mercoledì 16 febbraio 2011

Il Quirinale da solo non basta. - di Lorenza Carlassare.



Un governo “provvisorio” per affrontare questioni improrogabili (la legge elettorale innanzitutto) è solo in astratto la soluzione per uscire da una situazione disastrosa.

I normali rimedi previsti nelle democrazie costituzionali non riescono infatti a funzionare nella realtà politicamente e moralmente degradata che stiamo vivendo.

I rimedi per uscire dalle crisi prevedono due passaggi, il primo nelle mani delle Camere, il secondo del presidente della Repubblica: se il governo non è in grado di funzionare, un voto di sfiducia lo costringe alle dimissioni aprendo la strada alla formazione di un governo nuovo da parte del presidente.

Questo cammino è oggi impedito da una squallida farsa: una maggioranza inesistente, ‘acquistando’ una manciata di voti di parlamentari ‘responsabili’, impedisce l’approvazione della sfiducia, bloccando una situazione insostenibile. Non ci sono i numeri per sfiduciare il governo, né per consentirgli un’azione politica efficace. I meccanismi costituzionali risultano inservibili perché il gioco è condotto con dadi truccati. Se il primo passaggio si rivela impossibile, ogni uscita è inesorabilmente preclusa?

QUI S’INSERISCE l’altro lato della vicenda, forse il più fosco, che ne rende insostenibile il perdurare. Non è soltanto in causa una maggioranza sfaldata e insufficiente: l’insufficienza è anche morale, vorrei dire ‘civile’, e rende incompatibile la persona di Berlusconi con la carica istituzionale ricoperta. Ma il presidente del Consiglio rifiuta di dimettersi; anche quest’uscita, scontata in qualsiasi democrazia normale, di fatto è preclusa. È guardando ad entrambi i fatti e alla loro ‘peculiarità’ che va valutato, in concreto, il ricorso all’estrema soluzione: lo scioglimento anticipato delle Camere. È la via indicata da Eugenio Scalfari nell’editoriale di domenica scorsa; ma, gli si obietta,il decreto di scioglimento deve essere controfirmato dal presidente del Consiglio. Come se ne esce? La Costituzione si limita a dire che il presidente della Repubblica può sciogliere le Camere “sentiti i loro presidenti” (art. 88).

Nessuna difficoltà, sembrerebbe. La norma però va letta nel quadro del sistema parlamentare e del generale principio dell’art. 89 “Nessun atto del presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti che ne assumono la responsabilità”. La controfirma ha un valore puramente formale, o il governo può rifiutarla? La risposta non è del tutto sicura. La controfirma assume “un diverso valore a seconda del tipo di atto” ammette anche la Cortecostituzionale seguendo l’opinione dei giuristi (sent. 200/2006 sul potere di grazia). Ad essa va “attribuito un carattere sostanziale quando l’atto sottoposto alla firma del capo dello Stato sia di tipo governativo e, dunque, espressione delle potestà che sono proprie dell’esecutivo, mentre a essa deve essere riconosciuto valore soltanto formale quando l’atto sia espressione di poteri propri del presidente della Repubblica, quali – ad esempio – quelli di inviare messaggi alle Camere, di nomina di senatori a vita o dei giudici costituzionali. A tali atti deve essere equiparato quello di concessione della grazia”.

Negli atti ‘presidenziali’, dunque, la decisione finale è assunta dal capo dello Stato, la controfirma è dovuta. Lo scioglimento delle Camere è fra questi? Alcuni costituzionalisti, soprattutto in passato, ritenevano di sì; per altri invece rientrerebbe in un terzo tipo (‘atto complesso’) che richiede l’accordo di entrambi.

Mi è sempre parsa preferibile questa posizione:inammissibile affidare al solo presidente, organo politicamente irresponsabile, una decisione intensamente politica, legata a valutazioni contingenti, non giudicabile con parametri oggettivi. La mia convinzione si è rafforzata dopo la presidenza di Cossiga le cui decisioni, legate agli umori del momento, provocarono numerosi appelli di costituzionalisti preoccupati per l’equilibrio costituzionale.

HO SEMPRE ritenuto che anche la maggioranza, qualsiasi maggioranza, vada tutelata, e dunque il governo, che della maggioranza è espressione, debba aver voce in una decisione grave che può metterne in gioco la sorte, e che pertanto la controfirma al decreto di scioglimento abbia valore ‘sostanziale’. Le interpretazioni diverse dell’art. 88 portano a differenti esiti: se lo scioglimento è ‘atto presidenziale’ l’eventuale rifiuto di controfirma autorizzerebbe il presidente a ricorrere alla Corte costituzionale, la quale, purché sussistano ragioni valide, darebbe ragione al primo. Con la teoria dell’atto complesso, invece, il rifiuto governativo – accertata la validità delle ‘motivazioni’ del rifiuto – dovrebbe essere considerato legittimo. La situazione concreta ha comunque un ruolo decisivo, e certamente le tipologie della dottrina non vanno intese in un modo rigido , incompatibile con l’elasticità dei rapporti costituzionali che sono pur sempre rapporti politici. Anche chi accede all’idea del necessario accordo fra i due, sposta comunque l’accento sul potere del capo dello Stato (ad esempio Paladin). Ed è sicuro per tutti che se è il presidente ad opporsi, lo scioglimento non si può fare. Nelle attuali circostanze s’innestano peculiarità tali da spostare i termini del discorso? Non siamo in una situazione ‘normale’ dove la decisione di sciogliere si basa su considerazioni soltanto ‘politiche’ e perciò non può essere lasciata al solo capo dello Stato.

Urgenze diverse s’incrociano. A un blocco che non trova uscita nelle vie costituzionalmente previste si aggiunge l’esigenza di ridare alle istituzioni la dignità perduta e di porre fine a contrasti indecorosi al limite della crisi. Quella del capo dello Stato non sarebbe una valutazione soltanto ‘politica’.

Due gravi motivi, oggettivamente rilevabili, la sosterrebbero:

rimettere in moto le istituzioni inceppate è fra i suoi compiti istituzionali (il governo con la sua maggioranza risicata non ‘governa’ e i rimedi costituzionali sono inutilizzabili);

chiudere un’inedita situazione di degrado e lotta fra ‘poteri’ mai prima verificata.

I dubbi, di certo, non mancano: ma è necessario, almeno, rifletterci.

Copiato da:

http://ilgiornalieri.blogspot.com/2011/02/il-quirinale-da-solo-non-basta.html


Le carte dell’inchiesta, Ruby: B mi disse di dire che ero la nipote di Mubarak.


La testimonianza che inchioda il presidente del Consiglio è contenuta nel primo verbale interrogatorio della ragazza marocchina. La quale conferma: voleva avere rapporti sessuali con me, mi diede una busta con 50mila euro

“Dirai a tutti che sei la nipote di Mubarak così potrai giustificare le risorse che ti metterò a disposizione”. Questo disse il presidente del Consiglio a Ruby. Ecco come nasce la “balla” (parole dell’ex questore Vincenzo Indolfi). Sta tutto in poche righe di un verbale. Quello del 3 agosto 2010, quando Ruby viene chiamata dai pm Boccassini, Sangermano e Forno per spiegare. La notte del 27 maggio in questura soprattutto, ma anche il suo rapporto con Silvio Berlusconi. E qui tutto cambia. Sì perché quell’interrogatorio risulta decisivo per rispondere alle tre domande che da mesi pesano sulle spalle del Cavaliere. Vediamole: Berlusconi chiese a Ruby di fare sesso? Sapeva che la ragazza era minorenne? Come nasce “la balla” (parole dell’ex questore Vincenzo Indolfi) della nipote di Mubark. Tutte domande a cui risponde Repubblica nell’articolo a firma Piero Colaprico e Giuseppe D’Avanzo. Sì, perché la chiave di volta sta dentro a queste poche pagine allegate alla richiesta di rinvio a giudizio depositata una settimana fa nell’ufficio del gipCristina Di Censo.

Torniamo allora al 14 febbraio 2010, il giorno che fissa il primo ingresso di Ruby a villa San Martino. Racconta la marocchina, che all’epoca ha 17 anni (i 18 li compirà il primo novembre): “Berlusconi mi prese da parte e mi condusse in una stanza dove restammo soli. Mi disse che la mia vita sarebbe cambiata e, anche se non ha mai parlato esplicitamente di rapporti sessuali, non è stato difficile per me capire che mi proponeva di fare sesso con lui”. Cosa pensa quella ragazza che si porta dietro una vita difficile e una fuga dalla comunità di Letojanni in provincia di Messina? In quel San Valentino, prima di entrare ad Arcore, ha già conosciuto Emilio Fede. Il direttore del Tg4 ha promesso di aiutarla e le ha subito presentato Lele Mora. L’impresario dei vip non ha dubbi: quella ragazzina gli piace e la fa entrare nella sua scuderia.

Di nuovo la parola a Ruby: “Berlusconi mi portò in un ufficio e mi consegnò una busta con 50mila euro”. In quel momento, però, il premier non sa che Ruby ha 17 anni. “Lui – dice la ragazza – sa che ho 24 anni”. Per ora, dunque, vale la buona fede del presidente del Consiglio che paga per un presunto rapporto sessuale con una maggiorenne. Tutto nelle regole, dunque.

Proseguiamo. “La volta successiva – va avanti Ruby – , mi ricordo era in marzo, l’autista di Emilio Fede viene a prendermi in via Settala, dove abitavo allora. Torno ad Arcore e là, parlando con le altre ragazze invitate, vengo a sapere che chi stava con lui, con Silvio, poteva avere la casa gratis. Alcune ragazze mi dissero di avere avuto a Milano 2 un appartamento con cinque anni di affitto pagati”. Naturalmente si tratta della Residenza in via Olgettina 65. In quegli appartamenti vivono tutte le ragazze del premier. C’è Marysthell Polanco, la donna del narcotrafficante Ramirez, c’è la soubrette Barbara Guerra, le sorelle De Vivo, napoletane con una partecipazione all’Isola dei Famosi, c’è Iris Berardi, neodiciottenne, origini brasiliane, ma provenienza emiliana, lei è una delle più assidue frequentatrici di Arcore. E c’è anche Nicole Minetti che ora in via Olgettina non abita più, ma che qui, nonostante tutto, ci passa spesso. A lei, infatti, il compito di gestire l’amministrazione delle case per conto delle ragazze e su ordine del premier.

A marzo, quindi, il Cavaliere offre a Ruby un appartamento. Lei non crede alle sue orecchie. Prima il denaro ora la casa. C’è però un solo pensiero che l’assilla: la bugia sulla sua età. ”A Berlusconi – racconta – avevo detto falsamente di avere ventiquattro anni e di essere egiziana. Quando mi propone di intestarmi quella casa, dovevo dirgli come stavano le cose. Non potevo più mentire. Gli dissi la verità: ero minorenne ed ero senza documenti”. Eppure, stando alla testimonianza della ragazza, il premier non si scompone. Le suggerisce: “Dirai a tutti che sei la nipote di Mubarak così potrai giustificare le risorse che ti metterò a disposizione”.

Ecco, allora, la genesi della balla che fa esplodere il caso e che, secondo il gip di Milano, radica il processo a Milano. Berlusconi, infatti, la sera del 27 maggio, telefonando al capo di gabinetto Pietro Ostuni, non agì nel pieno delle sue funzioni. Di più: poco conta che il reato di prostituzione minorile si avvenuto ad Arcore per cui è competente il Tribunale di Monza, perché, in questo caso, il reato più grave (concussione) attira a sé come una calamita quello meno grave (prostituzione minorile).




Ti sputtanerò - Luca e Paolo (con testo) Sanremo 2011


Blu Notte: "Tangentopoli" - sesta parte


lunedì 14 febbraio 2011

Mirabelli: «Per le elezioni non serve il sì del premier»


Il capo dello Stato potrebbe sciogliere le Camere anche senza l'accordo con il presidente del Consiglio; e il premier non potrebbe rifiutarsi di controfirmare quella decisione. Su questi punti concordano due presidenti emeriti della Consulta, Cesare Mirabelli e Antonio Baldassarre. La pensa così anche il costituzionalista Michele Ainis, a condizione però che il ricorso alle urne venga disposto dal presidente della Repubblica in presenza di una paralisi delle Camere o di una «guerra tra istituzioni».

«Il potere di scioglimento delle Camere non è un potere duale, ma un potere eccezionale del Presidente della Repubblica, che lo esercita sentiti i presidenti delle Camere - spiega Mirabelli - Occorre la controfirma come per tutti gli atti del capo dello Stato, ma questo non implica una condivisione, cioè che incida la volontà del governo; insomma non occorre dal punto di vista sostanziale una doppia volontà. Per questo se ci sono i presupposti, la controfirma non può essere rifiutata.

E se questo avvenisse si profilerebbe un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato davanti alla Consulta» Un'ipotesi « da scongiurare», secondo Mirabelli, che è comunque convinto che Napolitano con la nota di ieri «abbia voluto esprimere un ammonimento, rivolgere un invito a un rapporto istituzionale più sereno, non annunciare un'intenzione». «Lo scioglimento delle Camere è un potere esclusivo del Presidente della Repubblica. E il presidente del Consiglio non può rifiutarsi di controfirmarlo, perchè la sua firma attesta la provenienza dell'atto dal capo dello Stato, non è un concorso alla decisione» conviene Baldassarre. E spiega: «la tesi secondo cui lo scioglimento anticipato comporti necessariamente il contributo positivo del Presidente del Consiglio andava bene prima del mutamento del nostro sistema parlamentare, intervenuto con le leggi elettorali del '93-'94. Ora il presidente del Consiglio è il capo di una coalizione potenzialmente maggioritaria; se vi fosse una co-decisione nello scioglimento delle Camere, significherebbe, dato l'attuale sistema, che questo potere è scivolato nelle sue mani. Si tratta comunque di una decisione estrema, che va presa in presenza di una grave difficoltà del sistema costituzionale».

Basterebbero tensioni gravi tra istituzioni? «sì, se sono tali da mettere in pericolo lo Stato di diritto. Condizioni che al momento forse non ci sono, ma molto dipenderà dalle decisioni future: se vi fossero deliberazioni parlamentari tali da mettere in pericolo l'equilibrio tra i poteri dello Stato, per esempio colpendo l'indipendenza della magistratura, ci sarebbero gli estremi per lo scioglimento».

«Ogni atto del capo dello Stato va controfirmato, ma la controfirma ha un valore diverso a seconda del potere che viene esercitato -premette Ainis- Nel caso del potere di scioglimento, tutto dipende dal motivo per cui viene disposto: se perchè il Parlamento non è in grado di esprimere una maggioranza, si tratta di un atto complesso, che dunque richiede la volontà concorde del presidente della Repubblica e del presidente del Consiglio; se invece perchè c'è una fiducia solo di facciata ma le Camere sono di fatto paralizzate oppure c'è una guerra tra istituzioni, siamo di fronte a un atto sostanzialmente presidenziale e la controfirma è solo notarile. In questo caso cioè il presidente del Consiglio non può giudicare il merito».

Per Ainis «non siamo ancora in nessuna di queste situazioni, ma c'è qualche sintomo: c'è un Parlamento che cammina poco e una rissa tra istituzioni che manca poco che diventi guerra».


Passaparola del 14 febbraio 2011. - Codice Berlusconi.


Maria Caporuscio.


Da oggi i giornali internazionali non potranno più scrivere che gli italiani hanno il governo che meritano. Dopo le manifestazioni di ieri devono scrivere che gli italiani hanno un governo che NON MERITANO. La popolazione italiana non si sente affatto rappresentata da questi sozzoni e visto che le opposizioni non riescono a spazzarli via, ci stanno pensando le donne italiane con una manifestazione che passerà alla storia. Mai in Italia si era visto niente di simile, ogni città era un'esplosione di gioia per la resurrezione dal coma cui era tenuto da quasi venti anni il nostro Paese. Le donne! Queste meravigliose figure che sono state e sono i veri pilastri della nostra società, tanto da far dire che “un uomo è quello che è in base alla moglie che ha” si sono alzate in piedi. Le donne che anche quando nelle proprie case fanno cento lavori, umili solo in apparenza ma in realtà da premio nobel, visto che sulle loro spalle si poggia tutto il peso della casa: fare la spesa, pulire, lavare, stirare, crescere i figli tanto da non poter riposare nemmeno quando hanno la febbre e sempre in silenzio ma a testa alta, cui una maggiore attenzione ne rivelerebbe tutta la nobiltà. Sono proprio le casalinghe le vere SIGNORE, quelle che con la loro delicata discrezione, guidano e migliorano la società, ma per una superficialità collettiva, non se ne riconosce il valore. Diceva mia nonna “una donna regge sulle spalle tre colonne mentre gli uomini ne reggono una sola”. Senza la loro guida, senza il loro sacrificio, la società peggiorerebbe di molto.
Vorrei dire a quei politici che ritengono lecito ogni lurido comportamento del loro capo e a quei giornalisti extralarge e non, che ripetono che siamo un popolo di bacchettoni e moralisti, che noi siamo stati educati al rispetto e alla dignità verso noi stessi e verso gli altri e ne siamo fieri, mentre loro evidentemente, sono cresciuti in un bordello per cui sono abituati a vivere nel più turpe degrado e nulla li può scandalizzare.

Dal blog di Beppe Grillo del 14 febbraio 2011 "Codice Berlusconi"