giovedì 13 gennaio 2011

Dario Fo - satira su Berlusconi parte 3.


Gli Agnelli restituiscano 7 miliardi di euro.


Sette miliardi e seicento mila euro: è questa la cifra che lo Stato italiano, tramite finanziamenti, ha erogato alla Fiat tra il 1977 e il 2009. Il dato proviene da Giuseppe Bortolussi, segretario degli artigiani e dei piccoli imprenditori della Cgia di Mestre, che ha quindi fornito il dato dei soldi pubblici finiti a Torino nel corso degli ultimi 33 anni. Si tratta di "una cifra importante - spiega Bortolussi - che ha toccato la dimensione economica più rilevante negli anni '80. In questo periodo di profonda ristrutturazione di tutto il settore automobilistico mondiale, la casa torinese ha ricevuto dallo Stato italiano oltre 5,1 mld di euro. A fronte di questi dati - afferma il segretario - le affermazioni fatte nei giorni scorsi dal dottor Marchionne mi sembrano quanto meno ingenerose".

Bortolussi prosegue fornendo numeri più dettagliati: dal 1990 in poi, 1,279 miliardi di euro sono stati investiti per la costruzione degli impianti di Melfi e Pratola Serra. Altri 272,7 milioni sono stati utilizzati per ristrutturare gli impianti di Melfi e Foggia tra il 1997 e il 2003. Lo Stato ha inoltre "coperto" gli incentivi alla rottamazione con 465 milioni di euro. Trattasi sempre di fondi statali, pubblici. "In questa analisi - conclude Bortolussi - non abbiamo tenuto conto dell’importo sostenuto per l’erogazione degli ammortizzatori sociali. Tra il 1991 e il 2002 la spesa è stata pari a 1,15 mld di euro. Un’entità, che è bene ricordare, è stata sostenuta anche dalla Fiat e dai suoi dipendenti".

Tutte le voci, complessivamente, convogliano nei 7,6 miliardi di euro che lo Stato ha "girato" al Lingotto. Dopo le polemiche tra Marchionne e Fini, dunque, parlano i numeri.


Wikileaks, Usa: “Ponte sullo stretto grande beneficio alla mafia”.


"Anche se le associazioni imprenditoriali, i gruppi di cittadini e la Chiesa, almeno in alcune aree, stanno dimostrando promettente impegno nella lotta alla criminalità organizzata, lo stesso non si può dire dei politici italiani, in particolare a livello nazionale". Lo scrive J. Patrick Truhn, console generale Usa a Napoli, in un dispaccio del giugno 2008 pubblicato da Wikileaks.

La mafia potrebbe essere “tra iprincipali beneficiari” della costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, che comunque “servirà a poco senza massicci investimenti in strade e ferrovie” in Sicilia e Calabria. I politici italiani “fanno poco” nella lotta al crimine organizzato, mentre la Chiesa cattolica deve “cooperare di più”. E’ l’analisi del diplomatico americano J. Patrick Truhn, console generale a Napoli, contenuta in cinque dispacci datati tra il 2008 e il 2009 e pubblicati da Wikileaks. Il diplomatico americano cita anche Roberto Saviano, definendolo “una bussola per la lotta alla mafia”, che dice agli Usa: contro la criminalità organizzata c’è “scarso impegno a livello nazionale”.

In quello più recente, del 15 giugno 2009, Truhn analizza la situazione in Sicilia, dopo lo scontro politico tra Raffaele Lombardo e “il partito del premier Silvio Berlusconi“, e l’incertezza politica che tra le altre cose ha “bloccato una operazione americana per la trivellazione del gas e minaccia di rinviare un importante sistema di comunicazione satellitare della Marina statunitense”. Il principale beneficiario del ponte sullo Stretto “potrebbe essere” quindi la mafia, di entrambe le sponde, “semmai verrà costruito”, e comunque “servirà a poco senza massicci investimenti in strade e infrastrutture in Sicilia e Calabria”. Il paragrafo è intitolato, forse con involontaria ironia, “The Bridge to More Organized Crime” (Il ponte per un crimine più organizzato, ndr).

In un altro dispaccio del giugno 2008, il console Usa scrive che “anche se le associazioni imprenditoriali, i gruppi di cittadini e la Chiesa, almeno in alcune aree, stanno dimostrando promettente impegno nella lotta alla criminalità organizzata, lo stesso non si può dire dei politici italiani, in particolare a livello nazionale”. La Chiesa cattolica poi viene “spesso criticata per non assumere” forti pubbliche posizioni contro il crimine organizzato, quei “pochi preti che lo fanno” finiscono sotto scorta, quindi “Washington potrebbe considerare” di cercare una “maggiore cooperazione” con il Vaticano.

Il console generale Usa a Napoli, in un altro dispaccio, denuncia il disinteresse mostrato dal presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, alle richieste di incontro. Lombardo “ha poco tempo per i funzionari stranieri”, e come presidente della Provincia di Catania ha concesso “solo una telefonata di 5 minuti” con il console generale Usa a Napoli, mentre da presidente ha rifiutato di “ricevere sia l’ambasciatore Ronald Spogli sia il personale diplomatico di Palermo”. Lo si legge in un dispaccio del giugno 2009, nel quale il diplomatico lamenta tra l’altro la “disinformazione” posta in essere da alcuni politici siciliani che “ha bloccato senza seri motivi” le trivellazioni della texana “Panther Eureka Gas” a Ragusa, e del sistema di comunicazione satellitare della Marina Usa nei pressi di Niscemi.



Raffaele Lombardo sorvegliato tutte le notti dal corpo forestale. Nel centro di Catania.


La sorveglianza notturna nella residenza privata del presidente della regione Sicilia è affidata a un corpo cui non spetterebbe questa mansione. Ma si tratta di un vero e proprio esercito "alle dipendenze" del governatore: 25mila unità sull'isola. In tutta Italia sono 70mila.
La logica vorrebbe la guardia costiera a vigilare lungo le coste e il corpo forestale a sorvegliare boschi e parchi naturali. In Sicilia però la logica non è sempre il criterio più gettonato, se una pattuglia di guardie forestali presta quotidianamente servizio al centro di Catania, in una via interamente lastricata in pietra lavica dove gli unici alberi sono quattro ulivi rachitici piantati in vaso.

La loro missione ha poco a che fare con la tutela delle aree boschive o i reati ambientali: dal tramonto all’alba, infatti, montano la guardia alla residenza del Presidente della Regione, Raffaele Lombardo. Dal 2008 il leader dell’Mpa fa la spola tra il capoluogo etneo e Palermo, dove, da governatore, non si è nemmeno preso la briga di cercare casa: appena eletto, annunciò che avrebbe fatto casa i putìa, come si dice in Sicilia. Quando necessario, cioè, avrebbe dormito direttamente a Palazzo d’Orleans. Casa e bottega.

Sotto casa sua a Catania, però, i forestali montano la guardia trecentosessantacinque notti l’anno: scarponi ai piedi, berretti in testa e la jeep parcheggiata sul marciapiedi, vanno via al mattino, quando arrivano le prime bancarelle della fiera.

Non che il presidio della centralissima via Pacini richieda le particolari competenze del corpo forestale: verde ce n’è poco, la tipica “fauna” del mercato di piazza Carlo Alberto prolifica senza bisogno di tutela e, quanto alla prevenzione valanghe, è difficile credere che sia prioritaria per l’incolumità di Lombardo.

Sulla carta, gli alberi siciliani sono i meglio sorvegliati d’Italia. Nell’isola ci sono poco più di cinquecentomila ettari di bosco e circa venticinquemila guardie forestali. Tanto per fare un paragone, l’intero Corpo Forestale dello Stato consta di 70mila unità.

Quello dei forestali è un vero e proprio esercito alle dirette dipendenze della Presidenza della Regione, (essendo la Sicilia una regione a statuto autonomo) che costa alle case regionali circa 170 milioni di euro l’anno e che diminuisce solo con i pensionamenti. “Non posso licenziarne nemmeno uno” si lamentava qualche mese fa il governatore Lombardo in un’intervista al Giornale.

La cosa che gli riesce meglio, del resto, è assumere: l’ultima infornata di dipendenti pubblici è stata annunciata con l’anno nuovo. Quattromila nuovi dipendenti per la sanità, ottomila stagisti (per un anno) e ventiduemila stabilizzazioni. Una mossa che farà levitare ulteriormente la spesa regionale. Secondo l’ultimo studio di Confartigianato, la Regione Sicilia spende per il proprio personale dodici volte più del Veneto: 151 milioni la spesa sostenuta dai veneti, un miliardo e settecento milioni quella per gli stipendi degli impiegati siciliani.

di Claudia Andreozzi



mercoledì 12 gennaio 2011

Stilisti, attrici e imprenditori Ecco chi aveva i soldi in Svizzera.


Da Valentino alle Sandrelli, C'è anche Telespazio

Elisabetta Gregoraci
Elisabetta Gregoraci
ROMA - Ci sono stilisti e imprenditori, attrici e gioiellieri, commercianti e dirigenti d'azienda, ma anche illustri sconosciuti che hanno evidentemente deciso di tenere all'estero i propri risparmi. Oltre settecento persone che adesso sono sotto inchiesta a Roma per omessa o incompleta dichiarazione fiscale. Tutte finite nell'ormai famosa «lista Falciani» che prende il nome da Hervé Falciani, il dipendente infedele della sede di Ginevra dalla banca inglese Hsbc scappato con l'elenco dei clienti di mezzo mondo che poi ha ceduto alle autorità francesi. Per l'Italia ci sono 6.963 «posizioni finanziarie» per un totale di depositi che supera i sei miliardi e nove milioni di dollari relativi al biennio 2005-2007. I documenti contabili ottenuti dalla procura di Torino e dalla Guardia di Finanza sono stati trasmessi per competenza alle varie Procure e nella capitale sono stati avviati gli accertamenti. Gli interessati dovranno infatti essere interrogati dal procuratore aggiunto Pier Filippo Laviani e dal suo sostituto Paolo Ielo, soprattutto per verificare se abbiano usufruito dello scudo fiscale e abbiano così sanato eventuali irregolarità.

ATTRICI E MANAGER - Aveva trasferito parte dei suoi risparmi in Svizzera l'attrice Stefania Sandrelli, che poi ha deciso di usufruire dello scudo e dunque dovrebbe evitare possibili

Stefania Sandrelli con la figlia
Stefania Sandrelli con la figlia
conseguenze penali. Nella lista c'è anche sua figlia Amanda e adesso si dovrà stabilire se sia beneficiaria del deposito della madre o se abbia invece una posizione autonoma. Nulla si sa ancora sull'entità degli importi accreditati sui vari conti correnti: saranno le Fiamme Gialle a dover ricostruire la movimentazione fino a stabilire la cifra portata all'estero. Nella lista consegnata alla Procura c'è poi Elisabetta Gregoraci, la soubrette diventata famosa anche per essere diventata la moglie di Flavio Briatore. Il regista Sergio Leone risulta nell'elenco, ma è scomparso nel 1989 e dunque dovranno essere i suoi eredi a dover fornire chiarimenti ai magistrati.

STILISTI E GIOIELLIERI - Il più noto è certamente Valentino Garavani, seguito a

Valentino
Valentino
ruota da Renato Balestra. Entrambi, secondo le carte acquisite a Parigi e poi inviate nel nostro Paese, avrebbero depositato capitali presso la banca inglese. Nell'elenco c'è anche Pino Lancetti, il famoso sarto umbro morto nel 2007, che viene inserito insieme alla sorella Edda. E poi le due società che fanno capo a Gianni Bulgari, maestro di gioielleria con la sua "Gianni Bulgari srl" e la "Bulgari International". Gli inquirenti ritengono che anche Pietro Hausmann sia uno dei componenti della famosa gioielleria di Roma. Il Bolaffi che spicca nella lista dovrebbe appartenere alla dinastia nota per la numismatica mentre Sandro Ferrone è certamente lo stilista noto per i negozi sparsi in tutta la città che hanno come testimonial l'attrice Manuela Arcuri.

IMPRENDITORI E MANAGER - Telespazio è la società di Finmeccanica che si occupa di sistemi satellitari e i magistrati vogliono scoprire per quale motivo avesse un conto presso la Hsbc. Sarà soltanto una coincidenza, ma nella stessa lista compare Camilla Crociani, moglie di Carlo di Borbone e figlia di Camillo, che del colosso specializzato in armamenti e sistemi di difesa è stato presidente per diciotto anni prima di essere coinvolto nello scandalo Lockheed. Nella lista c'è anche il presidente della Confcommercio Roma Cesare Pambianchi, insieme a Carlo Mazzieri, commercialista che risulta socio nella sua attività professionale privata. Nel settembre scorso lo studio è stato perquisito nell'ambito di un'altra inchiesta della magistratura romana che riguarda il trasferimento all'estero, in particolare in Bulgaria e in Gran Bretagna, di società in stato prefallimentare al fine di evitare i procedimenti di bancarotta fraudolenta. Nome noto è pure quello di Mario Salabè, l'ingegnere coinvolto negli anni 90 nelle indagini sui finanziamenti al Pci-Pds con la sua società "Sapri Broker", fratello dell'architetto Adolfo Salabè che invece fu accusato di peculato nell'inchiesta sui «fondi neri» del Sisde quando al Viminale c'era Oscar Luigi Scalfaro del quale Salabè era amico attraverso la figlia Marianna. Risulta invece essere un professore universitario Francesco D'Ovidio Lefevre.

ILLUSTRI SCONOSCIUTI - I ricchi ma non famosi sono la maggior parte. Molte casalinghe, svariati professionisti, titolari di negozi del centro della città con un considerevole fatturato. Si va da Cinzia Campanile a Michele Della Valle, da Carmelo Molinari a Giovanni Pugliese da Mario Chessa a Roberto D'Antona. E ancora nell'elenco: Gabriella e Giorgio Greco; Gianfranco Graziadei; Adriano Biagiotti; Cinzia Santori; Marina Valdoni; Piero Dall'Oglio; Andrea Rosati; Eleonora Sermoneta; Stefania Vento; Giordana Zarfati; Eliane Rostagni; Fabrizia Aragona Pignatelli. La scorsa estate la Guardia di Finanza aveva avviato accertamenti su 25 persone che avevano esportato in Svizzera un totale di 8 milioni e 299 mila dollari, scelte in base ai «canoni di pericolosità fiscale» perché risulta che non hanno presentato denuncia dei redditi, oppure perché la loro dichiarazione è stata ritenuta «incongrua» rispetto alle somme movimentate. Tra loro, l'ambasciatore Giuseppe Maria Borga, la pittrice Donatella Marchini, il marchese Hermann Targiani.

Fiorenza Sarzanini
12 gennaio 2011

http://www.corriere.it/economia/11_gennaio_12/stilisti-attrici-e-imprenditori-ecco-chi-aveva-i-soldi-in-svizzera_c8745daa-1e15-11e0-8f93-00144f02aabc.shtml


martedì 11 gennaio 2011

Le tre ''M'' processuali che incombono sulla testa di Silvio.

Un trittico di procedimenti penali che mette in discussione la durata del Governo Berlusconi

All'interno del Palazzo della Consulta il presidente della Corte Costituzionale Ugo De Siervo ha dichiarato aperta l'udienza sul “legittimo impedimento”, la legge grazie alla quale il premier Silvio Berlusconi potrebbe essere al riparo dalla ripresa dei tre processi a suo carico: Mills, Mediaset e Mediatrade. Sono udienze legate al passato da imprenditore del presidente del Consiglio, che potrebbero mettere in difficoltà la sua posizione politica. Tre processi, tre M che pesano come una spada di Damocle sulla testa del premier Silvio Berlusconi.

Articoli Collegati

Mills e la lettera-confessione
David Mills (marito di un ministro del governo di Tony Blair) è un avvocato inglese, consulente della Fininvest per la finanza estera inglese, coinvolto nel processo a Silvio Berlusconi per corruzione. Mills aveva scritto una lettera al suo commercialista Bob Drennan, dove dichiarava che Berlusconi aveva versato in nero sul suo conto in Svizzera, tramite il suo dirigente Carlo Bernasconi, 600.000 dollari. Il versamento era dovuto alle testimonianze reticenti rese dinanzi al tribunale di Milano dove, nel processo per corruzione alla Guardia di Finanza e nel processo dei fondi neri di All Iberian, l'avvocato inglese non disse tutto ciò che sapeva. Mills è stato condannato in primo e secondo grado, con prescrizione di una parte della condanna in Cassazione (confermato solo il risarcimento dovuto alla Presidenza del Consiglio dei ministri, parte civile nel processo). Il processo è stato sospeso prima per il Lodo Alfano poi bocciato dalla Corte Costituzionale e, successivamente, a causa della legge sul Legittimo impedimento. Entrambe le leggi sono state approvate durante il Governo Berlusconi IV. Berlusconi è quindi ancora in attesa della sentenza.


Mediaset e i fondi neri
I pm Alfredo Robledo e Fabio De Pasquale, che hanno collezionato 50.000 pagine di atti con rogatorie in dodici paesi, hanno richiesto il rinvio a giudizio per 14 indagati, tra cui il premier Berlusconi, accusato di appropriazione indebita, frode fiscale e falso in bilancio. In questo procedimento si parla di fondi neri. Dall'indagine All Iberian (società dietro cui alcuni testimoni d’accusa hanno sostenuto si celasse la Fininvest e che ebbe inizio il 21 novembre 1996), è nato questo filone d'inchiesta su due società estere collegate alla “Silvio Berlusconi Finanziaria” (società lussemburghese), la Century One e la Universal One. Per l'accusa queste società applicavano un sovrapprezzo sulla compravendita dei diritti di film americani: Mediaset acquistava le pellicole da società offshore, che a loro volta le cedevano ad altre società gemelle. I prezzi dei diritti lievitavano ad ogni passaggio. Lo scarto tra prezzo originale e quello finale permetteva di mettere da parte fondi neri. Berlusconi, secondo l'accusa, avrebbe intascato fondi neri (280 milioni di euro in dollari, lire, franchi francesi e svizzeri e fiorini olandesi) in nero, senza pagarvi le tasse e frodando i propri azionisti (falso in bilancio).


Mediatrade: il filone legato alla Paramount
Il 14 ottobre 2005 la Guardia di Finanza ha perquisito gli uffici della “Mediatrade spa”, controllata dal “Gruppo Berlusconi” che dal febbraio 1999 ha preso il posto di “Mediaset” e la “Maltese Ims” nell'acquisto dei diritti televisivi. La procura avrebbe scoperto massicci trasferimenti di denaro della “Wiltshire Trading” (società intestata a Frank Agrama, uomo di riferimento Fininvest in America) a favore di conti svizzeri di personaggi Mediaset (denominati "Leonardo", "Trattino", "Teleologico", "Litoraneo", "Sorsio", "Clock" e "Pache"). Questo nuovo filone nasce dalla testimonianza di un ex dirigente Paramount Bruce Gordon, che definisce Agrama come «agente di Berlusconi» e «rappresentante Fininvest». Farouk Mohamed Agrama, detto Frank, è considerato l'interfaccia di Daniele Lorenzano (ex capoacquisti di Mediaset) negli USA. Secondo la procura l'accumulazione dei fondi neri sarebbe continuata anche oltre il 1999, fino al 2002 cioè quando Berlusconi era già Presidente del consiglio. Berlusconi e Mills sono accusati di corruzione in atti giudiziari.


http://www.agenziami.it/articolo/7645/Le+tre+++M+++processuali+che+incombono+sulla+testa+di+Silvio/


Per chi suona la Consulta - Marco Travaglio