Dietro la parola termovalorizzatore si nasconde la distruzione dei rifiuti attraverso la combustione. Una pratica che ha pesanti conseguenze sull’ambiente e sulla salute. Ne è convinta gran parte della comunità scientifica e dei medici. QualEnergia.it ha affrontato questi temi con l’oncoematologo Patrizia Gentilini(nella foto), membro dell’Associazione Medici per l’Ambiente Isde e vicepresidente dell’Associazione contro Leucemie, Linfomi, Mieloma (AIL) sezione Forlì-Cesena.
Partiamo da una questione terminologica: inceneritori, termovalorizzatori, gassificatori. Questi termini sono spesso usati in maniera alternativa, con l’effetto di creare confusione. Possiamo fare chiarezza?
Termovalorizzatore è un termine di pura fantasia, inventato in Italia per trasmettere l’idea che ci sia qualcosa di positivo nel bruciare rifiuti. In tutto il resto d’Europa questi sistemi vengono chiamati inceneritori con recupero energetico e perché abbiano questa dignità devono raggiungere certi valori di efficienza. Ma il termine cela una pratica di distruzione di materia sotto cui passano anche altri impianti, come i dissociatori molecolari o gassificatori, in cui tale distruzione avviene in due fasi: una in carenza e una in presenza di ossigeno. Ma il risultato è lo stesso e l’effetto è sempre l’emissione di fumi in atmosfera.
Il punto è che bruciando e distruggendo materia si disperde sempre più energia di quella che si trattiene con i sistemi di recupero energetico, anche perché per riprodurre i materiali che brucio avrò bisogno di energia. L’Unione Europea ha infatti chiarito che nella strategia per affrontare i rifiuti al primo posto c’è la prevenzione e poi vengono riciclaggio e riuso. Mentre recuperare energia non è equiparabile a recuperare materia.
Ma in Italia continuiamo a seguire la strada degli inceneritori.
Recentemente Gaetano Pecorella (presidente della commissione parlamentare ecomafie, ndr) a seguito di una visita a Berlino faceva notare che in quella città hanno smesso di fare inceneritori, considerati obsoleti e non risolutivi, e puntano sulla raccolta differenziata e sul recupero. Questi concetti si stanno facendo strada anche fuori dai circoli degli ambientalisti. Ma intanto in Italia si continua a investire su quello che ormai è diventato un business sostanzioso e che, per esempio, fa sì che un avicoltore guadagni di più dalla vendita della pollina (letame di gallina, ndr) per l’incenerimento che da quella delle uova.
Eppure il recupero di materia potrebbe avere una ricaduta economica maggiore e creare posti di lavoro: si stima che per una persona impiegata nella filiera della combustione se ne potrebbero impiegare quaranta in quella del recupero. Inoltre gli impianti sono costosi e una volta costruiti hanno bisogno di fonte continua di rifiuti per alimentarli. Ci sono stati casi di comuni che hanno dovuto pagare una penale per aver conferito volumi minori ottenuti grazie a politiche di riduzione dei rifiuti. Questo significa ipotecare il futuro.
Perché si è innescato questo meccanismo?
Credo sia anche colpa di alcune deviazioni del mondo ambientalista che ha identificato solo nella CO2 il veleno che attanaglia il pianeta senza pensare a tutti gli altri inquinanti e facendo bilanci assurdi secondo cui se bruciamo biomasse siamo in pareggio con la CO2. Questo non vero perché la combustione rimette in circolo la CO2 accumulata nella materia. Mentre i rifiuti organici, se ridati alla terra in forma di compost, sottraggono carbonio dall’atmosfera e riducono in maniera importante la CO2. Purtroppo l’incenerimento viene premiato attraverso i certificati verdi e altre forma di incentivazione mentre nel resto d’Europa gli impianti di questo tipo vengono tassati con costi fino a 70 euro a tonnellata. Se in Italia si interrompessero le incentivazioni gli inceneritori, che sono costosissimi, non reggerebbero.
C’è un’ambiguità di fondo per cui la combustione delle biomasse è stata equiparate all’uso delle fonti rinnovabili. Inoltre i rifiuti indifferenziati vengono trattati per ottenere biogas e il materiale residuo, definito combustibile da rifiuti, se non va a finire negli inceneritori va nelle centrali a carbone o nei cementifici e quindi è comunque destinato alla combustione. Tutto questo materiale, che non voglio chiamare rifiuto, se differenziato alla fonte può trasformarsi in altro materiale.
Spostiamoci dal trattamento dei rifiuti alla produzione energetica. Paragonati ad altri impianti che utilizzano metodi basati sulla combustione gli inceneritori sono convenienti?
La combustione che sia di olio, carbone o di qualunque materiale ancor più se eterogeneo come i rifiuti che spesso sono bruciati tal quale, è un processo che porta alla formazione di inquinanti. In natura nulla si crea e nulla si distrugge. L’idea che l’inceneritore risolva il problema perché elimina i rifiuti è falsa. Quello che fa è ridurne il volume trasformandoli in ceneri e buttando il resto nell’atmosfera che diventa così una discarica. Inoltre ciò che viene trattenuto nei filtri va smaltito e i filtri stessi vanno smaltiti. In più devono essere aggiunti reagenti per regolare i processi di combustione.
E così i rifiuti finiscono per aumentare. La vita si è sviluppata sul nostro pianeta grazie all’energia del sole. In natura la combustione è sempre un evento eccezionale, non è la strada che il mondo ha scelto per produrre energia. La natura ha scelto processi biochimici a bassa temperatura come la digestione. E poi il sole, il vento, l’acqua. Abbiamo di certo bisogno di energia ma ne sprechiamo anche tantissima e usiamo solo una piccola parte di quella che potremmo avere dal sole e dalle altre fonti rinnovabili. Dovremmo imparare a utilizzarle e non, invece, guardare al nucleare.
Quali sono le sostanze emesse in atmosfera dagli inceneritori?
Basta guardare cosa c’è scritto su un pacchetto di sigarette: nuoce gravemente alla salute. Una sola sigaretta è una centrale a biomasse in miniatura. Con la combustione si creano migliaia di sostanza tossiche pericolose di cui diverse decine sono cancerogene. E allora perché consideriamo pericolose le sigarette e centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti tal quale non dovrebbero creare problemi? Non c’è veleno che non esca dagli inceneritori. Le diossine, per esempio, che hanno un tempo di persistenza nel sottosuolo di 100 anni e nel corpo umano di circa 7 anni. La contaminazione delle colture agricole fa sì che noi assumiamo le diossine attraverso i cibi e diventiamo ricettacoli di veleni che poi trasmettiamo ai figli.
Poi c’è il particolato, tanto più pericoloso quanto più alta è la temperatura. Negli inceneritori la combustione avviene ad altissime temperature perché questo dovrebbe ridurre le emissioni di diossina, ma allo stesso tempo produce un particolato più fine che i filtri non riescono a trattenere. Poi ci sono arsenico, piombo, cadmio e altri metalli pesanti. Insomma, non esiterei a usare le parole utilizzate dal presidente dell’associazione francese per la ricerca contro il cancro, Dominique Belpomme: l’incenerimento dei rifiuti è un crimine contro l’umanità.
Quali i rischi per la salute legati alla combustione dei rifiuti?
A parte gli studi commissionati ad hoc per rassicurare le popolazioni, esistono centinaia di studi scientifici sulle popolazioni esposte agli inceneritori che hanno dimostrato la presenza di danni gravi per la salute. I possibili danni si dividono in due gruppi: non tumorali e tumorali.
Al primo gruppo appartiene il rischio di malformazioni. Uno studio uscito due mesi fa su 21 inceneritori in Francia ha dimostrato il nesso tra malformazioni urogenitali e l’area di ricaduta delle emissioni. Poi ci sono diabete, malattie respiratorie, danni ischemici e cardiovascolari, problemi ormonali e della tiroide, ridotta fertilità e addirittura effetti sul sesso alla nascita: se normalmente c’è una prevalenza dei maschi sulle femmine, nelle popolazioni esposte alle diossine si è osservata una tendenza contraria.
Parlando invece di incidenza del cancro?
Per quanto riguarda i rischi tumorali è evidente che se si seminano sostanze cancerogene, basta aspettare e si raccoglieranno tumori. Il nesso con gli inceneritori è incontestabile: i tumori, soprattutto nelle donne, aumentano. In particolare crescono i casi di linfomi e sarcomi che sono i tumori spia legati all’esposizione alle diossine. Uno studio condotto a Forlì su un raggio di 3,5 chilometri dai due inceneritori presenti in zona sulla base della mappa reale della dispersione degli inquinanti ha evidenziato che nelle donne che hanno abitato per almeno 5 anni nell’area la mortalità per tumore è aumentata in modo coerente con l’aumento dell’esposizione dal +17% al +26% al +54%. In particolare, si registrano aumenti per il cancro a colon-retto, stomaco, mammella. Si stimano 116 i decessi in più fra le donne oltre l’atteso, di questi circa 70 per cancro. Secondo dati del registro dei tumori, oggi in Italia la probabilità di avere una diagnosi di cancro, considerando una prospettiva di vita di 82 anni, è del 50%. Desta inoltre preoccupazione che in Italia si ammalino di cancro sempre più bambini. Abbiamo un tasso di incremento dei tumori infantili quasi doppio rispetto alla media europea (2% per anno da 0 a 12 anni contro l’1,2% della media europea) e siamo al primo posto per incidenza. Ciò è dovuto al fatto che le sostanze inquinanti si trasmettono dalla madre al feto.
Io sono un oncologo, ma vorrei essere disoccupata. In tutto il mondo scientifico indipendente si sta facendo strada un concetto che il professor Renzo Tomatis che è stato il nostro ispiratore, ha sempre sostenuto: dobbiamo seguire la strada della prevenzione primaria, ovvero ridurre ed evitare le cause delle malattie, non accontentarci di curarle. Perché la malattia ha un costo umano ed economico.
Intervista a cura di Maurita Cardone
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