Si attendeva con ansia un segnale di riscatto della magistratura, dopo gli ultimi scandali culminati nel più sfacciato, ma non certo più grave: il caso Palamara. E quel segnale è arrivato: Piercamillo Davigo cacciato dal Csm. Il simbolo vivente dei valori costituzionali di autonomia e indipendenza della magistratura, il pm di Mani Pulite e poi il giudice di appello e di Cassazione che da 40 anni non piega la schiena e non tira indietro la gamba dinanzi alle pressioni e alle minacce del Potere di ogni tipo e colore, è fuori dall’organo di autogoverno. E già era bizzarro che vi fosse entrato, due anni fa, col record di preferenze: ma era chiaro che quel corpo estraneo, al primo pretesto utile, sarebbe stato vomitato fuori dalla casta politico-togata che infesta il finto “autogoverno” sempre più eterodiretto. Ora il pretesto è arrivato: il compimento dei 70 anni, cioè il raggiungimento della pensione. Che però vale per la sua attività di magistrato, non certo per quella di consigliere del Csm.
In passato diversi membri laici andarono in pensione (da avvocati o da docenti universitari) e nessuno si sognò di cacciarli dal Csm per raggiunti limiti di età. Se i Costituenti e i legislatori avessero voluto fare un’eccezione per i togati, l’avrebbero introdotta come causa di ineleggibilità e incandidabilità, come quella che esclude i magistrati over 66 dai concorsi per gli incarichi direttivi perché non garantiscono almeno 4 anni di funzioni. Invece i 2.552 colleghi (su 8.010) che nel 2018 elessero Davigo al Csm sapevano benissimo che, a metà mandato, sarebbe andato in pensione da giudice, ma lo votarono lo stesso perché era scontato che durasse in carica fino al termine della consiliatura. Davigo però è un uomo controcorrente: il partito degli imputati, degli impuniti e dei garantisti pelosi lo considera “giustizialista”. Dunque è finito o rimasto nel mirino dei colleghi invidiosi della sua popolarità, della sua credibilità e del suo rigore morale. Tra quelli che ieri gli hanno votato contro, anche con voltafaccia imbarazzanti, oltre a un inspiegabile e sconcertante Nino Di Matteo, ci sono i correntocrati della destra e della sinistra giudiziaria che per anni hanno inciuciato e fatto carriera con i vari Palamara, collaborando a brutalizzare e/o punire altri cani sciolti (De Magistris, Forleo, Nuzzi, Apicella, Verasani, Robledo, Woodcock) e a coprire i porti delle nebbie e delle sabbie. Ed erano pronti a tutto, persino a calpestare l’articolo 104 della Costituzione (“I membri del Csm durano in carica 4 anni”), pur di liberarsi di lui. Un giorno si accorgeranno di non aver colpito Davigo, ma l’idea stessa di Magistratura, come non riuscirebbero a fare neppure mille Palamara. E forse, di nascosto, si vergogneranno.
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