giovedì 8 aprile 2010

Mafia: Massimo Ciancimino consegna a pm lettera padre a Berlusconi


Palermo, 7 apr. - (Adnkronos) -

Nuovi documenti sono stati consegnati oggi da Massimo Ciancimino ai magistrati della Procura di Palermo che lo hanno nuovamente interrogato.

Diversi i manoscritti del padre, Vito Ciancimino, l'ex sindaco di Palermo che nel '92 avrebbe avviato la trattativa con il Ros per fare terminare le stragi di Cosa nostra.

Uno dei manoscritti e' una lettera, a firma di Vito Ciancimino, che aveva come destinatario Silvio Berlusconi.

La lettera e' stata scritta nel '94 subito dopo l'avviso di garanzia arrivato al premier, durante il G7 di Napoli.



Mafia, quella 'trattativa' per salvare 7 politici - Peter Gomez




Dopo la deposizione dell'ex Guardasigilli Martelli, al processo di Palermo contro il generale Mori, emerge una storia inconfessata e inconfessabile. Nel 1991 Cosa Nostra è pronta a uccidere su indicazione di Riina. Ma qualcuno le fa cambiare strategia.

Questa è una storia inconfessabile. Fatta di sangue, polvere da sparo e paura. Non prendetela per la verità. Perché per ora è solo una verità possibile. Una ricostruzione verosimile che si è affacciata nelle menti degli investigatori dopo la deposizione dell’ex Guardasigilli, Claudio Martelli, davanti ai giudici che stanno processando per favoreggiamento aggravato l’ex comandante del Ros, generaleMario Mori. Ridotta a una frase – ma come si sa, quando si parla di mafia le cose sono molto più complicate – suona più o meno così. Nel 1992 lo Stato trattò conCosa Nostra per salvare la vita a un lungo elenco di politici: i ministri o ex ministriCalogero Mannino, Salvo Andò, Martelli, Giulio Andreotti e Carlo Vizzini, il deputato regionale Sebastiano Purpura e il presidente della regioneRino Nicolosi. Sette nomi eccellenti, considerati a torto o ragione dai clan dei traditori, ai quali si deve aggiungere la lista, compilata come la prima in più fasi, dei nemici a tutto tondo: i magistrati Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e PieroGrasso e i poliziotti Arnaldo La Barbera, Gianni De Gennaro e Rino Germanà. Per capire come si giunge a questa ipotesi, bisogna però cominciare dai fatti certi.

Vediamoli. A partire dal febbraio del 1991, mese in cui Falcone, osteggiato dai colleghi, lascia Palermo per diventare di fatto il braccio destro di Martelli, la situazione per
Cosa Nostra precipita. Da una parte arriva nelle mani dei magistrati (ma subito dopo degli uomini d’onore e dei politici) un rapporto, redatto proprio dai carabinieri di Mori, su mafia e appalti in Sicilia che rischia di far saltare affari per mille miliardi di lire. Dall’altra, con Falcone al ministero, le cosche capiscono che la musica è cambiata. Subito il governo (presidente del Consiglio Andreotti) vara un decreto per rimettere in prigione 16 importanti boss scarcerati per decorrenza termini. Poi Martelli si muove per evitare che in Cassazione i processi per mafia finiscano sempre alla prima sezione presieduta da Corrado Carnevale, il giudice allora soprannominato ammazzasentenze.

Totò Riina, all’epoca capo incontrastato di Cosa Nostra, diventa una belva. All’improvviso capisce che le garanzie ricevute sul buon esisto del maxi-processo, istruito negli anni ‘80 da Falcone e Paolo Borsellino, in cui lui stesso è stato condannato all’ergastolo non valgono niente. Anche in terzo grado il verdetto sarà sfavorevole. Nella seconda parte dell’anno, raccontano le sentenze, si svolgono così una serie di vertici tra capi-mafia in cui Riina annuncia la decisione di "pulirsi i piedi". Cioè di ammazzare, non solo i nemici, ma anche chi nei partiti aveva fatto promesse e non le manteneva. Si discute dei nomi dei personaggi da eliminare e intanto parla di fare guerra allo Stato con attentati a poste, questure, tralicci dell’Enel, caserme dei carabinieri e alle sedi della Democrazia cristiana (quattro verranno colpite in Sicilia).

"Si fa la guerra per fare la pace", spiega a tutti il
boss corleonese, in quel momento già alla ricerca di una nuova sponda politica con cui stringere un nuovo accordo. Poi, il 31 gennaio del ‘92, come pronosticato, la Cassazione priva di Carnevale, conferma le condanne del maxi. E così il 12 marzo, a campagna elettorale appena iniziata, l’eurodeputato Salvo Lima, da anni proconsole di Andreotti, in Sicilia muore sotto i colpi dei killer. E’ un messaggio diretto al divo Giulio che sarebbe dovuto giungere nell’isola l’indomani. Falcone intuisce quanto sta accadendo. E, come scriverà La Stampa, commenta: "Il rapporto si è invertito: ora è la mafia che vuole comandare. E se la politica non obbedisce, la mafia si apre la strada da sola".

I politici siciliani cominciano davvero a tremare. Il 20 febbraio, ma questo lo si scoprirà solo molti anni dopo, in casa di
Girolamo Guddo (un amico dell’ex fattore di Arcore, Vittorio Mangano) si è tenuta un riunione operativa in previsione della “pulizia dei piedi”: si è parlato della morte di Lima, di quella diIgnazio Salvo (18 settembre ‘92), dell’attentato a Falcone e di molte delle altre persone da eliminare. Il programma prevede che a essere colpito, dopo Falcone, sia l’ex ministro dell’Agricoltura e leader siciliano della sinistra Dc, Mannino. Quale sia la forza della mafia gli italiani se ne rendono conto il 23 maggio osservando le centinaia di metri asfalto divelti dal tritolo a Capaci.

Morto Falcone, tutto sembra perduto. Mentre nel nord infuria
Tangentopoli, gli apparati investigativi antimafia appaiono in ginocchio. È a quel punto che, secondo l’accusa, Mori e il suo braccio destro, Giuseppe De Donno, decidono di battere la strada che porta a don Vito Ciancimino, l’ex sindaco mafioso di Palermo, legato a doppio filo all’alter ego (apparente) di Riina: Bernardo Provenzano. A giugno, ha sostenuto due giorni fa Martelli, De Donno contatta un’importante funzionaria del ministero, Liliana Ferraro. L’ufficiale le spiega di essere in procinto di vedere don Vito "per fermare le stragi". E, secondo l’ex ministro, chiede una sorta di "supporto politico". Ferraro avverte di quanto sta accadendo Borsellino, amico fraterno di Falcone e favorito nella corsa alla poltrona di procuratore nazionale antimafia. Intanto Giovanni Brusca, il boss oggi pentito che ha azionato il telecomando di Capaci, si sta già muovendo con pedinamenti e sopralluoghi per far fuori Mannino. Ai primi di giugno il ministro Dc viene però avvertito da un colonnello dell’Arma (chi?) dei rischi che sta correndo. Visibilmente teso lo racconterà lui stesso in un colloquio dell’8 luglio con Antonio Padellaro, allora vicedirettore de L’Espresso(il settimanale lo pubblicherà in parte a fine luglio e integralmente nel 1995). Mannino dice: "Secondo i carabinieri c’è un commando pronto ad ammazzarmi". L’ufficiale gli ha consegnato un rapporto di sette pagine con sopra stampigliata la parola "segreto" in cui è riassunta tutta la strategia di morte di Cosa Nostra. Mannino - che oltretutto annovera nella sua corrente molti esponenti legati ai clan - sa dunque perfettamente cosa sta accadendo. E nella conversazione spiega pure che Lima è stato ucciso per non aver potuto rispettare i patti sul maxi-processo.

Le paure di Mannino sono però destinate a rientrare.
Salvatore Biondino, un colonnello di Riina, sempre a giugno comunica a Brusca che il progetto di omicidio è sfumato. La mafia ha cambiato strategia. Nel mirino all’ultimo momento è stato messo Borsellino che morirà il 19 luglio in via D’Amelio. Perché? Oggi gli investigatori riflettono su due episodi. I presunti incontri precedenti alla bomba di via D’Amelio tra Mori e don Vito Ciancimino in cui vennero avanzate le prime richieste allo Stato. E la nascita del governo Amato del 28 giugno. A sorpresa il ministro dell’Interno Vincenzo Scotti (durissimo con Cosa Nostra), viene sostituito da Nicola Mancino (sinistra Dc come Mannino). Mentre pure Martelli (contrario a ogni ipotesi di trattativa) per qualche giorno, su proposta di Bettino Craxi, rischia di perdere la poltrona di guardasigilli. "Ero preoccupato", ha spiegato l’ex ministro, "era come si fosse esagerato con la lotta alla mafia...Il messaggio pareva essere: ‘Troviamo una forma più blanda di contrasto, ci abbiamo vissuto per 50 anni’". Il risultato è comunque che Cosa Nostra lascia perdere i politici (tranne Martelli, intorno alla cui casa ancora il 4 dicembre si aggirano boss impegnati in sopralluoghi) e si dedica invece a Borsellino, notoriamente contrario ad ogni ipotesi di patto. La trattativa aveva dunque come obiettivo la loro sopravvivenza? O semplicemente i politici si sono salvati in conseguenza della trattativa? Il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, lo scorso dicembre, sembrava propendere per la seconda ipotesi: "Probabilmente", diceva, "i mafiosi cambiarono obiettivo perché capirono che non potevano colpire chi avrebbe dovuto esaudire le loro richieste". Oggi però sappiamo che quell’elenco di politici da ammazzare, già a giugno, era in gran parte noto. E la storia potrebbe cambiare. Di molto.

Da
il Fatto Quotidiano dell'8 aprile 2010




I sindaci lumbard contro il governo


Fischi a Berlusconi e a Schifani durante il Consiglio comunale a L'Aquila

ASPETTANDO SI MUORE - Federico D'Orazio - Stazione MIR




Per me parlano i fatti, non voglio essere più polemico. Mi piacerebbe che l’Italia potesse una buona volta riflettere.

52.000 aquilani assistiti dalla Protezione Civile al 6 Aprile 2010. Sono gli sfollati.

14.000 di loro, sono nelle case che tutta Italia conosce. E che una bella fetta d’Italia forse invidia.

2.000 nelle casette di legno, diventeranno 4.000 quando avranno finito di costruirle.

30.000 aquilani prendono 200€ al mese(quando gli vengono versati), e se la cavano da soli. Fate voi i conti.

Gli altri 6.000 sono in albergo da un anno, 4.500 di loro lontano dalla loro città, perché qui è già tutto pieno.

Ogni mese, tutto questo, costa allo Stato una barca di soldi. E se li spendiamo così, abbiamo paura che non ce ne saranno più per ridarci la città, e per ricostruire i 59 comuni compresi nel cratere, che si estende su un’area nel raggio di circa 50 Km a partire da L’Aquila.

Ora sta a voi credere ciò che volete. Potete pensare che c’hanno dato tanto (anche troppo,se vi va): è vostra facoltà dirci che siamo ingrati, che non lo meritiamo.

Ho creduto fosse vostro diritto sapere la verità. Ma dopo un anno che noi ci proviamo, è diventato un vostro dovere.

Il centro storico dell’Aquila è un’opera molto complessa cui mettere mano; per ora, non si è deciso da dove cominciare, c’erano altre priorità. E mi sta anche bene. Per il centro, vorrei che si lavorasse con un’idea chiara, e con scrupolosità. Quindi, ok. Niente fretta. Dico solo, adesso incominciamoci a pensare. La struttura tecnica di missione, che se ne deve occupare, però ha solo 4 membri di 30 che devono essere nominati, e non ha ancora una sede. Se vi pare normale.Intanto l’architetto Fontana, che la presiede ci risponde: ” diamoci dieci anni” Di questo passo, possiamo darcene anche 100. Mi pare si parta male.

Ma L’Aquila ha una grande periferia. Ha condomini come il mio, che da un anno assistono, impassibili, alle 12.000 scosse che si susseguono a quella delle 3e32.

Anche quelli sono fermi così. I tecnici non hanno dal Governo, le necessarie indicazioni: non sanno cosa richiede lo Stato per approvare un progetto di ristrutturazione. E dunque, non possono fare altro che aspettare. Tanto è vero ciò che vi dico, che i termini per presentare quei progetti, per i condomini inagibili, sono alla loro terza proroga. Adesso la scadenza è stata appena posticipata al 31 Dicembre 2010.

Dare un tetto nel Progetto C.A.S.E. alle 18 famiglie del mio condominio, è costato 2700 Euro al metro quadro per ogni famiglia. Con i soldi spesi per darci un tetto provvisorio il Condominio dove abitavo, sarebbe stato ristrutturato circa due volte, e sarebbe stato definitivo. Sarebbe significato ridarci la casa per la quale da Luglio ripagheremo il mutuo, con gli interessi per le rate sospese. Vi pare una scelta furba? Per le banche, è senz’altro una genialata.

E ve lo dico nel vostro interesse, più che altro. A me, un tetto, l’hanno dato comunque. Ma i vostri soldi, vengono spesi male. E prima o poi dovranno ristrutturarmi pure la casa dove devo tornare, ed allora saranno stati spesi male due volte.

Di fronte a queste realtà dei fatti, non delle opinioni, una buona fetta d’Aquilani, ha rialzato la testa,ed ha fatto casino.

E continuerà a farlo, per essere ascoltata: bastano 2400€ una tantum per le attività produttive rimaste chiuse? In che modo si fa ripartire una città, se non dal lavoro?

Non diteci che i soldi non ci sono. Finora li avete spesi per darci queste case,questi alberghi(580.000€ al giorno!!!), queste caserme.

2.000 nuclei familiari non hanno ancora i container che il Governo anche qui aveva ritenuto di dover piazzare.

Altrove almeno sono riusciti a darglieli. E se dopo due anni che è in carica, questo Governo sa che sono ancora lì, mi viene da dirgli: OCCUPATEVI DI LORO, SONO IN FILA PRIMA DI NOI!

Ma soprattutto, quelle C.A.S.E. resteranno cattedrali nel deserto, quando da qui ce ne andremo tutti via a cercare lavoro. E saranno soldi spesi male per la terza volta.

Capita poi, che l’aquilano Bruno Vespa ci chieda in diretta: ” ma allora preferivate i container?”

E lo so che lo pensate un po’ tutti. Mi cadono le braccia, nemmeno mi arrabbio più.

L’alternativa non è tra C.A.S.E., casette di legno e container.

C’è una quarta variabile, ed è casa mia. Sta lì, fuori dal centro storico, fuori dalla zona rossa. Ed aspetta come me, di tornare a vivere.

L’alternativa non è tra dare 2.400€ ad un negoziante o non dare nulla e vedere che succede. Dovrebbe esserci una zona franca vera. Fu ideata anche per il terremoto del 1703 (in quel caso durò dieci anni) e mise tutti in condizioni di lavorare, guadagnare, senza pagare tasse per riprendersi da mesi di inattività. Quei negozianti esistono ancora, ma non ce la fanno, specie quelli che ad Aprile, avevano appena aperto. Anche loro, aspettano di tornare a vivere.

I disoccupati creati dal terremoto si sommano ai molti presenti in città già prima di un anno fa. Gli uni sommati agli altri, rendono sempre più improbabile la ripresa. Tutti in cassa integrazione, ad aspettare. Di tornare a lavorare e quindi a vivere. Se però da quì ce ne incominciamo ad andare, non lavorerà nessuno, perché non ci sarà nessuno per cui lavorare.

Un anno dopo, vorrei fermare il mondo e scendere. Il fulgido miracolo aquilano è qualcosa che rischia di mandarmi al manicomio. Perdonateci se fischiamo qualcuno, ma ci viene da dentro. Perdonateci se sembriamo ingrati. Sappiate che non è così.

Abbiamo solo capito che quanto fatto nell’anno scorso, getta le basi per farci tacere per i futuri dieci, vent’anni. E la voce il Governo vorrebbe che foste voi, a togliercela, definendoci ingrati. E voi altri, che vi aspettavate che votassimo tutti a sinistra per la Provincia, che ora siete offesi con noi. In altri articoli, vi ho spiegato casa è successo, e non torno a farlo. Avete avuto la vostra occasione di capire.

A questo, ci ribelliamo. All’attesa senza prospettiva. All’attesa di non si sa che cosa. All’arroganza di chi crede di poter giudicare, da casa sua.

Mi ribello a chi mi dice ” aspetta, e poi si vedrà” allo stesso modo con cui mi ribello a chi mi dice “ma in un anno, cos’altro volevi?”

La mia casa, come migliaia, aspetta di tornare a vivere. Il lavoro, le aziende, aspettano di tornare a vivere. Gli Aquilani aspettano di tornare a vivere. E L’Aquila centro, aspetterà ancora a lungo. Ancor di più, aspetteranno i centri intorno L’Aquila, che (Onna a parte) non beneficiano della visibilità del centro città.

Aspettiamo.

Ma aspettando si muore.


http://stazionemir.wordpress.com/2010/04/08/aspettando-si-muore/


Prossimamente su questi SCHERMI ???...MAGARIIIIII...!

Thailandia, è caos
le “camicie rosse”
scacciano il governo

Irruzione dei sostenitori dell’ex primo ministro in Parlamento: il governo di Bangkok dichiara lo stato d’emergenza. politici in fuga su elicotteri

Kirghizistan, governo in fuga
Scontri e decine di morti

BISHKEK- La situazione nella capitale del Kirghizistan è degenerata ieri, in mattinata, quando il governo ha dato ordine alle forze di sicurezza di aprire il fuoco sui dimostranti (circa 5mila) che chiedevano le dimissioni del presidente Kurmanbek Bakiev. Il governo parla di 40 morti e 400 feriti, l’opposizione dice che le vittime sono almeno 100. I manifestanti però non si sono fermati: hanno occupato il Parlamento e la televisione di stato. Secondo alcune fonti, nel caos sarebbe stato ucciso o ferito in modo grave il ministro dell’Interno.



Luigi Morsello, autore de "La mia vita dentro" intervistato a "uno mattina"


Io ho letto il libro e l'ho trovato molto interessante perché mette il lettore in contatto diretto con un mondo sconosciuto o che altri mostrano solo marginalmente.
Luigi lo descrive sotto tutti i punti di vista.
A cominciare da quella che è la vita di un "recluso per volontà", come lo è stato Luigi direttore di carceri, a finire con quella dei problemi che si possono riscontrare nella gestione di un carcere.
Io ne consiglio la lettura, scorrevole ed interessante anche per i riferimenti ad alcuni passaggi dei fatti che hanno caratterizzato la cronaca del nostro secolo.


E' NELLE LIBRERIE ED E' ORDINABILE A QUESTO LINK: