vivente dei valori costituzionali di autonomia e indipendenza della magistratura, il pm di Mani Pulite e poi il giudice di appello e di Cassazione che da 40 anni non piega la schiena e non tira indietro la gamba dinanzi alle pressioni e alle minacce del Potere di ogni tipo e colore, è fuori dall’organo di autogoverno. E già era bizzarro che vi fosse entrato, due anni fa, col record di preferenze: ma era chiaro che quel corpo estraneo, al primo pretesto utile, sarebbe stato vomitato fuori dalla casta politico-togata che infesta il finto “autogoverno” sempre più eterodiretto. Ora il pretesto è arrivato: il compimento dei 70 anni, cioè il raggiungimento della pensione. Che però vale per la sua attività di magistrato, non certo per quella di consigliere del Csm.

In passato diversi membri laici andarono in pensione (da avvocati o da docenti universitari) e nessuno si sognò di cacciarli dal Csm per raggiunti limiti di età. Se i Costituenti e i legislatori avessero voluto fare un’eccezione per i togati, l’avrebbero introdotta come causa di ineleggibilità e incandidabilità, come quella che esclude i magistrati over 66 dai concorsi per gli incarichi direttivi perché non garantiscono almeno 4 anni di funzioni. Invece i 2.552 colleghi (su 8.010) che nel 2018 elessero Davigo al Csm sapevano benissimo che, a metà mandato, sarebbe andato in pensione da giudice, ma lo votarono lo stesso perché era scontato che durasse in carica fino al termine della consiliatura. Davigo però è un uomo controcorrente: il partito degli imputati, degli impuniti e dei garantisti pelosi lo considera “giustizialista”. Dunque è finito o rimasto nel mirino dei colleghi invidiosi della sua popolarità, della sua credibilità e del suo rigore morale. Tra quelli che ieri gli hanno votato contro, anche con voltafaccia imbarazzanti, oltre a un inspiegabile e sconcertante Nino Di Matteo, ci sono i correntocrati della destra e della sinistra giudiziaria che per anni hanno inciuciato e fatto carriera con i vari Palamara, collaborando a brutalizzare e/o punire altri cani sciolti (De Magistris, Forleo, Nuzzi, Apicella, Verasani, Robledo, Woodcock) e a coprire i porti delle nebbie e delle sabbie. Ed erano pronti a tutto, persino a calpestare l’articolo 104 della Costituzione (“I membri del Csm durano in carica 4 anni”), pur di liberarsi di lui. Un giorno si accorgeranno di non aver colpito Davigo, ma l’idea stessa di Magistratura, come non riuscirebbero a fare neppure mille Palamara. E forse, di nascosto, si vergogneranno.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/20/il-corpo-estraneo/5972480/

lunedì 19 ottobre 2020

Conte non richiude e avvisa: “Fase critica, fare la propria parte”. - Paola Zanca

 

“Non firmerò mai più un lockdown”, aveva detto Giuseppe Conte nelle ultime ore. E in effetti, non l’ha firmato.

Alle nove e mezza della sera, uscendo nel cortile di palazzo Chigi, insiste: la strategia di contenimento del virus non può essere la stessa di marzo. Perché gli ospedali sono attrezzati, i dispositivi di protezione individuali adesso ci sono, i tamponi anche. “Non abbiamo abbassato la guardia”, dice, pur ammettendo che ci sono ancora “criticità” e avvertendo che, dal punto di vista economico, qualunque cosa succeda, “non ci saranno più elargizioni a pioggia”.

Ma il vero appello lo rivolge alle persone, ricordando le regole di igiene e distanziamento, in particolare quando sono in situazioni “vulnerabili”, come dentro le mura di casa. “Dobbiamo impegnarci – è il cuore del discorso del premier – la situazione è critica, la curva dei contagi è preoccupante. Ma il governo c’è. E ognuno deve fare la sua parte”.

Pazienza se filtra già l’irritazione dei sindaci e dei governatori, consapevoli che toccherà a loro il lavoro sporco. Ieri mattina, al termine della riunione con i presidenti, era già chiarissimo lo scontro andato in scena con le ministre De Micheli (Trasporti) e Azzolina (Istruzione): la prima che ha ribadito la capienza dei mezzi pubblici all’80 per cento, la seconda che li invitava ad aprire un tavolo con i dirigenti scolastici per trovare un accordo sugli ingressi scaglionati delle scuole. “A questo punto, mentre il virus avanza – è sbottato il presidente dell’Anci Antonio Decaro – tra due settimane staremo ancora parlando di cosa fare”.

Chiuso il confronto con gli enti locali e aperto quello con la politica, sembra incredibile ma raccontano che alla fine, la litigata vera, l’abbiano fatta sulle palestre. Da una parte i dem convintissimi che fosse il caso di chiuderle perché quelle, in effetti, sono rimaste l’unico luogo chiuso in cui si sta in tanti senza indossare la mascherina. Dall’altra il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, la renziana Teresa Bellanova, ma per primo il presidente Giuseppe Conte: che non ha cuore di dire ai gestori, che hanno speso fior di euro per la messa in sicurezza degli impianti, che adesso si riabbassa la serranda. Bisogna “seguire il principio di proporzionalità”, è il mantra che ha ripetuto il premier nei vertici di questi giorni. Sulla sicurezza di palestre e piscine, ha spiegato il premier, dal Comitato tecnico scientifico sono arrivate informazioni “contrastanti”, per cui si sono presi una settimana di tempo per decidere se chiuderle o no, dopo aver verificato il rispetto dei protocolli e preannunciando già l’impegno economico per eventuali ristori.

Non si tocca invece la scuola, “le lezioni continueranno in presenza, è un asset fondamentale”, fatto salvo l’aumento della didattica digitale per le scuole superiori, per le quali è previsto anche un ulteriore scaglionamento degli ingressi – che non potranno iniziare prima delle 9 e potranno arrivare fino al pomeriggio – per alleggerire il carico dei trasporti. E alla fine, perfino la movida ha subito sì una stretta, ma ben lontana dal coprifuoco di cui pure si è discusso nei giorni scorsi: non è passata infatti nemmeno la proposta di mediazione del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che suggeriva un lockdown a notte fonda, tra l’1 e le sei del mattino, mentre in casa Pd si arrivava a ipotizzare la chiusura dei locali tra le 22 e le 23: si continua a stare aperti fino a mezzanotte – seppur con un limite di sei persone per tavolo – , solo l’asporto termina alle 18.

Si è buttata la patata bollente ai sindaci, per i quali è stato messo nero su bianco un potere che, va detto, avevano già: ovvero quello di chiudere – nel testo si specifica “dopo le 21” – quelle strade e quelle piazze dove di solito si formano gli assembramenti. Decisioni non popolarissime da prendere, magari, e ancora più complesse da far rispettare considerata l’arcinota carenza di forze dell’ordine a disposizione. Tanto che i sindaci hanno chiesto all’esecutivo di ripensarci: “Sarebbe un coprifuoco scaricato sulle nostre spalle”. Ma evidentemente non ci sono riusciti. Così come non è riuscito a incidere il ministro della Salute Roberto Speranza, che è “rimasto fermo sulle sue posizioni”. Che poi è un eufemismo per dire che non è per niente d’accordo con le decisioni assunte.

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