giovedì 10 febbraio 2011

Blitz intercettazioni, ma Giorgio Napolitano chiude la porta.


Il premier: "Farò causa allo Stato, oggi vado al Quirinale". Il Colle: "Non previsto"

Il castello di Tor Crescenza

È una guerra totale, una controffensiva ad ampio raggio contro quella Procura di Milano che ancora una volta ieri lo ha chiamato alla sbarra con rito immediato. Come prima risposta alla magistratura, il Caimano oggi sarebbe voluto salire al Quirinale per fare un’indebita quanto feroce pressione sul capo dello Stato, nella sua veste di presidente del Csm, per ottenere il via libera su un decreto di stampo golpista sulle intercettazioni in modo da mettere un bavaglio definitivo ai giudici di Milano e di Roma definiti, con uno slogan degno dei tempi del terrorismo, “un’avanguardia politica rivoluzionaria”. Il Colle ha respinto il tentativo prima ancora che la richiesta ufficiale fosse formulata dalla Presidenza del Consiglio, lasciando Berlusconi senza la possibilità di compiere un colpo di mano.

Ma il Cavaliere è ben lontano dall’alzare bandiera bianca. Non è affatto detto, infatti, che l’ipotesi del decreto sulle intercettazioni non torni ad affacciarsi in un Consiglio dei ministri straordinario che potrebbe essere convocato a sorpresa, ma il messaggio del Colle non lascia adito a dubbi: se anche dovesse arrivare, Napolitano non lo firmerebbe. Però lui ci proverà comunque, perché ormai non ha più nulla da perdere.

La guerra ai giudici, comunque, adesso è stata ufficialmente dichiarata. In un consiglio di guerra convocato di fretta ieri dopo aver lanciato parole pesanti contro i pm di Milano, classificati “eversivi”, colpevoli di indagini “vergognose, uno schifo!”, che incardinano processi “farsa” tali da far venire voglia di “denunciare lo Stato”, Silvio Berlusconi ha anche pensato di denunciare i giudici di Milano in base all’articolo 289 del codice penale per attentato agli organi costituzionali. E quando Gianni Letta, tra le altre cose, gli ha fatto notare la gravità del gesto con annesse conseguenze, Silvio ha gelato tutti con una risposta secca: “Allora lo farò da privato cittadino; ci vogliono far cadere, dobbiamo reagire in ogni modo”.

Il blocco alle intercettazioni, il bavaglio alla magistratura, resta dunque all’apice dei suoi pensieri. E il perché risiede tutto nel terrore di Berlusconi che le tante, ormai troppe, ex arcorine in libera uscita possano essere intercettate ancora dai giudici svelando quant’altro possibile sul suo privato. Ma soprattutto, a turbare i sonni del Cavaliere ci sono quelle notizie che da giorni rimbalzano nei Palazzi della politica romana e che danno per imminente l’apertura di una nuova branca dell’inchiesta da parte della Procura di Roma relativa al periodo primavera-estate 2010, l’estate romana di Silvio, quando le mura di Palazzo Grazioli e i torrioni del castello romano di Tor Crescenza sono stati teatro di feste e cene con ospiti amici di sempre del Cavaliere, da Tarak Ben Ammar al direttore generale della Rai Masi passando per il direttore del Tg1 Augusto Minzolini; un’indagine molto temuta nel Pdl che con il tentato golpe del decreto intercettazioni ha inteso in qualche modo prevenire nuovi e più pesanti disastri.

Dal consiglio di guerra è uscito comunque un documento politico pesantissimo, dove i magistrati vengono definiti appunto “avanguardia politica rivoluzionaria in sfregio al popolo sovrano e ai tanti magistrati che ogni giorno servono lo Stato”. A giudizio del Cavaliere e dei suoi più stretti sodali, la decisione dei pm di Milano di chiedere il giudizio immediato denota disprezzo per il Parlamento e per le istituzioni democratiche”, fa venir meno i “contrappesi dei rapporti tra poteri dello Stato attraverso l’applicazione arbitraria dell’azione penale” nel segno di una “giurisprudenza creativa che ha dilatato a dismisura l’autonomia della magistratura”. Giudici comunque considerati alla stregua di un potere realmente eversivo, capace di “azioni spregiudicate” tali da mettere a repentaglio i principi della “stessa democrazia”: ‘No a un nuovo ’94’ è lo slogan finale del delirio.

Il delirio di B. è comunque appena agli inizi. Nel conclave bellico di Palazzo Grazioli si è anche pianificata la strategia per sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale superando il muro dell’ufficio di presidenza della Camera in cui il Pdl non ha la maggioranza e che respingerebbe la richiesta. Gli avvocati del premier hanno pensato di far presentare alla giunta per le elezioni il documento di richiesta da sottoporre all’aula, in modo di arrivare a un voto positivo entro una quindicina di giorni, anche tenendo conto dell’eventuale – anzi più che certa – contrarietà del presidente dalla Camera e quindi di un necessario passaggio della richiesta alla giunta per il regolamento. Un meccanismo molto farraginoso che, comunque, investirebbe rapidamente la Corte della decisione riguardo al conflitto e che, a detta degli uomini Pdl, servirebbe comunque a rallentare il processo. Ma non a fermarlo. Quello che attende Berlusconi nelle prossime settimane, comunque, è un vero campo minato: il 28 ripartirà il processoMediaset, il 5 marzo ci sarà una nuova udienza per Mediatrade ma, soprattutto, l’11 marzo ripartirà il processo Mills. E lui non ha più lo scudo del legittimo impedimento. La guerra che lui stesso ha dichiarato potrebbe vederlo presto vittima più che carnefice.



Blitz intercettazioni, ma Giorgio Napolitano chiude la porta.


Il premier: "Farò causa allo Stato, oggi vado al Quirinale". Il Colle: "Non previsto"

Il castello di Tor Crescenza

È una guerra totale, una controffensiva ad ampio raggio contro quella Procura di Milano che ancora una volta ieri lo ha chiamato alla sbarra con rito immediato. Come prima risposta alla magistratura, il Caimano oggi sarebbe voluto salire al Quirinale per fare un’indebita quanto feroce pressione sul capo dello Stato, nella sua veste di presidente del Csm, per ottenere il via libera su un decreto di stampo golpista sulle intercettazioni in modo da mettere un bavaglio definitivo ai giudici di Milano e di Roma definiti, con uno slogan degno dei tempi del terrorismo, “un’avanguardia politica rivoluzionaria”. Il Colle ha respinto il tentativo prima ancora che la richiesta ufficiale fosse formulata dalla Presidenza del Consiglio, lasciando Berlusconi senza la possibilità di compiere un colpo di mano.

Ma il Cavaliere è ben lontano dall’alzare bandiera bianca. Non è affatto detto, infatti, che l’ipotesi del decreto sulle intercettazioni non torni ad affacciarsi in un Consiglio dei ministri straordinario che potrebbe essere convocato a sorpresa, ma il messaggio del Colle non lascia adito a dubbi: se anche dovesse arrivare, Napolitano non lo firmerebbe. Però lui ci proverà comunque, perché ormai non ha più nulla da perdere.

La guerra ai giudici, comunque, adesso è stata ufficialmente dichiarata. In un consiglio di guerra convocato di fretta ieri dopo aver lanciato parole pesanti contro i pm di Milano, classificati “eversivi”, colpevoli di indagini “vergognose, uno schifo!”, che incardinano processi “farsa” tali da far venire voglia di “denunciare lo Stato”, Silvio Berlusconi ha anche pensato di denunciare i giudici di Milano in base all’articolo 289 del codice penale per attentato agli organi costituzionali. E quando Gianni Letta, tra le altre cose, gli ha fatto notare la gravità del gesto con annesse conseguenze, Silvio ha gelato tutti con una risposta secca: “Allora lo farò da privato cittadino; ci vogliono far cadere, dobbiamo reagire in ogni modo”.

Il blocco alle intercettazioni, il bavaglio alla magistratura, resta dunque all’apice dei suoi pensieri. E il perché risiede tutto nel terrore di Berlusconi che le tante, ormai troppe, ex arcorine in libera uscita possano essere intercettate ancora dai giudici svelando quant’altro possibile sul suo privato. Ma soprattutto, a turbare i sonni del Cavaliere ci sono quelle notizie che da giorni rimbalzano nei Palazzi della politica romana e che danno per imminente l’apertura di una nuova branca dell’inchiesta da parte della Procura di Roma relativa al periodo primavera-estate 2010, l’estate romana di Silvio, quando le mura di Palazzo Grazioli e i torrioni del castello romano di Tor Crescenza sono stati teatro di feste e cene con ospiti amici di sempre del Cavaliere, da Tarak Ben Ammar al direttore generale della Rai Masi passando per il direttore del Tg1 Augusto Minzolini; un’indagine molto temuta nel Pdl che con il tentato golpe del decreto intercettazioni ha inteso in qualche modo prevenire nuovi e più pesanti disastri.

Dal consiglio di guerra è uscito comunque un documento politico pesantissimo, dove i magistrati vengono definiti appunto “avanguardia politica rivoluzionaria in sfregio al popolo sovrano e ai tanti magistrati che ogni giorno servono lo Stato”. A giudizio del Cavaliere e dei suoi più stretti sodali, la decisione dei pm di Milano di chiedere il giudizio immediato denota disprezzo per il Parlamento e per le istituzioni democratiche”, fa venir meno i “contrappesi dei rapporti tra poteri dello Stato attraverso l’applicazione arbitraria dell’azione penale” nel segno di una “giurisprudenza creativa che ha dilatato a dismisura l’autonomia della magistratura”. Giudici comunque considerati alla stregua di un potere realmente eversivo, capace di “azioni spregiudicate” tali da mettere a repentaglio i principi della “stessa democrazia”: ‘No a un nuovo ’94’ è lo slogan finale del delirio.

Il delirio di B. è comunque appena agli inizi. Nel conclave bellico di Palazzo Grazioli si è anche pianificata la strategia per sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale superando il muro dell’ufficio di presidenza della Camera in cui il Pdl non ha la maggioranza e che respingerebbe la richiesta. Gli avvocati del premier hanno pensato di far presentare alla giunta per le elezioni il documento di richiesta da sottoporre all’aula, in modo di arrivare a un voto positivo entro una quindicina di giorni, anche tenendo conto dell’eventuale – anzi più che certa – contrarietà del presidente dalla Camera e quindi di un necessario passaggio della richiesta alla giunta per il regolamento. Un meccanismo molto farraginoso che, comunque, investirebbe rapidamente la Corte della decisione riguardo al conflitto e che, a detta degli uomini Pdl, servirebbe comunque a rallentare il processo. Ma non a fermarlo. Quello che attende Berlusconi nelle prossime settimane, comunque, è un vero campo minato: il 28 ripartirà il processoMediaset, il 5 marzo ci sarà una nuova udienza per Mediatrade ma, soprattutto, l’11 marzo ripartirà il processo Mills. E lui non ha più lo scudo del legittimo impedimento. La guerra che lui stesso ha dichiarato potrebbe vederlo presto vittima più che carnefice.



"Attacchi a Consulta gravemente offensivi" De Siervo: non decidiamo su base politica.



ll presidente della Corte Costituzionale nel corso dell'annuale conferenza stampa sottolinea l'imparzialità dei giudici e i rigidi criteri in base ai quali i 15 membri vengono nominati. "Troppe leggi parziali"

ROMA - È "denigratorio per la Corte Costituzionale e gravemente offensivo" continuare a sostenere che i 15 giudici della Consulta "giudicherebbero sulla base di loro asserite appartenenze politiche". Lo ha detto il presidente della Corte, Ugo De Siervo, nel corso dell'annuale conferenza stampa. "La più larga libertà di confronto fra tutti i giudici e l'integrale collegialità delle determinazioni" - sottolinea De Siervo - fanno sì che "le decisioni che vengono infine adottate (all'unanimità o con maggioranze che sono di volta in volta diverse) rappresentano il punto di arrivo di un organo sicuramente imparziale".

De Siervo ha ricordato che i "giudici costituzionali sono appositamente scelti da organi diversi, fra i più rappresentativi delle nostre istituzioni (Presidente della Repubblica, Parlamento, supreme magistrature), ed entro categorie professionali particolarmente qualificate, in modo da garantire (per quanto possono le norme giuridiche) la loro più larga indipendenza di giudizio". Inoltre - aggiunge - i giudici "entrano in carica dopo aver giurato di osservare la Costituzione e le leggi".

Attacchi selvaggi. "Devo registrare che purtroppo in molte occasioni la Corte Costituzionale deve operare molto più faticosamente, perché c'è un clima eccessivo, attacchi selvaggi, tentativi di denigrazione dei singoli giudici". Ugo De Siervo, rispondendo a una domanda dei giornalisti ha colto l'occasione per rivolgersi alla stampa: "Pregherei anche i mezzi d'informazione - ha detto - di non esasperare i toni. Anche chi deve fare delle critiche, può farlo con un linguaggio meno esasperato".

Nessun bolscevico. Continuando a fare riferimento alle accuse rivolte ai giudici di essere di parte, De Siervo ha aggiunto: "Di bolscevichi qui non ce ne è nessuno. Molti di noi erano assai moderati e ora ci ritroviamo ribattezzati... Non siamo bolscevichi e - aggiunge - penso di poterlo dire per tutti" gli altri giudici "anche se c'è libertà di idee. Sono accuse esagerate e un po' nevrotiche".

Contributo all'unità del Paese. "In un contesto difficile, ma nel quale opportunamente si celebrano i centocinquant'anni di vita unitaria del nostro Stato, posso garantire che la Corte cercherà di continuare a dare" il proprio "concreto contributo all'unità sostanziale del nostro Paese". De Siervo cita e fa propria una frase di Adone Zoli, il ministro della Giustizia che nel 1953 sottoscrisse le leggi che permisero il funzionamento della Consulta: "Bisogna essere consapevoli - affermò Zoli - i giudici costituzionali sono 'quindici persone alle quali è affidato l'avvenire del nostro Paese, perché nella tutela della Costituzione è l'avvenire pacifico del nostro Paese". E poi l'annuncio: "Il 17 marzo apriremo il palazzo della Consulta a tutti i cittadini per dire che la nostra istituzione è aperta e festeggia i 150 anni dell'Unità nazionale".

Sempre più leggi parziali. "La notevole diffusione di interventi legislativi parziali, se non provvisori (si rifletta anche solo su ciò che producono i numerosi decreti legislativi di tipo correttivo) pesa non poco su chi deve giudicare della legittimità costituzionale delle leggi", ha aggiunto De Siervo. "Se negli anni trascorsi - ha continuato - sono state adottate sentenze importanti sui decreti legge, nel 2010 non poche sentenze della Corte si sono dovute riferire all'applicazione più o meno corretta dell'articolo 76 della Costituzione, che disciplina appunto la delega legislativa o hanno dovuto faticosamente ricostruire determinate situazioni normative in quasi continua trasformazione nel tempo".

Forte conflittualità Stato-Regioni. Sull'attività della Corte Costituzionale ha una "particolare ricaduta" il "forte accrescimento della conflittualità fra Stato e Regioni" che si manifesta principalmente nell'aumento dei ricorsi in via principale. De Siervo rileva che tale fenomeno "dopo una fase di temporanea attenuazione nel 2007-2008, ha ripreso ed anzi si è ulteriormente sviluppato". Le previsioni per il futuro non lasciano sperare meglio, ha osservato De Siervo, poichè nel 2010 "sono pervenuti ben 123 nuovi ricorsi in via Principale". Per il presidente della Consulta, "la soluzione del problema sta in una organica politica di attuazione costituzionale che riduca la conflittualità: questo compito spetta quindi al Parlamento e al Governo", ha precisato.

Riduzione dell'arretrato. Secondo il presidente della corte Costituzionale si registra "una drastica diminuzione dell'arretrato, ormai ridotto a livelli del tutto fisiologici" al lavoro della Consulta. Il presidente ha voluto anche rilevare i "tempi brevi", ossia "meno di un anno", in cui "la Corte ha adempiuto al suo compito di giudicare su questioni che pure spesso sono complesse".

Caso Ruby: "Clima surriscaldato, non rispondo". Non sono mancate domande sul caso Ruby e sulle pressioni del governo sulla procura di Milano. Ma Ugo De Siervo preferito non rispondere. "A chi spetta decidere quale sia la natura del reato di cui è accusato il presidente del Consiglio?", è stata la domanda. Il presidente della Consulta: "Non le rispondo. Noi siamo giudici e giudichiamo su questioni che ci vengono poste. In questo contesto eccezionalmente surriscaldato la Corte non può fare neanche una lezione astratta" sulla questione perché "verrebbe inevitabilmente letta come se avessimo dato ragione all'avvocato della parte x o y". De Siervo, poi, ha parlato dei tempi su un possibile ricorso per conflitto di attribuzione tra il Parlamento e la Procura di Milano, titolare dell'inchiesta sul caso Ruby: ''Sui conflitti di attribuzione in genere la Corte decide in un anno. Nell'ipotesi in cui dovesse arrivare un'eventuale conflitto di attribuzione di questo tipo, la decisione potrebbe arrivare forse nel giro di qualche mese, di certo non in qualche giorno''. Poi ha aggiunto di non voler più rispondere a domande su questo argomento.

Legittimità delle perquisizioni.
"Le perquisizioni o sono perquisizioni o sono buffetti sulle guance. Sgradevolezze, certo... Ma su questo io non voglio esprimermi anche perché è ipotizzabile che qualcuno su questa materia possa ricorrere alla Consulta", ha risposto il presidente della Corte a una domanda sulla legittimità delle perquisizioni.



ANCHE LA CONSULTA DICE BASTA.


La Corte Costituzionale risponde alle accuse del Pdl che aveva definito "avanguardia rivoluzionaria" i magistrati: "Denigratorio. Qui non c'è nessun bolscevico". Il premier teme indagini sui party a Tor Crescenza dell'estate del 2010 e vuole una legge sulle intercettazioni. Frattini: "Privacy violata"
E nelle telefonate con Emilio Fede Berlusconi dà i voti alle protagoniste del Bunga bunga

Il presidente del Consiglio e l’intero Pdl alzano il livello dello scontro e paragonano i magistrati milanesi a una specie di associazione sovversiva. Il Cavaliere annuncia che farà “causa allo Stato” e prepara un blitz sulla legge sulle intercettazioni telefoniche (leggi l'articolo). Ma dopo il gelo del Quirinale arriva la smentita di Fabrizio Cicchitto: "E' solo un equivoco, c'è un testo di legge ben avviato". Nel frattempo, sulle accuse alla magistratura, arriva la risposta sdegnata del presidente della Corte Costituzionale Ugo De Siervo: "Offensivo e denigratorio dire che siamo di parte". Ieri i pm di Milano hanno inviato la richiesta di giudizio immediato per Silvio Berlusconi, accusato di concussione e prostituzione minorile (leggi l'articolo). Ma quello che preoccupa più il premier sono le notizie che da giorni rimbalzano nei palazzi della politica e che danno per imminente l'apertura di un nuovo fascicolo da parte della procura di Roma relativa alla primavera-estate del 2010, quando Palazzo Grazioli e il castello di Tor Crescenza sono teatro di feste e cene (leggi l'articolo di Sara Nicoli). Prosegue anche l'inchiesta di Napoli dove la polizia ha perquisito l'abitazione di Sara Tommasi e di altre cinque persone. La soubrette della scuderia di Lele Mora, è uscita distrutta psicologicamente dalla partecipazione a pagamento a festini con politici e imprenditori (leggi l'articolo e ascolta l'audio). Così, per difendersi dal contenuto delle indagini, il ministro degli Esteri Frattini si appella ai diritti umani: "Potremmo ricorrere alla Corte europea dei diritti dell'uomo per denunciare la violazione della privacy del presidente" (leggi l'articolo)



10 febbraio 2011



Definire Silvio scemo è dir poco!

Lui, sicuro che Ruby, già maggiorenne, fosse la nipotina di Mubarak, per evitare un incidente diplomatico, telefona alla questura perchè la rilascino e la fa affidare ad una sua amica, la consigliera Minetti, indagata per istigazione alla prostituzione, che l'affida a sua volta ad una prostituta.

E meno male che Ruby non fosse realmente la nipotina di Mubarak, vi immaginate lo scaldalo e l'incidente diplomatico che si sarebbe verificato se Mubarak avesse saputo che il suo amico Silvio invitava la nipotina ai suoi festini privati in compagna delle sue amiche prostitute?

E che le dava anche del denaro non si sa bene per quale motivo?

Peccato, a questo punto, che Ruby non fosse veramente la nipotina di Mubarak, chissà che si sarebbe inventato l'ingenuone, bambinone, bamboccione Silviuccio!

Definirlo solo scemo è dir poco!

Authority: sanzioni a 7 società elettriche.


Multe per 2,3 milioni a Acea, A2A, Enel, Gelsia, Terna, Iren Mercato e Flyenergia.

(Cattaneo)
(Cattaneo)
MILANO - Ministangata per le società elettriche. L'Autorità per l'energia, a conclusione di procedimenti comprensivi di audizioni, ha irrogato sanzioni per un totale di oltre 2,3 milioni di euro a Acea Distribuzione, A2A Reti Elettriche, Enel Distribuzione, Gelsia Reti e Terna per violazione di norme a tutela della corretta gestione e remunerazione dei servizi di trasmissione, misura e dispacciamento. È quanto comunica la stessa Authority in una nota. Altre due società, Iren Mercato e Flyenergia, sono state invece sanzionate in tema di carente trasparenza delle bollette.

SANZIONI - Le sanzioni, pari a 571 mila euro per Acea Distribuzione, 302 mila euro per A2A Reti Elettriche, 920 mila euro per Enel Distribuzione, 75 mila euro per Gelsia Reti e 420 mila euro per il gestore delle rete di trasmissione nazionale Terna, sono state irrogate al termine di istruttorie formali relative ad infrazioni commesse nel triennio 2005-2007. Il mancato rispetto della regolazione da parte delle società coinvolte ha avuto ricadute negative sul corretto funzionamento del sistema elettrico nazionale e sui venditori a livello economico, con ripercussioni indirette anche sui clienti finali. Nel determinare l'entità delle sanzioni, si legge ancora nella nota, sono state valutate positivamente, il versamento da parte di Terna di circa 13 milioni di euro alla Cassa Conguaglio del settore elettrico e le attività intraprese da Enel Distribuzione per migliorare il trattamento dei dati di misura, il controllo delle anagrafiche e la formazione del bilancio di energia. Sono stati invece chiusi i procedimenti avviati nei confronti di AEM Torino e di ASM Terni poichè, nel corso dell'istruttoria, le società hanno dimostrato l'insussistenza delle analoghe violazioni contestate. Saranno inoltre conclusi a breve altri tre procedimenti nei confronti di altrettanti distributori per le medesime infrazioni. L'Autorità ha anche sanzionato due società di vendita, Iren Mercato e Flyenergia, rispettivamente per un importo di 84 mila euro e di 19 mila euro, per infrazioni relative alla trasparenza delle bollette per clienti domestici e non domestici. L'Autorità ha anche ordinato alle due società la cessazione dei comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori. Con questi due provvedimenti risulta concluso il «filone» dei sette procedimenti avviati in tema di violazione di norme riguardanti la trasparenza e comprensibilità delle bollette.

http://www.corriere.it/economia/11_febbraio_09/multe-societa-elettriche_2adab9a0-3471-11e0-89a3-00144f486ba6.shtml


Scuola, dal Nord al Sud i docenti sono uguali Così la Consulta boccia il dl della Gelmini.


Il decreto legge prevedeva l'azzeramento del punteggio se un insegnante si trasferiva da una città all'altra. La Corte Costituzionale ha, invece, rilevato che la proposta del ministro viola l'articolo 3 della Costituzione

Fino a ieri se un’insegnante di Ragusa voleva andare a lavorare a Padova doveva abbandonare tutto il suo punteggio accumulato e ripartire, nella provincia di trasferimento, in coda alle graduatorie. Questo per effetto di un decreto legge (134 del 2009) introdotto dal ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini. Ieri la Consulta lo ha dichiarato illegittimo perché viola l’articolo 3 della Costituzione. In sostanza, i docenti sono uguali in tutto il territorio, come i cittadini. E non possono essere discriminati se dal sud si trasferiscono al nord, dove ci sono più cattedre e quindi maggiori opportunità di lavoro.

Caterina Altamore, insegnante di scuola media, una delle precarie che ha animato lo sciopero della fame davanti a Montecitorio nei mesi scorsi, era colpita proprio da questo decreto: con i suoi 142 punti collezionati in 14 anni a Palermo, è finita dietro a chi aveva 20 punti a Brescia, dove è stata costretta a trasferirsi per mancanza di cattedre nella sua regione e impieghi vacanti in Lombardia. In Sicilia lascia per 9 mesi all’anno un marito, tre figli e tutta la sua carriera pregressa. A settembre, se fosse stata rispettata la graduatoria di merito, lei sarebbe entrata nei 35 posti di ruolo assegnate a Brescia, piazzandosi alla 30esima posizione. Ieri, appena ha ricevuto la notizia, ha chiamato l’avvocato che ha seguito il suo ricorso: “Sono felicissima – ha dichiarato – veniva leso il nostro diritto alla mobilità, con tutti i sacrifici che facciamo per venire a lavorare qui. Per fortuna questo provvedimento dettato dalla Lega è stato valutato per quello che è”.

Nella situazione di Caterina ci sono quasi 25 mila precari in tutta Italia. 15 mila di loro hanno fatto ricorso con l’Anief (l’associazione nazionale degli insegnanti ed educatori in formazione), gli altri singolarmente, e dovranno ora vedere riassegnate le loro posizioni lavorative. “Il ministro Gelmini dovrebbe prendere atto di non essere stata capace di gestire le graduatorie del personale docente, dovrebbe assumersi la responsabilità di aver creato un profondo danno erariale alle casse dello Stato e sanare la posizione dei ricorrenti aventi diritto, senza nulla togliere ai docenti già individuati nei contratti, come da prassi corrente – ha dichiarato il presidente dell’AniefMarcello Pacifico – le regole vanno rispettate”. Di conseguenza nell’aggiornamento delle graduatorie a esaurimento il personale docente avrà diritto al trasferimento e all’inserimento a pettine secondo il proprio punteggio (merito) e non secondo l’anzianità di iscrizione.

“La sentenza della Consulta certifica l’incapacità di un ministro che procede non per atti ma per pasticci – ha affermato Francesca Puglisi, responsabile scuola del Pd – ora che il danno è fatto la Lega, che ha tentato di innescare una guerra tra poveri all’interno delle graduatorie a esaurimento, voti insieme a tutte le opposizioni il rinvio della terza tranche di tagli nella scuola e la stabilizzazione senza costi di centomila precari. Questa è l’unica strada, perché chi lavora con competenza e passione da decenni nella scuola possa continuare a farlo garantendo la continuità didattica che è gran parte della qualità del sistema scolastico”. Già per il Tar Lazio questa disposizione violava gli articoli 24 e 113 della Costituzione. Da qui è partito il ricorso alla Consulta che ha stabilito di non discriminare gli insegnanti del Sud, più numerosi (come dimostrato dai dati del ministero) nei trasferimenti verso il nord. Al contrario di ciò che volevano il Carroccio e la Gelmini.