mercoledì 3 febbraio 2010

Ciancimino: i soldi della mafia per la Milano2 di Berlusconi - Peter Gomez


D’accordo, Massimo Ciancimino dirà pure “minchiate”così come ha fatto, per lastampa vicina al centrodestra, il pentitoGaspare Spatuzza.
È vero, finora nessuno è riuscito a capire se il figlio di don Vito, quando afferma che suo padre finanziò la costruzione di Milano 2, assieme ai grandi imprenditori mafiosiBuscemi e Bonura, sia in grado di produrre documenti a sostegno delle accuse.
È indiscutibile poi che sulle ragioni per cui Ciancimino junior ha deciso di parlare pesino ancora molti interrogativi: punta a sconti di pena?
Vuole salvare il tesoro di famiglia?
Tutto giusto.
Tutte domande e obiezioni legittime.
Ma se non si vuole ridurre l’intera storia di questo paese a un processo, da cui per mille motivi si può uscire colpevoli o innocenti,una riflessione andrebbe fatta.
E soprattutto una cosa andrebbe ricordata: il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, non ha mai voluto spiegar l’origine delle sue fortune.
Non che le occasioni gli siano mancate, intendiamoci.
L’ultima risale al 26 novembre del 2002.
Quel giorno il tribunale, che stava processando Marcello Dell’Utri, si spostò a Palazzo Chigi per ascoltarlo.
Berlusconi però si avvalse della facoltà di non rispondere. Il codice glielo consentiva, certo.
Ma glielo può consentire il decoro istituzionale, la politica e la stampa?
Anche perché,in questo caso, gli interrogativi non seguono le inchieste.
Le precedono.
Nel 1976 Giorgio Bocca, per esempio, scriveva: “Un certo Berlusconi costruisce Milano 2, cioè mette su un cantiere che costa 500 milioni al giorno.
Chi glieli ha dati?
Non si sa.
Chi gli dà i permessi e dirotta gli aerei dal suo quartiere? [...]
Noi saremmo molto curiosi, molto interessati a sapere dal signor Berlusconi la storia della sua vita”.
Di risposte ovviamente nessuna.
O meglio una arriva.
Ma tre anni dopo, nel ‘79 quando l’attuale deputato Pdl, Massimo Maria Berruti, allora capitano della Guardia di finanza, conduce una verifica sull’Edilnord.
I militari vogliono chiedere al Cavaliere cosa ci sia dietro a due fiduciarie svizzere che hanno pompato miliardi nella sua città satellite.
Ma lui ribatte: non so niente, l’Edilnord non è mia, “sono solo un consulente esterno”.
Salvo Berruti, che pochi giorni dopo lascia la divisa per diventare un suo avvocato, tutti pensano alla balla.
Ma oggi, dopo anni di silenzi e aver ascoltato Ciancimino junior, il dubbio viene.
Forse, almeno quella volta, Berlusconi ha detto la verità.

Pdl, flop tessere di Alessandro De Angelis

Dovevano essere un milione, per ora sono 18mila

Il fallimento è tutto in un numero: diciottomila. Tante sono le tessere del Pdl che sono state richieste dall'inizio della campagna di adesione. Quella lanciata in pompa magna proprio dal premier: «Raggiungeremo - promise il Cavaliere - il risultato di un milione di iscritti». Quella proseguita, sempre in grande stile, sul Giornale di famiglia, in occasione degli auguri natalizi: «Regalatevi e regalate ai vostri amici - disse Berlusconi al suo popolo - una tessera del Pdl». Niente da fare: diciottomila. Un flop. Soprattutto perché Berlusconi considerava l'obiettivo scontato. Prima dell'aggressione a Milano affermò: «Chi vota Pdl è di fatto tesserato e l'hanno votato otto milioni di italiani».

È vero: la campagna di adesioni è partita solo da due mesi. Ma fonti di via dell'Umiltà vicine al dossier spiegano a microfoni spenti che questo non giustifica la sproporzione tra l'obiettivo e il momentaneo risultato: «La verità è che il meccanismo non funziona. Uno prende la tessera perché qualcun altro, dall'interno, gliela chiede. Ma la campagna non sta decollando perché il partito non c'è». Cifre alla mano - prosegue la stessa fonte - «quel numero di tesserati copre sì e no il numero degli amministratori e degli eletti sul territorio».

È solo l'ultimo segnale che qualcosa, nel Pdl, non va. E tra i fedelissimi del Cavaliere la rabbia è a livello di guardia. Sotto accusa proprio il funzionamento del partito. Non solo non si capisce chi fa cosa. E come lo fa, tra i mille incarichi che sono stati distribuiti. Esiste un responsabile tesseramento. Uno degli enti locali. Uno per le organizzazioni territoriali. Più i tanti dipartimenti. E uno che li coordina. Ma c'è di più. Proprio a questo caos gli azzurri duri e puri imputano il cedimento sulle candidature e sulle alleanze. Mario Valducci, con il premier sin dal '94, è furioso: «La verità è che tra i candidati del Pdl nelle varie regioni c'è poca agibilità per i berlusconiani. È evidente che nella tolda di comando non c’è nessuno che politicamente sia nato col premier e che quindi interpreti il berlusconismo autentico. Noi, dico noi, abbiamo sempre parlato di stare tra la gente, nei gazebo. Ora i cittadini dove sono? Pare che il Pdl tenda a rimuovere chi vuole superare le logiche dei vecchi partiti».

Ecco la rabbia: a Berlusconi è sfuggito di mano il partito. Non assomiglia per nulla alla creatura immaginata ai tempi del predellino. E Fini non c'entra. Questa volta non è lui il nemico. Il problema è quel corpaccione doroteo che, ad Arezzo, ha saldato gli ex colonnelli di An non finiani con i triumviri pidiellini. Sono loro che stanno gestendo candidature e rapporti con l'Udc. Tutti, trannne Sandro Bondi. Che in nome del Capo ha sferrato più di un attacco alle nomenklature. E non è un caso se tra gli azzurri sono in molti a pensare che «se va avanti così Berlusconi fa saltare tutto». Giorgio Stracquadanio, altro fedelissimo, è impietoso nel giudizio: «I signori delle preferenze e della vecchia politica stanno facendo blocco perché si va verso elezioni con preferenze. Rocco Palese è l'emblema della situazione: per dire che la sua candidatura è vincente ha ricordato che la volta scorsa prese 28mila voti, dimenticando che la volta scorsa perdemmo le elezioni».

Per ora il premier - che ai suoi ha ripetuto più volte che così non va - ha scelto la linea del silenzio («Parlerò solo del governo, non mi occupo di queste cose della politica»). E nelle prossime settimane separerà la sua immagine da quella del Pdl: pochi comizi con i candidati, nessun manifesto con slogan nazionali e una campagna elettore incentrata sulle scelte del governo. Non solo: Berlusconi non si spenderà in prima persona per tutti gli aspiranti governatori. Al momento - anche se l'ufficio stampa del Pdl assicura che andrà ovunque - la sua presenza è confermata solo nel Lazio (il 10 febbraio), in Piemonte, Campania, Lombardia e Veneto. Punto. La Puglia, ad esempio non è in calendario.

Eppure il silenziatore elettorale non significa che il Cavaliere voglia lasciare tutto così com'è, anzi. Il piano non è ancora definito nei dettagli, ma l'idea è quella di bombardare il quartier generale dopo le regionali. Comunque vada. A urne chiuse è pronto a scaricare le sconfitte annunciate su chi ha gestito il Pdl. E a cambiare la tolda di comando, giocando su due tavoli: il rimpasto di governo e l'incompatibilità tra presenza nell'esecutivo e incarichi di partito. Questo lo schema del rimpasto: l'ex governatore del Veneto Giancarlo Galan andrebbe al ministero della Cultura, Roberto Cota, in caso di sconfitta, all'Agricoltura al posto di Zaia e anche in caso di vittoria il dicastero resterebbe in mano leghista. Con La Russa già ministro e Bondi libero dell'incarico (di governo) resterebbe da individuare una via d'uscita soft per Denis Verdini per realizzare il quadro ideale del Cavaliere: Sandro Bondi al partito con un vice, ovviamente finiano doc.

Sarà questa la leva che il premier userà per scomporre il correntone targato La Russa-Gasparri con la sponda di Verdini e un pezzo di Forza Italia. Del resto - spiegano nella cerchia ristretta - il Cavaliere il suo avviso di sfratto lo ha già mandato annunciando che Bertolaso farà il ministro. Forse la nomina non è nemmeno in programma. Sia come sia è stato il primo segnale per dire che comanda lui. Il primo.

martedì 2 febbraio 2010

Mafia, Ciancimino Jr: «Contatti diretti fra Dell'Utri e Provenzano»

«C'era un contatto diretto tra il senatore Marcello Dell'Utri e Lo Verde. Lo spiegò mio padre». Così Massimo Ciancimino, deponendo al processo Mori nell'aula bunker dell'Ucciardone a Palermo, ha parlato dei rapporti tra il senatore del Pdl e il boss mafioso Bernardo Provenzano, che usava nei contatti con il padre il nome di Lo Verde. Secondo Ciancimino, Provenzano voleva trattare con Dell'Utri dell'amnistia cui i mafiosi aspiravano.
Suo padre, ha affermato Ciancimino, gli disse che «l'interesse a un simile atto di clemenza era della Chiesa», e che «queste cose andavano fatte quando governava la sinistra e bisognava sfruttare l'occasione perchè c'erano consultazioni elettorali imminenti».
Massimo Ciancimino ha anche detto che Bernardo Provenzano scrisse in un pizzino a Vito Ciancimino che aveva parlato con Marcello Dell'Utri della situazione difficile di salute dell'ex sindaco di Palermo, affinchè venisse preso un provvedimento di clemenza.
In un pizzino «successivo al settembre 2001», sempre inviato da Provenzano a Vito Ciancimino, si fa riferimento a contatti avuti con «sen.» e «pres.», rispetto a un possibile provvedimento di clemenza in favore dei detenuti. Il boss che si rivolge all'ex sindaco scrivendo «Carissimo ingegnere», scrive di essersi speso per trovare una «nuova soluzione della sua sofferenza». Secondo Ciancimino jr con «sen.» si identifica Dell'Utri e con «pres.» va identificato il senatore dell'Udc, Totò Cuffaro, allora presidente della Regione Sicilia.

Il processo a carico dell'ex vice capo del Ros, Mario Mori, e dell'ex colonnello Mauro Obinu riprenderà lunedì 8 febbraio. E durante i lavori davanti ai giudici della IV sezione penale testimonierà ancora Massimo Ciancimino.

Nella deposizione di lunedì, Massimo Ciancimino aveva parlato di investimenti che suo padre avrebbe fatto nella realizzazione di Milano 2: «Parte del denaro di mio padre, negli anni 70, fu investito in una grossa operazione edilizia realizzata nella periferia di Milano chiamata "Milano2"». Secondo il testimone l'ex sindaco, convinto a fare l'investimento dagli imprenditori Nino Buscemi e Franco Bonura, inizialmente non era entusiasta del nuovo business, ma poi avrebbe finito per accettare di investire parte del suo tesoro nella realizzazione del complesso residenziale realizzato da Silvio Berlusconi, negli anni '70, alla periferia del capoluogo lombardo. A convincerlo definitivamente a spostare i soldi fuori dalla Sicilia sarebbero state, però, le inchieste a suo carico e le denunce sugli affari delle cosche fatte dalla commissione Antimafia.
«Le dichiarazioni di Ciancimino su Milano 2 sono del tutto prive di ogni fondamento fattuale e di ogni logica, e sono smentibili documentalmente in ogni momento», ha ribattuto Niccolò Ghedini, avvocato del premier e parlamentare Pdl in una nota. «Tutti i flussi finanziari di Milano 2, operazione immobiliare che ancor oggi è da considerarsi una delle migliori realizzazioni nel nostro paese - aggiunge Ghedini - sono più che trasparenti e sono stati più volte oggetto di accurati controlli e verifiche. Tutte le risultanze hanno dimostrato la provenienza assolutamente lecita di tutto il denaro impiegato. Argomentare gli asseriti finanziamenti mafiosi è evidentemente diffamatorio, il che - conclude - sarà facilmente comprovabile nelle appropriate sedi giudiziarie».


Di Pietro, Corriere della Sera, Contrada, Cia e servizi segreti

domenica 31 gennaio 2010

Il PD mi fa godere (ma anche no) - Andrea Scanzi

Sono affascinato, ragazzi. No, non dalle autoreggenti della Brambilla, per quanto io e Gigi (è così che chiamo Amicone) sogniamo California quando le guardiamo.

Sono affascinato dal Pd. Più ancora, da quelli che hanno scoperto solo adesso cosa sia il Partito Democratico. Benvenuti sul Pianeta Terra, cari (cari, cit) polli di allevamento.

La prodigiosa lentezza mentale di certi soloni è per me, da sempre, fonte di giubilo. L’hanno capito ieri, i cantori della sinistra riformista, in data 19 dicembre 2009, chi siano (veramente) D’Alema, Bersani e i massimalisti dell’inciucio. Wow, che velocità, che prontezza di riflessi, che guittezza. Neanche Gabor Talmacsi nella MotoGp uno scatto così. Bravi, cari (cari, cit) polli di allevamento. Alla fine ci siete arrivati anche voi. E’ già qualcosa.

Quando vi siete svegliati del tutto, tra un greatest hits della Mannoia, un miserere di Jovanotti e un’omelia di quel mattacchione di Scalfari, fatemi un fischio.

Il fatto, però, è che – una volta scoperta the dark side of the Baffetto (che poithere’s no dark side of Baffetto really, matter of fact it’s all dark, cit) – adesso avvertite il desiderio di abbandonare la zattera che affonda. Quella zattera affonda dal giorno in cui incollarono i tronchi con la Coccoina, ma ognuno ha i suoi tempi.

E così vi sentiti delusi, ingenui, traditi. Derisi e disgregati. Da qui la voglia (inaccettabile) di emigrare altrove.

Non sia mai, compagni: il Pd è ancora un luogo meraviglioso. Per almeno 14 motivi – e dico 14 perché mi sono un po’ rotto le palle di questa cosa del dieci.

Vado a elencarli, con la dovizia di sempre. Ecco 14 motivi per cui sarà bello morire piddini. Ecco perché il Pd mi fa godere (ma anche no).

  • Militando nel Pd non hai l’obbligo di dire cose intelligenti. Non hai neanche l’obbligo di dire cose. Più che altro, militando nel Pd non hai proprio l’obbligo. Non hai. E basta.

  • Il risotto mantecato di D’Alema è tuttora meraviglioso, e – se hai un po’ di fortuna – a tavola potrai trovare anche Vissani, Violante e i pizzini autografi di Latorre. Daje.

  • Nel Pd uno come Jovanotti è derubricato alla voce intellettuale. Questo, a una prima analisi, suona frustrante. Ma a una seconda, no: se Jovanotti è un intellettuale, c’è speranza per tutti.

  • Il Pd è una panacea placida e assonnata. Rassicurante. Per aderire al progetto, basta non prendere mai posizione (se non sbagliata). E quando qualcuno – i soliti cacadubbi giustizialisti – vi farà notare che così fate il gioco di Berlusconi, potrete sempre rispondergli – citando l’Enciclica Proraso di Polito o il Vangelo secondo Macaluso – che “noi siamo per il dialogo”, “noi siamo per la democrazia”. “Noi siamo buoni”. Hasta Bicamerale Siempre.

  • Il Pd era il partito perfetto di Rutelli.

  • Il Pd è il partito perfetto della Binetti.

  • La linea politica del Pd è l’impalpabile. Però ammantato di sicumera (altrimenti poi non fai pendant con Nanni Moretti).

  • Il Pd è l’acqua calda che tarda a uscire dal rubinetto (cit). Non un difetto, bensì l’ulteriore stimmate della vostra santità democratica. Perché voi sietre puri e casti: come l’acqua (appunto). Mentre gli altri sanno solo criticare; dicono solo no: e voi lo sapete, che così non si risolve nulla. Voi siete per costruire, mica (solo) per distruggere. Ebbene, cari (cari, cit) polli di allevamento, rampognate costoro – i disfattisti – con parole di fuoco, battezzandoli - all’acme dell’invettiva – con un epidittico (?): “Andate a sculacciare i billi con quell’analfabeta di Di Pietro e quel terrorista mediatico di Tartag… ah ehm Travaglio”.

  • Il Pd gode di buona stampa. E ancor più buoni salotti. Se sei triste, puoi farti invitare dalla Dandini. Se sei ancora più triste, puoi farti invitare da Fazio. Se sei ancora ancora più triste, puoi comunque ridere a caso per una battuta della Littizzetto. Ognuno ha le amache (cit) che si merita.

  • Solo dentro il Pd puoi provare l’ebbrezza che dà il rimpianto per Veltroni. Non è nostalgia, non è passatismo: è canna del gas. Lisergico spinto. Meglio del peyote.

  • Il Pd è così vecchio che chiunque abbia meno di 87 anni (età cerebrale) sembra gggiovane.

  • Il Pd è un Vic 20 in attesa di formattazione, così lento all’avvio che qualsiasi file chiamato Serracchiani pare l’ultima versione di Adobe Photoshop.

  • Il Pd è così tardo che in confronto Debra Morgan è una guitta.

  • Il Pdmenoelle è la polizza per la vita di Silvio Berlusconi e del berlusconismo.

Vamos.

E ora andiamo tutti a chiedere l’amicizia a Massimo D’Alema, sempre ammesso che sappia cosa sia Facebook (voi lo sapete: un covo di brigatisti).

http://scanzi-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/12/20/il-pd-mi-fa-godere-ma-anche-no/


Lui ricandida le veline, il Pd risponde con gli imputati -di Marco Travaglio.

Da sinistra: l'ex meteorina Giovanna Del Giudice, oggi assistente del senatore Enzo Ghigo, poi la modella pugliese Graziana Capone, detta l'Angelina Jolie di Bari. Infine Angela Sozio, già protagonista di una stagione del Grande Fratello e tra le ospiti del Cavaliere in Sardegna a Villa Certosa.


Mentre nel Pdl è di nuovo rivolta contro le ragazze di Berlusconi, per la Campania niente primarie e via libera al plurinquisito sindaco di Salerno.



S’ode a destra una squillo che tromba, a sinistra tintinnan manette. La nuova classe dirigente selezionata dai due poli per le regionali è tutta qui. Il Banana, liberatosi di Veronica, depenna dalle liste i candidati con pancia, riporto, orecchie a sventola, e soprattutto privi di poppe, per rimpiazzarli con giovani e procaci veline ingiustamente sacrificate un anno fa quando la first lady le definì "ciarpame senza pudore".

E non si esclude qualche incursione nel ramo escort, sempre fiorente a Palazzo Grazioli. I coordinatori del Pdl, armati di metro e body scanner d’ordinanza, stanno visionando book e calendari per selezionare, anzi misurare il meglio che c’è sul mercato.

Il Pd, sempre in ritardo, insegue trafelato pescando nella categoria imputati, ormai abbandonata persino dal Banana. Nasce così la candidatura unica a governatore della Campania di Vincenzo De Luca, ex deputato Ds e sindaco di Salerno, rinviato due volte a giudizio per associazione a delinquere, concussione, falso e truffa. Quisquilie.

Per sostituire degnamente il dalemiano Antonio Bassolino, imputato una sola volta per truffa, si pensa a un dalemiano imputato due volte per accuse ancor più gravi. Sempre più in alto. L’ideale sarebbe stato un ergastolano, ma al momento non se n’è trovato uno disposto a giocarsi la faccia.

Qualche ingenuo aveva pure proposto le primarie, ma è stato prontamente silenziato: non c’è tempo. Pare che i vertici del Pd abbiano appreso che si votava in Campania solo nelle ultime ore e, colti alla sprovvista, han dovuto fare tutto in fretta e furia. E poi le primarie si sa come vanno: dici agli elettori chi devono votare e quelli, per dispetto, votano sempre qualcun altro.

Dunque il Pd lancia un forte segnale di rinnovamento della classe dirigente proprio dalla Campania, simbolo della questione morale a sinistra. Il governatore Bassolino è sotto processo per aver truffato la regione che egli stesso presiede per lo scandalo della monnezza. E la presidente del consiglio regionale, Sandra Mastella, non può rimetter piede in Campania essendo indagata per concussioni e lottizzazioni assortite.

Ora arriva De Luca che, se eletto, si dividerà fra il palazzo della Regione e il palazzo di Giustizia: è stato rinviato a giudizio a Salerno nel 2008 con altri 47 imputati per concussione, truffa e associazione per delinquere a proposito dei maneggi urbanistici per il parco marino Sea Park; e nel 2009 con altri 13 imputati per truffa e falso a proposito della delocalizzazione delle Manifatture Cotoniere Meridionali nella nuova zona industriale di Salerno. Entrambi i processi sono in corso. Nel secondo è pure imputato Gianni Lettieri, presidente degli industriali di Napoli, che sarebbe stato favorito da De Luca.

Lettieri è in corsa per la candidatura a governatore nel Pdl, che però pare preferirgli il craxiano Stefano Caldoro, incensurato. Peccato: De Luca e Lettieri avrebbero potuto farsi campagna elettorale direttamente dal tribunale, facendo compagnia a lady Mastella, che si ricandida nonostante il divieto di dimora in Campania e sarà costretta a tenere i comizi in videoconferenza dall’esilio romano. Dopo anni di scandali, si spalanca per la Campania un futuro di legalità.

L’altra sera ad Annozero, a proposito della schizofrenia del Pd che fa dimettere il sindaco di Bologna per un avviso di garanzia dovuto a un sexy-scandaletto da pochi euro e poi candida un plurimputato per accuse ben più gravi, Bersani ha biascicato: "A Salerno bisogna vedere di che tipo di cose si parla. Se un sindaco va in un guaio per salvare una fabbrica tipo Termini Imerese e fa un accordo con Fiat per valorizzare una certa area, il partito deve poter puntare sulla sua onestà".

Forse Bersani, colto alla sprovvista dalla notizia delle elezioni in Campania, non è stato correttamente informato sui processi a De Luca. Qualcuno dovrebbe spiegargli la differenza fra un piccolo abuso e una concussione, una truffa, un’associazione per delinquere. Onde evitare che, al processo breve, segua il candidato breve.

Da il Fatto Quotidiano del 31 gennaio

mercoledì 27 gennaio 2010

Fotoricatto con ministro

Inchiesta Vip, fatto sparire un servizio "sorprendente". Duello a Palazzo Chigi, Gianni Letta contro Signorini

di Peter Gomez e Antonella Mascali

A Palazzo Grazioli la serietà della situazione la raccontano i musi lunghi degli uomini più vicini al premier.
Le facce di
Gianni Letta e Paolo Bonaiuti che, secondo quanto risulta a il Fatto Quotidiano, nei giorni scorsi hanno parlato con Berlusconi del caso di Alfonso Signorini.
Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai Servizi teme che la presenza di Signorini alla testa del settimanale Chi – finora utile per evitare la pubblicazione di foto imbarazzanti per il governo, il premier e i suoi familiari – finisca per rivelarsi un boomerang.

L’inchiesta milanese su una serie di presunti casi di estorsione e ricettazione, legati alla compravendita d’immagini poi fatte sparire dal mercato, rischia infatti di legarsi a quella romana sul video, approdato in ottobre fin sulla scrivania del premier, in cui l’ex presidente della regione Lazio,
Piero Marrazzo, era ripreso in compagnia di una transessuale.

Un bel problema per Palazzo Chigi man mano che diventa chiaro come la questione dei sexy scandali non sia esclusivo appannaggio del centrosinistra, ma riguardi ovviamente anche il centrodestra.
Più fonti non giudiziarie riferiscono che nei mesi scorsi è circolato (ed è subito stato fatto sparire) un servizio fotografico definito "sorprendente" su un ministro in carica.

Il Fatto non è ancora in grado di dire chi l’abbia ritirato e a che prezzo. È certo comunque che si tratta di cifre da capogiro se per le foto di
Lapo Elkann, immortalato a Parigi con un’altra trans, sono stati versati, grazie alla mediazione del direttore di Chi 300.000 euro, mentre altri 200.000 sarebbero stati spesi per eliminare un video, forse fatto con un telefonino, in cui compare anche Silvia Toffanin, la fidanzata di Piersilvio Berlusconi.
Il mercato insomma è assolutamente bipartisan e spazia dalla politica, alla moda, dal cinema, fino al giornalismo e il mondo della finanza.

A Milano il pm
Frank Di Maio, che va avanti con gli interrogatori di testimoni e vittime evitando però accuratamente di ascoltarle nel troppo affollato Palazzo di Giustizia, ha concentrato la sua attenzione su una ventina di casi.
Nell’elenco ci sono i nomi dell’ex direttore del Corriere della Sera
Paolo Mieli, del vicepresidente del Milan, Adriano Galliani, di Elisabetta Gregoraci, diStefano Bettarini e della sua ex moglie Simona Ventura, del registaLeonardo Pieraccioni, e quello del ministro della Giustizia Alfano.

Non sempre le loro foto riguardano vicende di sesso o d’infedeltà coniugale. Nel caso, per esempio, di Alfano ci troviamo di fronte a immagini, acquistate, ma non pubblicate da Chi, in cui il Guardasigilli è immortalato come una sorta di padrino, mentre si fa fare la manicure.
In ogni caso, l’inchiesta di Di Maio punta in alto. Non tanto per i nomi dei presunti ricattati, ma perché cerca di far luce sul sistema e sul ruolo di Signorini, diventato potentissimo a Milano come a Roma, grazie al suo rapporto personale di amicizia con Marina Berlusconi e la linea (telefonica) diretta che ha con il premier.

L’ex agente fotografico
Fabrizio Corona, di recente condannato per alcuni casi di presunta estorsione fotografica e già ascoltato da Di Maio, in un’intervista a Oggi ha detto: "Non mi meraviglierei (se tutti questi servizi fossero passati sul tavolo del direttore di Chi). Signorini, attraverso il suo giornale, è quello che paga più di tutti. Il fotografo o l’agenzia che hanno uno scoop prima lo portano a lui. Al centro del sistema c’è lui e attorno a lui ruota tutto il gossip. E non è un semplice interesse editoriale. Oggi Signorini è il burattinaio del teatrino che forse più diverte Berlusconi. Ed è questo il nocciolo della questione. Al centro della nuovaVallettopoli non ci sono ritiri ed estorsioni. C’è il gossip come mezzo di controllo della vita del paese. Dalla politica all’economia, se hai in mano delle foto importanti puoi controllare tutto quello che vuoi".

Quasi un servizio d’informazione parallelo, che ha più compiti. Raccogliere notizie piccanti; far uscire foto o storie che altrimenti non troverebbero mai spazio sui giornali (è Signorini a fare da tramite tra i proprietari del video di Marrazzo e Libero); depontenziare i servizi scomodi, pubblicandone solo la parte più accettabile, come è accaduto con
Barbara Berlusconi; far sparire le foto che possono mettere in difficoltà il premier e i suoi amici.

Un modus operandi su cui dovrebbe riflettere l’Ordine dei giornalisti che riporta alla ribalta la questione del conflitto d’interessi.
Berlusconi – che è anche editore di giornali di gossip in un paese in cui la politica sembra soffrire solo gli scandali legati al sesso – quale tipo di potere finisce per ritrovarsi in mano? Quanto conta avere a disposizione informazioni che riguardano vicende private di avversari, alleati e direttori di giornale?

Domande ovviamente retoriche. Per rispondere basta osservare la straordinaria carriera di Signorini e dei giornalisti a lui più fedeli.
Solo che ora il gioco comincia a scottare. Forse per questo, in attesa di essere chiamato dal magistrato, ieri il direttore di Chi, ha cominciato ha cambiare la disposizione delle scrivanie in redazione. E ha deciso di spostarsi dal suo ufficio (visibile a tutti) in quello più discreto e riparato di Tv Sorrisi e Canzoni. Perché anche quando si fa un mestiere come il suo la privacy è importante.

Da il Fatto Quotidiano del 27 gennaio




http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2427316&yy=2010&mm=01&dd=27&title=fotoricatto_con_ministro