Imboccammo l'autostrada per Capaci, ma dopo un brevissimo tratto, ci fermammo dietro una fila interminabile di macchine.
Non si riusciva a capire che cosa fosse successo, si era fermi e non si poteva fare inversione.
Nel frattempo scendeva la sera, mia figlia era impaziente ed indispettita, noi nervosissimi.
Verso il tramonto incominciarono ad arrivare le prime notizie frammentarie: forse c'era stato un attentato.
Il tempo passava, e le notizie diventavano sempre più precise: l'attentato c'era stato, avevano fatto scoppiare una carica di tritolo mentre transitavano Falcone e la sua scorta.
Il nervosismo diventò rabbia; una buona parte di palermitani non avevamo gradito che Falcone accettasse l'incarico propostogli da Martelli, lo sentivamo come un tradimento, lui era il nostro paladino, il nostro eroe, inoltre pensavamo che l'incarico affidatogli fosse l'ennesima strategia posta in essere dal potere politico per allontanarlo da Palermo e dalle sue indagini.
Eravamo tutti sbigottiti, increduli: quello che avevamo sospettato si era avverato, lo avevano fatto fuori, se ne erano liberati.
E già quella stessa sera si radicò in ognuno di noi la convinzione che il mandante fosse la politica e la mafia solo il braccio armato: nessuno poteva sapere quando sarebbe partito, quando sarebbe arrivato e quando sarebbe transitato su quel tratto di autostrada: doveva esserci per forza di cose una talpa all'interno dell'ufficio che dirigeva .
Sono passati diciotto anni, ma il ricordo di quel bruttissimo giorno rimarrà impresso nelle nostre menti.
L'unica speranza è che venga fatta, finalmente, giustizia.