Eh si: questa volta Facebook ha sul serio superato ogni limite. Con le ultime, disastrose modifiche apportate all’Edge Rank (l’algoritmo che decide quali post far visualizzare sulla newsfeed degli iscritti), il social network più famoso al mondo ha letteralmente tagliato le gambe a tutti i gestori di pagine fan e, al contempo, ha chiuso ogni utente in una sorta di recinto virtuale dove l’interazione con i propri contatti è sempre più ristretta, ripetitiva e limitata. Anche se come sempre i responsabili negano gli effetti devastanti delle ultime modifiche (come di consueto applicate senza preavviso ed in maniera unilaterale), di fatto il social in blu si è trasformato in una sorta di condominio virtuale dove, se hai 4500 amici e sei iscritto a 300 pagine fan, ti ritrovi nella newsfeed praticamente sempre gli stessi contenuti, a volte addirittura ripetuti in loop. Controllate voi stessi sulle vostre rispettive home: vi capiterà di scorgere quasi esclusivamente i post di amici con i quali interagite spesso, anche più volte nel giro di pochi minuti. Oppure vedrete post vecchi di giorni comparire in alto solo perché hanno collezionato tanti “mi piace” ed altrettante condivisioni e commenti o sono di quelli a pagamento.
In estrema sintesi, da un po’ di tempo Facebook ha deciso di stuprare la propria natura, ciò che lo ha reso tanto diffuso e soprattutto rivoluzionario. Come? Modificando l’algoritmo che decreta quanta visibilità concedere ai contenuti condivisi dai suoi utenti. Se un tempo c’era grande alternanza, eterogeneità e possibilità di scoperta del nuovo, oggi ci si ritrova in maniera sempre più stringente ad essere profilati e poi automaticamente “indirizzati” verso un range molto limitato di amici e contenuti. Questo perché la nuova regola è semplice quanto stupida: se tizio interagisce abbastanza con determinate pagine e contatti, allora vedrà i post di tali pagine e tali contatti comparire sulla sua newsfeed sempre più spesso. Se però smette, allora le pagine e i contatti “trascurati”, vengono inesorabilmente oscurati. La home di chi vi scrive, ad esempio, è praticamente priva di ogni contenuto postato dalle centinaia di pagine fan alle quali sono iscritto e mi rimanda gli aggiornamenti di stato, i post e le interazioni delle solite 30-40 persone (a dispetto delle oltre 4500 che ho tra i contatti) che più si confrontano con me, lasciando commenti e like ai contenuti che posto. Spesso mi capita addirittura di scorgere lo stesso aggiornamento di stato dello stesso amico più di una volta lungo la stessa time line e questo soprattutto sui dispositivi mobiie (dove l’effetto dell’algoritmo è ancora peggiore).
Qualcuno a questo punto potrà osservare che tutto sommato è meglio così: indirizzati verso qualcosa che ci interessa e verso le persone con le quali chiacchieriamo con più piacere e frequenza, potremo fare pulizia tra contatti e contenuti superflui. Peccato, però, che in questo modo si precluda agli iscritti l’attività senza dubbio più interessante e utile del social in blu e cioè la scoperta anche casuale di pensieri e persone, quel meraviglioso caos di stimoli disparati che tanto manca a chi, come il sottoscritto, usa Facebook dalla fine del 2006. E peccato, soprattutto, che con simili algoritmi si censuri di fatto coloro che si occupano di fare informazione senza tramutarsi in una sorta di prostitute dei click e dell’interazione. Senza, cioè, farsi ossessionare dal numero di like, condivisioni e mi piace ottenuti dai post diffusi attraverso le proprie pagine ed i propri profili personali. Insomma: non parliamo di adolescenti intenti a postare frasi stucchevoli ed immagini glitterose ma di giornali online e professionisti della comunicazione che devono diffondere contenuti di un certo tipo, non per forza virali o “viralizzabili” per venire incontro ai capriccio di mister Facebook e dei suoi utenti più nevrotici e superficiali.
Ma l’aspetto più clamoroso ed odioso, riguarda i cosiddetti “promoted post” e cioè quei contenuti che vengono promossi pagando cifre anche molto alte. Neppure in quel caso, infatti, il nuovo algoritmo assicura un risultato certo e chiaro in termini di visibilità ed efficacia. Come confermato dai test noi effettuati nelle ultime settimane e stando a quanto confermano anche le riviste specializzate, l’utente-cliente può anche pagare 200 euro nella speranza di raggiungere un numero più elevato di fan o, in alternativa, potrà “acquistare” nuovi fan promuovendo la propria pagina. Tuttavia, per quel contenuto a pagamento, varrà la stessa regola utilizzata per tutti gli altri post e cioè: poche interazioni, poca visibilità concessa. Se nessuno regala like, commenti e condivisioni, quel contenuto che avete pagato per vedere diffuso, magari anche oggettivamente interessante, verrà automaticamente oscurato dall’algoritmo. Allo stesso modo, quindi, anche se compriamo spendendo cifre esorbitantanti 100.000 nuovi fan per la nostra bella pagina, solo un numero esiguo di questi ultimi visualizzerà i nostri post, tutti gli altri saranno letteralmente tenuti in ostaggio dall’Edge Rank di ultima generazione e rimarranno “parcheggiati” potenzialmente in eterno in zone d’ombra (la nostra pagina più grande ha oltre 350.000 iscritti e post visualizzati da 80 persone). Di fatto, questo significa vendere fumo e dare zero possibilità di recesso e/o reclamo ai consumatori. Non solo: se pagate e la vostra campagna inizia proprio durante uno dei non pochi aggiornamenti/problemi tecnici riscontrati dal social, nessuno vi rimborserà la cifra sborsata. E il servizio clienti? Meglio non considerarlo visto che risponde una volta su dieci, se siete particolrmente fortunati ed insistenti. I blocchi ingiustificati di account e la rimozione altrettanto arbitraria ed imprevedibile dei contenuti postati? Idem (nessuno ci ha ad esempio spiegato come mai, un nostro articolo sulla psoriasi, sia stato segnalato da qualche utente bontempone, rimosso da tutte le pagine sulle quali era stato diffuso e, cosa ancora più grave, abbia causato il blocco di un mese a tutti gli account amministratori). Facebook si è quotato in borsa, ha avuto un disperato bisogno di tramutare i suoi iscritti in prodotti da vendere e clienti da spremere ma non ha saputo offrire alcuno strumento professionale e chi lo utilizza, appunto, per lavoro e non solo per condividere foto con frasi da baci perugina e video di gattini fuffolosi o patetici sfoghi autoreferenziali. Chi lavora e mantiene aziende e dipendenti grazie all’utilizzo professionale dei social network, deve ovviamente anche essere pronto a pagare per tale utilizzo che possiamo definire commerciale. Ma poi, coloro che offrono il servizio, devono garantire trasparenza, assistenza ed una policy decisamente più affidabile e partecipativa. Non è possibile, per chi gestisce portali d’informazione, svegliarsi un mattino, ritrovarsi con un calo di traffico pari al 50% ed essere obbligato ad investire decine di migliaia di euro praticamente al buio per mantenere un trend che prima veniva garantito gratuitamente. E non è possibile che le autorità garanti del caso dormano e non si decidano ad intervenire in maniera ferma nei confronti di questi giganti senza volto che spesso, troppo spesso, si comportano da vere e proprie divinità digitali che in nessun caso devono dar conto delle proprie azioni (o non azioni). Se ti “puniscono” tu puoi solo pregare inviando una mail o una segnalazione e sperare che qualcuno, prima o poi, risponda.
Con questo editoriale, YOUng spera di poter ricevere il supporto di altre realtà editoriali medio-grandi e di numerosi professionisti di settore per portare avanti una protesta comune e chiedere a Facebook Italia un tavolo di confronto con le aziende che, da anni, lavorano incessantemente ed indirettamente anche per il social network che le ospita, mantenendolo attivo e vivo. In merito agli utenti, è decisamente odioso il relegarli a semplici prodotti da profilare e poi rivendere, privandoli di fatto della possibilità di un’interazione più ampia e di una selezione meno rigida e ripetitiva dei contenuti visualizzati nella propria newsfeed. Che il social resti social e non si tramuti in asocial-truffa-network.
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