domenica 26 dicembre 2010

Addio Italia, vado via perché…




  1. Vado via perché hanno ridotto le borse di studio per l’università, che erano già poche, del 90%.

  2. Vado via perché le borse di studio vanno sempre ai figli degli evasori fiscali.

  3. Vado via perché ci sono troppi evasori fiscali.

  4. Vado via perché gli evasori fiscali non vengono quasi mai scoperti e se vengono scoperti se la cavano con poco. Sono ladri, ma non si fanno mai un giorno di galera.

  5. Vado via perché c’è Bruno Vespa.

  6. Vado via perché fanno parlare Gasparri e lo ascoltano pure.

  7. Vado via perché hanno trasformato il campo da tennis del complesso dove abito in un campo di calcetto.

  8. Vado via perché non ho ancora capito che cazzo sia un tronista.

  9. Vado via perché i giornali usano sempre incomprensibili termini stranieri.

  10. Vado via perché hanno fatto Bondi ministro della Cultura.

  11. Vado via perché il rispetto delle strisce pedonali è un optional che varia da città a città.

  12. Vado via perché la sinistra italiana è quella che è.

  13. Vado via perché la sinistra italiana si permette il lusso, in un momento così, di continuare a essere quella che è.

  14. Vado via perché quando potevano non hanno mai fatto una legge sul conflitto di interessi.

  15. Vado via perché la notte del terremoto in Abruzzo c’erano quelli che ridevano al telefono.

  16. Vado via perché per il terremoto in Abruzzo sono morte 307 persone e per un terremoto con la stessa intensità in Giappone sono morte 8 persone.

  17. Vado via perché Pannella dopo tanti anni continua a interpretare il ruolo di Pannella.

  18. Vado via perché non ci libereremo mai del Nano.

  19. Vado via perché se, per un miracolo, ci liberemo del Nano non farà mai un giorno di galera.

  20. Vado via perché se ci liberemo del Nano continuerà a tenersi i suoi soldi sporchi.

  21. Vado via perché, dopo 35 anni di lavoro, con la mia pensione in Italia in 3 persone non ce la facciamo a campare.

  22. Vado via perché hanno ucciso nei giovani la speranza.

  23. Vado via perché i romanzi di Faletti hanno venduto milioni di copie.

  24. Vado via perché i miei romanzi spesso non si trovano in libreria e i librai a volte non li fanno nemmeno ordinare.

  25. Vado via perché qua c’è il Vaticano.

  26. Vado via perché qua non mi permettono di morire con dignità.

  27. Vado via perché nessuno parla di quelli che hanno perso il lavoro dopo più di venti anni, sono troppo vecchi per trovarne un altro e sono troppo giovani per avere la pensione.

  28. Vado via perché in prigione ci vanno solo i poveri, i tossici e gli extracomunitari.

  29. Vado via perché Cesare Previti, condannato in via definitiva a 6 anni in prigione, ci ha passato solo pochi giorni.

  30. Vado via perché nelle carceri italiane ci sono 44.000 posti e 66.000 detenuti.

  31. Vado via perché quando uccidono una povera ragazza ci fanno per mesi uno show televisivo.

  32. Vado via perché gli italiani hanno perso la capacità di vergognarsi.

  33. Vado via perché esiste la Lega.

  34. Vado via perché hanno inventato la Padania.

  35. Vado via perché Calderoli è un ministro della Repubblica Italiana.

  36. Vado via perché Brunetta è un ministro della Repubblica Italiana e non il clown di un circo.

  37. Vado via perché le puttane quando frequentano i potenti vengono chiamate escort.

  38. Vado via perché le povere puttane di strada rimangono puttane.

  39. Vado via perché non c’è più Fabrizio De André.

  40. Vado via perché non c’è più Giorgio Gaber.

  41. Vado via perché non ci sono più Leonardo Sciascia, Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini.

  42. Vado via perché la Juve non vince niente da tanti anni.

  43. Vado via perché non ho vinto al Superenalotto.

  44. Vado via perché non esiste più la mezza stagione, signora mia.

  45. Vado via perché peggio che da noi solo in Uganda, come diceva Gaber.

  46. Vado via perché adesso dicono che i torturatori di Salò erano più o meno come i partigiani.

  47. Vado via perché troppi giovani sono precari e resteranno precari a vita.

  48. Vado via perché abbiamo la più bella Costituzione del mondo e in tanti la stanno calpestando prima di stracciarla.

  49. Vado via perché non mi sento più italiano.

  50. Vado via perché esistono almeno altre 50 ragioni per andare via.

Avrei piacere di sentire le vostre ragioni per andare via o per restare.

http://www.lettermagazine.it/?p=11257


Dal PDL mi salvi Iddio che dal PDmenoelle mi salvo io!




In Parlamento c'è chi pagherebbe per vendersi.

"Per indicare la connivenza del Pd con questa truffa politico-finanziaria che chiamiamo crisi, vediamo i dati di "tutte le volte che non c'erano".

Malgrado B avesse 100 deputati in più, in questa legislatura è stato battuto 72 volte!

Causa le endemiche assenza dei suoi deputati!

Ma avrebbe potuto esserlo molto di più se il Pd avesse voluto.

Per 200 volte il Pd avrebbe battuto B se 20 dei suoi non fossero stati assenti!

30 volte lo avrebbe battuto per soli 5 voti!

Alla sfiducia di Calderoli, che ha legalizzato la banda armata, erano assenti in 35!

Per le autorizzazioni a procedere, richieste da ben 3 procure contro il camorrista Cosentino, 20 del Pd si astennero e 2 votarono contro salvandolo!

Le Province (17 Mld l'anno, che avrebbero consentito di evitare tagli ai servizi pubblici) non sono state eliminate per 8 voti, con 22 del Pd assenti!

Per lo scudo fiscale che ha legalizzato patrimoni neri mafiosi gli assenti furono 55 e il decreto passò 267 a 215, il Pd poteva fermarlo! ...

Il pessimo decreto Alitalia passò per 23 voti, ma c'erano 24 assenti tra Pd, IdV e Udc!

La legge sui rifiuti della Campania che non ha risolto niente è passata per 25 voti e 30 del Pd assenti!

Gli ammortizzatori sociali ai lavoratori Eutelia e Phonemedia-raf sono stato bocciati per 5 voti con 12 assenti! (e da questi conti sono stati anche tolti i deputati in missione, sennò va anche peggio).

E Bersani ci viene a raccontare che si rimboccano le maniche? Ma si vergogni piuttosto! Maledette sanguisughe, lavative, parassite e vendute!".

viviana v., Bologna


Massimo D’Alema tra minacce e bugie. - di Peter Gomez.




Massimo D’Alema, esattamente come avevano fatto in casi analoghi Silvio Berlusconi e i suoi collaboratori, smentisce il contenuto dei cablogrammi dell’ambasciata Usa, pubblicati daWikileaks. L’ex presidente del Consiglio assicura di non aver mai detto, nel luglio del 2007, all’ambasciatore Ronald Spogli che la ”la magistratura è la più grande minaccia allo Stato italiano“.

È molto difficile credergli.

I dispacci tra le ambasciate e Washington vengono redatti ad uso interno. L’amministrazione americana richiede che siano precisi e circostanziati perché anche sulla base di quelle informazioni viene poi decisa la politica estera Usa. La pretesa (di Berlusconi e D’Alema) di dipingere le feluche statunitensi come un gruppo di imprecisi pasticcioni, soliti riassumere a casaccio il contenuto degli incontri con i loro interlocutori, fa quindi sorridere.

Nel caso di D’Alema, poi, basta veramente poco per capire come quelle parole sulla magistratura siano state da lui effettivamente pronunciate.

Nell’estate del 2007 D’Alema, Nicola La Torre e Piero Fassino, dovevano fare i conti con il deposito delle intercettazioni del caso Unipol-scalate bancarie. In quei giorni gli attacchi al gip Clementina Forleo, che come prevede la legge aveva messo il materiale a disposizione delle parti e poi ne aveva richiesto l’autorizzazione all’utilizzo al Parlamento, erano quotidiani.

Il contenuto dei nastri, del resto, dimostrava come tra gli uomini della Quercia ci fosse stato chi eraintervento a piedi uniti nella competizione tra banche. Primo tra tutti D’Alema che, tra le altre cose, era arrivato a offrire un aiuto al big boss di Unipol Giovanni Consorte per convincere uno dei protagonisti economici della vicenda (Vito Bonsignore, allora eurodeputato Udc) a non intralciare il suo assalto alla Banca Nazionale del Lavoro. Il tutto in cambio di una mai precisata “contropartita” politica.

Insomma leggendo le carte era facile accorgersi che D’Alema, durante i mesi delle scalate, non si era limitato a fissare le regole del gioco per poi osservare la partita economica da fuori, come dovrebbe fare la politica. E che nemmeno si era limitato a tifare per uno dei contendenti, come per due anni aveva sostenuto. Era invece sceso in campo di nascosto e aveva tentato di dare una mano a Consorte per buttare la palla in rete.

Un comportamento sconcertante che, una volta scoperto, aveva suscitato imbarazzo e rabbia nell’elettorato di centrosinistra. E che aveva portato D’Alema e una parte dei Ds a reagire con toni eargomentazioni speculari a quelle utilizzate da Berlusconi.

Quando le intercettazioni erano state messe a disposizione degli avvocati e le prime indiscrezioni erano state riportate dai giornali, Il Corriere della Sera e La Repubblica avevano, per esempio, pubblicato uno sfogo di D’Alema, in cui l’ex presidente del Consiglio diceva: “La magistratura s’è comportata in modo inaccettabile. Forse li abbiamo difesi troppo, questi magistrati. Ma adesso dobbiamo reagire. Diciamoci la verità: è una violazione della legge perpetrata dagli stessi magistrati. Qualcuno consente che si alimenti un clima da caccia grossa per mettere dei cittadini alla berlina. Allora dico: siamo ancora uno Stato di diritto? Io non vedo alcuna ragione di giustizia in tutto questo, dev’esserci dell’altro sotto… Magari tagliano, incollano, saltano pezzi di frase. Il metodo delle intercettazioni è distorsivo per sua natura… Quale elemento giustifica la pubblicazione di quel materiale? Quello che succede è intollerabile, dopo questo si apre lo spazio a ogni forma di giustizialismo e di barbarie. Nel resto del mondo non accadono cose del genere. Il bello è che facciamo conferenze sulla giustizia in Afghanistan, ma dovremmo occuparci di noi, del nostro sistema. Perché qui c’è una questione grande come una casa… “.

Poi D’Alema si era presentato al TG5 e, dopo aver ringraziato Fini, Casini e Berlusconi per “le parole molto misurate” sullo scandalo Unipol, aveva tra l’altro affermato: “Si vuole indebolire il sistema politico e si cerca di colpire la forza più consistente di questo quadro politico“.

Insomma se questo era quello che il leader diessino dichiarava pubblicamente (per poi rincarare la dose qualche settimana dopo, al momento della richiesta di utilizzo delle intercettazioni) ci si può davvero sorprendere se all’ambasciatore Spogli ha detto:La magistratura è la più grande minaccia allo Stato italiano?. Ovviamente no.

Su una cosa però D’Alema ha ragione. Una minaccia allo Stato italiano c’era e c’è ancora. È quella rappresentata dal rapporto malato tra politica e affari. Un rapporto che ha sì il suo massimo rappresentante in Silvio Berlusconi, il super imprenditore che si è fatto presidente del Consiglio. Ma che attraversa in varia misura tutti i movimenti politici.

Nel 2007, proprio partendo dallo spunto fornito dalle intercettazioni, all’interno dei Ds ci fu chi tentò di parlarne. Per esempio un padre nobile della Quercia come Alfredo Reichlin o il riformista Andrea Ranieri. Ma nelle direzioni del partito furono entrambi zittiti. “La questione morale non esiste“, dicevano i vertici.

Il risultato è oggi sotto gli occhi di tutti. Nonostante la crisi del berlusconismo, nonostante gli scandali che attanagliano il governo, il centrosinistra non riesce a guadagnare consensi. Tra l’originale (Berlusconi) e la copia (le cosiddette opposizioni) gli italiani che ancora votano, continuano a scegliere l’originale.

Gli altri invece restano a casa. Ma per capire il perché non serve Wikileaks. La cronaca, purtroppo, basta.




Mafia, stragi e depistaggi. ''Faccia da mostro'' ha finalmente un nome


di Nicola Biondo - 24 dicembre 2010
I mafiosi lo chiamavano Faccia da mostro o il bruciato. Per anni si è aggirato come un’ombra nella Palermo delle stragi e degli omicidi eccellenti. Uno sbirro con la tessera dei servizi segreti
che incontrava uomini di mafia.
Uno 007 border-line troppo vicino a molti fatti di sangue: dalla tentata strage della Addaura contro Giovanni Falcone nel giugno 1989, all’eccidio di via D’Amelio, passando per l’omicidio di un poliziotto, Nino Agostino, e della moglie.

Dopo anni di indagini, segreti di Stato e depistaggi, “Faccia da mostro” è stato riconosciuto da un pentito, Vito Lo Forte. Se ne conosce il cognome, Aiello, e la professione: è un dirigente di Polizia in pensione. La procura di Caltanissetta lo ha iscritto nel registro degli indagati per concorso esterno in associazione mafiosa.
Ma chi si nasconde dietro quel soprannome da spy-story? Un killer di Stato, un uomo di cerniera tra mafia e servizi segreti o uno 007 sotto copertura?
E quali sarebbero stati i suoi compiti? La favola nera di “Faccia da mostro” è aleggiata per un quindicennio sui misteri e i segreti di Palermo, sempre a cavallo tra mafia e antimafia, in quella terra di nessuno in cui i due eserciti si parlano, mediano e forse convergono. In tanti credono di averlo visto: mafiosi e vittime di mafia, buoni e cattivi.
Fino all’estate del 2009 quando un collaboratore di giustizia, Vito Lo Forte, ha dato un nome e un cognome all’uomo del mistero. Trascinando con lui nel gorgo anche un altro uomo di Stato, un prefetto in pensione, ex dirigente dell’Alto commissariato antimafia. Indagini delicate partite d’impulso dalla Direzione nazionale antimafia e approdate alle procure di Caltanissetta e Palermo.
Indagini scivolose al punto che gli stessi investigatori procedono tra molti dubbi e difficoltà.
Il bruciato e lo zoppo. Vito Lo Forte ha identificato Aiello e l’uomo con cui spesso si accompagnava nel corso di una ricognizione fotografica avvenuta nell’agosto 2009. Si è scoperto così un altro soprannome di “Faccia da mostro”: «Li chiamavamo il bruciato e lo zoppo. Uno aveva il viso deturpato, l’altro camminava con un bastone». Lo Forte sostiene di aver visto entrambi «incontrarsi due o tre volte con Gaetano Scotto, il mio capo famiglia». Incontri che sarebbero avvenuti - sempre secondo Lo Forte - in esercizi pubblici, forse anche nel ristorante di proprietà del boss. Èl a prima delle pesanti accusa che Lo Forte lancia contro i due uomini di Stato.

Dall’Addaura a Via D’Amelio.
Questa la “geografia” che Lo Forte riporta ai magistrati: “Faccia da mostro” avrebbe avuto un ruolo nella mancata strage contro Giovanni Falcone e anche nell’attentato contro Paolo Borsellino. Su queste vicende - è bene ricordarlo - il collaboratore riporta notizie de relato. Lo Forte riscrive il film della tentata strage dell’Addaura.
Secondo il pentito - e siamo alla seconda accusa - sul teatro della tentata strage contro il giudice Falcone, ma su sponde differenti, sarebbero stati presenti Aiello e altri due esponenti delle forze dell’ordine: il poliziotto Nino Agostino e il collaboratore del Sisde Emanuele Piazza, entrambi uccisi in circostanze misteriose rispettivamente nell’agosto 1989 e nel marzo 1990. Piazza e Agostino - sembra suggerire Lo Forte – avrebbero fatto fallire il complotto contro il giudice e sarebbero quindi stati eliminati per evitare che raccontassero il coinvolgimento di apparati dello Stato nell’attentato. Ma non finisce qui. Lo Forte sostiene anche che “Faccia da mostro” entrerebbe nella vicenda della strage del giudice Borsellino.
Fin qui il racconto del pentito. Sarà un caso ma è la stessa “geografia” in cui è inserito proprio Scotto, condannato per la strage del 19 luglio 1992 e indagato per l’omicidio Agostino e l’Addaura.
Ma come si è arrivati all’identificazione?
Il file “Faccia da mostro” impegna da anni la procura nazionale antimafia che si è avvalsa anche di numerosi colloqui investigativi. Alla fine, l’identificazione di Lo Forte ha fatto chiudere il cerchio su Aiello.
Il poliziotto di origine calabrese, oggi in pensione, ha lavorato nel capoluogo siciliano dall’86 all’89. La deformazione al viso sarebbe dovuta a un incidente, una fucilata gli avrebbe lasciato segni indelebili in faccia.
Dubbi e certezze. Una certezza riguarda Gaetano Scotto. Per gli investigatori il boss del’Arenella ha avuto sicuramente rapporti con ambienti insospettabili.
Lo dicono i tabulati dei suoi telefoni e la sentenza che lo ha condannato all’ergastolo per via D’Amelio. Lo conferma anche Gaspare Spatuzza: «Mentre veniva imbottita di esplosivo la Fiat 126 nel garage - ha dichiarato il pentito ricostruendo le fasi preparatorie della strage contro Paolo Borsellino - tra noi c’era uno elegante, biondino, mai visto prima, parlava con Gaetano Scotto». Per Spatuzza, l’uomo vicino a Scotto era uno sbirro, uno dei servizi.
Su Lo Forte invece si procede con molta cautela. Le rivelazioni del pentito vengono valutate attentamente dalla Procure di Palermo e Caltanissetta, rispettivamente competenti per gli omicidi Piazza e Agostino e per l’Addaura.Manon sono pochi i dubbi sulla sua versione. Entrato nel programma a metà degli anni 90, Lo Forte racconta di droga e riciclaggio, coinvolgendo il suo boss Gaetano Scotto e tace su tutto il resto. Nel 1999 il pentito uccide un uomo. «Me lo sono trovato dentro casa, credevo fosse Scotto che mi voleva uccidere» dichiara agli inquirenti. Rientra nel programma di protezione, ma si scopre che in passato mentre trafficava droga faceva anche il confidente. Fino al 2009quando rimonta i pezzi della sua memoria.
Ma i dubbi degli investigatori non si fermano qui. La teoria di Lo Forte, che Agostino e Piazza fossero presenti all’Addaura, non convince in pieno.
Non c’è alcuna prova - sostengono gli investigatori - che Agostino e Piazza si conoscessero,non c’è prova che fossero sul luogo della tentata strage, non si capisce, infine, perché uccidere Piazza dieci mesi dopo l’Addaura con il rischio che in questo lasso di tempo potesse rivelare qualcosa. Le morti deidue giovani agenti sono davvero legate alla mancata uccisione di Giovanni Falcone? Domande che potrebbero trovare una risposta tra poche settimane quando i risultati delle analisi sulla borsa con l’esplosivo e su altri reperti lasciati dagli attentatori all’Addaura arriveranno sul tavolo degli inquirenti.
Una scia di morti e segreti. L’Addaura, le morti di Agostino e Piazza, i depistaggi sulle indagini, gli uomini senza volto che compaiono nella strage di via D’Amelio. È una lunga scia di morte quella che gli investigatori stanno provando a ricomporre. Per farlo bisogna «ripulire i fatti» dai tanti luoghi comuni, vere leggende metropolitane, fiorite nel corso degli anni. Come quella che mette in bocca al giudice Falcone una frase precisa il giorno dei funerali di Agostino e della moglie: «Devo la vita a questi ragazzi».
Legando così la morte del poliziotto con la mancata strage. Esclamazione che secondo un testimone al di sopra di ogni sospetto, non sarebbe mai stata pronunciata. Tutti elementi che fanno emergere un terribile dubbio: le voci di mafia, anche in buona fede, fatte filtrare fino ai giornali e finite in atti giudiziari che legano Agostino e Piazza all’Addaura potrebbero essere l’ennesimo depistaggio. Tirare in ballo i morti, Agostino e Piazza, per lasciare in pace i vivi. Il tutto per non fare emergere il vero movente.
La confessione del pentito Lo Forte che trascina nel gorgodue uomini dello Stato e un pezzo da novanta come Gaetano Scotto apre scenari imprevedibili.
Segreti non solo di mafia, visto che più volte i Servizi hanno negato ai magistrati documenti importanti sugli omicidi dei due agenti...
E siamo ad oggi. Le indagini diranno se Aiello e il suo referente abbiano siano dentro questo puzzle in cui i confini tra mafia e Stato si assottigliano fino a scomparire. Se dietro quelle carriere insospettabili si nascondano davvero “Faccia da mostro” e “Lo zoppo”, due 007 pronti a tutto.


http://www.antimafiaduemila.com/content/view/32237/78/



venerdì 24 dicembre 2010

Botta e risposta tra Berlusconi e Telese

Durante la conferenza stampa di fine anno del premier il giornalista del Fatto pone una domanda, il Cavaliere risponde ma in serata con una nota corregge il tiro solo sulla Brambilla. E il ministro del Turismo annuncia una querela

Oltre due ore di conferenza stampa, 39 domande da parte dei giornalisti ma soltanto una meritevole addirittura di doppia risposta: la prima da Berlusconi in diretta tv, chiara e immediata; la seconda dall’ufficio del portavoce del premier dopo alcune ore, studiata a tavolino, per correggere il tiro. Forse qualche ministro non ha gradito le parole del Cavaliere. Inutile dire che a indispettire il presidente del Consiglio durante il consueto incontro di fine anno con la stampa, è stato un giornalista del Fatto Quotidiano: Luca Telese. La conferenza di Berlusconi è stata trasmessa in diretta da Sky e da Rai Uno integralmente. Il direttore del Tg1 Augusto Minzolini ha persino posticipato il telegiornale per non interrompere l’intervento fiume del premier. Per dovere di cronaca vale la pena trascivere integralmente, per chi si fosse perso il video, domanda e risposta. Seguite, ovviamente, dalla nota, postuma e correttiva, di Palazzo Chigi.


Al minuto 128 (due ore e 8 minuti) della conferenza stampa, dopo diversi siparietti tra il premier e alcuni giornalisti (“Saluti a lei e alla sua famiglia, che conosco”, risponde Berlusconi al cronista delMessaggero; “un uccellino mi ha detto che lei oggi compie gli anni, auguri per i suoi splendidi 23 anni”, dice alla giornalista del Corriere della Sera che sorride imbarazzata) arriva il turno di “Luca Telese del Fatto Quotidiano”, annuncia il presidente dell’Ordine nazionale dei Giornalisti, Enzo Iacopino.

“Buongiorno presidente, lei sa che la seguiamo con particolare attenzione”. Berlusconi tenta di interromperlo: “Sì direi non con imp..” ma Telese aggiunge: “anche con affetto, simpatia, slancio. Siamo i principali esegeti dell’operato del suo governo”. Il premier sorride: “Se non ci fossi io non esistereste editorialmente”. Telese arriva alla domanda: “Oltre alle realizazzioni del suo governo, che lei ha elencato in estrema sintesi, ce n’è anche altre: il ministro Scajola ha sistemato la casa a sua insaputa, l’ex ministro Lunardi ha sistemato l’azienda e ha avuto il buon cuore di ammetterlo, il ministro Brambilla ha sistemato il compagno all’Aci, il ministro Bertolaso ha sistemato moglie e cognato, non poteva non farli lavorare; il ministro Bondi ha avuto la simpatia di sistemare il figliastro e l’ex marito della compagna con una consulenza al suo ministero, diceva però che erano casi umani. Allora volevo chiederle: visto che molti elettori del centrodestra sono delusi da questo, non del centrosinistra, che cosa pensa di questo passaggio dal governo del fare a quello del sistemare? Si sente di condannare questi atteggiamenti?”.

Il premier risponde: “Se andiamo a vedere cosa ha fatto la sinistra, e cosa fa dove è al governo nelle regioni rosse dove c’è l’occupazione della sinistra, questi diventano casi di puro dilettantismo, a fronte del professionismo della sinistra. Sono casi spiacevoli, ma su 100 persone è impossibile trovare 100 santi, qualcuno può essere abbastanza lontano dalla santità. Succede nell’apparato umano, succede in tutta la società. Succede nei corpi che ammiriamo. Succede tra i Carabinieri, l’86% degli italiani ama l’arma dei Carabinieri, ma abbiamo visto che ci sono Carabinieri che fanno cose indebite. Succede tra i sacerdoti, in altre categorie. Succede perché l’uomo e la donna non sono esseri perfetti”.

Una risposta chiara, esauriente. Con tanto di sondaggio sul gradimento dei Carabinieri. Certo non entra nel merito della domanda, non una parola sui casi di cui Telese aveva chiesto chiarimenti o una condanna da parte del Presidente del consiglio. Solo alle 19 verrà toccato il caso del ministro Brambilla: nel comunicato stampa inviato da Palazzo Chigi. Una nota battuta dalle agenzie dal titolo “Illazioni e accuse infondate”.

L’ufficio del portavoce del premier, Paolo Bonaiuti, scrive: “In relazione alla risposta data dal presidente Berlusconi alla domanda del giornalista Luca Telese de Il Fatto Quotidiano, si deve precisare che le indicazioni esposte dal giornalista stesso sono frutto di mere illazioni e sue personali supposizioni. La risposta del presidente perciò non conteneva alcun giudizio di disvalore su quelle vicende, da lui mai approfondite; si trattava soltanto di un’osservazione di carattere generale. In particolare, il presidente Berlusconi ha potuto verificare l’assoluta e totale inconsistenza delle infondate accuse mosse al ministro Brambilla in cui il presidente ripone assoluta fiducia e che ha sempre dimostrato grandi capacità nella più assoluta trasparenza del suo agire. Inoltre, le elezioni dell’Aci sono avvenute con la massima regolarità e i consiglieri ricoprono un incarico meramente onorifico e non retribuito”.

Passa un’altra ora e, sempre dalle agenzie, arriva la voce del ministro Brambilla che comunica di “avere dato mandato ai suoi legali di procedere nelle sedi competenti nei confronti del giornalista Luca Telese, per le affermazioni del tutto mistificatorie e distorsive della realtà, riguardanti l’Automobile club di Milano, da lui fatte durante i programmi televisivi Exit, Mattino cinque e la conferenza stampa del presidente del Consiglio trasmessa quest’oggi sulle reti Rai”. Un recidivo dell’informazione, questo Telese, per Brambilla. Che non dimentica il lato umano della vicenda e annuncia che “devolverà la somma richiesta in sede di causa civile per il risarcimento del danno di immagine subito ad un ente benefico”. Telese si sentirà in colpa: se vince la causa (quando e se perverrà) l’ente benefico non vedrà neanche un euro.

Dunque il ministro del Turismo, Michela Vittoria Brambilla, non avrebbe sistemato nessuno all’Aci, scrive la presidenza del Consiglio. Per le dichiarazioni riguardo Sandro Bondi, Claudio Scajola, Pietro Lunardi e Guido Bertolaso, nulla da eccepire, non ha approfondito. Ricapitolando: “Il ministro Scajola ha sistemato la casa a sua insaputa, l’ex ministro Lunardi ha sistemato l’azienda, il ministro Bertolaso ha sistemato moglie e cognato, non poteva non farli lavorare; il ministro Bondi ha avuto la simpatia di sistemare il figliastro e l’ex marito della compagna con una consulenza al suo ministero, diceva però che erano casi umani”.

Secondo il premier senza di lui il Fatto Quotidiano non esisterebbe, ma anche i suoi ministri gli danno una buona mano.