sabato 8 gennaio 2011

Houston, abbiamo un problema: l’agenzia spaziale.


La sede era prevista per il 1999. Sarà pronta (forse) tra un anno. Niente appalto pubblico: i lavori furono secretati dall'ingegnere Angelo Balducci della "cricca". Il costo stimato era di 24 miliardi di lire, ora con le ultime modifiche sarà di 90 milioni di euro

Il progetto della nuova sede dell'Agenzia spaziale italiana nel quartiere romano di Tor Vergata

Doveva costare poco più di 24 miliardi di lire, secondo le previsioni della fine del ’99, e invece gli ultimi calcoli parlano di circa 90 milioni di euro. Doveva sorgere al quartiere Flaminio, riusando le strutture dell’ex Caserma Montello, e invece è stata costruita ex novo a Tor Vergata. Doveva servire per 250 dipendenti, e invece è stata faraonicamente dimensionata su 450, un valore che mai il ministero dell’Economia ha riconosciuto accettabile. Ma in cantiere ti confidano che a conti fatti ce ne staranno 100 in più. Poteva e doveva essere costruita con un pubblico appalto, e invece i lavori sono stati secretati da Angelo Balducci, l’ingegnere a capo della “cricca” delle opere pubbliche. È un altro duro colpo alle coronarie già così provate del cittadino-contribuente la storia della nuova sede dell’Asi, l’Agenzia Spaziale Italiana, l’ente pubblico (e feudo riconosciuto e conclamato degli ex An) incaricato di promuovere e sviluppare progetti nazionali e internazionali in campo aerospaziale.

Il palazzo non è ancora pronto, i lavori sono in ritardo di oltre un anno e bisognerà attendere almeno la fine del 2011, per l’ultimazione, ma già spicca maestoso, con la sua grande facciata a vetro semicircolare, davanti al cubo anonimo che ospita la facoltà di Ingegneria di Tor Vergata. A realizzare l’opera è la Sac, Società appalti e costruzioni di Claudio (padre) ed Emiliano Cerasi, quest’ultimo vicepresidente dei costruttori romani, grande collettore di opere pubbliche della capitale (dal Parco della Musica al Maxxi), considerato vicino al Pd. La Sac, poco dopo, avrebbe poi vinto anche la gara per la costruzione del nuovo teatro di Firenze, su cui si è sviluppata la ben nota indagine della magistratura fiorentina.

Invece di una normale procedura di affidamento, per la sede Asi venne imposta la segretezza (art. 33 della legge 104 del 1999) come se si stesse costruendo un’opera militare necessaria alla difesa della nazione, e non la sede di un ente di ricerca. Vero che dentro debbono essere anche custoditi alcuni documenti vincolati a segreto militare: quelli, ad esempio, del sistema civile-militareCosmo-Skymed, con quattro satelliti in orbita polare che controllano il globo 24 ore su 24. Ma le necessità logistiche non investono certo la sede intera: si limitano a pochi locali, meno di dieci, quelli allo scopo destinati nella sistemazione attuale dell’Asi, che si articola su due distinti palazzi, a via di Villa Grazioli e a viale Liegi. È bastato però questo espediente per secretare la gara su una costruzione che sviluppa in tutto ben 130 mila metri cubi. Vennero riservatamente invitate dieci aziende, con la formula del massimo ribasso. Vittoria della Sac con un punto di vantaggio sullaTodini, nell’agosto del 2005. A siglare una convenzione con il Provveditorato del Lazio per la realizzazione della nuova sede (dalla progettazione alla stazione appaltante al collaudo) era stato l’allora presidente dell’Asi, Sergio Vetrella, oggi senatore del Pdl e assessore della nuova Giunta della Regione Campania, sempre per lo stesso partito.

Il progetto precedente e poi abbandonato, quello della Caserma Montello, era invece diMassimiliano Fuksas, vincitore di una gara europea, poi liquidato con una parcella di circa 4 miliardi di lire e con un successivo indennizzo di 550 mila euro, pur di chiudere il contenzioso. I lavori della nuova sede, invece, sarebbero dovuti costare inizialmente 43 milioni di euro, ma sono poi saliti, a forza di modifiche e integrazioni, a 89 milioni e mezzo di euro, secondo l’ultima ricognizione che comprende le opere infrastrutturali. Sembra prevista una sala convegni da 600 posti, un asilo nido con scuola materna per i dipendenti, mensa da 300 posti, una sala fitness, parcheggi interrati, un sovrappasso. Nel 2007 Vetrella se n’è andato, e al suo posto, prima come commissario poi come presidente, è subentrato Enrico Saggese, compagno di scuola diGasparri e missino doc.

Intanto, nell’attesa che i 240 attuali dipendenti romani vadano a disperdersi in un palazzo che ne conterrebbe due volte e mezzo, sta esplodendo anche all’Asi il bubbone delle consulenze facili, dei favori agli “amici e sodali di partito” con un ispettore di finanza che da più di un mese scartabella documenti e analizza posizioni. Fra le più critiche, quella di Antonio Menè, funzionario della Camera distaccato all’Asi, come la legge prevede, per fare il segretario del Consiglio di amministrazione. Non previsto è invece che al suo lauto stipendio di 18 mila euro lordi al mese, si aggiunga un cadeau Asi di circa 65 mila euro. Una robusta indennità anche per l’avvocato dello Stato Pierluigi Di Palma, che ha pure fatto distaccare sua moglie, dal ministero delle Infrastrutture. Se i risultati dell’inchiesta non saranno secretati, come la gara per la nuova sede, ne vedremo delle belle.

da Il Fatto Quotidiano dell’ 8 gennaio 2011

Allegati

    Lavori in corso. Cubi di cemento e tubi davanti al cantiere romano dell’Asi


Povera Patria


Sprechi e ritardi per il 150° dell'Unità d'Italia. Bossi: "Niente da festeggiare"

Data di consegna lavori: 16 marzo 2011. Il cartello affisso sul ponteggio che imprigiona il monumento equestre ad Anita Garibaldi sul colle Gianicolo è l’ennesima offesa del governo Berlusconi alla memoria di chi nel 1861 fece l’Italia e purtroppo oggi si trova ad essere celebrato da quel che resta degli italiani.

L’altro ieri Umberto Bossi ha chiarito cosa pensa delle celebrazioni del 150esimo: “Non c’è niente da festeggiare”, ha detto il ministro delle riforme, “l’Italia è divisa in due. Chi sente che è una cosa positiva la festeggia, gli altri no”. Per vedere l’altra metà bisogna salire sul colle che vide nascere e morire la Repubblica romana. Il 150esimo è arrivato all’improvviso sul Gianicolo e l’Italia di Bossi e Berlusconi si è presentata all’appuntamento con la storia con ritardo e sciatteria . Il 9 febbraio il parco del Gianicolo, secondo il programma delle celebrazioni tuttora pubblicato sul sito di Palazzo Chigi, doveva essere inaugurato in pompa magna. Quel giorno fu proclamata nel 1849 la Repubblica romana.

E invece dopo avere sperperato mezzo miliardo di euro in opere che poco o nulla hanno a che fare con il Risorgimento sotto la guida di funzionari integerrimi come Angelo Balducci, Fabio De Santis e Mauro della Giovampaola, il governo Berlusconi si è ricordato all’ultimo momento che c’era un signore di nome Giuseppe Garibaldi, affiancato da una compagna di nome Anita, e da un gruppo di commilitoni, detti i mille, che più di 150 anni fa da queste parti avevano lottato e talvolta erano morti per la Patria. Incredibile a dirsi i cantieri dei restauri dei monumenti equestri dedicati all’eroe dei due mondi e ad Anita e gli 83 busti dei garibaldini, sono stati aperti il 3 dicembre scorso. Ovviamente l’inaugurazione del 9 febbraio salterà e la data della consegna lavori, come dice il cartello scritto a penna, è slittata al 16 marzo, 24 ore prima della festa che vedrà al suo centro proprio il parco del Gianicolo.

Il capo della Struttura di missione per le celebrazioni di Italia 150, Giancarlo Bravi, ne fa una questione filosofica: “Non è un ritardo ma una scelta. Volevamo far coincidere la consegna dei lavori con l’inaugurazione”. I restauratori all’opera sono meno entusiasti dell’appalto espresso: “se avessimo avuto la possibilità di lavorare con più calma sarebbe stato meglio”, spiega il titolare di una delle imprese che preferisce restare anonimo, “purtroppo l’incarico è arrivato all’ultimo momento. Per far prima la Presidenza del Consiglio ha creato tre appalti per tre società diverse. Consegneremo nell’ultimo giorno utile”.

I fondi per il programma di restaurazione dei “luoghi della memoria” come statue, ossari e luoghi di eventi chiave del Risorgimento, sono arrivati solo alla fine del 2010. Molto dopo la realizzazione delle grandi opere che nulla hanno a che fare con i garibaldini ma che interessavano ai politici di destra e sinistra.

Se oggi un turista arrivasse in Italia per veder come il nostro Paese celebra gli eroi che lo crearono resterebbe basito. Mentre le tombe dei garibaldini sono abbandonate nell’incuria e il monumento al condottiero in piazza Garibaldi a Napoli è ricoperto dalle scritte e circondato dall’immondizia, è stata realizzata ad Imperia con i soldi delle celebrazioni la pista ciclabile da 12 milioni di euro cara a Claudio Scajola. Per dare una patina di patriottismo alle pedalate dell’ex ministro nel suo feudo gli uomini della presidenza hanno rintracciato un passaggio da queste parti del genovese Mazzini. Mentre per giustificare la spesa di 31 milioni di euro per l’auditorium da 700 posti a Isernia (22 mila abitanti) sono tornati utili i fantasmi di sette garibaldini, uccisi in Molise.

Molte opere non saranno terminate in tempo. Il capo della struttura di missione Giancarlo Bravi sta lavorando bene ma deve scontrarsi con la programmazione insensata del Governo Prodi e con l’attuazione sprecona e – secondo i pm – corrotta dei funzionari nell’era Berlusconi. Il bilancio è desolante: il progetto faraonico del palazzo del cinema di Venezia, caro a Massimo Cacciari, non sarà realizzato e l’amianto trovato nell’area imporrà una bonifica aggiuntiva di 10 milioni di euro. Forse l’auditorium di Firenze da 236 milioni, dal quale parte l’inchiesta sulla cricca, dovrebbe essere inaugurato a dicembre con un concerto. Ma il maestro Zubin Metha si esibirà in uno “stralcio” dell’opera (da 156 milioni) senza la mirabolante macchina scenica che arriverà dopo il 150esimo. Anche l’auditorium di Isernia, caro all’ex ministro delle infrastrutture Antonio Di Pietro, non sarà terminato. Per far contento il sindaco la struttura guidata da Bravi consegnerà uno stralcio e forse si potrà tenere la messa in scena del Nabucco a dicembre. Poi il cantiere riaprirà, se arriveranno altri dieci milioni di euro dopo i 31 milioni già spesi.

Stavolta i soldi e il tempo non sono scuse valide. La struttura di missione della presidenza del Consiglio è stata creata nel 2007. Per accelerare le procedure e saltare i controlli il governo Prodi concesse la corsia preferenziale dei grandi eventi, usata dai funzionari amici di Diego Anemoneper fare i propri affari personali. Il gruppo Anemone ha vinto l’appalto dell’allargamento dell’aeroporto di Perugia. Una delle ragioni per le quali il primo capo della struttura di missione di Italia 150 Angelo Balducci è stato arrestato è proprio la messa a disposizione da parte del consorzio dell’aeroporto (composto anche dalla società Redim 2002 della moglie di Diego Anemone) di un’automobile Bmw.

Anche gli avvocati Edgardo Azzopardi e Camillo Toro, rispettivamente amico e figlio del procuratore Achille Toro, coinvolto con loro nella fuga di notizie che indusse la Procura di Firenze ad accelerare gli arresti, hanno ricevuto consulenze dalle imprese esecutrici dei cantieri di Italia 150. Mauro della Giovampaola, che prese il posto di Angelo Balducci al vertice della struttura di missione, quando arrivò a Venezia per la posa della prima pietra del palazzo del cinema, si vide recapitare in stanza al Gritti una escort dal solito Anemone. E lo stesso destino toccò in sorte a Fabio De Santis, commissario per la realizzazione dell’auditorium di Firenze. Non ci vuole molto a capire perché le opere faraoniche sono state privilegiate. Il povero Garibaldi e le restauratrici che stanno lavorando al freddo di gennaio per chiudere i lavori in tempo, non avevano escort da offrire. Così l’eroe dei due mondi si ritrova allo scoccare del 150esimo ingabbiato e persino imbustato come una merendina. Mentre i Garibaldini sono stati incappucciati con buste dell’immondizia. Se fosse ancora in carne e ossa e non inchiodato alla sua sella di bronzo, l’eroe dei due mondi scenderebbe dal cavallo e correrebbe dalla sua Anita per inveire contro il secondo tradimento dei suoi connazionali. Ancora una volta sul Gianicolo. Nel 1849 proprio per la delusione patita dai romani che lo lasciarono solo a combattere scrisse alla bella creola che aveva lasciato il marito nel Rio Grande per seguirlo scusandosi del carattere dei connazionali. A vedere le zampe del cavallo di Anita corrose dall’incuria e sostenute dai tubi Innocenti , Garibaldi scriverebbe di nuovo “tu donna forte e generosa con che disprezzo guarderai questa ermafrodita generazione di italiani: questi miei paesani ch’io ho cercato di nobilitare tante volte e che sì poco lo meritavano”.

(ha collaborato Damiano Zito)

Nella foto la prima bandiera italiana, così come è esposta al museo del Risorgimento di Torino.




venerdì 7 gennaio 2011

Muovi Palermo


Una festa creata da cittadini, il movimento "Muovi Palermo", per i cittadini, senza interventi della politica e senza finanziamenti pubblici.

Faenza, il giallo delle tortore che cadono dal cielo.















Che sia davvero vicina la fine del mondo? Milioni di uccelli cadono, morti, dal cielo: dagli Stati Uniti alla Svezia e ora anche in Italia, a Faenza. Massimo Bolognesi del Wwf ci accompagna nel punto in cui, da domenica scorsa, stormi di tortore precipitano giù, senza vita. Siamo a un chilometro scarso dal centro storico. «Solo noi - ci dice Bolognesi - ne abbiamo raccolte quattrocento. Ma le tortore morte sono sicuramente molte di più: migliaia. Perché muoiono? Non lo sappiamo. Per il momento è un mistero».

Qui a fianco c’è una grande azienda che lavora le farine animali e vegetali, le vinacce e alcune fonti di energia rinnovabile. Inquinamento? Sarebbe troppo semplice, e soprattutto poco logico: l’azienda c’è da tempo, le sue lavorazioni sono sempre le stesse, ma la morìa di uccelli è solo di questi giorni. E poi non è detto che le tortore si siano «ammalate» qui: potrebbero aver contratto il morbo altrove ed essere venute da queste parti per il congedo.

Massimo Bolognesi è una delle «guardie giurate volontarie» che periodicamente svolgono controlli di questo tipo.

Dice che la strage sta avvenendo nel disinteresse generale delle autorità: «Non abbiamo nemmeno avvisato la Provincia perché secondo noi la Provincia non è competente in materia. Pensiamo che sia una questione sanitaria, e quindi abbiamo avvisato l’Asl. Sa che cosa ci ha risposto? Prendiamo quattro tortore per farle analizzare. Ma delle carcasse non hanno voluto interessarsi. Eppure mi pare che un minimo di prevenzione per la popolazione sarebbe opportuno. Alcuni uccelli morti li hanno trovati anche in centro città: e se fosse un’epidemia contagiosa per l’uomo? Quanto a quelli dell’Arpa, l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, hanno fatto spallucce: muoiono perché mangiano troppo, ci hanno risposto».

Se la strage sia dovuta a un’indigestione collettiva oppure ad altro, lo diranno le analisi. Diciamo che se si accertasse che gli ingordi volatili se la sono cercata abbuffandosi per le feste di Natale, saremmo tutti più tranquilli. A patto che un analogo risultato lo dessero le analisi che si attendono dagli Usa: dove la misteriosa epidemia ha già scatenato una psicosi di massa. Migliaia di merli sono piovuti giù stecchiti in Arkansas, in Louisiana, in Kentucky. Qui una donna ha addirittura trovato dozzine di uccelli morti dentro casa: una scena terribile, degna del celeberrimo film di Hitchcock.

E se il grande regista inglese utilizzò proprio gli uccelli per simboleggiare le nostre più ancestrali paure, un motivo ci sarà. In fondo dal cielo ci attendiamo tutto il bene e tutto il male possibile: la salvezza o un’eterna punizione. Così negli States profeti, astrologi, cartomanti e ciarlatani vari si sono scatenati assicurando che la strage di uccelli è un segno preciso che l’Altissimo ci sta inviando. Una specie di ultima chiamata prima del redde rationem. Non bastavano i Maya, insomma, a dirci che il 21 dicembre del 2012 il nostro tempo sarà scaduto. Adesso ci si mettono i telepredicatori americani. La setta cristiana di Harold Camping, da una radio californiana seguita da milioni di ascoltatori, assicura che «siamo agli sgoccioli» e fissa date ancora più vicine di quella stabilita dai Maya: il 21 maggio prossimo ci sarà il giorno del giudizio, e il 21 ottobre, quando la Terra prenderà fuoco, la fine del mondo. Non è chiaro se nei cinque mesi che intercorrono tra il giudizio e la fine ci sarà tempo per ricorrere alla Cassazione dell’Onnipotente; ma forse non è un caso che tutto avverrà dopo la decisione della nostra Corte Costituzionale sul legittimo impedimento.

C’è poco da scherzare, comunque, visto che un recente sondaggio del Pew Research Center ci ha informato che il 41 per cento degli americani si dice convinto che la Parusia, cioè il ritorno di Cristo giudice sulla Terra, avverrà entro il 2050. La percentuale sale se si considerano gli americani (bianchi) fedeli delle chiese evangeliche: 58 per cento.

Ci si consola pensando che Harold Camping aveva già predetto la fine del mondo per il 1994, mentre di quell’anno almeno noi italiani ricordiamo solo la finale dei mondiali persa ai rigori con il Brasile e la discesa in campo di Berlusconi. Il credente un po’ più serio sa, poi, che Gesù ci ha detto che «nessuno sa né il giorno né l’ora», e che il giudizio arriverà inatteso e imprevisto come un ladro che entra in casa di notte. Chiunque abbia fissato una data per l’Apocalisse, finora è stato smentito dai fatti. I Testimoni di Geova hanno annunciato la fine, ovviamente toppando, più di una volta. E il 31 dicembre del Mille la grande attesa di dotti e chierici nei conventi e nei monasteri (la gente comune non sapeva neppure in che anno era) si concluse con un brindisi di mezzanotte.

Tuttavia il valore simbolico di ogni segno che viene dal cielo è enorme. Dal cielo cadde la manna, ma anche sventure e punizioni. Di animali morti che piovono giù si parla in molti testi antichi, compresa la Bibbia: una delle piaghe d’Egitto fu una pioggia di rane, pidocchi, mosconi e cavallette. In America c’è chi sostiene che gli uccelli morti sono da collegare a quanto scritto dall’apostolo Giovanni nel Libro dell’Apocalisse, cioè della Rivelazione: è il libro che chiude il Nuovo Testamento.

Ma in fondo per preoccuparsi non occorre agitare lo spauracchio della fine del mondo. E’ sufficiente pensare che la strage di animali di questi ultimi giorni potrebbe essere, più «semplicemente», l’effetto di una colossale epidemia, o dell’inquinamento che ci siamo procurati con le nostre mani, senza scomodare Iddio. Abbiamo detto dei merli caduti negli Stati Uniti. Ma ci sono da aggiungere i corvi volati giù morti a Göteborg, in Svezia. E, oltre agli uccelli, i pesci: martedì scorso hanno trovato due milioni di carcasse nella baia di Chesapeake, nel Maryland. Altri centomila pesci sono andati a morire sulle sponde dell’Arkansas River.

«Io credo che la causa della morte di queste tortore - ci dice Massimo Bolognesi parlando del caso della sua Faenza - sia da ricercare fra una di queste: o un inquinamento temporaneo prodotto da qualche azienda; o l’aviaria o qualche altra malattia; oppure ancora l’avvelenamento. Qualcuno potrebbe averle avvelenate perché le tortore mangiano grandi quantità di sementi». Viene da aggiungere: speriamo. La paura della fine del mondo è tale che anche l’inquinamento, una pandemia o la cattiveria umana sarebbero buone notizie.




La permalosità di mr. B.


Vista la quantità di cause intentate da B, deve essere il più permaloso d'Italia

ha querelato la Gabanelli per il Report su Antigua (in totale la Gabanelli ha cause per 150 milioni di €)

Di Pietro per aver parlato male di lui in campagna elettorale (ridicolo!)

tutti i libri che rivelano l'origine dei suoi soldi

Repubblica (per un milione di €) per avergli fatto le 10 domande a cui non ha mai dato risposta (è la prima volta al mondo che un premier querela un giornale per avergli fatto delle domande)

El Pais per le foto di Zappadu

l'Unità per 2 milioni

e Il fatto Quotidiano

L'independent per il suo dossier su di lui
che lo disegnava come un padrino della mafia

The Economist per aver scritto che non era adatto a governare l’Italia

l giornalista britannico David Lane per il suo libro "L’ombra di Berlusconi", che esplora le origini della sua fortuna e fa notare che alcuni dei suoi collaboratori sono stati indagati per rapporti con la mafia

Alxander Stille, docente alla Columbia University e autore di molti accurati libri sull’Italia

Diciamo che B perde tutte queste cause ma intanto rompe le balle, costringe gli avversari politici a faticose difese, fa loro perdere soldi e tempo
e appare sulla stampa come una vittima
L'apripista che gli ha dato l'idea di usare l'arma della querela è stato il solito D'Alema che querelò Forattini. La differenza sta nel fatto che B è l'uomo più potente e ricco d'Italia, uno che controlla anche i media dell'opposizione. E' immorale che chi ha una tale posizione di forza assoluta usi anche la querela. Per fare un es. Andreotti non ha mai querelato nessuno. Il punto non è vincere una causa, quanto intimidire i giornalisti e gli organi d’informazione con la prospettiva di un lungo e dispendioso processo. "Portarne a processo 1 per modificare il comportamento di altri 100" (come ha detto Stille). La sua squadra di avvocati è un minaccioso modello attraverso il quale B intend eintimidire la stampa.

Viviana Vivarelli.


giovedì 6 gennaio 2011

Valico dei Giovi, cattedrale incompiuta da sei miliardi di euro.

Il Cipe ha stanziato a novembre altri 500 milioni di euro per il tratto dell'Alta velocità che dovrebbe collegare Milano a Genova. Intanto restano bloccati i fondi per la ricostruzione de L'Aquila e delle scuole del Sud, che vantano un credito di 600 milioni di euro, denaro assegnato ma fermo da un anno

Meno di un dodicesimo, cinquecento milioni sulla spesa complessiva prevista di oltre 6 miliardi. È questa la proporzione del finanziamento che lo scorso 18 novembre il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) ha accordato rispetto al totale necessario per realizzare il Valico dei Giovi, tratta della Tav Milano Genova. Mezzo miliardo di euro per un’opera che negli anni ’90 costava meno di un terzo e di cui si promette l’inaugurazione da quasi trent’anni. A cosa servirà questo primo stanziamento? A riaprire i cantieri, assumere personale, dare respiro alle promesse elettorali. Poi, se non si troveranno altri soldi, si ritornerà al 2007, quando le opere sono state chiuse perché i fondi erano esauriti.

Il quadro drammatico delle casse statali impone delle scelte. Per riaprire i cantieri del Valico dei Giovi, ad esempio, si rinuncia alle ultime assegnazioni per la ricostruzione degli edifici in Abruzzo e alla ristrutturazione delle scuole meridionali: a tutt’oggi, i fondi bloccati per completare questi due interventi ammontano a circa 600 milioni. In pratica, manca all’appello il 40% di ciò che è stato previsto dopo il terremoto abruzzese per la ricostruzione di edifici pubblici e privati e circa la metà di quanto promesso dal Cipe nel 2009 alle opere medio-piccole del Mezzogiorno. Quindi, perché secondo il Cipe l’antipasto della Tav Genova-Milano è prioritario rispetto ai terremotati abruzzesi e agli studenti meridionali? Se qualcuno lo chiede al segretario del Comitato, Gianfranco Miccichè, si sente rispondere che i soldi stanziati dall’ultimo governo vanno solo verso le opere del Nord e che «bloccheremo tutti i fondi se non arrivano i fondi anche per le opere nelle altre regioni». Invece, il sindaco de L’Aquila Massimo Cialente ha un’altra spiegazione: «In Italia si pensa prima a rifare il salotto buono e poi la cucina, cioè prima si pensa alla grande opera e poi a quelle essenziali per il territorio. Perché? L’infrastruttura nuova si annuncia, crea consenso elettorale, invece i soldi impiegati per le piccole opere non hanno visibilità. Ma prima di fare il Ponte sullo Stretto bisogna mettere in sicurezza il Paese. Ed è il governo in carica che decide quali siano le priorità».

«Il Governo farebbe bene a decidere quali infrastrutture sono prioritarie e a minor impatto ambientale, sociale ed economico», tuonava qualche tempo fa il Wwf. E il governo lo ha fatto: due su tre sono al Nord. Riprende Cialente: «Mi sono dimesso da vicecommissario alla ricostruzione per i ritardi nelle assegnazioni dei finanziamenti selezionati dal Fas: un miliardo di euro che non possiamo usare perché la governance che sovrintende i lavori, decisa dal governo, è inadeguata. A volte mi viene il sospetto che sia fatto tutto apposta per non farci usare i fondi. Ma noi come facciamo a non essere prioritari con 14mila persone che ancora non hanno ripreso possesso della propria casa?». Sarà anche perché scarseggiano gli sponsor per l’Abruzzo e per le opere di manutenzione al Sud. Mentre per il Valico dei Giovi non mancano: in primis, l’ex ministro Claudio Scajola e quindi il viceministro alle Infrastrutture Roberto Castelli. Scajola, in particolare, al Valico è legato per provenienza: ligure d’origine e dominus di molti progetti infrastrutturali in regione, l’ex ministro sa che la Tav Milano Genova è il sogno di molti conterranei. A cominciare dai 150mila pendolari che transitano ogni mattina tra il capoluogo lombardo e quello ligure, per proseguire con gli abitanti delle zone interessate che vedrebbero occupazione e sviluppo, e concludere con gli imprenditori che collegando il porto genovese a Milano incrementerebbero ricavi e investimenti.

Infatti nel caso del Terzo Valico il problema non è la volontà, ma la disponibilità: l’opera è antieconomica. Pian piano l’hanno ammesso tutti: la Banca europea per gli investimenti, l’Ispa (Cassa depositi e prestiti), gli imprenditori. Il tratto costa oltre sei miliardi e per ora la Ue non ha intenzione di sborsare un euro. Tant’è che l’estate scorsa Giovanni Calvini, presidente di Confindustria Genova ha dichiarato a proposito del Valico: «A questo punto sarebbe meglio rinunciare. Le abbiamo provate tutte ma da soli non ce la facciamo». Ed è comprensibile visto che con questi chiari di luna dovuti alla crisi è improbabile che lo Stato sborsi sei miliardi per un tratto della Tav considerato tra i più cari d’Europa: 6.200 milioni per 54 chilometri di tracciato, 114 milioni di euro per chilometro. Per alleggerire il peso sull’Erario Castelli ha proposto di spalmare la cifra necessaria per tutti gli anni di lavoro, almeno altri otto secondo le previsioni: in pratica, una tassa in più. E poi una volta terminato il Valico, secondo alcune stime i costi di gestione ricadrebbero per l’85% sullo Stato: la tassa, quindi, sarebbe definitiva.

A proposito del Valico, un anno fa il Wwf ha acceso il sospetto di cantieri rilanciati per soli fini elettorali: «Alcuni commi della finanziaria appena votata alla Camera rischiano di trasformare i primi cantieri delle Grandi Opere in colossali incompiute, cattedrali nel deserto». In effetti uno dei commi stabilisce che «il contraente generale o l’ affidatario dei lavori nulla abbia a pretendere nel caso dell’eventuale mancato o ritardato finanziamento dell’intera opera o di lotti successivi». E perfino l’Ance (Associazione nazionale dei costruttori edili) è d’accordo con gli ambientalisti: «I timori del Wwf sono condivisibili – spiega Stefano Delle Piane, vicepresidente nazionale di Ance – (…) È come se lo Stato dicesse: sappi che oggi i quattrini ci sono ma non potrai eccepire se in futuro non arriveranno. Diciamo che io, che lavoro con i miei soldi, un contratto del genere non lo firmerei».

Il Valico però si deve fare, costi quel che costi, anche se a spese del costruttore. Fin dal 1994 – quando l’opera valeva appena 1,5 miliardi di euro – la vicenda è stata ricca di previsioni definitive e smentite categoriche. Con alcuni esponenti politici in rilevanza. Uno di questi è il senatore Luigi Grillo, fedelissimo di Scajola, finito sotto l’occhio degli inquirenti nel 1999: alcune associazioni ambientaliste avevano denunciato i tempi e i costi dei lavori per il Valico che lievitavano in maniera irrazionale. Il 24 febbraio 1998 si decide il sequestro dei cantieri aperti nell’alessandrino, tra Franconalto e Voltaggio, e nel 1999, per decreto del ministro Ronchi, i cantieri sono chiusi. Intanto, a tal proposito, la Procura di Milano rinvia a giudizio per truffa aggravata nei confronti dello Stato proprio il senatore Luigi Grillo (al tempo presidente della Commissione ambiente del Senato) ed Ercole Incalza, che ha qualcosa in comune con Scajola: anche lui sembra abbia usato soldi ricevuti dalla “cricca” per acquistare una casa a Roma. A proposito dell’inchiesta sull’opera alessandrina, nel 2006 i reati cadono in prescrizione: Grillo, Incalza ed altri manager fruiscono della legge ex Cirielli. In ogni caso, nel 2005 Grillo è di nuovo sui cantieri auspicando la pronta ripresa dei lavori e a giugno del 2010 il senatore è ancora a Voltaggio per promettere che presto la Tav si rimetterà in moto: a ottobre, però, non c’era ancora nessuno a popolare i prefabbricati cantieristici, abbandonati o quasi da almeno tre anni.

Ma è Claudio Scajola il vero promoter del Valico durante i governi Berlusconi. Nel 2001, Lunardi inserisce il tratto tra le opere prioritarie del governo e la Banca europea per gli investimenti promette fondi che nel 2007 ritirerà: è un’infrastruttura antieconomica. Il governo rilancia: l’opera sarà pagata tramite obbligazioni dell’Ispa (Infrastrutture Spa). Ma nel 2006 il presidente della società, Andrea Monorchio, smentisce in maniera categorica: «Si sapeva da sempre che la Milano-Genova non era finanziabile con le modalità finora seguite per le altre tratte dell’alta velocità. Costa 5 miliardi e l’opera non è redditiva perché i ricavi valgono solo il 15% dei costi». E anche Mauro Moretti, ad di Ferrovie dello Stato, affermava tre anni fa: «Nessuno vuole cancellare il progetto del Terzo Valico, però oggi le priorità sono altre». Ma quando nel 2008 Berlusconi torna al governo e Scajola approda al ministero dello Sviluppo economico, Moretti cambia idea sull’importanza dell’opera, che torna ad essere prioritaria. E alla prima riunione del Cipe il Valico dei Giovi ottiene subito lo stanziamento dei primi 500 milioni. Soldi che un mese fa sono stati confermati e che rimetteranno in moto i cantieri per un altro anno – forse qualcosa di più – poi si vedrà. Intanto, la ristrutturazione in Abruzzo e le piccole opere del Mezzogiorno dovranno aspettare il prossimo giro: i soldi non possono bastare se le priorità sono altrove.

di Gianluca Schinaia – FpS Media

Miracolo italiano: un Previti è per sempre. - di Marco Lillo




Continua a fare l'avvocato e potrebbe anche ricandidarsi. Grazie a indulto e sconti ad hoc è libero dal 2009 e sono decadute anche le pene accessorie

“L’avvocato Cesare Previti? E’ fuori studio, può riprovare domattina”. Fa impressione sentire la voce cortese che risponde al telefono dello studio Previti fondato nel 1958 dall’allora esordiente Cesare insieme al padre Umberto e ora ereditato dai figli. Non tanto perché l’avvocato amico diSilvio Berlusconi sia in giro per Roma. Teoricamente sarebbe stato condannato a sette anni e mezzo di carcere ma si sa come vanno le cose in Italia: l’avvocato settantaseienne ha scontato pochi giorni di galera nel maggio del 2006 e poi un periodo di arresti domiciliari e di affidamento ai servizi sociali all’associazione di don Picchi. Grazie all’indulto e ai tanti sconti, alcuni introdotti dal Governo Berlusconi come la legge ex Cirielli, Previti è libero dal dicembre del 2009.

Nel 2007, per evitare che la Camera dei deputati lo cacciasse in esecuzione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, Previti si dimise. Per far abbandonare la poltrona al deputato pluripregiudicato ci vollero un anno e mezzo di cavilli, ricorsi e sedute della giunta per le elezioni. Nulla al confronto di quello che si sta verificando sul fronte professionale. L’avvocato Cesare Previti ha subito l’interdizione perpetua da parte dei giudici con sentenza definitiva e la radiazione da parte dell’Ordine degli avvocati ma resta iscritto regolarmente all’albo dei cassazionisti come risulta dal sito Internet dell’Ordine di Roma.

Sono passati quindici anni da quando Stefania Ariostoraccontò le mazzette pagate negli anni ottanta ai giudici dall’avvocato per vincere le cause di Berlusconi e di altri clienti. Previti è stato condannato in via definitiva due volte e prescritto per una terza vicenda. Sono passati più di quattro anni e mezzo dalla prima condanna definitiva per corruzione in atti giudiziari per la vicenda Imi – Sir, una bazzecola da mille miliardi di allora. Sono passati 3 anni e cinque mesi dalla seconda condanna per la sentenza in favore di Silvio Berlusconi sul Lodo Mondadori, una robetta da 750 milioni di euro, eppure l’ex ministro della difesa è ancora iscritto all’albo degli avvocati. L’avvocato che aveva trasformato il foro romano in un suk è stato graziato dalla lentezza della giustizia della casta dell’Ordine professionale che si è dimostrata incredibilmente più lenta di quella della casta dei parlamentari.

Non uno dei 25 mila avvocati di Roma ha trovato da ridire sulla sua iscrizione all’Ordine. Un silenzio che offre argomenti a chi invoca l’abolizione di un’istituzione che limita la concorrenza e che dovrebbe giustificare la sua stessa esistenza con la tutela dell’ etica e della deontologia. Il Fatto Quotidiano si era occupato dell’incredibile caso della mancata radiazione nell’ottobre del 2009. Allora ci spiegarono che Previti era stato radiato dall’Ordine di Roma nel 2008 ma la decisione era stata impugnata davanti al Consiglio Nazionale Forense. Il presidente nazionale, il professor Guido Alpanell’ottobre scorso ha fatto il suo dovere: “Il consiglio su mia proposta ha disposto la radiazione dell’avvocato Previti ma esiste un terzo grado di giudizio”. Ovviamente Previti non si è fatto sfuggire l’occasione: “Abbiamo presentato ricorso in Cassazione”, spiega il difensore dell’ex ministro della difesa,Alessandro Sammarco “così la sanzione disciplinare dell’Ordine è sospesa fino alla decisione definitiva delle sezioni unite civili della Cassazione”. Ci vorrà almeno un altro anno. “Fino ad allora”, continua Sammarco, “Cesare Previti è un avvocato a tutti gli effetti e potrebbe difendere in giudizio i suoi clienti anche se, per sua scelta, preferisce non farlo”.

Secondo l’Ordine di Roma le cose non stanno così: Previti non potrebbe operare comunque perché la sentenza di condanna prevede per lui l’interdizione perpetua che impedisce l’esercizio della professione a prescindere dalla radiazione dell’Ordine. “Quella pena accessoria però”, ribatte sicuro l’avvocato Alessandro Sammarco, “si è estinta a seguito dell’esito positivo dell’affidamento ai servizi sociali nel dicembre del 2009. L’articolo 47 comma 12 dell’Ordinamento penitenziario dice chiaramente che: ‘l’esito positivo del periodo di prova estingue la pena e ogni altro effetto penale’, quindi”, prosegue Sammarco, “anche le pene accessorie”. E qui arriva il colpo di scena: tutte le pene accessorie, anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici in sede politica. Ergo, come spiega l’avvocato Sammarco, “in linea teorica Cesare Previti potrebbe candidarsi alle prossime elezioni, anche se si tratta di un’ipotesi astratta come quella della sua difesa in un processo”. Altro che scandalo per la presenza del difensore Cesare Previti in un tribunale. Presto l’avvocato potrebbe tornare in Parlamento. E allo studio di via Cicerone, per parlare con il pluripregiudicato, bisognerà chiedere dell’“Onorevole avvocato Previti”.

da Il Fatto Quotidiano del 5 gennaio 2011

Su gentile concessione di:

http://ilgiornalieri.blogspot.com/2011/01/miracolo-italiano-un-previti-e-per.html