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martedì 16 marzo 2021

Ecco perché Letta a capo del Pd è una buona notizia. - Andre Scanzi

 

Enrico Letta (di nuovo) a capo del Pd è una buona notizia? Domanda legittima, ma dalla risposta complicata. Senz’altro è una brava persona, e non è poco. Dopo il tradimento del 2014 patito da Renzi, che pochi giorni prima gli aveva detto di stare “sereno” ospite dell’amica Daria Bignardi, Letta ha navigato a distanza dal sudicio mare della politica politicante.

Profilo centrista e garbato, mai iconoclasta e poco divisivo, Enrico Letta alla guida del Pd è una buona e al contempo una meno buona notizia. Partiamo dalle meno buone. Il suo primo punto debole è il profilo da “usato sicuro”. Letta appartiene a tutti gli effetti a una nomenclatura di centrosinistra che ha fallito, al punto tale che il Pd non ha mai vinto uno straccio di elezione nazionale (Regionali ed Europee fanno storia a sé). Ritornare a Letta sa di polveroso e politichese: chi è l’elettore che dovrebbe votare – o rivotare – il Pd grazie a Letta? Bah. Al tempo stesso, Letta è una figura squisitamente priva di carisma. Se Zingaretti non sapeva incendiare le masse, con Letta non è che si avvertano miglioramenti. Mi si dirà qui che la storia del carisma è una dannazione della politica contemporanea, e che sia meglio un politico serio e silenzioso rispetto a un fanfarone falso ma mediaticamente scaltro. Siamo d’accordo, ma qui non bisogna vincere il Premio della Critica: qui c’è da vincere le elezioni, sconfiggendo questa destraccia e questi mefitici rigurgiti di renzismo. Oltre a ciò, Letta era e resta il leader Pd che ha accettato per primo l’abbraccio con Berlusconi. Anno 2013. Rodotà venne “ucciso” dal suo stesso Pd nella corsa al Quirinale (una delle più grandi vergogne della Repubblica italiana). E Letta fu la faccia dell’orrenda Restaurazione imposta dal Napolitano Bis. Lo stesso Letta, in quei giorni, diceva che Berlusconi fosse meglio dei grillini. È incredibile come, in otto anni, sia cambiato tutto.

E qui veniamo agli aspetti positivi della scelta di Letta. Una scelta assai furbina operata da Franceschini e Orlando, che hanno proposto un nome a cui la Base Riformista renziana (Guerini, Lotti, etc) non può dire di no, ma che certo non può amare. Una sorta di scacco matto, almeno per ora, sebbene il Pd resti un progetto politico drammaticamente balcanizzato (auguri, Enrico!). Letta, al momento, vuol dire due cose. La prima è che il Pd rilancerà l’accordo con M5S e bersaniani (e Sardine, e società civile), perché questa è stata la sua linea dalla nascita del Conte II a oggi. La seconda è che, con lui alla guida, Renzi non ha chance alcuna di rientrare nel Pd. Renzi è quello che lo ha accoltellato politicamente nel 2014. È quello a cui consegnò la campanella col broncio. È quello che, durante le settimane della crisi, Letta criticava duramente un giorno sì e l’altro pure. Se c’è lui al comando, possono rientrare nella “Ditta” i renziani minori ma non certo i Renzi e le Boschi.

In questo senso, verrebbe da esprimere solidarietà a quei soloni senza lettori né morale che, fino a ieri, parlavano di un Renzi “geniale e vincitore”. Come no: è il politico meno amato dagli italiani, almeno tra i sedicenti “leader”, e con la sua crisi scellerata ha consegnato il Pd a Letta e i 5 Stelle a Conte. Ovvero alle sue vittime più note, che ora verosimilmente lo isoleranno ancora di più. Davvero un “genio” e un “vincente”, ’sto Renzi!

Alla luce di tutto questo, a oggi la scelta di Letta è – lungi dal giustificare cortei – più una buona che una cattiva notizia. Tutto il resto si vedrà.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/16/ecco-perche-letta-a-capo-del-pd-e-una-buona-notizia/6134710/

martedì 2 marzo 2021

La mossa di Mattarella è politica (verso destra). - Tomaso Montanari


Ora che il “governo del Presidente” è tutto sotto i nostri occhi, è possibile criticare il Presidente? I manuali di Diritto costituzionale spiegano che non si è mai stabilito un divieto legale di criticare il presidente della Repubblica perché lo scopo della tacita regola per cui il capo dello Stato non si critica è quello di indurlo ad agire in modo da non ricevere critiche. Se l’attività del Presidente diventasse insindacabile, verrebbe meno la garanzia che questi non faccia un uso politico dei suoi poteri.

Ora, la decisione di non sciogliere le Camere è stata frutto di una valutazione dello stato del Paese: come tale, quintessenzialmente politica. La scelta di non comunicare questa decisione al presidente del Consiglio Conte, che aveva appena ricevuto la fiducia dal Parlamento, è stata politica. La decisione di incaricare Mario Draghi senza ricavarne il nome da un ulteriore giro di consultazioni, e mettendo i partiti davanti a un fatto compiuto, è un’altra scelta politica di Sergio Mattarella. Tutto nei limiti formali della Costituzione, sia chiaro, ma, come ha osservato Gustavo Zagrebelsky, fuori dalle consolidate convenzioni che circondando l’attuazione della Carta. E con la chiara volontà politica di uscire dalla crisi “dall’alto”, e non “dal basso”. Verso l’oligarchia, non verso la democrazia parlamentare. Coerentemente, Mattarella si è assunto davanti al Paese la responsabilità dell’identità del nuovo esecutivo: “Di alto profilo” e “che non deve identificarsi in nessuna formula politica”.

Come mentore e garante di un “governo del Presidente di alto profilo”, Mattarella ha assunto su di sé (ancor più di quanto non preveda l’articolo 92 della Costituzione) la responsabilità della scelta dei ministri, e quindi dei sottosegretari: ben sapendo, tra l’altro, che il Consiglio dei ministri è organo collegiale il cui presidente è solo un primo tra pari. Ora, come pensare che la credibilità della Presidenza non sia intaccata dalla qualità infima, in molti casi disdicevole fino al rigetto, della compagine ministeriale? Da cittadino, sono francamente sconcertato che il Presidente, dopo aver promesso al Paese l’“alto profilo”, abbia firmato i decreti di nomina di ministri come Stefani o Gelmini, e di sottosegretari come Molteni o Sisto. Borgonzoni alla Cultura e Sasso all’Istruzione, poi, sono veri e propri schiaffi alle parti più sensibili del progetto costituzionale.

E veniamo alla formula politica: che, in realtà, esiste eccome. Anzi, quella larghissima formula fino a ieri impensabile potrebbe essere la base per la rielezione dello stesso Mattarella al Quirinale: in un cortocircuito che avrebbe implicazioni inedite. Ancor più se questo secondo mandato, di cui si inizia a sentir parlare, avesse termine precoce: magari proprio per permettere l’ascesa di un successore (lo stesso Mario Draghi) che sarebbe così in qualche modo un erede designato, in una torsione dal sapore monarchico. E inoltre: la scelta di portare la Lega in un governo del Presidente comporta un’assunzione di responsabilità politica per nulla neutrale, visti i molti nodi irrisolti nei rapporti di quel partito con i neofascismi e il suo sostanziale rigetto di gran parte dei principi fondamentali della Carta. E anche la scelta di affidare l’opposizione a un solo partito, ancor più compromesso col neofascismo, è gravida di conseguenze politiche (a mio avviso, nefastissime). In Cecità di Saramago (libro che, a rileggerlo oggi, mette i brividi) la radio finalmente trovata, diffonde “notizie non confortanti: correva voce che fosse prevista a breve scadenza la formazione di un governo di unità e di salvezza nazionale”. Credo che anche oggi, nell’Italia resa politicamente cieca dalla pandemia, la notizia più sconfortante sia proprio questa. La resa della politica; la teorizzazione, dal più alto colle della Repubblica, che di fronte all’emergenza si debba abbandonare qualsiasi “formula politica”. E non per il presunto commissariamento da parte dei tecnici (che sembrano in verità assai poco autorevoli), quanto proprio per la dimensione dirompentemente antipolitica del messaggio che ne scaturisce. Tutti i partiti insieme, a correre sulla monorotaia imposta dal mercato e dalle banche (Draghi): a far capire che davvero There Is No Alternative, nessuna scelta è possibile. E cioè di fatto affermando che è inutile (oggi e domani) votare, perché comunque le scelte sono obbligate, e prese in alto: per il bene dello Stato.

Come dimostrano le prime mosse di Draghi (dalla scelta dell’ultraliberista Giavazzi alla incomprensibile opposizione, in sede europea, alla donazione dei vaccini per il personale sanitario africano proposta da Francia e Germania), la formula politica c’è: l’asse della politica italiana si è ulteriormente spostato a destra. E non per un voto, ma per una decisione politica del presidente della Repubblica.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/02/la-mossa-di-mattarella-e-politica-verso-destra/6118313/


Io credo che Mattarella si sia consultato con Napolitano prima di decidere, ed ha deciso seguendo il consiglio ricevuto, senza commettere, però, lo stesso errore fatto da Napolitano quando nominò Renzi a capo del consiglio per le sue doti di yesman, (bravo soldatino), ma che, alla fine , è risultato poco adatto, poichè ammalato di protagonismo ed egocentrismo. Draghi è stato scelto per le sue doti di "mago della finanza" e, quindi, a disposizione del mondo della finanza, mondo nel quale si muove benissimo. Naturalmente essendo un drago, farà gli interessi di chi conta, non certo i nostri.

Ancora una volta, la politica ci ha dimostrato che ciò che chiamano democrazia è solo un'utopia, il nostro voto non ha alcun valore, andare a votare o non farlo produce lo stesso effetto, se votiamo chi vogliamo noi il governo cade, se votiamo chi vogliono loro il governo prosegue fino alla scadenza naturale. 

Mattarella mi ha molto deluso, pensavo fosse un buono, ma credo di aver confuso la sua bontà con una forma di debolezza, di mancanza di carattere.

Cetta.

martedì 20 ottobre 2020

Economia o salute: la scelta più difficile. - Maria Rita Gismondi*

 

Può arrivare un momento nel quale la scienza deve riconoscere i suoi limiti e deve avere il coraggio di rivedere i propri percorsi. Non sempre un esperimento progettualmente perfetto porta a risultati ottimali. Mi riferisco al momento in cui ci troviamo. Siamo in un punto di stallo, ma non sappiamo qual è il precipizio che ci attende. Forse per la prima volta nella storia dell’uomo ci troviamo a dover scegliere tra la sconfitta di un virus e la distruzione dell’economia con quello che ne deriva: “Se non c’è salute non c’è economia”. Certamente, ma è altrettanto vero che “se non c’è economia, non c’è salute”. Le due affermazioni non hanno bisogno di spiegazione ma di una decisione non facile. Una dichiarazione è stata redatta e firmata a Great Barrington, negli Stati Uniti d’America il 4 ottobre 2020, da parte del dottor Martin Kulldorff, professore di Medicina all’Università di Harvard, biostatistico ed epidemiologo con esperienza nell’individuazione e nel monitoraggio delle epidemie di malattie infettive e nella valutazione della sicurezza dei vaccini, il dottor Sunetra Gupta, professore all’Università di Oxford, epidemiologo con esperienza in immunologia, sviluppo di vaccini e modellazione matematica delle malattie infettive e il dottor Jay Bhattacharya, professore alla Stanford University Medical School, medico, epidemiologo, economista sanitario ed esperto di politica sanitaria pubblica, con particolare attenzione alle malattie infettive e alle popolazioni vulnerabili. In breve sostengono che è arrivato il momento di tutelare i fragili (anziani e malati cronici) ma di aprire ogni attività al resto della popolazione. Dall’altra parte, a maggio, uno studio pubblicato da Nature sosteneva che senza lockdown, fino al 4 maggio, in Italia ci sarebbero stati 600.000 decessi. C’è però da aggiungere che questi dati erano calcolati su tutta la popolazione, compresa la fascia “critica”. Nessuno ha pubblicato proiezioni e modalità per applicare il modello ipotizzato negli Usa. In una situazione nuova per tutti, nessuna ipotesi può essere esclusa, né si può cedere a condizionamenti ideologici. Ciò che è certo è che il vaccino non c’è ancora, che il virus circola, malgrado ogni nostro sforzo, che l’economia agonizza. Dobbiamo rispondere alla domanda: “Cosa fare se lo scenario permane così e potrebbe esserlo per anni?”.

*Maria Rita Gismondo Direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/20/economia-o-salute-la-scelta-piu-difficile/5972513/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-10-20