giovedì 16 dicembre 2010

«Bush non critichi Berlusconi su G8 e inchieste giudiziarie»




Al G8 di Genova successe qualcosa su cui non conosciamo ancora tutta la verità. Ma le critiche americane spaventarono Berlusconi. E nel 2002 l'ambasciata Usa a Roma scrisse a Bush di non criticare il presidente del Consiglio. Lo rivela Wikileaks.

L'ambasciata Usa a Roma avverti' Washington e l'allora presidente Bush che il rapporto degli Stati Uniti sui diritti umani violati negli scontri al G8 di Genova del 2001 ''danneggia'' il governo Berlusconi, per cui non andrebbe criticato.
Lo si legge in un dispaccio targato Wikileaks e pubblicato dal Guardian e che risale al 2002. ''L'opposizione italiana, che non ha altri argomenti, continuera' a tirare pietre per scalzare il popolare primo ministro, e noi gli abbiamo messo altre pietre tra le mani'', scrive l'incaricato d'affari Usa dell'epoca, William Pope, in un cable del marzo 2002, riferendosi anche alla necessita' di evitare ingerenze Usa nelle ''inchieste giudiziarie sul premier''.

L'allora ministro degli Interni Claudio Scajola, incontrando l'ambasciatore americano a Roma, Melvin F. Sembler, esprime "il suo "disappunto" per il rapporto "Country reports on Human rights practices", redatto dal Dipartimento di Stato Usa. Nel testo, pubblicato il giorno prima, Washington criticava l'Italia, tra l'altro per episodi di maltrattamento a detenuti e per l'uso eccessivo della forza contro dimostranti e minoranze etniche, e dava conto di ''notizie secondo cui ad alcuni dimostranti anti-globalizzazione arrestati dalla polizia e' stato negato il diritto di consultare un avvocato''.

"Abbiamo detto a Scajola (che rimane sotto il fuoco dell'opposizione per i fatti del G8 di Genova in gran parte perche' il centro-sinistra ha cosi' poche questioni che risuonano nell'opinione pubblica italiana) di leggere il rapporto, e non le sintesi di stampa", scrive Pope. "Il ministro ci ha risposto che effettivamente la traduzione italiana del testo e' diversa dai resoconti stampa, ma che il disappunto rimane per aver fornito munizioni all'opposizione", continua il diplomatico.

"Non vogliamo vedere peggiorata una situazione gia' delicata - ammonisce l'ambasciata Usa -. Sfortunatamente non siamo in grado di controllare il tenore dei resoconti stampa, e come abbiamo gia' notato, le guerre mediatiche sono la continuazione della politica con altri mezzi".



Nyt, Economist e Ft impietosi: «Berlusconi ha fallito»

financial times
"Silvio Berlusconi deve avere delle unghie resistenti": così scrive oggi il quotidiano Financial Times, riferendo su come il presidente del Consiglio italiano sia riuscito, "tra la violenza nelle strade di Roma e le risse in parlamento", a rimanere "aggrappato al potere" con il minimo scarto.

Dopo la sfiducia e gli scontri nelle strade della capitale, i giornali stranieri s'interrogano sulla tenuta e sulla resistenza del premier. Berlusconi può presentarsi come il vincitore, ma la sua "non è altro che una vittoria di Pirro", sottolinea il Ft, perchè ha perso la maggioranza assoluta alla Camera e molti suoi ex colleghi sono oggi all'opposizione.
Tuttavia, sebbene il governo sia in difficoltà, i suoi oppositori hanno poco da festeggiare, continua il quotidiano economico: "Il loro fallimento a trarne vantaggio serve solo a illuminare il loro scompiglio". "Ma è l'Italia la grande sconfitta" del voto di martedì scorso, sottolinea il quotidiano, "come spesso durante la farsesca leaderdership di Berlusconi". Perchè il voto ha prolungato la paralisi politica" del Paese.

"La settima economia mondiale ha bisogno di riforme - conclude il Ft - un giovane su quattro non ha lavoro; la crescita è poco meno che anemica; il debito nazionale ha toccato 1.800 miliardi di euro. Berlusconi ha dato prova senza alcun dubbio che non è in grado di affrontare queste sfide. La tragedia italiana è che finora non è emerso nessuno più capace che possa farlo sloggiare".

Il Ft non è l'unico ad attaccare Berlusconi. Titola "Aggrappato" anche l'editoriale dell'Economist. Che descrive quanto accaduto il 14 dicembre - tra scontri e voto di fiducia una "giornata non bella per la democrazia parlamentare in Italia - per poi delineare un futuro incerto per Berlusconi, leader di "un governo di minoranza", destinato a barcamenarsi "di crisi in crisi e a racimolare giorno per giorno e legge per legge maggioranze raccogliticce".

La sua unica speranza è di "andare avanti finché non ci siano i segni di una ripresa dell'economia e della sua popolarità personale". Il vero perdente, conclude il settimanale britannico, è Fini. "Ma anche il premier è stato gravemente indebolito. A meno che non riesca a concludere un accordo con l'Udc, sembra ancora probabile un'elezione l'anno prossimo".
Il premier Berlusconi è sopravvissuto al voto di fiducia ma "il suo governo, discredidato, non ha più una maggioranza in grado di funzionare... Non è una situazione che l'Italia può tollerare a lungo. Servono, e servono con urgenza, nuovi leader, nuove elezioni e uno stile di governo più onesto". Berlusconi ha fallito e il suo è "Un fallimento personale". Questo il giudizio, sintetico e impietoso del New York Times che alla situazione italiana dedica oggi un editoriale.

Il quotidiano ricorda che "gli investitori sono nervosi sull'Italia". Il paese "Non è la Grecia o l'Irlanda, il suo deficit è ancora gestibile" ma "anche prima della crisi finanziaria" la crescita economica italiana era molto indietro rispetto a quella degli altri stati europei "affondata da una corruzione pervasiva e da una pesantissima burocrazia ad ogni livello di governo". Berlusconi sinora ha sempre sostenuto di essere una scelta obbligata, cioè di essere l'unico "capace di tenere insieme le varie e disparate fazioni del centro-destra... Ora è incapace di fare persino questo". Considerato che dall'altra parte resta un centro sinistra "fratturato" al suo interno, "incapace di unirsi e formare un governo", il "fallimento di Berlusconi è personale". Dopo una serie di scandali personali o giudiziari, "si è alienato anche i suoi alleati politici più stretti". Il suo "restare in carica ha estenuato l'Italia, indebolito il discorso pubblico, indebolito il governo della legge".



Il furore epistolare di Bondi «Cari compagni, non sfiduciatemi»




Appello del ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi al Pd per il ritiro della mozione di sfiducia individuale nei suoi confronti, presentata a Montecitorio e presto all'ordine del giorno di quell'assemblea dove la maggioranza è appesa a tre voti.
Siccome riconosco ancora nei principali leader della sinistra e in particolare a Bersani, Veltroni e Fassino - scrive Bondi in una lettera aperta al Pd dal titolo

'Cari compagni vi spiego perchè non dovreste sfiduciarmi- un residuo di concezione seria della politica e di rispetto nei confronti degli avversari politici vi chiedo di fermarvi, di riflettere prima di presentare contro di me un atto parlamentare cosi' spropositato, pretestuoso e dirompente sul piano umano, che rappresenterebbe un'onta non per me che lo subisco ma per voi che lo promuovete".

Bondi sottolinea come la sua gestione dei Beni Culturali si vuole caratterizzare come espressione della "volonta' di gettare dei ponti di collaborazione sul fronte della cultura, il piu' delicato e generatore di conflitti" e a fronte di un "clima pregiudizialmente ostile alla mia peronsa". Nè manca di ricordare la sua formazione politica all'interno del partito comunista e la decisione del salto successivo con Forza Italia "per la consapevolezza dell'impossibilita' di una evoluzione socialdemocratica del Pci", con successivo sovrapiù di acredine della sinistra nei suoi confronti. Tutto questo pero' - domanda Bondi- giustifica una mozione di sfiducia individuale nei miei confronti? Qual e' la ragione per cui la presentate? I crolli avvenuti a Pompei? Non posso crederci. Sapete bene che altri crolli sono avvenuti nel passato, e probabilmente avverranno anche nel futuro, senza che a nessuno passi per la testa di chiedere le dimissioni del Ministro pro tempore alla cultura".


Scilipoti, «collegamenti con la 'ndrangheta»


Comproprietario di un immobile, abusivo, - una palazzina di tre piani, per cui Rosa Carmela Cicero, moglie di Domenico Scilipoti, presenta istanza di sanatoria edilizia - assieme a parenti di capi della più forte ‘ndrangheta calabrese: “Personaggi che vantano rapporti di parentela con membri del clan ‘ndranghetista Selitano-Zavatieri”.

Questi sono i “Collegamenti intercorsi tra Scilipoti Domenico, classe ’57, il quale ricoprirà nel 2002, seppur per breve tempo, anche l’incarico di Assessore Comunale al Bilancio nella giunta Nicolò, con personaggi appartenenti ad una delle più importanti cosche della provincia di Reggio Calabria”.

Questo si legge di Scilipoti, oggi uomo decisivo per il governo, nella relazione che porterà allo scioglimento del Comune di cui è consigliere, per infiltrazioni mafiose, ma che non vedrà conseguenze penali per l’ex Idv.

La Storia dello scioglimento.
Il Comune è lo stesso di Adolfo Parmaliana, segretario cittadino Ds, morto suicida perché soffocato dal vuoto in cui viveva in territorio mafioso. E lo diceva e lo chiedeva a gran voce Parmaliana: “Terme Vigliatore ha un consiglio comunale oggetto di infiltrazioni mafiose”.

Il professore di chimica dell’Università di Messina, lo aveva denunciato ed era stato ascoltato. Così si formava una commissione prefettizia presieduta dal viceprefetto Antonino Contarino che avrebbe indagato sulle denunce di Parmaliana. In quel consiglio comunale si muoveva Mimmo Scilipoti, l’ex deputato dell’Idv, oggi arruolato da Berlusconi. Un canciabannera, si dice così dalle sue parti. Cambia bandiera, ovvero voltagabbana, dove le bandiere non sono poche e le parti sono le direttissime vicinanze di Barcellona Pozzo di Gotto: “la Corleone del XXI secolo”, così l’ha definita la commissione nazionale antimafia.

Le bandiere. Dal Fuan, dove nasce la sua attività politica al tempo degli studi di medicina, alla socialdemocrazia, bandiera che veste già medico, vicino a Dino Madauda. E poi l’Idv, timbro col quale entrerà in quel consiglio comunale indagato dalla commissione prefettizia. Fino ad oggi, esponente del neo Movimento per la responsabilità nazionale.

Il territorio. L’informativa Tsunami, ovvero l’informativa che ancora inquieta la magistratura barcellonese e messinese, al vaglio, per competenza, della Procura di Reggio Calabria. La stessa che arrivò sul tavolo di Francesco Pignatone dopo il suicidio di Parmaliana. Perché fu proprio Parmaliana, con quell’estremo j’accuse, a segnalare ancora l’insabbiamento di Tsunami. In quella si leggono i nomi dei “personaggi” - titolo del capitolo dell’informativa – interessati dalle indagine dei carabinieri di Barcellona Pozzo di Gotto, allora capitanati da Domenico Cristaldi, autori di Tsunami.

Tra i nomi anche quello di Scilipoti, e così scrivono i carabinieri: “gli elementi a loro carico sono al vaglio della Commissione Prefettizia che, per avere fino a questo momento accertato una mole di irregolarità superiore a quella già enorme paventata in sede proposta, ha ottenuto ulteriori 50 giorni di tempo, per potere relazionare lo stato di sconquasso in cui versa il Comune di Terme Vigliatore”.

Sconquasso che porterà il 23 dicembre del 2005 allo scioglimento del consiglio di Terme per “ingerenze della criminalità organizzata”, con decreto firmato dall’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

Due anni di commissariamento.
Aveva gridato al successo Parmaliana, aveva scritto dei volantini: “Giustizia è stata fatta: la legalità ha vinto! Tanti dovrebbero scappare… se avessero dignità”. Domenico Munafò, allora Vicesindaco, lo aveva denunciato per diffamazione, per quel volantino. Alle elezioni successive, giugno 2008, Terme Vigliatore eleggeva 11 dei 15 componenti presenti nella vecchia amministrazione, quella sciolta da Ciampi. Alle Regionali, invece, Scilipoti inseriva – da segretario provinciale dell’Idv di Messina – nella lista di candidati Carmelo Munafò, cognato di Nunziato Siracusa, oggi in carcere per mafia, riconducibile alla cosca di Terme Vigliatore, costola dell’organizzazione mafiosa di Barcellona pozzo di Gotto.

Parmaliana, invece, nell’estate del 2008 sarebbe stato rinviato a giudizio. E il 2 ottobre successivo, si sarebbe tolto la vita.



Fini contro la prassi per fare la storia. - di Marco Travaglio e Peter Gomez.




Domani probabilmente Silvio Berlusconi otterrà la fiducia, per uno o due voti, grazie a una quindicina di deputati comprati a prezzo modico e a tre deputate partorienti. Fiducia a termine, destinata a durare solo finché il governo non lascerà le Camere per tornare ad asserragliarsi nel Palazzo. Poi provvederà Umberto Bossi a staccare la spina, mandandoci alle elezioni anticipate.

L’esecutivo del “miglior premier degli ultimi 150 anni” è infatti morto da un pezzo. E sarebbe già sepolto se Fini non si fosse fatto convincere, per un eccesso di responsabilità istituzionale, dal capo dello Stato che un mese fa gli chiese di rinviare il voto sulla mozione di sfiducia alla Camera al 14 dicembre, dando così il tempo al Presidente del Consiglio di indire l’asta per gli onorevoli mancanti.

Ma forse è meglio così: la tragicomica e corrotta sfiducia di domani è una buona occasione, forse l’ultima, per indurre mezza Italia a riflettere su se stessa.

Come hanno potuto milioni di cittadini votare per uno come Berlusconi, quand’era chiaro fin dall’inizio che lui era sceso in campo solo per farsi gli affari suoi? Come hanno potuto interi plotoni di giornalisti e intellettuali spacciarlo per il campione della “rivoluzione liberale”, mentre lui brigava notte e giorno, nelle ore lasciate libere dalle ragazze a pagamento, per scampare ai suoi processi e arraffare milioni? Come ha potuto l’opposizione, salvo rare eccezioni, glissare sul conflitto d’interessi che, proprio in questi giorni, ha esplicato la sua geometrica potenza con l’intero gruppo Mediaset impegnato a offrire carote ai consenzienti e a minacciare bastoni ai dissenzienti?

Sabato, durante la manifestazione del Pd, nessuno ha osato ricordare la verità: e cioè che il premier è abbarbicato disperatamente non al governo, ma all’annesso legittimo impedimento per sfuggire ai tribunali e alla giustizia. Così, sia pure con sedici anni di ritardo, l’ha dovuto fare Fini.

Domani Fini, da presidente della Camera, sarà costretto ad astenersi come vuole la prassi. Ma, se il pannello luminoso di Montecitorio segnasse il pareggio, Fini deve pensare una cosa. Una possibilità ancora ce l’ha. Quella di dimettersi e votare contro il premier. Perderebbe la poltrona, certo. Ma con la sua sfiducia farebbe davvero la storia.

Peter Gomez e Marco Travaglio



Di Pietro parla alla Camera e Berlusconi lascia l'aula

mercoledì 15 dicembre 2010

PD, il partito che non c'è.


Saranno contenti i delatori di Di Pietro e Grillo, gli unici che non gliele mandano a dire, ma gliele dicono proprio, o che ci informano.

Questi delatori, spregevoli sostenitori del PD, il partito che non sa dove e come collocarsi, che ha perso la sua identità, che si è dissociato da tutti e tutto, che ha permesso che un "conflitto di interessi" approdasse sullo scranno più alto in parlamento, hanno regalato la vittoria ad un piduista.

Che differenza c'è tra loro e i mercenari della politica?

Entrambi contribuiscono a mantenere una situazione incerta, destabilizzante.

Io non so dove il PD voglia approdare, di una cosa sono certa, debbono ritrovare se stessi, si sono persi in un oceano di forse, ma, se.

Vi sono troppi comandanti, e nessuno di questi vuole sacrificarsi per designare, finalmente, un capo carismatico con un carattere forte, un condottiero che riporti la sinistra a riguadagnare la credibilità ed il rispetto che merita un partito di sinistra, quella che protegge i lavoratori che sono, poi, l'unico e vero sostegno di una nazione.

Che vadano a fare in cu...o i vari Fassino, D'Alema, Franceschini e Bersani stesso: gli manca il carisma perchè abbarbicati al loro potere o perchè senza carattere.

Io sento di appartenere alla ideologia di sinistra, ma non mi sento più rappresentata da questa sinistra composta da padroni assoluti e sempiterni, mi manca il terreno sotto i piedi e, conscia del fatto che il mio voto può fare la differenza, voto il meno marcio o chi, almeno, dice pubblicamente ciò che anch'io direi.

Meglio Di Pietro, Grillo, Vendola che, con tutti i difetti possibili riscontrabili in comuni esseri umani, sono ancora gli unici che mi ispirano fiducia.