venerdì 4 giugno 2010

Una Manovra contro le rinnovabili



Contro l’inedia ambientale del governo e in particolare della manovra finanziaria, scende in campo anche un pezzo di Confindustria. Non il vertice nazionale, impegnato con la presidente Emma Marcegaglia a fare lobbing per impedire all’Europa di alzare al 30% l’obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2 al 2020, ma Federambiente che insieme a Fise Assoambiente denuncia come l’Italia rischi un blocco dello sviluppo delle fonti rinnovabili, “oggi già ampiamente sotto la media europea e sempre più lontane dall’obiettivo 17% di energia prodotta previsto per il 2020″.

Le associazioni che rappresentano le imprese pubbliche e private di gestione rifiuti sottolineano in una nota che saranno queste le conseguenze di quanto previsto all’articolo 45 della manovra finanziaria “che stabilisce come il Gestore dei servizi energetici (Gse) non sarà più obbligato a riacquistare i certificati verdi in eccesso rispetto agli obblighi dei produttori”.

“Sino a oggi – ricorda la nota – il Gse era tenuto a ritirare ogni anno i certificati verdi invenduti che eccedevano gli obblighi d’acquisto in capo alle imprese interessate dell’anno precedente a un prezzo certo. Questa misura aveva l’obiettivo di mantenere l’equilibrio nel mercato dei certificati verdi in caso d’eccesso d’offerta, come ora. Il nuovo provvedimento varato, con il venir meno della certezza d’un importo comunque legato al valore storico di mercato, aggrava ulteriormente l’esposizione finanziaria delle imprese che gestiscono impianti di recupero energetico dei rifiuti”.

Anche se la catalogazione dell’energia prodotta dai rifiuti come “rinnovabile” è quanto mai opinabile e andrebbe senz’altro ristretta alla produzione di biogas e pochi altri casi, la protesta di Federambiente e Fise Assoambiente punta l’indice contro l’ostracismo che questo governo mostra nella gestione delle tematiche ambientali.

Il nuovo regime in materia di certificati verdi era già stato duramente contestato infatti da associazioni ambientaliste e produttori di energia da fonti rinnovabili, anche perché, come sottolinea Edoardo Zanchini di Legambiente, “questo provvedimento non avrebbe alcun effetto per le entrate dello Stato, visto che non sono finanziamenti pubblici ma un meccanismo di mercato che obbliga le aziende del settore energetico a produrre una quota minima da fonti rinnovabili e a muovere così i progetti da biomasse e biogas, eolici, geotermici, idroelettrici”.

Ma il problema non si esaurisce qui. Legambiente denuncia infatti inoltre che “le fonti energetiche pulite sono state lasciate in un ‘far west’ normativo; si attendono dal 2003 le ‘Linee guida’ per i progetti da fonti rinnovabili, e non si hanno notizie né degli incentivi in conto energia per il solare fotovoltaico, né della detrazione del 55% per il solare termico”.

Un’inerzia sospetta, che secondo Zanchini “sembra l’ennesima dimostrazione di come il rilancio del nucleare si porti dietro l’abbandono delle fonti rinnovabili”.

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Il principio del paraculo - Blog di Beppe Grillo


I sacrifici necessari


Quando vinse le elezioni due anni fa si dava per scontato che il Cavaliere sarebbe arrivato saldo in sella a fine legislatura.
Io sono stato tra i pochi dubitosi perché prevedevo (il 12 novembre 2009) che il successo di Bossi avrebbe creato un Pdl troppo concentrato al Sud e quindi in conflitto di interessi con il Nord. Nel frattempo gli economisti si sono finalmente accorti — in colpevole ritardo —, di aver allevato una perfetta catastrofe economica. Berlusconi ha fatto il sordo finché ha potuto, ma oramai ammette che la crisi c’è e così si trova anche lui impigliato in problemi che non ama e che non conosce. Sì, l’economia domestica, l’economia della sua «masserizia» (come la chiamava Leon Battista Alberti) il Nostro la conosce a perfezione; ma del resto, dello Stato e del suo bilancio, si deve occupare Tremonti, non lui. Sulla «stangata» si è defilato e se ne chiama fuori adducendo, poverino, di non avere «poteri», quasi fosse il prestanome di chissà chi. Però, bravo.

Finora gli va riconosciuto di essersi mosso con impareggiabile astuzia. Ma siamo soltanto all’anteprima della vicenda. La stangata è stata soltanto preannunziata, ed è ancora materia di trattativa e di ritocchi. A tutt’oggi si discute e basta. Ma i tagli della stangata arriveranno prestino, perché per l’euro e per l’Europa noi siamo importanti. Fino a pochissimo tempo fa l’Italia rischiava di precipitare nel gruppetto dei cosiddetti pigs, la sigla o l’acronimo per Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna: appunto, i Paesi sull’orlo del collasso. Però, salvo uno, Paesi di secondaria importanza. La Grecia ha 11 milioni di abitanti, il Portogallo 10 milioni, e l’Irlanda appena 4 e mezzo. Dei quattro pigs (vuole il caso che la parola significhi in inglese «maiali») il caso allarmante è la Spagna: 45 milioni di abitanti e, da sempre, di alta disoccupazione.

L’Italia, allora. Come reagirà il Paese quando la mannaia comincerà davvero a decapitare? Con ragionevole, seppur dolentissima rassegnazione, oppure con un crescendo di ribellismo? Beato chi lo sa. Nelle emergenze la dottrina prevede tre soluzioni. Primo, un «governissimo», detto di solito governo di unità nazionale, un governo con tutti dentro. Secondo, una grosse Koalition alla tedesca, un governo dei partiti maggiori, o comunque di una larga maggioranza compatibile, e cioè in grado di mettersi d’accordo, di volta in volta, sui provvedimenti necessari e urgenti. Infine, terzo, un governo tecnico (pur sempre sottoposto, s’intende, al controllo del Parlamento) i cui dicasteri sono affidati a tecnici invece che a politici di mestiere.

Queste soluzioni sono ovviamente molto diverse, ma sono legate da una logica comune. Se tutti i governanti impongono decisioni impopolari, e anzi le stesse misure impopolari, l’elettorato non sa più chi punire. O il castigo popolare si distribuisce più o meno a caso, oppure si attenua: se la stessa stangata viene appioppata da tutti, può darsi che sia davvero inevitabile. La formula tedesca della più larga coalizione possibile è la più razionale ma resta esposta ai ricatti degli estremisti che ne restano fuori. È pertanto la più rischiosa per chi governa.

Giovanni Sartori
02 giugno 2010

http://www.corriere.it/editoriali/10_giugno_02/sartori_f0c5b9aa-6e04-11df-b855-00144f02aabe.shtml


Quale premier mondiale non ha commentato l’attacco israeliano?


Indovinate quale premier mondiale non ha ancora aperto bocca sull’attacco israeliano alla nave turca? E nemmeno ha espresso le proprie condoglianze per i morti?


Quale premier mondiale non ha commentato l'attacco israeliano?
Esprimo “profondo rincrescimento per la perdita di vite e per i feriti. Stiamo lavorando per comprendere le circostanze della tragedia”. E’ importante “apprendere tutti i fatti e le circostanze il più presto possibile”
[link].Barack Obama, Usa

E’ necessaria un’ inchiesta “imparziale, credibile, trasparente e conforme ai criteri internazionali. Condanno l’uso sproporzionato della forza da parte di Israele” [link]
Nicolas Sarkozy, Francia

Il raid israeliano contro la flottiglia navale pacifista e’ “totalmente inaccettabile”. Esprimo “le condoglianze ai cittadini che hanno perso la vita” nell’attacco [link]
David Cameron, Uk

L’attuale situazione in Medio Oriente “è molto seria”. La cosa è importante “è che non assistiamo a un’escalation, ma che si contribuisca a calmare la situazione con la trasparenza e i colloqui”. Chiedo un “chiarimento al piu’ presto” sull’accaduto. “Si pone la questione se la reazione sia stata proporzionata” [link]
Angela Merkel, Germania

“La morte di uomini in seguito all’attacco al convoglio umanitario che si stava dirigendo verso la Striscia di Gaza, è una perdita irreparabile e non motivata” [link]
Dmitrij Medvedev, Russia

“Condanno l’azione militare che ha causato un alto numero di vittime”. “Totalmente sproporzionata”. “Attacchi gravi e preoccupanti” [link]
Luis Zapatero, Spagna

“Ho in mano un sondaggio di Euromedia che dice che il 62% degli italiani sta col presidente del Consiglio e il mio governo ha un gradimento del 50%. Tanto vi dovevo” [link]
Silvio Berlusconi, Italia

Giusto per non dare giudizi sulla vicenda. Ma per segnalare come Berlusconi non abbia aperto bocca sui fatti di Freedom Flotilla, rifuggendo dalle sue responsabilità di Capo di Governo. Non tanto per condannare l’attacco d’Israele – sia mai detto! – quanto per racimolare due parole sui morti. O sugli italiani a bordo.

http://www.agoravox.it/Quale-premier-mondiale-non-ha.html

Che fa il nesci, Eccellenza? o non l'ha letto?
Ah, intendo: il suo cervel, Dio lo riposi,
in tutt'altre faccende affaccendato,
a questa roba è morto e sotterrato.

(Sant'Ambrogio - Giuseppe Giusti)




Buttate la chiave - Stazione MIR - Federico D'Orazio



Alcune buone notizie. Notizie pesanti, che l’informazione venduta vorrà minimizzare e fare sparire, dopo un obbligatorio primo passaggio nel tg, un momento prima della pagina sportiva.

Ma per me, per noi, qui, queste sono LE notizie. Quelle che tanto abbiamo atteso. Quelle che per mesi abbiamo chiesto arrivassero, con la pazienza delle persone civili ma determinate. Con la certezza d’essere noi nel giusto, ed altri invece, nel torto marcio.

Come preannunciato giorni fa su queste pagine, il nostro nuovo Prefetto è stato ascoltato dai giudici di Napoli come persona informata dei fatti sulla vicenda degli appalti al Ministero degli Interni. L’hanno ascoltata ed invitata a prendersi un avvocato: da ieri è indagata.

Come richiesto da mesi, i vertici della commissione Grandi Rischi, quelli che si riunirono a L’Aquila dopo settimane di richieste in tal senso, solo il 31 Marzo 2009 (all’indomani della scossa di magnitudo 4.0 delle 15,30 del pomeriggio), oggi sono finalmente indagati per omicidio colposo.

Omicidio.

A questa accusa, ne manca ancora una: quella per falso ideologico: Enzo Boschi, Presidente dell’INGV alcuni mesi fa dichiarò che il verbale di quella riunione gli fu fatto firmare la mattina del 6 Aprile, a cose fatte, quando era troppo tardi. Non mi risulta che nessuno l’abbia smentito, o querelato per diffamazione. Boschi l’ha più volte confermato, forse nel tentativo di emanciparsi dal gruppetto di scienziati membri della Commissione. Vedremo cosa succederà anche su quel fronte. Per ora si parla ancora di negligenza.

Negligenza fatale nel tranquillizzare una popolazione. Pressappochismo di una commissione scientifica, nel dire che “i terremoti non si possono prevedere”, nel dire che l’attività sismica in corso è normale, e soprattutto negligenza colpevole nel far discendere da questi assunti, la decisione di tranquillizzare 72.000 persone, invitandole a bere un bicchiere di buon Montepulciano d’Abruzzo. Io per questo li voglio in galera. E siamo in tanti a volerceli. Parenti delle vittime in prima fila, e noi tutti insieme a loro. Perché al loro posto potevamo esserci tutti noi, potevo esserci anch’io.

La mia vita non me l’ha salvata la Protezione Civile, ma forse casa mia e soprattutto molta fortuna. La Protezione Civile minimizza, si dice stupita: intuisce un intento distruttivo dietro gli avvisi di Garanzia. Continua a dire “i terremoti non si possono prevedere”.

Se non puoi prevederli, non puoi venirmi a prendere in strada per riportarmi in casa perché “non c’è pericolo”. E loro l’hanno fatto. Non gli passa nemmeno per l’anticamera del cervello di dimettersi dai loro incarichi. In Italia no.

Se mai si riuscirà a stabilire che più che salvatori sono carnefici, se un giorno andranno in galera, buttate la chiave.

Insieme alle arance, gli porteremo il Montepulciano.


http://stazionemir.wordpress.com/2010/06/04/buttate-la-chiave/


Tutta questa gentaglia della protezione civile ha dimostrato ampiamente di non saper gestire un bel nulla, a cominciare dall’allerta preventiva e finendo alla ricostruzione di una città devastata dal terremoto.
Anche il governo, dopo aver approfittato ampiamente della sventura per sponsorizzare se stesso, ha abbandonato la cittadinanza e i luoghi del disastro.
Ora saltano fuori anche i risvolti negativi delle magagne perpetrate da questi loschi individui.
In galera e buttando la chiave, hai detto giusto, perchè solo quello è il luogo adatto ad accogliere individui che lucrano sulla disperazione della gente che li mantiene.



La menzogna di EZIO MAURO


C'è qualcosa che lega insieme l'attacco di Berlusconi a Repubblica, durante l'ultima puntata di Ballarò, (dopo che Massimo Giannini gli aveva ricordato le sue dichiarazioni di sostegno agli evasori fiscali), le accuse all'Ipsos perché Nando Pagnoncelli aveva semplicemente illustrato il suo calo di consensi nei sondaggi, e la legge che vuole imbavagliare la stampa: è l'uso della menzogna come arte di governo, per la paura - anzi il terrore - che il Premier prova per la verità.

In due occasioni il Presidente del Consiglio (2004 e 2008) aveva pubblicamente spiegato che bisogna considerare "giustificabile" l'elusione o l'evasione quando le tasse sono troppo alte (come in Italia), perché in questo caso l'evasione "è in sintonia con l'intimo sentimento di moralità" del contribuente. L'altra sera ha preferito dimenticarsene, negando platealmente la realtà, pur di rientrare in qualche modo dentro la cornice di emergenza economico-finanziaria disegnata dal suo ministro dell'Economia, che ormai lo commissaria persino in tivù.

L'accusa all'Ipsos e a Pagnoncelli è la conferma di una visione totalmente ideologica del Paese e della politica, dove non c'è spazio per l'irruzione della verità e i sondaggi che non certificano l'immutabilità perenne del consenso e del comando sono automaticamente "fasulli": semplicemente perché non coincidono con l'immagine che il leader ha di sé, e che lo specchio magico dei suoi telegiornali gli restituisce ogni giorno, rassicurandolo nel controllo della realtà.

Il rifiuto di ogni contraddittorio, confermato da quel telefono riagganciato in diretta televisiva dopo il diktat sovrano, è la prova di un arroccamento più impaurito che arrogante, con il Premier ormai incapace di discutere e di accettare un confronto. Si capisce perfettamente, dopo l'ultimo reality show berlusconiano, la legge bavaglio: impediamo ai giornali di raccontare la realtà, così un'unica verità di Stato verrà distribuita ai cittadini del più felice Paese del mondo. Ma le bugie hanno le gambe corte, e il tempo dell'inganno è scaduto.


http://www.repubblica.it/politica/2010/06/03/news/mauro_3_giugno-4531219/



Un governo di lealtà istituzionale per uscire dalla crisi


di
Paolo Flores d’Arcais, il Fatto Quotidiano, 4 giugno 2010


Giovanni Sartori è il più illustre politologo italiano e l’unico di indiscussa statura internazionale (al top, anzi). Ed è anche un liberale coerente, ormai “rara avis”, anzi rarissima, nel “bel paese là dove ‘l sì suona”, e massime nel quotidiano dove Sartori scrive. Vale perciò discutere seriamente il suo ultimo editoriale sul
Corriere della Sera, nel quale si domanda “Come reagirà il Paese quando la mannaia comincerà davvero a decapitare?”. Dove la mannaia è la manovra economica (a mio modo di vedere super iniqua) e il quando si riferisce al momento non lontano in cui i cittadini si accorgeranno che taglia loro pesantemente sia la borsa che la vita (la sanità). Sartori aveva pronosticato che il governo Berlusconi non sarebbe durato i cinque anni canonici. Ora, elegantemente, non maramaldeggia con quanti avevano giurato sul contrario (in primis gli editorialisti del Corriere!), e anzi, avanzando le due possibili reazioni popolari (“ragionevole, seppur dolentissima rassegnazione, oppure un crescendo di ribellismo”) si limita a un minimalistico “Beato chi lo sa”.

Ma poi passa a esaminare le “tre soluzioni” che “nelle emergenze prevede la dottrina” senza neppure considerare tra di esse un governo di Berlusconi. Le soluzioni sarebbero dunque, classicamente: “Primo, un governissimo, detto di solito governo di unità nazionale, un governo con tutti dentro. Secondo, una
Grosse Koalition alla tedesca, un governo dei partiti maggiori... Infine, terzo, un governo tecnico (pur sempre sottoposto, s’intende, al controllo del Parlamento) i cui dicasteri sono affidati a tecnici invece che a politici di mestiere”. Conclusione di Sartori: “Il governo tecnico sarebbe probabilmente la formula più intelligente. E per ciò stesso la meno probabile”.

So bene che nel nostro mondo di opposizione civile la discussione su questo tema viene considerata di lana caprina: l’una soluzione vale l’altra, e comunque sceglieranno sempre persone pessime, vengano dalla “casta” o dai “poteri forti”. Cosa cambia per la democrazia italiana se al posto di Bondi e Alfano ci ritroviamo con Montezemolo e Geronzi, o Socci e Feltri invece di Gelmini e Carfagna, o la Marcegaglia in luogo di un Tremonti? In effetti, dalla padella nella brace.

Ma perché mai considerare che l’opposizione civile debba restare alla finestra, assistere passivamente a giochi più o meno torbidi ma tutti interni al Palazzo, e opachi nelle manovre che determineranno la prossima “soluzione”? Se si ritiene, prestando attenzione all’analisi di Sartori, che il governo Berlusconi potrebbe cadere, per l’effetto congiunto delle sue già presenti contraddizioni (vedi Fini) e del crescere dello scontento socio-economico, perché l’opposizione civile non dovrebbe avanzare una propria ipotesi per “uscire” dalla crisi, anziché limitarsi alla geremiade che se non è zuppa sarà pan bagnato?

Le elezioni anticipate sarebbero infatti la peggiore delle “soluzioni”, visto che si svolgerebbero in condizioni che definire inquinate sotto il profilo democratico è veramente il minimo. Se c’è chi controlla quasi totalitariamente la principale risorsa elettorale moderna, la comunicazione, siamo già in condizioni di competizione non-democratiche. E si tratterà perciò di ripristinarle, prima di andare ad un voto-farsa. Tanto più che nel frattempo potrebbe essere stata approvata la legge-golpe, e nulla sapremmo più (in attesa del Tribunale di Strasburgo) di corruzioni, grassazioni e altri crimini di quanti si (ri)candideranno a governarci, e chi non sa non può scegliere, come ammoniva un liberale che più moderato non si può, il primo presidente eletto della Repubblica, Luigi Einaudi.

Ecco perché continuo a insistere che le opposizioni coerenti dovrebbero fin da ora agitare l’obiettivo di un “governo di lealtà istituzionale”, che si differenzia dalla proposta di Giovanni Sartori solo perché entra nel merito, indicando il programma e le persone (non so perciò se si differenzi davvero: forse Sartori auspica programmi e persone non tanto diversi).

E cioè: il ripristino delle condizioni minime democratiche implica l’abrogazione di tutte le leggi che hanno messo in mora porzioni crescenti del potere autonomo della magistratura (con buona pace di Montesquieu e delle successive “balances of powers”), la liberazione dell’etere dal sequestro pluridecennale berlusconiano (vero e proprio “esproprio proprietario”), una legge elettorale – maggioritaria o proporzionale che sia – che si adatti però alla crisi italiana, evitando ogni strapotere di minoranza e riducendo quello di tutte le oligarchie partitocratiche rispetto agli elettori. Un governo, infine, che nell’anno di vita necessario per queste misure minime, realizzi quello che tutti dichiarano improcrastinabile: repressione spietata dell’evasione fiscale, autentica “macelleria sociale”. Quanto alle persone, un ex presidente di Corte costituzionale o un governatore della Banca d’Italia, e i nomi dell’eccellenza che l’Italia possiede nei vari campi, nomi da avanzare al momento delle lotte. In Parlamento e nelle piazze. Perché è evidente che un obiettivo del genere non lo si può ottenere, e neppure porre, se non attraverso la lotta. Ma se non crediamo che la lotta possa “pagare”, perché continuiamo a firmare appelli, scendere in piazza, indignarci e scrivere? Tanto varrebbe andare a cuccia e “non disturbare il manovratore”.

Se nel momento più alto del maggio ’68 le opposizioni a De Gaulle avessero unanimemente proposto un governo Mendes-France, molte cose sarebbero state diverse. La “soluzione” o la tragedia con cui si “uscirà” dalla crisi sarà perciò la risultante delle forze e delle lotte in campo, di cui anche gli attuali parlamentari subiranno l’influenza.

(4 giugno 2010)