mercoledì 19 maggio 2010

Stipendi, nel mirino Catricalà & Co.


Il presidente dell'Antitrust e Ortis prendono 512 mila euro, poi Calabrò (477 mila) e Cardia (430 mila)


Ecco i compensi che potrebbero subire i tagli voluti da Calderoli

Dopo l'annuncio del ministro della semplificazione, Roberto Calderoli, dalle parti delle Autorità indipendenti nostrane comincia a serpeggiare più di una preoccupazione. In ballo c'è la proposta di un taglio del 5% agli stipendi degli «alti papaveri» di stato, come li ha chiamati l'esponente leghista. I timori, tra l'altro, riguardano la grande differenza che c'è tra gli emolumenti corrisposti ai vari presidenti di quel caleidoscopico mondo di Authority, Garanti e Commissioni di cui è popolata la nostra realtà. In effetti c'è una bel distacco tra gli stipendi più alti, ovvero quelli del presidente dell'Antitrust, Antonio Catricalà, e del presidente dell'Authority per l'energia, Alessandro Ortis, e i compensi di alcuni loro colleghi che si collocano nelle retrovie.

ItaliaOggi ha fatto una ricognizione delle retribuzioni del settore, in base ai dati pubblicati in base a precedenti leggi finanziarie e normative sulla trasparenza. Ne viene fuori che i più ricchi sono proprio Catricalà e Ortis. Per loro gli stipendi annuali lordi ammontano a 512.900 euro. Certo, non va trascurata la differenza che esiste tra Garante e Garante, nel senso che alcuni di essi si occupano di materie più complesse, con un numero di vigilati sicuramente maggiore. Sta di fatto che Catricalà e Ortis guidano la classifica. Anche gli altri componenti di Antitrust e Autorità per l'energia sono in proporzione più ricchi dei colleghi delle varie strutture. All'Antitrust gli altri quattro componenti, ovvero Antonio Pilati, Piero Barucci, Carla Rabitti Bedogni e Salvatore Rebecchini, vantano emolumenti annuali di 427.416 euro. Esattamente la stessa cifra che incamera Tullio Fanelli, solitario compagno di viaggio di Ortis.

Al secondo posto, ancora a livello dei presidenti, troviamo il numero uno dell'Agcom, Corrado Calabrò. Il suo stipendio annuale è di 477.752 euro, mentre quello dei commissari, ossia Giancarlo Innocenzi, Michele Lauria, Sebastiano Sortino, Gianluigi Magri, Stefano Mannoni, Nicola D'Angelo, Roberto Napoli ed Enzo Savarese, arriva a quota 398.127 euro. A seguire arriviamo a Lamberto Cardia, presidente della Consob, la Commissione nazionale per le società e la borsa. Cardia è in scadenza di mandato, alcune voci dicono che potrebbe scattare una proroga per la sua permanenza al vertice della struttura. Per il momento il fatto certo è che il suo compenso annuale è di 430 mila euro, mentre quello dei commissari Vittorio Conti, Michele Pezzinga e Luca Enriques si «ferma» a 358 mila euro. Di più, invece, prende il direttore generale della Consob, Antonio Rosati, con 412.336 euro.

A scendere scopriamo Fabio Pistella, presidente del Cnipa (Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione, in futuro DigitPa) che incassa 315.434 euro, Francesco Pizzetti del garante per la privacy (289.984 euro), il numero uno dell'Isvap Giancarlo Giannini (281.107 euro), il presidente dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici Luigi Giampaolino (245 mila euro) e quello della Covip Antonio Finocchiaro (162.683 euro).

http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=1658935&codiciTestate=1&sez=notfoundG&testo=stipendi||+nel+mirino+Catrical%E0+%26+co&titolo=Stipendi,%20nel%20mirino%20Catricalà%20&%20Co.




Omicidio Aldrovandi, i poliziotti condannati querelano la madre


FERRARA (17 maggio) - Tre dei quattro poliziotti condannati in primo grado per eccesso colposo nell'omicidio di Federico Aldrovandi hanno querelato per diffamazione la madre del ragazzo, Patrizia Moretti, che in un'intervista li aveva definiti «delinquenti». A dare la notizia dal suo blog è stata la stessa Moretti, madre dello studente 18enne morto nel settembre 2005 a Ferrara, dopo un intervento di polizia.

Enzo Pontani, Monica Segatto e Luca Pollastri sono stati condannati a 3 anni e 6 mesi. La sentenza di primo grado, che coinvolgeva anche Paolo Forlani, è del luglio 2009. I quattro poliziotti non sono mai andati in carcere grazie all'indulto.

In un articolo pubblicato nel luglio 2008 sul giornale La Nuova Ferrara, Patrizia Moretti commentava la drammatica vicenda di Riccardo Rasman, un altro giovane morto a Trieste nell'ottobre 2006, vittima delle violenze della polizia: «Spero che anche per loro (la famiglia di Rasman, ndr) si arrivi presto a un processo, come è giusto che sia, e che si giudichino quelle persone a prescindere dal fatto che sono poliziotti - disse Moretti -. Anche perché noi, io e Giuliana, la sorella di Riccardo, non consideriamo quelle persone come rappresentanti delle istituzioni, ma solo come delinquenti». E' stata quest'ultima frase a far scattare la querela da parte degli agenti condannati in primo grado.

«Quello che mi fa piu male - ha scritto Lino Aldrovandi, il padre del ragazzo ucciso - è il fatto che il pubblico ministero aveva richiesto l'archiviazione per questo fatto specifico, ma coloro che sono stati ritenuti responsabili della morte di Federico, hanno pensato bene di non accettarla e di avvalersi del rito dell'opposizione».

L'udienza alla procura di Mantova è fissata per il 18 giugno. A fronteggiarsi saranno da una parte la famiglia Aldrovandi e due giornaliste della Nuova Ferrara e dell'Ansa, e dall'altra i tre agenti che hanno sporto querela.




Processo Federico Aldrovandi, condannati gli agenti




Aldro-bis: i poliziotti tentarono di depistare le indagini per «difesa di corpo»


A distanza di un mese dalle sentenze del processo “Aldro-bis”, riguardante il depistaggio delle indagini sull’omicidio del 18enne ferrarese Federico Aldrovandi, arrivano le motivazioni del giudice.

Nelle 54 pagine di motivazione della sentenza, il giudice analizza punto per punto le colpe dei tre dei quattro poliziotti (solo uno fra loro non ha richiesto il rito abbreviato ed è stato rimandato a giudizio) condannati per falsa testimonianza, omissione di atti d’ufficio e favoreggiamento,con pene che vanno dai tre anni agli otto mesi.

Iniziando da Marco Pirani (condannato per omissione d’atti d’ufficio), che con “un preciso disegno”, modificò il primo foglio d’intervento riguardante l’orario d’arrivo delle volanti in via dell’Ippodromo.

Si prosegue con Marcello Bulgarelli (assolto dal reato di falsa testimonianza, ma condannato per favoreggiamento e omissione di atti d’ufficio), che omise la conversazione con il collega Luca Casoni che lo informava sulle circostanze relative alla morte di Aldrovandi e interruppe la comunicazione (“stacca”), aiutando così i colleghi “ad eludere eventuali comunicazioni dell’autorità giudiziaria nei loro confronti, non registrando il colloquio”.

Il giudice conclude dunque con Paolo Marino (condannato per falsa testimonianza, omissione di atti d’ufficio e favoreggiamento), che non informò completamente il pm Guerra incaricato delle indagini, sulle cause della morte di Federico Aldrovandi, adducendo il decesso ad una overdose. Ma un malore causato dall’assunzione di stupefacenti, non spiegherebbe, secondo il giudice Bighetti, la comparsa sul luogo delle più alte cariche della polizia di Ferrara.

Nelle motivazioni di sentenza, il giudice parla del comportamento dei tre poliziotti come di un tentativo di “difesa del corpo”, evidenziando come ad esempio l’intento di Marino di confondere il pm Guerra sulla cause della morte di Federico, fosse un tentativo di “proteggere i suoi ragazzi”, suoi colleghi.

Colleghi che la notte del 25 settembre 2005, uccisero un ragazzo di diciotto anni mentre stavo tornando a casa dopo un sabato sera trascorso con gli amici.


http://www.zic.it/aldro-bis-i-poliziotti-tentarono-di-depistare-le-indagini-per-«difesa-del-corpo»/


Federico Aldrovandi, ucciso dalla polizia senza una ragione


Ferrara, via dell’Ippodromo.
All’alba del 25 settembre 2005 muore a seguito di un controllo di polizia Federico Aldrovandi, 18 anni.
Dopo due anni di coperture e reticenze, durante i quali le versioni ufficiali sposavano la tesi della morte per overdose e dell’innocenza dei tutori dell’ordine, il 20 ottobre 2007 è iniziato il processo a quattro agenti.
Omicidio colposo l’ipotesi di reato per i poliziotti che avrebbero “cagionato o comunque concorso a cagionare la morte” di Federico per non aver chiamato il soccorso medico, ingaggiando al contrario “una colluttazione in maniera imprudente pur trovandosi in evidente superiorità numerica”.
Mentre il ragazzo implorava aiuto e chiedeva agli agenti di fermarsi “con la significativa parola basta, lo mantenevano ormai agonizzante ammanttato con la faccia in giù”.
Nel nostro speciale i resoconti di tutte le udienze.
I consulenti di parte civile attribuiscono il decesso alla concausa di fattori (dovuti al comportamento degli agenti) che avrebbero portato all’asfissia e non agli stupefacenti, per quelli della difesa Federico sarebbe morto anche a casa per le sostanze assunte.
A novembre 2008 il “colpo di scena”, agli atti del processo una foto che mostrerebbe inequivocabilmente come causa di morte sia un ematoma cardiaco causato da una pressione sul torace, escludendo ogni altra ipotesi.
Su questa immagine è acceso il dibattito, nelle ultime udienze della fase istruttoria, tra i periti chiamati a deporre dai legali dalla famiglia e quelli della difesa.
Infine la condanna degli agenti. Il giudice: «Ucciso senza una ragione»

martedì 18 maggio 2010

8 x 1000 - Perchè non si deve dare l'8 per mille alla chiesa


Berlusck Holmes - Marco Travaglio



17 maggio 2010
Ci sono giornate che cominciano un po’ così, fra pioggia, vento e depressione acuta. Poi uno legge Il Giornale, o Libero che è la brutta copia (paghi due prendi uno), e torna subito il buonumore. Titolo del Geniale del 15 maggio: “Adesso indaga Berlusconi. Il premier vuole individuare le mele marce”. Gli fa eco Libero, cioè Occupato: “Silvio fa il pm e interroga i suoi: ‘Ditemi la verità’”. Pare che Berlusck Holmes, in pigiama a Palazzo Grazioli, stia torchiando a uno a uno – “Adesso siediti e spiegami precisamente come sono andate le cose. Voglio la massima sincerità” – protagonisti e comprimari della cricca:Bertolaso, Verdini, Scajola, Matteoli, persino il povero James Bondi, già molto provato dai trionfi di Cannes.

Le risposte degli interrogati, improntate ovviamente alla massima sincerità, non sono ancora note, e neppure i nomi dei marescialli chiamati a verbalizzarle:
Capezzone? Cicchitto? Bonaiuti? Apicella? Quel che è certo è che il Presidente Pm, colto da raptus giustizialista, vuole tutta la verità. Perché, come spiega lo zio Tibia Sallusti, “dopo aver indagato a fondo nelle ultime ore è giunto alla conclusione che è possibile che nel governo o nelle sue vicinanze ci possa essere qualche ladro di polli”. Ed è determinatissimo a scovarli, costi quel che costi. Poi passerà a smascherare colui che li ha candidati e nominati. Pare si tratti di un putribondo figuro, ora annidato a Palazzo Chigi, che in passato comprò un giudice per fregare la Mondadori a un concorrente, poi fece comprare alcuni finanzieri perché non ficcassero il naso nei suoi bilanci truccati e nelle sue società off-shore, poi comprò anche un testimone inglese perché non svelasse di chi erano le società off-shore.

Il Presidente Pm lo sta pedinando e gli è ormai alle calcagna: quando lo prenderà non vorremmo essere nei suoi panni. Potrebbe addirittura fare la fine di quell’altro mascalzone che ha pagato la casa a
Scajola senza dirgli nulla: anche Sciaboletta, armato di lente d’ingrandimento, cappotto con cappello e mantellina di tweed a scacchi, lo sta inseguendo per dargli una sonora lezione; così impara a regalargli 900 mila euro senza neppure avvertirlo. Ma di un fatto gli house organ del Padrone d’Italia sono certi: il governo è sano, nessuna Tangentopoli.

Purtroppo “qualche ladro di polli” (Sallusti), anzi “poche mele marce guastano il resto del raccolto” (
Belpietro). Che teneri. Non si accorgono, gli acuti commentatori, di parlare come Craxi dopo l’arresto del “mariuolo” Mario Chiesa: “Nel partito ci sono 40 mila iscritti e tre mele marce, su una totalità di persone oneste”. Racconta Davigo: “I nostri indagati confessavano perché si sentivano abbandonati dai loro partiti. Uno in carcere mi chiese i giornali, lesse che i suoi dirigenti lo qualificavano come ‘una mela marcia isolata’ e subito mi disse: ‘Ah sì? Adesso, dottore, le descrivo il resto del cestino’...”. Infatti, per tre o quattro mele marce che Berlusck Holmes interroga a Palazzo Grazioli, subito se ne accalcano altre in coda fuori dall’uscio. Ieri Cappellacci e Nespoli, domani chissà a chi tocca. Ma l’ultimo travestimento dello Zelig di Arcore col tocco sul capino e la toga sulle spalle è perfettamente coerente con le ultime riforme della giustizia e dei poteri del premier.

Le indagini verranno tolte alle Procure e affidate in esclusiva al capo del governo, che disporrà anche le intercettazioni (ha già una vasta esperienza in materia) e alla fine emetterà pure le sentenze. All’occorrenza, siccome è un tipo eclettico, potrà fare anche l’imputato. Eccola, la vera riforma della giustizia, che ne sveltirà anche i tempi biblici: Berlusconi si presenterà in tribunale da solo, saltellerà con agili balzi dalla gabbia degl’imputati al banco dell’accusa a quello della difesa allo scranno del giudice. Niente separazione delle carriere: farà tutto lui, cambiandosi continuamente d’abito come
Arturo Brachetti. Deporrà, si difenderà, si accuserà, si giudicherà. Col fiuto che si ritrova, potrebbe persino arrestarsi da solo.

Da
il Fatto Quotidiano del 16 maggio