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venerdì 25 ottobre 2013

Bank of England: “Togliere i bonus ai manager delle banche viola i diritti umani”. - Marco Quarantelli

Bank of England

Questo si legge in un documento ufficiale dell'organismo in risposta a un report in cui la Commissione parlamentare sugli standard bancari chiedeva un nuovo sistema di controllo. Intanto Rabobank, tra i più grandi istituti olandesi, ha invece eliminato i premi ai dirigenti: "Non sono più compatibili con il ruolo economico che svolgiamo".

Togliere i bonus ai manager delle banche salvate dal fallimento con soldi pubblici potrebbe essere una “violazione dei diritti umani”. Lo scrive la Banca d’Inghilterra in un documento ufficiale, rispondendo ad un report in cui la Commissione parlamentare sugli standard bancari chiedeva un nuovo sistema di controllo, maggiore responsabilizzazione e sanzioni certe per i dirigenti degli istituti di credito salvati sull’orlo del baratro. E mentre nel Regno Unito si fa sempre più dura la lotta dei livelli alti della politica e della finanza contro il tetto ai bonus imposto dall’Ue, nei Paesi Bassi una banca decide di abolirli: è Rabobank, tra i più grandi istituti olandesi. “I bonus non sono più compatibili con il ruolo economico che Rabobank svolge nella società olandese”, ha annunciato il presidente Wout Dekker. In Europa è il primo caso in 40 anni. 
7 ottobre 2013. Bank of England pubblica la sua “Risposta al Final report of the Parliamentary Commission on banking Standards” del 19 giugno, in cui il parlamento chiedeva varie riforme del sistema britannico, piagato dai salvataggi in extremis a suon di miliardi – 133 in tutto – di giganti come la Royal Bank of Scotland. Secondo la Commissione, il pagamento dei bonus dei dirigenti senior andrebbe sempre spalmato su più anni. Questo perché “i bonus in genere vengono pagati annualmente (…) mentre le conseguenze delle decisioni nocive possono essere identificate solo molto tempo dopo che sono state prese” (leggi pdf). Per questo la Commissione raccomanda “che una parte sostanziale della remunerazione venga differita fino ad un massimo di 10 anni”. “Questo differimento – si legge ancora – permette di recuperare parte del compenso nel caso in cui alla banca vengano comminate delle multe o nei casi di comportamenti sbagliati come quelli ravvisati nello scandalo Libor”. Di qui la proposta: “Le retribuzioni differite dei dirigenti (…) dovrebbero essere sospese in tutti i casi in cui una banca necessiti del sostegno diretto dei contribuenti”, ovvero in cui venga salvata dal crac mediante un’iniezione di soldi pubblici. Ma nella sua risposta la Bank of England frena bruscamente: le autorità dovrebbero trovare il modo di “affrontare il tema in osservanza delle disposizioni europee sui Diritti Umani”. 
Oltremanica la possibilità di bloccare i premi non ancora pagati esiste già, ma ai piani alti della finanza l’argomento “bonus” resta tabù e l’argomentazione dei diritti umani è tra le più utilizzate. Nel dicembre 2009, in piena bufera, il ministro delle finanze Alistair Darling propose nel Pre-Budget Report “una super tassa punitiva del 50% su tutti i bonus superiori alle 25 mila sterline”. La levata di scudi fu immediata: “Siamo stati contattati da altri banchieri – rivelò Bill Dodwell, head of taxation di Deloitte – ci appelleremo allo Human Rights Act”. La Commissione parlamentare sui diritti umani prese la cosa sul serio, al punto da avviare un’inchiesta. Al termine della quale concluse che l’articolo 1 della Convenzione Ue sui Diritti Umani garantisce il “pacifico godimento dei beni di possesso” – bonus inclusi – ma stabilisce anche che il diritto alla proprietà non deve impedire il pagamento delle tasse. Per questo “nessuna delle disposizione contenute nella legge contrasta con la Convenzione” (leggi pdf) 
La guerra continua e in campo ci sono anche i politici. A guidare la crociata è George Osborne. Il 25 settembre il ministro del Tesoro si è appellato alla Corte di Giustizia Europea contro il tetto imposto dall’Ue, in vigore dal 1° gennaio 2014, che limita i premi al 100% dello stipendio base e al 200% in caso di accordo con gli azionisti: “Il provvedimento sottoporrà ad ulteriori rischi l’intero settore, perché causerà l’aumento della parte fissa dello stipendio, che non può essere revocata in caso di cattiva amministrazione a differenza dei bonus, rendendo le banche ancora più vulnerabili”. 
Ma in Europa c’è chi non aspetta il 2014 e, su pressione dell’opinione pubblica, cambia marcia. Rabobank, uno dei più grandi istituti olandesi, è la prima banca europea in 40 anni ad aver abolito di propria iniziativa i bonus per i suoi manager: l’ultima a farlo era stata la svedese Svenska Handelsbanken nel 1970. Lo ha annunciato giovedì il presidente Wout Dekker: “Prendiamo atto dell’opinione dei nostri azionisti, dei nostri clienti e del modo in cui l’opinione pubblica considera gli stipendi dei manager”. Alle prese con una profonda ristrutturazione, chiusure di sedi e riduzioni del personale, l’istituto (coinvolto nello scandalo Libor ma tra i pochi non essere stati salvati durante la crisi) aveva già fissato un tetto del 30% ai premi. Che ora, conclude la nota di Dekker, “non sono più compatibili con il ruolo economico che Rabobank svolge nella società olandese”. 

sabato 6 ottobre 2012

I banchieri non pagano la crisi. E delle regole per ora non c’è traccia. - Giorgio Faunieri


I banchieri non pagano la crisi. E delle regole per ora non c’è traccia


Di una riduzione degli stipendi dei grandi manager della finanza si parla ininterrottamente dallo scoppio della bolla dei subprime. Ma nei fatti ancora niente è accaduto, con l'eccezione della bozza Liikanen, presentata pochi giorni fa a Bruxelles. Nell'attesa di qualcosa di concreto, intanto, i super banchieri mondiali continuano a incassare somme milionarie, indipendentemente dai risultati. Ecco quanto guadagnano.

Sono quattro anni che si valuta di introdurre un tetto agli stipendi dei banchieri ma fino a oggi non si è fatto nulla. Ed è molto probabile che le cose non cambieranno. L’ultima proposta in ordine di tempo è arrivata dal report Liikanen, la proposta per una regolamentazione del settore bancario europeo elaborata dal membro finlandese della Bce, Erkki Liikanen, su mandato della Commissione Europea. La bozza di riforma, presentata pochi giorni fa a Bruxelles, suggerisce, fra le altre cose, di pagare i bonus ai banchieri almeno in parte in azioni e obbligazioni della banca stessa, di modo che, in caso di fallimento di quest’ultima, i manager non percepiscano la parte variabile della loro retribuzione.
Il suggerimento è, allo stato delle cose, molto vago, e la lobby dei banchieri avrà a disposizione tutto il tempo necessario per depotenziare questa regola prima della sua effettiva entrata in vigore. Resta inoltre da capire per quale motivo un banchiere che porta al fallimento la sua banca debba percepire la parte fissa dello stipendio, che in molti casi supera il milione di euro. E, comunque, anche se venisse applicata in maniera severa la regola proposta da Liikanen non si potrebbe ancora parlare di un vero e proprio tetto agli stipendi. Fino al 2007, ovvero fino alla scoppio della crisi finanziaria, si diceva che imporre dei limiti agli stipendi avrebbe fatto scappare i banchieri migliori verso Paesi senza tetti.
La storia recente ha insegnato che i banchieri più pagati – e dunque i migliori secondo il ragionamento che andava tanto di moda – sono quelli che hanno provocato i disastri maggiori, non solo per le banche che dirigevano (vedi Richard Fuld di Lehman Brothers e Alessandro Profumo di Unicredit che ha preso una liquidazione da 40 milioni di euro mentre la banca era costretta a fare tre aumenti di capitale in tre anni per non fallire) ma per l’intero sistema finanziario mondiale che è arrivato a un passo dal collasso.
Negli ultimi quattro anni la Gran Bretagna è riuscita a vietare i bonus alle banche che hanno ricevuto aiuti statali ma queste ultime hanno cercato di restituire gli aiuti il prima possibile – in alcuni casi mettendo di nuovo a rischio la propria stabilità finanziaria – proprio per tornare a pagare i bonus. Gli episodi di autoregolamentazione sono stati rari e molto limitati nel tempo. Sull’onda del furore popolare per i rischi corsi nel biennio 2008-2009 le banche hanno ridotto i compensi ai manager ma sono prontamente tornati ad alzarli non appena la grande paura è passata (grazie agli enormi sforzi messi in campo dagli Stati e dalle banche centrali). Di recente lo stesso governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha parlato della necessità di tagliare gli stipendi dei banchieri, facendo riferimento a “dinamiche dei sistemi di remunerazione non coerenti con l’attuale fase congiunturale e non sufficientemente ancorati ai risultati di medio‐lungo periodo”.
Nel maggio scorso aveva espresso (inascoltato) lo stesso concetto: “Le remunerazioni degli amministratori e dell’alta dirigenza devono essere indirizzate all’obiettivo del contenimento dei costi”. Uno studio della Uilca-Uil ha rivelato che il monte retribuzioni 2011 degli amministratori delegati dei primi undici gruppi bancari italiani è cresciuto nel complesso del 36,23% rispetto all’anno precedente, per un totale di 26,067 milioni, anche a causa delle dimissioni di quattro top manager che hanno comportato buone uscite per complessivi 9,7 milioni. Lo stipendio medio degli amministratori delagati è risultato 85 volte quello del bancario medio (il record è di 101 volte nel 2007).
Nel marzo scorso i sindacati dei bancari Fiba, Fabi, Fisac, Uilca, Sinfub, Ugl credito e Dircredito hanno chiesto pubblicamente di limitare questo rapporto a 20 volte ma anche il loro appello (rivolto al presidente del consiglio Mario Monti, al presidente dell’Abi Giuseppe Mussari e allo stesso Visco) è rimasto inascoltato. A livello mondiale, secondo il calcoli del Financial Times, le retribuzioni dei dirigenti e degli amministratori delegati delle maggiori banche lo scorso anno sono aumentate del 12% con un guadagno medio complessivo pari a 12,8 milioni di dollari. L’incremento delle retribuzioni riguarda gli stipendi netti e non, invece, i bonus e i benefit extra. I premi conferiti attraverso le azioni sono invece cresciuti del 22%.
L’amministratore delegato di JPMorganJamie Dimon è sempre in cima alla top ten per il secondo anno di seguito con una retribuzione di 23,1 milioni di dollari, circa l’11% in più rispetto all’anno precedente. Al secondo posto c’è l’ad di Citigroup, Vikram Pandit, con un guadagno pari a 14,9 milioni di dollari. Non se la passava male neanche Bob Diamond, amministratore delegato di Barclays (che si è pero’ dimesso in seguito allo scandalo della manipolazione del tasso Libor), con una retribuzione annua pari a 20,1 milioni di dollari, e Antonio Horta-Osorio di Lloyds Banking Group, che può vantare un compenso di 15,7 milioni di dollari. In Italia il record spetta all’amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, che ha incassato 2,19 milioni (1,58 in compensi fissi e 338mila euro in “bonus e altri incentivi” riferiti “al solo pagamento di incentivi differiti” relativi al 2009 e 2010, come si legge nella relazione sulla politica retributiva del gruppo). Seguito dal suo ex presidente Dieter Rampl (1,8 milioni di euro).