giovedì 15 luglio 2010

‘Cesare’ è sempre più solo - Peter Gomez



E adesso tra i fedelissimi del Cavaliere arriva il tempo della grande paura
. Sempre più debole, sempre più preoccupato dalle iniziative dei finiani e dagli articoli di tutti gli opinionisti che lo invitano a sbattere fuori dal centro-destra affaristi e corrotti, Silvio Berlusconi non riesce più a garantire i suoi.

Oggi tocca a
Nicola Cosentino difeso ad oltranza per mesi – sebbene avesse portato i propri legami familiari con la camorra sino al cuore del governo – ma alla fine costretto alla dimissioni. Ieri era toccato ad Aldo Brancher, per il quale il premier aveva inventato un dicastero solo per metterlo al riparo da un complicato processo per ricettazione e appropriazione indebita. Qualche settimana fa era stata la volta del potentissimo Claudio Scajola: il ministro apparentemente ladro che prima si era fatto comprare casa a sua “insaputa” e che poi se l’era fatta ristrutturare – a insaputa dei contribuenti – con fondi del Sisde.

L’elenco dei caduti sul campo, insomma, non è breve. E ben presto potrebbe allungarsi ancora. Tra chi trema c’è l’ex uomo immagine dell’esecutivo,
Guido Bertolaso, che non protetto da immunità parlamentare prima o poi dovrà decidersi a spiegare esattamente ai magistrati e all’opinione pubblica quale tipo di rapporti ha intrattenuto con la cricca.

E poi c’è lui. Il mito.
Denis Verdini, il banchiere toscano che considera gli affari e la politica una cosa sola. Verdini: la prova vivente di come avesse ragione Tacito quando scriveva: “Il crimine una volta scoperto non ha altro rifugio che nella sfrontatezza”.

Verdini nelle copiose interviste ha ammesso di tutto. Ha detto di aver davvero richiesto al ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli la nomina di un provveditore alle opere pubbliche (poi finito in manette) gradito a un suo amico imprenditore che era interessato a un appalto da 280 milioni di euro. Ha raccontato di aver pure fatto nominare direttore dell’Arpa Sardegna un altro funzionario, solo perché così gli era stato richiesto dal pluri-pregiudicato Flavio Carboni, grande elettore sardo del Pdl. E, tanto che c’era, ha pure ricordato di aver ricevuto da Carboni (non però da lui direttamente, ma dal suo autista ndr) 800mila euro poi finite nelle casse di un giornale legato al centro-destra.

Certo, lui assicura che i cittadini e i contribuenti non hanno nulla da temere. “Perché”, spiega, “non ho fatto niente di illegale”.
Ma è chiaro che anche la sua sorte è (politicamente) segnata. Si tratta solo di aspettare.

E qui nascono i veri problemi per Berlusconi. L’idea, a lungo accarezzata, di far cadere il proprio governo e di chiedere al presidente Napolitano di sciogliere le Camere per andare al voto, appare di giorno in giorno più balzana. Dalla ordalia elettorale, è vero, il Cavaliere uscirebbe probabilmente vittorioso.

Ma la questione al momento è arrivarci al voto. Non vincerlo.

Da una parte, man mano che la pattuglia dei finiani aumenta di numero, la prospettiva di un esecutivo tecnico sostenuto da tutti i parlamentari anti-Berlusconi prende quota. Dall’altra c’è l’incognita dei possibili traditori. Dei fedelissimi che il Cavaliere si è visto costretto ad allontanare, i quali, da oggi in poi, hanno molti buoni motivi per accoltellarlo alle spalle.

A loro abbandonare le comode e immuni poltrone di deputati e senatori, dietro la promessa di essere nominati un ‘altra volta, non conviene. Il rischio è di uscire da Montecitorio e Palazzo Madama per poi non rientrarci più.

A causa della crisi, infatti, sale per la prima volta nel Paese la disapprovazione sociale per i comportamenti che alla lunga danneggiano la collettività.
Anche agli elettori di centro-destra i furbi piacciono sempre meno. E i primi ad accorgersene sono i direttori di quotidiani come Libero e Il Giornale sempre più sommersi da e-mail di protesta.

Per i Cosentino, per i
Dell’Utri, per i Verdini, per gli Scajola è ormai persino complicato farsi vedere in giro. Loro lo sanno. E Berlusconi lo sa. Come sa che, in caso di elezioni anticipate, ripresentare in lista certa gente diventa un pericolo. Anzi un assist per l’odiato Fini che a tutti dice di brandire la bandiera della legalità.

Per questo l’Imperatore, anzi Cesare, come chiamavano Berlusconi quelli della nuova P2, è triste e sempre più solo. Sbraita, urla, medita la rivincita, ma è costretto a giocare in difesa. E intanto quando cammina sta bene attento a tenere le spalle al muro. Le avventure come la sua, dice la Storia, hanno un unico epilogo. La congiura di Palazzo. E, a volte, persino il regicidio.


martedì 13 luglio 2010

Ddl intercettazioni: per l'Onu va abolito o modificato




"Se adottato nella sua forma attuale può minare il godimento del diritto alla libertà di espressione", sostiene l'Organizzazione delle Nazioni Unite. Il ministro degli Esteri Frattini: "Sconcertante".



Il governo italiano deve "abolire o modificare" il progetto di legge sulle intercettazioni perché "se adottato nella sua forma attuale può minare il godimento del diritto alla libertà di espressione in Italia".

Lo ha detto il relatore speciale dell'Onu sulla liberta' di espressione, Frank La Rue in un comunicato.

La Rue ricorda che, "secondo l'attuale disegno di legge, chiunque non sia accreditato come giornalista professionista può essere condannato a quattro anni di carcere per aver registrato una comunicazione o conversazione senza il consenso della persona coinvolta e per aver poi reso pubblica tale informazione".

Secondo La Rue, "tale grave pena minerà in modo serio tutti i diritti individuali di cercare e diffondere un'informazione imparziale, in violazione del Convenzione internazionale sui diritti civili e politici di cui l'Italia è parte".

Preoccupazioni anche per l'introduzione di una sanzione per giornalisti ed editori che pubblichino il contenuto di intercettazioni prima dell'inizio di un processo.

"Tale punizione -prosegue il relatore Onu - che include fino a 30 giorni di carcere e un'ammenda fino a 10.000 euro per i giornalisti e 450.000 per gli editori è sproporzionata rispetto al reato".

Secondo La Rue, "queste norme possono ostacolare il lavoro dei giornalisti investigativi su materie di interesse pubblico, come la corruzione, data l'eccessiva lentezza dei procedimenti giudiziari in Italia, e come sottolineato più volte dal Consiglio d'Europa".

"Sono consapevole - conclude il relatore speciale Onui - che il disegno di legge è stato avanzato per preoccupazioni sull'implicazione della pubblicazione delle intercettazioni sui procedimenti giudiziari e sul diritto alla privacy.

Tuttavia, il disegno di legge nella sua forma attuale non costituisce una risposta appropriata a tali preoccupazione e pone minacce al diritto alla libertà d'espressione".

La Rue, ricordando anche le proteste dei giornalisti, esorta il governo ad "astenersi dall'adottare questo disegno di legge nella forma attuale, e di impegnarsi in un dialogo con tutte le parti in gioco, in particolare con i giornalisti e i media, per assicurare che le loro preoccupazioni siano tenute da conto".

La Rue si dice "ansioso" di cooperare con il governo italiano, in vista di una "possibile missione di sopralluogo nel 2011 per esaminare la situazione della libertà di stampa e il diritto di espressione in Italia".

La reazione di Frattini - Il ministro degli Esteri Franco Frattini si è detto oggi "sconcertato" dalla posizione espressa riguardo al ddl intercettazioni da Frank La Rue, esperto Onu in tema di libertà di espressione, che ha detto che il provvedimento potrebbe limitare la libertà di espressione e le indagini sulla corruzione.

"Il processo mediatico è una barbarie. Non un principio di diritto" – ha detto Frattini – "In tutti i paesi liberali e democratici del mondo non è consentito alla pubblica accusa di divulgare prima della sentenza definitiva elementi di indagine che devono restare segreti". "Questo - ha spiegato il responsabile della Farnesina - per la semplice ragione che, in democrazia, si tutelano anche i diritti degli indagati. Il processo mediatico è una barbarie, non un principio di diritto", ha così ribadito il ministro.





Il giorno dell'Udienza sul "Lodo Alfano", si incontrano al bar dell'Hotel Eden di Roma, da sinistra, Marcello Dell'Utri, Flavio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martini.





Piovono rane di Alessandro Gilioli




Toghe azzurre – e pure un po’ sporche



Il presidente della Corte di Cassazione – mica un pretore di Peretola – ma anche il capo della procura di Firenze, alcuni vertici del Csm e perfino giudici costituzionali.

A leggere i verbali sul cenacolo di gentiluomini che gravitava attorno a Flavio Carboni si scopre che – dopo 15 anni di strilli sulla “magistratura politicizzata” – in effetti parecchi giudici importanti erano pappa e ciccia con i politici.

Peccato che fossero i politici di Berlusconi.


http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2010/07/13/toghe-azzurre-e-pure-un-po-sporche/


La “cricca” delle toghe e il silenzio della stampa di regime


di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano, 13 luglio 2010


Chissà che fine han fatto gli inventori di fortunate cazzate tipo l’“uso politico della giustizia” o la “magistratura politicizzata”. Gli Ostellini, i Panebianchi, i Sergiromani, i Pigibattista, los Politos, i Gallidellaloggia e i Pollidelbalcone sono letteralmente scomparsi, proprio ora che gli allegri conversari chez Vespa e chez Verdini dimostrano che l’uso politico della giustizia esiste eccome. Solo che lo fanno il governo e i suoi manutengoli.

Il colore delle toghe politicizzate è l’azzurro-Verdini, il marron-Dell’Utri, il nero-Carboni/Carbone, come nella Prima Repubblica era il bianco-Andreotti, il rosé-Craxi, il grigio-Previti, il giallo-Gelli. Battaglioni di giudici furono trovati nelle liste della P2 o sul libro paga di Cesarone. Insabbiavano inchieste, aggiustavano processi, compravendevano sentenze, annullavano condanne di mafiosi per un timbro un po’ fané. Eppure – anzi proprio per questo – mai un’ispezione ministeriale, un’azione disciplinare, una convocazione al Csm, un dossier dei servizi, un attacco dalla stampa di regime.

Queste persecuzioni spettavano di diritto ai giudici davvero indipendenti, bollati e perseguitati come “pretori d’assalto” e “toghe rosse”. Ora la storia si ripete, nella beata indifferenza dei garantisti da riporto e dei pompieri della sera. La signora Augusta Iannini in Vespa, collaboratrice di governi di destra e sinistra, apparecchia cene per il premier plurimputato B., il banchiere plurimputato Geronzi, il sottosegretario indagato Letta e cardinali assortiti, ma la cosa non sembra interessare il Csm che dovrebbe tutelare l’indipendenza della magistratura non solo dalle minacce esterne, ma dagli inciuci interni.

Vincenzo Carbone, fino al mese scorso primo presidente della Cassazione, fu nominato dal Csm sebbene insegnasse da anni all’Università di Napoli con doppio stipendio all’insaputa dell’organo di autogoverno: ora si scopre pure che dava del tu al traffichino del clan Carboni, il geometra avellinese Pasqualino Lombardi, che lo apostrofava “preside”, gli chiedeva di anticipare l’udienza su Cosentino, gli preannunciava telefonate di Letta e avvertiva gli amici che “con quello lì stamo a posto”. Lui, come si conviene agli alti magistrati, rispondeva “statte bbuono” e all’alba dei 75 anni s’interrogava: “Che faccio dopo la pensione?”. Pasqualino Settebellezze lo rassicurava: “Tranquillo, ne sto parlando con l’amico di Milano”. Ancora una settimana fa Carbone era candidato alla Consob.

Uno come Lombardi che in un altro paese faticherebbe a entrare in un bar sport discettava con gran familiarità della sentenza sul lodo Alfano col presidente emerito della Consulta, Cesare Mirabelli, detto “o’ professo’”: “La donna della Consulta è amica sua, possiamo intervenire su questa signora? Mi stanno mettendo in croce gli amici miei, che poi sono anche amici suoi…”. E garantiva sul voto di Mancino, vicepresidente del Csm, per la nomina di Marra detto “Fofo’” a presidente della Corte d’Appello di Milano. Missione compiuta. Marra si riuniva chez Verdini con i faccendieri Carboni e Lombardi e i giudici Martone e Miller, quest’ultimo capo degli ispettori ministeriali che da anni perseguitano i pm dipinti come politicizzati proprio perché non lo sono. Ieri Martone ha finalmente lasciato la toga dopo aver presieduto addirittura l’Anm.

Ora si spera che il Csm vicepresieduto da Mancino accompagni alla porta anche Marra e Miller, e reintegri al loro posto De Magistris, la Forleo e i pm salernitani Nuzzi, Verasani e Apicella. Già perché questi giudici onesti sono stati sterminati l’uno dopo l’altro dagli ispettori (Miller), dalla Procura della Cassazione (Martone) che attivava le azioni disciplinari, dal Csm (Mancino e Carbone) che condannava e dalle Sezioni Unite (ancora Carbone) che confermavano le condanne.
Ora l’Anm cade dal pero e ammonisce: “Non vogliamo magistrati contigui al potere”. Che riflessi, ragazzi. Che faceva l’Anm mentre il plotone di esecuzione delle toghe contigue al potere fucilava quelle non contigue al potere, a parte applaudire i fucilatori?

(13 luglio 2010)



La grande abbuffata - Marco Travaglio


domenica 11 luglio 2010

Indovina chi viene a cena -



Berlusconi e i summit per la "sua" giustizia. Cade la prima testa: si dimette Martone

Sono arrivate le prime dimissioni per lo scandalo della “nuova P2”. Il magistrato della CassazioneAntonio Martone, secondo quanto risulta al Fatto Quotidiano, venerdì ha presentato al Csm una lettera in cui chiede di lasciare la toga. Martone era presente alla cena del 23 settembre 2009 nella casa romana del coordinatore del Pdl, Denis Verdini. Con lui c’erano il collega Arcibaldo Miller, il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, il faccendiere Flavio Carboni, il senatore Marcello Dell’Utri e il giudice tributario Pasquale Lombardi. Non un banchetto conviviale tra amici, ma una riunione a tavola per decidere la strategia di condizionamento dellaCorte costituzionale che doveva esprimersi sul Lodo Alfano. Cioè sullo scudo per salvare Berlusconi dai processi milanesi Mediaset e Mills. I commensali fanno la conta dei giudici costituzionali favorevoli e contrari al Lodo. E cercano il modo di assicurarsi una maggioranza che confermi la legge salva-premier.


Ordini e scambi
Dopo la cena, Lombardi telefona a Martone e gli detta le istruzioni: “Io farei una ricognizione, i favorevoli e i contrari. Poi vediamo come bisognerà per vedere di raggiungere i contrari… Ci sono tutti i mezzi possibili”. Le manovre non vanno a buon fine: il 7 ottobre del 2009, il Lodo viene bocciato. Ma Martone, avvocato generale (in aspettativa) presso la Cassazione, ha comunque di che rallegrarsi: a dicembre viene nominato dal ministro Renato Brunetta presidente della Commissione “per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche”.

Collezionista d’incarichi, Martone è stato fino all’anno scorso anche presidente della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali. Vicino a Unicost, la corrente moderata del sindacato delle toghe, in passato è stato anche membro del Csm e nel 1999 ha presieduto l’Anm. Le dimissioni ora gli evitano un eventuale (e infamante) procedimento disciplinare da parte del Csm, dopo quasi 45 anni di servizio.
Martone ha fatto la sua scelta in sordina. Un altro partecipante alla cena di casa Verdini, invece, il sottosegretario
Caliendo, ha ieri pubblicamente dichiarato di aver partecipato all’incontro, ma ha escluso “nella maniera più assoluta che, me presente, si sia discusso di possibili pressioni sui giudici della Corte”. Caliendo si è in effetti allontanato mentre la cena era ancora in corso. Ma a metterlo al corrente delle manovre in atto ci ha pensato, subito dopo, Lombardi che lo ha chiamato al telefono. Senza alcuna protesta del sottosegretario, che non si è certo opposto all’operazione.

I tentativi di influire sulla Corte per ottenere la conferma della legge salva-Berlusconi vengono compiuti nonostante lo scandalo scoppiato appena due mesi prima. Nel luglio 2009 un articolo di Peter Gomez su
l’Espresso aveva rivelato una prima cena, avvenuta nel mese di maggio a casa del giudice della Consulta Luigi Mazzella. Vi avevano partecipato un altro componete della Corte, Paolo Maria Napolitano, il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Carlo Vizzini e Silvio Berlusconi in persona. Nel pieno della polemica, il presidenteFrancesco Amirante aveva dichiarato: “La Corte costituzionale nella sua collegialità deciderà come ha sempre fatto, in serenità e obiettività, le questioni sottoposte al suo giudizio”.


Bravi, bis
Quattro mesi dopo la prima cena, e a 14 giorni dal verdetto della Consulta, ci riprova Verdini che convoca i “fratelli” e i loro alleati. Fra loro, anche il capo degli ispettori del ministero della Giustizia, Arcibaldo Miller, in passato salvato da un imbarazzante trasferimento per incompatibilità ambientale. Due boss pentiti, Pasquale Galasso e Carmine Alfieri, avevano accusato Miller, allora pm della procura di Napoli, di avere rapporti con la camorra. Da quelle dichiarazioni erano nate due indagini a carico del magistrato, finite con l’archiviazione. Al Csm Miller aveva ammesso le frequentazioni con gli imprenditori Sorrentino, legati alla camorra: “È uno sbaglio che riconosco di aver fatto e ne subirò le conseguenze”. Le conseguenze non ci sono state. Miller ha lasciato la procura napoletana per l’ufficio degli ispettori del ministero, che ha guidato con i governi di centrodestra e di centrosinistra.

di Gianni Barbacetto e Antonella Mascali

da
il Fatto Quotidiano dell’11 luglio 2010


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