martedì 14 maggio 2013

Processo Ruby, la richiesta del Pm: "Condannate Berlusconi a 6 anni di carcere e l'interdizione perpetua"

Un momento dell'udienza presso il Tribunale di Milano (Ansa)


Il pm Ilda Boccassini ha chiesto 6 anni di reclusione e l'interdizione perpetua dai pubblici uffici per l'ex premier Silvio Berlusconi, imputato di concussione e prostituzione minorile nel processo sul caso Ruby. Ovvia conclusione dopo una lunga arringa tenuta dallo stesso magistrato che ha messo in luce che "non vi è dubbio che Karima El Marough aveva fatto sesso con Berlusconi e ne aveva ricevuto dei benefici". Così pure che Silvio Berlusconi "sapeva che la ragazza era minorenne" e che "non abbiamo dubbi che Ruby si prostituisse". Ruby Rubacuori, minorenne, faceva la prostituta ed era al libro paga di Silvio Berlusconi. E non c'è nessun dubbio che Silvio Berlusconi sapesse che la marocchina era minorenne (è questo il vulnus del reato principale). Secondo il magistrato, non c'è nessun dubbio che Emilio Fede lo avesse riferito al suo mentore. "Possiamo credere che una persona che ha dedicato la sua vita e il suo credo a Berlusconi come Emilio Fede, non gli abbia detto che Ruby era minorenne?", si è chiesta Bocassini in uno dei passaggi della requisitoria. 
4,5 milioni di euro a Ruby - A chiudere il cerchio è la questione dei soldi, 4,5 milioni di euro, versati dal Cavaliere nelle casse della giovane marocchina. Si tratterebbe di cifre molto elevate, come dimostrano le intercettazioni telefoniche, un biglietto sequestrato alla giovane e i prelievi fatti dall'ex premier su uno dei suoi conti. Il procuratore Boccassini, nel corso della sua requisitoria iniziata stamattina, ha sottolineato che da un conto del leader del Pdl, tra l'ottobre e il dicembre 2010, sarebbero state prelevate somme per oltre 4,5 mln che "coprono abbondantemente" la cifra di cui parla Ruby in un biglietto e in alcune telefonate. 
Il sogno negativo - Cosa c'era dietro la frequentazione da parte di tante ragazze della casa di Arcore e dei relativi presunti festini a luci rosse? La risposta del procuratore aggiunto è che Ruby e le altre andavano alla ricerca del "sogno negativo italiano" e la stessa marocchina "avvicinò Berlusconi per ottenere denaro facile e possibilità di lavoro nel mondo dello spettacolo, così come le altre giovani". Ad Arcore quindi, ha detto la Pm, c'era "un sistema prostitutivo". E la giovane marocchina Ruby "aveva da Berlusconi direttamente quello che le serviva per vivere in cambio delle serate ad Arcore". 
Minetti e il "doppio lavoro" - L'altra figura protagonista della vicenda è Nicole Minetti. La quale, ha detto il procuratore aggiunto di Milano, aveva "questo doppio lavoro", ossia "gestiva le case di via Olgettina dove vivevano le ragazze che si prostituivano" e "era un rappresentante delle istituzioni nel Consiglio regionale, pagata dai contribuenti". Descrivendo la figura dell'ex consigliere regionale, Bocassini ha detto che la donna distribuiva il suo tempo tra queste due 'occupazioni'. Anche Minetti, così come Emilio Fede e Lele Mora, secondo il pm, era consapevole che Ruby fosse minorenne quando frequentava Arcore. Così come lo sapevano, sempre secondo il pm, diverse persone che frequentavano la ragazza, come Caterina Pasquino e Michelle Conceicao, le quali inoltre erano a conoscenza "che Ruby si prostituiva". Ruby, sempre secondo la requisitoria, ha dormito diverse notti ad Arcore tra il febbraio e il marzo del 2010 ed era diventata "la preferita, la più gettonata delle ragazze" in quel contesto di "prostituzione ad Arcore" che, secondo l'accusa, "è stato dimostrato al di la di ogni ragionevole dubbio".
La "colossale balla" - Quando il capo di gabinetto della questura di Milano Pietro Ostuni chiamò il questore per avvertirlo della telefonata di Silvio Berlusconi sapeva "benissimo che la vicenda della nipote di Mubarak era una balla colossale e sapeva benissimo che la ragazza era minorenne, marocchina e scappata da una comunità e che interessava all' allora presidente del consiglio", ha detto ancora il pm. Bocassini, nella ricostruzione di quel che accadde nella notte tra il 27 e 28 maggio 2010, ha definito più volte la "storia" della nipote dell'ex rais "una bufala" e "una scusa grossolana" inventata dall'ex premier. "Ho potuto dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio - ha detto ancora il pm - che quella notte i vertici e funzionari della questura a seguito di una interferenza del presidente del Consiglio rilasciarono la minore e la affidarono a una prostituta, tramite la Minetti". 
Le leggi contro lo sfruttamento del minore - Il pm ha anche sottolineato un aspetto curioso della vicenda giudiziaria che vede protagonista l'ex premier: Silvio Berlusconi è finito imputato al processo Ruby anche per una legge introdotta dal suo governo. Nelle premesse della sua requisitoria il magistrato ha sostenuto che "prima di entrare nel merito delle imputazioni ascritte a Berlusconi", è da "ribadire l'importanza della tutela del minore al punto che sono intervenute due leggi importanti, una nel febbraio 2006, la numero 38, e l'altra nel marzo del 2008, volute dal governo Berlusconi", con lo scopo di combattere lo sfruttamento sessuale del minore.
Sentenza forse il 24 giugno - Intanto si è appreso che la difesa di Berlusconi parlerà il 3 giugno mentre un'altra udienza, probabilmente per eventuali repliche e sentenza, è stata fissata per il 24 giugno.
Presidio pro Bocassini davanti al Tribunale di Milano - Durante la requisitoria, davanti al palazzo di Giustizia di Milano, si è raccolto un piccolo presidio composto da cinque o sei persone a favore di Ilda Boccassini. Davanti all'ingresso di via Manara, una donna teneva in mano un cartello con su scritto "Boccassini avanti tutta, l'Italia onesta è con te", mentre un uomo reggeva un cartellone con su scritto "Berlusconi hai disonorato dignità e valori della nostra Italia, dimettiti!". Altre persone tenevano in mano la Costituzione e un'altra ancora aeva un cartello dove si leggeva "Berlusconi resti in politica per continuare a delinquere". Davanti al palazzo, inoltre, stazionava anche una prostituta che teneva un cartello con la scritta: "Sono una prostituta, voglio pagare le tasse e avere una pensione".

Fate schifo. - Marco Travaglio


Siccome non c’è limite alla vergogna, ieri il Coniglio Superiore della Magistratura, già organo di autogoverno della medesima e ora manganello politico per mettere in riga i “divisivi” che disturbano l’inciucio, ha condannato alla “censura” il pm minorile di Milano Anna Maria Fiorillo. Ha insabbiato un’indagine? È andata a cena con un inquisito? È stata beccata al telefono con un politico che le chiedeva un favore? No, altrimenti l’avrebbero promossa: ha raccontato la verità sulla notte del 27 maggio 2010 alla Questura di Milano, quando Karima el Marough in arte Ruby, minorenne marocchina senza documenti né fissa dimora fu fermata per furto e trattenuta per accertamenti.
Quella notte, per sua somma sfortuna, era di turno la Fiorillo che, per sua somma sfortuna, è un pm rigoroso che osserva la Costituzione, dunque non è malleabile né manovrabile. 
Al telefono con l’agente che ha fermato la ragazza, dice di identificarla e poi affidarla a una comunità di accoglienza, come prevede la legge. 
Mentre l’agente la identifica e cerca una comunità (ce n’erano parecchie con molti posti liberi), viene chiamato dal commissario capo Giorgia Iafrate, a sua volta chiamata dal capo di gabinetto Pietro Ostuni, a sua volta chiamato dal premier Berlusconi direttamente da Parigi. 
L’ordine è di “lasciar andare” subito la ragazza perché è “nipote di Mubarak” e si rischia l’incidente diplomatico con l’Egitto. Così la Questura informa la pm che Ruby è stata affidata a tale Nicole Minetti, “di professione Consigliere Ministeriale Regionale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri” (supercazzola testuale). “Ciò – annoterà la Fiorillo nella sua relazione – suscitò in me notevoli perplessità che esternai con chiarezza, sottolineando in modo assertivo l’inopportunità di un affidamento a persona estranea alla famiglia senza l’intervento dei servizi sociali. 
Non ricordo di aver autorizzato l’affidamento della minore alla Minetti”. Cioè, spiegherà la pm, “ricordo di non averlo autorizzato”. 
Appena la cosa finisce sui giornali, il procuratore Bruti Liberati si precipita a difendere gli agenti con una nota molto curiale, anzi quirinalesca: “La fase conclusiva della procedura d’identificazione, fotosegnalazione e affidamento della minore è stata operata correttamente”. 
Cioè anticipa l’esito di un’indagine in corso. Il Pdl esulta: visto? Il caso Ruby non esiste. Il ministro dell’Interno Maroni si presenta in Parlamento e mente spudoratamente: che Ruby fu affidata alla Minetti “sulla base delle indicazioni del magistrato”. 
La Fiorillo, sbugiardata dal bugiardo su tutti i giornali e tv senza che nessun superiore la intervenga, si difende da sola e dichiara: “Le parole del ministro che sembrano in accordo con quelle del procuratore non corrispondono alla mia diretta e personale conoscenza del caso. Non ho mai dato alcuna autorizzazione all’affido della minore“. Poi chiede al Csm di aprire una “pratica a tutela” non solo sua, ma della magistratura tutta, contro le menzogne del governo. 
Ma il Csm archivia la pratica in tutta fretta senza neppure ascoltarla: non sia mai che, con le sue verità “divisive”, turbi il clima di pacificazione nazionale. 
Al processo Ruby, forse per non smentire il procuratore, né l’accusa né la difesa chiedono di sentirla come teste. 
Provvede il Tribunale. 
Ma intanto il Pg della Cassazione Gianfranco Ciani, lo stesso che convocò il procuratore nazionale Grasso su richiesta di Napolitano e Mancino per far avocare l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, avvia contro di lei l’azione disciplinare per aver “violato il dovere di riserbo”. Cioè per aver osato dire la verità. Ieri infatti il Pg Betta Cesqui che sosteneva l’accusa e ha chiesto la sua condanna non ha potuto esimersi dal dire che “la verità sulla condotta del magistrato è stata stabilita ed è stata data piena ragione alla sua ricostruzione dei fatti”. Dunque il plotone di esecuzione del Csm l’ha punita con la censura. 
Guai a chi dice la verità, in questo paese di merda.

lunedì 13 maggio 2013

Benzina troppo cara? Ecco tutte le tasse che l’Italia paga sui carburanti.


pompa di benzina
ROMA – Ogni giorno, all’interno dei giornali e dei Tg nazionali, leggiamo di nuovi aumenti relativi ai carburanti che costano sempre di più e che costringono i cittadini a servirsi di mezzi alternativi ed economici tra cui la bicicletta..
Molti di voi però non sanno che la benzina e il diesel che vengono utilizzati nei principali mezzi a motore, hanno un costo elevato per via di avvenimenti accaduti dal 1935 ad oggi.Ecco quindi tutte le tasse che siamo costretti a pagare sui carburanti:
L’ elenco dei rincari che gravano su questa imposta è lungo e risale al 1935.
1,90 lire (0,000981 euro) per il finanziamento della guerra di Etiopia del 1935-1936
14 lire (0,00723 euro) per il finanziamento della crisi di Suez del 1956
10 lire (0,00516 euro) per la ricostruzione dopo il disastro del Vajont del 1963
10 lire (0,00516 euro) per la ricostruzione dopo l’alluvione di Firenze del 1966
10 lire (0,00516 euro) per la ricostruzione dopo il terremoto del Belice del 1968
99 lire (0,0511 euro) per la ricostruzione dopo il terremoto del Friuli del 1976
75 lire (0,0387 euro) per la ricostruzione dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980
205 lire (0,106 euro) per il finanziamento della guerra del Libano del 1983
22 lire (0,0114 euro) per il finanziamento della missione in Bosnia del 1996
0,02 euro per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004
0,005 euro per l’acquisto di autobus ecologici nel 2005
da 0,0071 a 0,0055 euro per il finanziamento alla cultura nel 2011
0,04 euro per far fronte all’arrivo di immigrati dopo la crisi libica del 2011
0,0089 euro per far fronte all’alluvione che ha colpito la Liguria e la Toscana nel novembre 2011
0,082 euro per il decreto “Salva Italia” nel dicembre 2011
0,02 euro per far fronte al terremoto dell’Emilia del 2012
Il totale è di circa 0,41 euro (0,50 euro iva inclusa). Inoltre, dal 1999, le Regioni hanno la facoltà di imporre tasse regionali sui carburanti.
Non è finito perchè si deve sommare l’imposta di fabbricazione sui carburanti, e si arriva a toccare un costo finale di 70,42 cent per la benzina e 59,32 cent per il gasolio. Su queste tasse, come senon bastasse, bisogna applicare anche l’IVA al 21%, che grava per circa 15 cent nel primo caso e 12 cent nel secondo.

George Soros, lo speculatore (non) pentito: "Giusto l'attacco all'Italia del 1992. Noi solo messaggeri di cattive notizie"


George Soros
Ventuno anni fa, con il suo fondo Quantum, contribuì a portare la lira, e la nostra economia, a un passo dal baratro. Ora, George Soros, finanziare americano di origini ungheresi con un patrimonio da 14 miliardi di dollari e una seconda vita da filantropo, è fresco vincitore del premio Terzani, ricevuto ieri a Udine per il suo saggio"La crisi globale e l'instabilità finanziaria europea". Da lì, parlando con Repubblica e La Stampa, ripercorre la massiccia operazione speculativa che mise in ginocchio nel 1992 il Paese. E difende, non senza un certo cinismo, tutte le sue mosse.
"L'attacco speculativo contro la lira - esordisce Soros - fu una legittima operazione finanziaria". "Mi ero basato sulle dichiarazioni della Bundesbank, che dicevano che la banca tedesca non avrebbe sostenuto la valuta italiana. Bastava saperle leggere". Nessun segreto, insomma. Nessuna informazione riservata o soffiata nei salotti dell'alta finanza. Solo una lucida, ma spietata, comprensione della realtà, che Soros sintetizza con una formula particolarmente efficace: "Gli speculatori fanno il loro lavoro, non hanno colpe. Queste semmai competono ai legislatori che permettono che le speculazioni avvengano. Gli speculatori sono solo i messaggeri di cattive notizie".
"In Italia la tregua non durerà". Quindi una riflessione sul nostro Paese. La tregua dei mercati verso l'Italia, secondo Soros, "non durerà a lungo. Siamo in una situazione lontana dall'equilibrio". "L'Italia - dice - "è in grave difficoltà anche se "non è senza speranza. Con dei cambiamenti alla struttura dell'euro potrà risolvere i suoi problemi". E ancora. "La grave recessione deriva dalle regole di austerità imposte dall'Europa". Ma " l'Italia "non rischia di fare la fine di Cipro" afferma ancora Soros per il quale pesa la crisi politica interna. "C'è una tragedia dell'Europa e anche una tragedia dell'Italia: la crisi dell'euro sta lavorando per far tornare Berlusconi..." conclude il magnate.
L'operazione. L'azione di Soros nel 1992 - la vendita di lire allo scoperto comprando dollari - costrinse la Banca d'Italia a vendere 48 miliardi di dollari di riserve per sostenere il cambio, portando a una svalutazione della nostra moneta del 30% e l'estromissione della lira dal sistema monetario europeo.
Le consguenze. Per rientrare nello Sme, il governo italiano fu obbligato a una delle più pesanti manovre finanziarie della sua storia - circa 93 mila miliardi di lire - al cui interno, tra le tante misure, fece per la prima volta la sua comparsa l'imposta sulla casa (Ici), oggi divenuta Imu. Soltanto cinque mesi prima il presidente del consiglio di allora Giuliano Amato, proprio a causa della difficile situazione economica in cui versava il nostro Paese anche prima dell'attacco speculativo di Soros, era stato obbligato a dare il via libera al prelievo forzoso del 6/1000 sui conti correnti nella notte tra il 9 e 10 luglio.

MICHELLE CONCEICAO E LA SUA AGENDA


Tra i numeri telefonici compare anche il numero di "Papi Silvio". La prova che dimostrerebbe i rapporti tra la escort, Silvio e Ruby



Agenda-Berlusconi-1.jpg

Da un po' di giorni non si fa altro che sentire parlare di "Agenda Monti". Per non essere troppo ripetitivi, grazie aNonleggerlo.blogspot.it oggi vi proponiamo un altro tipo di agenda e cioè la rubrica telefonica di Michelle Conceicao, escort brasiliana protagonista dello scandalo Ruby. 

Quello che vedete in foto si trova nelle 400 pagine inviate dai Pm di Milano al Parlamento italiano, gennaio 2011, affaire Rubacuori, fonti di prova che dimostrerebbero, secondo i Pm milanesi, i rapporti stretti tra Silvio, la minorenne Ruby e la brasiliana che la ospitava. Sottolineati in rosso la prova dei contatti con Papi Silvio, tra cellulare privato e casa. 


http://www.cadoinpiedi.it/2013/01/03/michelle_conceicao_e_la_sua_agenda_-_foto.html

Caso Ruby, il grande inganno di Canale 5: scomparsi i fatti sgraditi a Berlusconi. - Gianni Barbacetto



Lo speciale andato in onda in prima serata sulla tv di famiglia è stato il peggiore flop della stagione, con meno di un milione e mezzo di spettatori e solo il 5,84% di share. Trasmesso alla vigilia della requisitoria di Ilda Boccassini, racconta solo la versione dell'imputato, in uno stile da propaganda sovietica. Nessuna immagine delle ragazze coinvolte, censurate le intercettazioni telefoniche più esplicite su quanto succedeva davvero nelle notti di Arcore.

Strano modo di fare televisione: neanche una foto delle ragazze protagoniste del caso Ruby. Ecco il grande inganno del programma di Canale 5 “Ruby ultimo atto. La guerra dei 20 anni” (guarda il trailer) che per la rete, peraltro, si è rivelato il più grande flop della stagione in prima serata, con meno di un milione e mezzo di telespettatori e il 5,88% di share. Uno speciale degno di entrare nei manuali di storia di giornalismo. Sarebbe bastata una scelta delle foto delle ragazze del bunga-bunga per far capire agli spettatori di che cosa si stesse parlando. Invece niente. Una poderosa, quanto faticosa macchina della disinformazione. Ad avere voce, presentati come attendibili, itestimoni utili alla difesa: quelli che dicono che ad Arcore si svolgevano “cene eleganti“. Ragazze tutte pagate da Silvio Berlusconi, da anni da lui mantenute e ancora oggi regolarmente stipendiate con 2.500 euro al mese, più auto e case. Oppure camerieri, pianisti, cantanti, che devono a Silvio tutto quello che hanno.
Dei racconti fatti nelle intercettazioni, nessun accenno (si possono però ascoltare qui nel montaggio di ilfattoquotidiano.it). Eppure erano cose pesanti, tipo: “Più troie siamo e più bene ci vorrà“. Tutte parlavano di soldi, vera ossessione delle serate di Arcore. Addirittura alcune raccontavano di aver fatto l’esame del sangue per sapere se avessero contratto l’Aids. Nessuna traccia neppure delle testimonianze delle ragazze che hanno rivelato che alle feste avvenivanospogliarellidanze erotiche, toccamenti alle parte intime, simulazione di atti sessuali. Poi, le prescelte all’X Factor del bunga-bunga (qui il video della sala del bunga bunga nella villa di Berlusconi) potevano passare la notte con il presidente, ottenendo un compenso più alto. Niente di tutto ciò nel programma presentato da Andrea Pamparana, che un tempo faceva il giornalista. Voce all’avvocato Niccolò Ghedini. A Ruby. E a Berlusconi, naturalmente.
L’unica teste d’accusa a cui il programma ha dato voce: Ambra Battilana, la cui credibilità è subito smontata con la lettera che ha poi mandato a Berlusconi. E Ruby? Pagata con 57 mila euro “per avviare un centro estetico” (mai visto). Ragazza che ha “commosso tutti raccontando la sua storia”. Altro che sesso: non poteva spingere “ad altro che a commiserazione”. Ammette di essere bugiarda, ma il programma di Mediaset sa distillare le sue verità. Panzane sul numero dei processi di Berlusconi e sul numero di intercettazioni di questo processo. Ma nessuna voce a contraddire, a rettificare, a inserire un minimo di verità dei fatti in un programma di regime sovietico prima di Breznev.
Sul reato più grave di cui Berlusconi è accusato (la concussione), la trasmissione dà il meglio di sé. Afferma che nessuna pressione è stata fatta da Silvio, nella notte del 27 maggio 2010, per far uscire Ruby dalla questura di Milano, nel timore che potesse rivelare l’altro reato (la prostituzione minorile). Dà per certo che Berlusconi non sapesse la vera età della ragazza. Che la credesse davvero nipote di Mubarak. E che l’intervento di quella notte di frenetiche telefonate tra Parigi e Milano fosse solo di evitare un incidente diplomatico. Garantisce che Berlusconi parlò di Ruby direttamente a Mubarak, in un precedente incontro internazionale: circostanza smentita dai testimoni presenti, secondo cui il rais egiziano non capì neppure la battuta di Silvio su una ragazza egiziana di sua conoscenza.
La pm dei minori ha ribadito in aula che le sue disposizioni erano chiare: tenere la ragazza in questura finché non si fosse trovato un posto in comunità. Il programma se la cava sostenendo che i funzionari di polizia potevano decidere di loro iniziativa che cosa fare. E si guarda bene dal dire in che mani finì quella notte: a casa di una prostituta brasiliana, dopo essere stata affidata a Nicole Minetti, compagna di bunga-bunga, insignita per una notte dell’inesistente qualifica di “consigliera ministeriale”.
Gli ascolti – Un programma fatto di ricostruzioni che gli spettatori non hanno gradito. Infatti “Ruby ultimo atto. La guerra dei 20 anni” è stato il meno seguito tra le reti Rai e Mediaset, ad eccezione della puntata della seconda stagione di “Tierra de Lobos – L’amore e il coraggio” su Rete4, che ha registrato 1.331.000 telespettatori e uno share del 5,38%. Ma è stato battuto dalle due puntate di Un medico in famiglia 8 su Rai1 (rispettivamente 5.685.000 telespettatori, share 20,72% e 5.944.000, 24,92%), da Ncis (2.642.000, 9,74%) e Elementary (2.406.000, 8,85%) su Rai2. E ancora Report (2.730.000, 10,74%) e Le Iene Show su Italia1 (1.416.000, 5,16% nella presentazione e 2.591.000, 13,09% nel programma).

Politiche giovanili, la beffa del fondo per l’occupazione svuotato dai partiti. Thomas Mackinson


Politiche giovanili, la beffa del fondo per l’occupazione svuotato dai partiti


Letta ha dichiarato che sostenere il lavoro dei giovani sarà la sua "ossessione". Ma gli stanziamenti dedicati, falcidiati dagli ultimi governi, vanno a iniziative opache e non sono monitorati. La Compagnia delle Opere, ad esempio, si accaparra un importo superiore al costo del suo progetto e si tiene il resto. Poi c'è il sito per giovani imprenditori, che costa 350mila euro e fa 20 utenti al mese.

Un fondo per i giovani che non ha più fondi, gestito in modo caotico e opaco, che premia progetti a volte misteriosi e spesso non rendicontati. E che in cinque anni ha visto scivolare via oltre 500 milioni di euro. E’ il ramo secco dello Stato su cui Enrico Letta punta per legittimare ulteriormente il suo governo di larghe intese, con tanto di impegno pubblico a fare dell’occupazione giovanile la sua “ossessione”. Le radici le ha proprio in ufficio, nella presidenza del Consiglio, titolare del “Fondo politiche giovanili”, una cassa di finanziamento falcidiata dai tagli e da cui più soggetti hanno attinto. C’è, ad esempio, la Compagnia delle Opere che si fa finanziare un progetto, spende meno del previsto, e si tiene la differenza. Ci sono le domande di partecipazione a un bando da un milione di euro che nessuno si è premurato neppure di aprire e restano lì, sigillate, a invecchiare come il vino. Un museo che organizza master per under 30 ma ci mette le sue guide e ci realizza un cofanetto promozionale. E poi c’è un sito, giovaneimpresa.it, che doveva diventare il punto di riferimento per tutte le iniziative pubbliche di sostegno all’imprenditorialità giovanile. Ma, in realtà, è divenuto l’emblema di come vanno le cose quando la politica mette il cappello sui giovani: è costato 350mila euro, attinti sempre dal fondo di cui sopra, ma è un relitto nella rete che totalizza 200 visitatori in dieci mesi, 20 al mese, meno di uno al giorno.
Tutto con il logo della Presidenza del Consiglio, quella che – in continuità tra centrosinistra e centrostra – ha formalmente elevato il tema dell’occupazione giovanile, issandolo come una bandiera sul tetto di Palazzo Chigi. Enrico Letta era sottosegretario alla Presidenza del Consiglio quando Romano Prodi, il 17 giugno del 2006, un mese dopo l’insediamento, istituiva il primo fondo. Per due anni, però, rimase dormiente: i decreti attuativi arrivarono tardi, quando il governo dell’Unione si era già polverizzato. Nel 2008 Berlusconi se li ritrovò predisposti e pensò bene di crearci attorno perfino una delega ad hoc, quella di Giorgia Meloni, rigorosamente senza portafoglio. Tutti, sinistra e destra, a dire che l’importante è investire sui giovani. Ma i numeri dicono il contrario, raccontano un’altra storia: i fondi per le politiche giovanili sono stati via via svuotati e tagliati negli anni fino a lasciare le briciole. Molti programmi, in nome dei vincoli di spesa e dell’austerità, dovranno presto limitarsi a utilizzare i residui passivi delle gestioni precedenti, altri non riceveranno più un euro. Nel complesso la “dote” giovani è calata di due terzi in quattro anni.
Il capitolo di missione dedicato allo sport e al servizio civile, ad esempio, è sceso da 173 a 71 milioni (nella nota di previsione del 2013 a 64) con un taglio del 60%. Tanto che è appena stata depositata un’interrogazione per chiederne l’integrazione. Scorrendo poi le singole voci del bilancio della Presidenza si capisce meglio cosa intendesse Mario Monti quando un anno fa parlava di una “generazione perduta sulla quale mi chiedo se valga la pena investire”. Già nella nota di bilancio 2011 si spiegava che sul “Fondo di credito ai giovani” (cap. 848) “non è possibile allocare alcuna nuova disponibilità”. Idem per il “Fondo di garanzia per l’acquisto prima casa” (cap. 893), istituito nel 2008, che tre anni dopo non sarà neppure finanziato. Stesso destino per il “Fondo per le comunità giovanili” (cap.884).
La Corte dei Conti, a marzo, ha cercato di capire come sono stati spesi i soldi per il “Fondo per le politiche giovanili”. I magistrati contabili rilevano alcune “criticità” evidenti , sia in ordine ai progetti finanziati, sia alla loro successiva gestione e rendicontazione, perlopiù sparpagliate su diversi ministeri, enti locali e di diritto pubblico come Invitalia o l’Agenzia nazionale per i Giovani. Il fondo, questo è certo, sta toccando il fondo: nel 2008 erano stati stanziati 150 milioni, che sono divenuti 100 l’anno successivo, poi 81 e infine 12 per il 2011. Insomma, l’investimento sui giovani anche per questo capitolo è decisamente in picchiata.
Le iniziative finanziate sono spesso opache e a volte del tutto “disallineate” agli scopi del finanziamento. Alcuni esempi? Un bando del 30 dicembre 2008 da 4,8 milioni ha finanziato un portale (www.giovaneimpresa.it) che alla fine della fase di test non ha superato i 200 accessi in 10 mesi ma è costato la bellezza di 350mila euro. “In seguito – scrivono i magistrati – si è fermato per la mancanza di ulteriori fonti di finanziamento, ed il portale è diventato, in sostanza, uno strumento ad uso della Comunicazione istituzionale del Ministro della Gioventù”. Una scatola vuota “il cui quadro complessivo evidenzia una sostanziale incorenza anche per la falcidia che ha subito nel tempo il Fondo per le politiche giovanili, il cui stanziamento per il 2012 è limitato a 8 milioni di euro”.
Un altro bando sotto la lente è quello del 23 gennaio 2008 per la “legalità e crescita della cultura sportiva”. Importo, 1 milione di euro. L’amministrazione non ha mai trasmesso il decreto di approvazione dell’iniziativa alla Corte in quanto “irreperibile”, con buona pace della legalità in calce al bando. Si scoprirà che non era mai stato emanato. Le domande di partecipazione erano però arrivate in plichi sigillati, numerate e catalogate. Alla fine vengono ammessi 55 progetti, ma quelli che hanno ricevuto il finanziamento, a tempo scaduto, saranno solo due.
“Manca un reale monitoraggio”, infine sui cofinanziamenti per 19 milioni di euro gestiti in compartecipazione con sei regioni. “I progetti si concludono con una mera presa d’atto delle relazioni che ne indicano la conclusione”. Tra questi il progetto della Compagnia delle Opere da 710mila euro dal nome emblematico: “Potter – Progetto e occasione per tessere trame educative”. I soldi servono a finanziare esperienze di lavoro e attività extrascolastiche. La nota si chiude con un rilievo non da poco: tra le fonti di finanziamento e la spesa effettiva c’è uno scostamento significativo, ma la quota pubblica che doveva essere pari al 70% non è stata rimodulata sulla spesa effettiva e la restituzione della somma eccedente non è mai avvenuta. In pratica la Cdo ha messo a carico del pubblico quanto avrebbe dovuto finanziare in proprio. Tanto pagano i giovani.
465mila euro messi a disposizione della Fondazione Centro Studi G.B. Vico per giovani imprenditori si scoprirà che sono andati a beneficio di un’altra categoria. Con quei soldi la Fondazione pagherà l’instradamento a 47 potenziali guide turistiche per il proprio museo vichiano (oltre a un confanetto promozionale sul filosofo di cui porta il nome). “Evidente che l’attività realizzata dal soggetto attuatore si focalizzano su tematice e azioni legate ai propri interessi che non ripondono a quelli del bando”. Anche per l’età dei destinatari della formazione: il bando indicava una fascia d’età compresa tra i 15 e i 30 anni, delle 47 unità che hanno ricevuto formazione, 21 superano i 30 anni ed in alcuni casi i 50 “e comunque non si forniscono notizie circa gli ulteriori sviluppi sotto il profilo dell’inserimento lavorativo dei soggetti coinvolti nella formazione”. Li chiamavano giovani. E gli sottraevano il futuro.