giovedì 17 febbraio 2011

Caso Ruby, nelle carte le prove della concussione di B: “Niente foto segnaletiche”.




Il punto di forza è la concussione. Sono legate soprattutto alle telefonate di Silvio Berlusconi in Questura la notte tra il 27 e il 28 maggio le “prove evidenti” che motivano il “sì” del gip Cristina di Censo alla richiesta di rito immediato. Un documento di 27 pagine che contiene le ragioni per cui il premier deve essere processato a Milano e non dal tribunale dei ministri. Molte di quelle “evidenze” ruotano attorno alla notte della telefonata per salvare la nipotina di Mubarak. Berlusconi, parlando al telefono con Piero Ostuni, capo di gabinetto della Questura di Milano, non si limitò a chiedere che Ruby venisse lasciata andare contravvenendo le disposizioni del pm dei minori, ma si preoccupò di non lasciare tracce, ordinando di evitare tutte le procedure. Tanto che finirono per saltare anche le iniziative di prassi, come la fotosegnalazione: “Non fotosegnalatela”, fu l’ordine arrivato dai piani alti della questura. A riportarlo non sono testimonianze in ordine speso, ma una relazione di servizio della polizia finita sul tavolo del pm Antonio Sangermano lo scorso 28 luglio. Quella da cui sono partite le indagini.

“Durante l’ultima telefonata – si legge nella relazione riportata oggi da La Stampa – l’assistente Landolfi veniva ragigunto di gran corsa (…) dal commissario capo dottoressa Iafrate Giorgia, la quale riferiva di aver ricevuto una comunicazione telefonica da parte del capo di gabinetto della Questura dottor Ostuni, dove si doveva lasciar andare la minorenne e che non andava fotosegnalata”. E’ soprattutto grazie al resoconto di due funzionari di polizia che il gip Di Censo, nel documento che accompagna la sua decisione, può scrivere che Silvio Berlusconi agì “sicuramente con abuso della qualità di presidente del Consiglio, ma, altrettanto certamente, al di fuori di qualsiasi prerogativa istituzionale e funzionale propria del presidente del Consiglio dei ministri, al quale nessuna competenza spetta in materia di identificazione e affidamento dei minori e che, più in generale, non dispone di poteri di intervento gerarchico nei confronti dell’autorita’ della polizia di Stato ovvero della polizia giudiziaria, impegnata nell’espletamento di compititi d’istituto”.

Certo, non c’è solo questo. Perché le “evidenze” emergono anche dai verbali di Ruby, in cui la ragazza spiega come la storiella della “nipote di Mubarak” fosse un’idea di Silvio Berlusconi, e di come il presidente si sia speso per procurarle i documenti: “Non preoccuparti, ci penso io”. Ma soprattutto, quello che emerge, è che sia Silvio Berlusconi, sia Nicole Minetti sapevano che Ruby era minorenne ben prima della notte in questura. Su Berlusconi, Ruby nell’interrogatorio del 3 agosto dice: “Fino a quel momento, la sera del 14 febbraio, Berlusconi sa che ho 24 anni. La volta successiva, mi ricordo era in marzo (…) torno ad Arcore e là, parlando con altre ragazze invitate, vengo a sapere che chi stava con lui, con Silvio, poteva avere la casa gratis”. Così decide di rivelargli l’età aggiungendo che non ha i documenti. Lui non si scompone, le consiglia di dire che è la nipote del presidente egiziano per giustificare la vita agiata che farà grazie ai suoi versamenti. E le dice anche “non preoccuparti dei documenti, me ne occuperò io”). Stesso discorso per la Minetti: Dice sempre Ruby il 3 agosto: “Nicole sapeva fin dall’inizio che ero minorenne. Era consapevole della mia minore età prima del mio ingresso ad Arcore, il giorno di San Valentino”. Un po’ il carattere di Ruby, un po’ il suo “problema” anagrafico. Così, quando la notte del 27 maggio la Minetti viene scelta dal Cavaliere di andare in Questura, lei è “un po’ titubante”. E definisce Ruby una “ragazza problematica” pur dicendo di conoscerla poco: “Ci siamo incontrate due o tre volte”. Anche se risultano 122 contatti telefonici tra febbraio e giugno 2010.

E mentre ieri dall’ufficio del giudice delle indagini preliminari sono partite le notifiche del decreto che dispone il giudizio e della richiesta di giudizio immediato dei pm – un plico di poco meno di 800 pagine, recapitato al Presidente del Consiglio e ai suoi difensori e a Ruby, ai tre funzionari della Questura di Milano e, tramite l’avvocatura della Stato, al ministero dell’Interno – emergono altri aspetti che arricchiscono il quadro accusatorio. Come la documentazione bancaria raccolta nelle ultime settimane. Tra cui alcuni movimenti su un conto corrente intestato a Giuseppe Spinelli, il tesoriere del premier: assegni e bonifici utilizzati per acquistare autovetture (lo stesso Berlusconi ha ammesso di avere “regalato mini cooper” a bisognose).

Se da un lato, quindi, i magistrati sono prudenti sulle dichiarazioni contenute nei cinque verbali di Ruby (quello del 3 agosto scorso è stato redatto in due tempi), ritenute credibili a “segmenti” perché contraddittorie in più punti. Dall’altro però nelle carte ci sono anche una serie di intercettazioni che testimoniano non solo come i suoi genitori, M’Hamed El Mahrog e la moglie Naima, fossero “a conoscenza di fatti riguardanti la vita di Ruby” ed evidentemente le sue frequentazioni milanesi, ma come lei stessa avesse cercato di impedire che la madre li rivelasse alla polizia che si era recata a Letojanni (Messina) per sentire la donna: “Devi dire alla mamma di alzarsi e dichiarare di non voler rispondere nulla”, dice Ruby al padre, che risponde: “La mamma sa quel che sta dicendo”.




IL SIGNORE DEI PANNELLI. - DI EUGENIO BENETAZZO




Da alcuni mesi ricevo settimanalmente centinaia di email di lettori e simpatizzanti che mi chiedono se l’investimento in infrastrutture fotovoltaiche sia realmente conveniente oppure rappresenti una moda passeggera o peggio ancora una bolla finanziaria simile alle dot com durante i primi anni duemila. Queste perplessità hanno iniziato ad emergere dopo che si è sparsa in rete la notizia che anch’io a livello imprenditoriale avevo investito nella realizzazione di un parco solare dalle dimensioni considerevoli in Puglia. Nello specifico la preoccupazione dominante che ho potuto constatare è legata alla sostenibilità delle tariffe incentivanti riconosciute per la produzione di energia da FER (fonti di energia rinnovabile) qualora il nostro Paese dovesse affrontare una crisi finanziaria e di credibilità istituzionale simile a quella greca o irlandese.

Già qui si evince molta confusione infatti la copertura finanziaria necessaria al sostegno degli incentivi per le fonti di energia rinnovabile attraverso l'erogazione dei famosi contributi Conto Energia è garantita da un prelievo tariffario obbligatorio (denominato A3) presente sulla bolletta di ogni utenza elettrica (pesa per il 4% in quelle domestiche e per il 6% in quelle industriali).

Pertanto non è lo Stato con la fiscalità diffusa che sostiene i contributi al fotovoltaico quanto piuttosto tutti coloro che sono intestatari di un’utenza elettrica e ne pagano il relativo servizio di erogazione. Sino ad oggi gli italiani (generalmente parlando) sono stati molto scettici nell’investire in questo settore, pur considerando che il nostro Paese vanta il miglior irraggiamento solare nelle regioni meridionali di qualsiasi altro paese europeo.

La reticenza degli italiani è stata ampiamente battuta dall’intraprendenza e lungimiranza di una moltitudine di investitori esteri (soprattutto fondi di investimento) che hanno investito sul territorio italiano milioni e milioni di euro, cavalcando proprio la diffidenza italiana. Il fotovoltaico in Italia è forse uno dei pochi settori in cui ha ancora senso investire, non è un caso che il nostro Paese garantisca la migliore reddittività del mondo (tra il 15 ed il 18% su base annua). Persino nella mia regione in provincia di Rovigo è stato recentemente completato uno tra i più grandi impianti fotovoltaici a terra di tutta Europa: sorprende sapere che l’investimento di oltre 270 milioni di Euro è stato effettuato dalla First Reserve, notissima società di investimento statunitense.

Nella mia modesta dimensione imprenditoriale, se rapportata ai numeri di questi giganti del mondo finanziario, attraverso la holding di investimento che amministro sono riuscito a replicare la medesima architettura finanziaria della First Reserve ovvero investire in un sottostante non cartaceo che possa produrre flussi di cassa a prescindere dalle oscillazioni dei mercati finanziari. L’operazione che ad oggi rappresenta un vanto del microcapitalismo italiano, dimostra che anche il piccolo, se si organizza e si aggrega, può spuntare rendimenti finanziari non replicabili dai tradizionali prodotti del risparmio gestito. Rimango invece molto scettico sulla scelta di preferire il diritto di superfice all’acquisto del terreno su cui si è deciso di installare l’intera infrastruttura fotovoltaica.

Nello specifico la stragrande maggioranza di chi investe sul fotovoltaico usufruisce del diritto di superfice a 20 anni concesso dal proprietario del terreno: questa scelta potrebbe generare un dannoso effetto boomerang sulla redditività complessiva dell’operazione alla fine del periodo di concessione, infatti nessuno al momento può sapere se sarà oggettivamente conveniente smaltire i moduli fotovolatici oppure se converrà lasciarli continuare a produrre (variante economicamente possibile e conveniente solo per chi ha scelto di acquisire anche il terreno su cui è sito l’intero parco solare, cosa tra l'altro che io stesso ho preferito).

Per quanto riguarda il cosidetto “impatto ambientale” preferisco di gran lunga trovarmi a vivere di fianco ad un impianto fotovolatico piuttosto che avere come vicino di casa un sito per lo smaltimento dei rifiuti (leggasi termovalorizzatore) o una centrale termonucleare. I moduli fotovoltaici di ultima generazione a distanza di 30 anni subiranno forse un degrado di efficienza di appena il 25 %, pertanto quando il costo dell’energia elettrica sarà abbondamente salito (nel 2040 saremo oltre 9 miliardi di persone), a distanza di anni dalla fine del piano di incentivazione, chi si troverà ad avere un parco solare su terreno di proprietà potrà vantarsi di possedere una piccola miniera a cielo aperto.

Eugenio Benetazzo
Fonte: www.eugeniobenetazzo.com
Link: http://www.eugeniobenetazzo.com/fotovoltaico-investimenti.htm


POSSIAMO CAMBIARE OBAMA CON CHAVEZ ? - DI MIKE WHITNEY




Lunedì, mentre Barack Obama si stava divertendo con i suoi amici della Camera di Commercio statunitense, Hugo Chavez era occupato a distribuire computer portatili ai bambini delle medie in una scuola di Caracas. Dopo di che, il presidente venezuelano si è precipitato in un impianto di distribuzione alimentare che mette a disposizione 110 milioni di dollari in cibi pre-confezionati per i poveri del Venezuela. Infine, ha concluso il pomeriggio facendo un'apparizione in uno dei molti cantieri dove sono in costruzione nuove case per le vittime delle massicce inondazioni di gennaio. E' tutto per quanto riguarda la giornata lavorativa di Hugo Chavez.

Mentre Obama si è rivelato essere il presidente più deludente dell'ultimo secolo, Chavez continua a stupire con la sua volontà di migliorare le vite dei comuni lavoratori. Per esempio, in soli dodici anni, Chavez ha creato un fiorente servizio sanitario nazionale pubblico con 553 centri diagnostici e strutture sanitarie diffuse in tutta la capitale.

L'assistenza sanitaria è gratuita e da quando Chavez ha inauguratp il programma Mision Barrio Adentro sono state effettuate 55 milioni di visite mediche. In confronto al “misero” omaggio in denaro di Obama al gigante americano HMO, che ha cercato di promuovere l'assistenza sanitaria universale. Che bello scherzo.

Chavez ha anche aperto la strada ad un maggiore impegno e attivismo politico mediante l'istituzione di oltre 30.000 consigli comunali e 236 comuni, tutti incentrati nel far entrare il maggior numero di persone nel processo politico e permettendo loro di portare avanti il cambiamento. Negli Stati Uniti, le organizzazioni di base sono state emarginate da leader di partito che prendono ordini da élite ben celate che controllano entrambi i partiti. Da parte sua, Obama è perfino meno interessato del suo predecessore George W.Bush a ciò che i suoi sostenitori vogliono.

E cosa ha fatto Chavez per allentare la morsa delle imprese sui media? Ecco cosa dice Gregory Wilpert nel suo articolo intitolato “Una valutazione della rivoluzione bolivariana del Venezuela nei suoi dodici anni”:

“Per quanto riguarda i media, i comuni venezuelani ora partecipano alla creazione di centinaia di nuove radio comunitarie indipendenti e di emittenti televisive in tutto il paese. I precedenti governi perseguitavano i media comunitari, me adesso le istituzioni statali li supportano attivamente – non con finanziamenti, ma attraverso la formazione e l'avviamento degli impianti.

Secondo l'annuale i sondaggio di opinione Latinobarometro, che consente un confronto con le altre democrazie in America Latina, la combinazione tra una maggiore coesione e una maggiore partecipazione ha portato ad una maggiore accettazione del sistema politico democratico del Venezuela. Cioè, più venezuelani credono nella democrazia rispetto ai cittadini di qualsiasi altro paese dell'America Latina. L' 84% dei Venezuelani dicono che “la democrazia è preferibile a qualsiasi altro sistema di governo”. (“Una valutazione della rivoluzione bolivariana del Venezuela nei suoi dodici anni”, Gregory Wilpert, Venezuelanalysis.com)

La settimana scorsa Chavez si è unito alla lotta contro la Coca-Cola partecipando ad una manifestazione di operai in sciopero nella città di Valencia, che ospita il principale impianto di imbottigliamento della Coca-Cola in Venezuela. Chavez ha deluso la Coca-Cola affermando che se non vuole seguirne “la Costituzione e le leggi” il Venezuela potrebbe “vivere senza di essa”.

Continua così Hugo, dì alla Coca-Cola di impacchettare la sabbia!

I 1.300 lavoratori in sciopero stanno solo chiedendo un misero aumento per far fronte alle loro maggiori spese, ma ovviamente ciò diminuirebbe i profitti dell'azienda, dunque la Coca-Cola sta combattendo le loro richieste da strozzini.

Riuscite ad immaginare uno scenario nel quale l' “amico degli affari” Obama combatte una grande azienda?

La settimana scorsa Chavez ha annunciato che il suo governo avrebbe speso altri 700 milioni di dollari per combattere il problema dei senza-tetto e costruire altre 40.000 abitazioni. Il presidente ha intensificato i suoi sforzi da quando le inondazioni che hanno devastato il paese all'inizio dell'anno hanno lasciato decine di migliaia di persone senza riparo. Chavez è determinato a non commettere gli stessi errori di Bush dopo l'uragano Katrina, quando le vittime del disastro furono abbandonate a loro stesse costringendo un terzo della popolazione di New Orleans a fuggire in altre zone del paese per trovare rifugio.

E quale effetto ha avuto Chavez sull'economia venezuelana? Ecco ancora Wilpert:

“Così come il governo di Chavez ha democratizzato il sistema politico del Venezuela nel corso degli ultimi dodici anni, lo stesso ha fatto con il suo sistema economico, sia a livello macro che micro-economico.

A livello macro-economico ciò è stato ottenuto aumentando il controlla statale sull'economia e smantellando il neo-liberismo in Venezuela. Il governo di Chavez ha ripristinato il controllo statale sul prima quasi autonomo settore del petrolio nazionale. Il governo ha nazionalizzato i subappalti privati dell'industria petrolifera e li ha integrati nella società petrolifera di Stato, garantendo così ai lavoratori maggiori vantaggi e una retribuzione migliore. Ha anche nazionalizzato le operazioni delle compagnie petrolifere transazionali in modo che non potessero detenere più del 40% del controllo di un determinato sito di produzione del petrolio. Inoltre, il governo ha eliminato la pratica degli “accordi di servizio”, in base ai quali le compagnie petrolifere transazionali godevano di concessioni lucrative per la produzione di greggio. E, cosa più importante, il governo ha aumentato le royalties provenienti dalla produzione di petrolio dall'1% ad un minimo del 33%.

Nel settore non petrolifero il governo ha nazionalizzato industrie-chiave (precedentemente privatizzate) in settori quali la produzione di acciaio (Sidor), le telecomunicazioni (Cantv), la distribuzione di energia elettrica (la produzione era già nelle mani dello Stato), la produzione di cemento (Cemex), e ancora nel settore bancario (Banco de Venezuela) e nella distribuzione degli alimenti (Éxito).” (“Una valutazione della rivoluzione bolivariana del Venezuela nei suoi dodici anni”, Gregory Wilpert, Venezuelanalysis.com)

Le persone sono quindi in condizioni finanziarie migliori con le società di telecomunicazioni ed elettriche di proprietà privata come la Enron (e gli altri pirati di Wall Street) o queste dovrebbero essere trasformate in settori di pubblica utilità?

E riguardo al petrolio? La British Petroleum e la Exxon sono più adatte a svolgere il loro compito rispetto al settore pubblico?

Per non parlare di quello bancario: vi sentireste più al sicuro con lo zio Sam o Goldman Sachs?

Chavez ha ridotto drasticamente dimezzato il tasso di povertà, ha abbassato la disoccupazione dal 15% del 1999 al 7% di oggi, e ridotto le diseguaglianze al livello più basso di tutta l'America Latina. In Venezuela le persone sono sempre più sane e vivono più a lungo. Sono meglio retribuite e più impegnate politicamente. “L'84% dei venezuelani dice di essere soddisfatto della propria vita, che è la seconda percentuale più alta dell'America Latina.” E, indovinate un po', Chavez sta rafforzando la sicurezza sociale e i programmi di pensionamento, invece di cercare di distruggerli consegnandoli a Wall Street sotto forma di conti privati.

Inoltre la generosità di Chavez non si è limitata al solo Venezuela: è stato infatti il primo leader mondiale ad offrire aiuti sotto forma di medicinali e alimenti alle vittime dell'uragano Katrina. Provvede ancora a fornire carburante gratis per il riscaldamento ai poveri del nord-est degli Stati Uniti. L'azienda Citgo di proprietà venezuelana si è associata a Citizens Energy “ per fornire centinaia di migliaia di litri di gasolio per il riscaldamento gratis e a basso costo per le famiglie bisognose americane e rifugi per i senzatetto negli Stati Uniti.” Afferma il presidente di Citizens Energy Joseph P. Kennedy: “Ogni anno chiediamo alle maggiori compagnie petrolifere e alle nazioni produttrici di petrolio di aiutare i nostri cittadini più anziani e poveri a cavarsela durante l'inverno e solo una società, la Citgo, e un Paese, il Venezuela, hanno risposto ai nostri appelli”.

Proprio così. Nessun'altra compagnia petrolifera ha dato neanche un solo misero centesimo in beneficenza. Dal 2005 Chavez ha fornito oltre 170 milioni di galloni di petrolio per il riscaldamento.

Al contrario, Barack Obama non ha fatto nulla per i poveri, i senzatetto, i comuni lavoratori o la classe media. E' stato di un'incompetenza assoluta eccetto che per i più ricchi fra i ricchi. Forse dovremmo scambiarlo con Chavez?

Vale la pena di provare.

Mike Whitney
Fonte: www.informationclearinghouse.info
Link: http://www.informationclearinghouse.info/article27431.htm
8.02.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di PASCAL SOTGIU



Decreto Milleproroghe, ecco le misure.


Roma, 16 feb. - (Adnkronos) - Sgravi alle banche in vista di Basilea 3, sanatoria per i manifesti politici, aumento dei biglietti per il cinema proroga per le multe sulle quote latte, introduzione del foglio rosa per i motorini, ritorno della social card, acconti per i comuni in attesa dell'attuazione del federalismo municipale. Sono alcune delle misure contenute nel dl milleproroghe come ridisegnato dal maxiemendamento sul quale il governo ha posto e ottenuto la fiducia al Senato. A favore hanno votato 158 senatori, contro 166, astenuti 4. Il provevdimento passa ora alla Camera per la seconda lettura. I deputati avranno tempo fino al 27 febbraio per la conversione definitiva. Ecco le misure approvate dal Senato.

- ABRUZZO: Via libera al pacchetto di norme per i terremotati in Abruzzo. Tra le misure approvate c'è la proroga della riscossione dei tributi al 31 dicembre 2011 e lo slittamento della riscossione delle rate dei premi assicurativi al 31 ottobre di quest'anno. Viene inoltre istituita la giornata della memoria delle vittime del terremoto, il giorno 6 aprile.

- ALLUVIONI: arrivano 100 milioni per il finanziamento delle spese derivanti dalle alluvioni, per ciascuno degli anni 2011 e 2012. Le risorse andranno alla Liguria (45 mln l'anno), al Veneto (30 mln l'anno), alla Campania (20 mln l'anno) e ai comuni della provincia di Messina (5 mln l'anno), colpiti dall'alluvione del 2 ottobre del 2009.

- AUTOTRASPORTO: Viene prorogato l'ecobonus, con un fondo di 30 milioni di euro.

- BANCHE: Le banche potranno utilizzare in compensazione il credito d'imposta, insieme alle attività immateriali e valori d'avviamento. In questo modo potranno meglio rispondere ai nuovi parametri fissati da Basilea 3, che entreranno in vigore nel 2013.

- BANCHE POPOLARI: Proroga al 2014 del termine entro il quale le fondazioni bancarie devono scendere sotto il tetto dello 0,5% nelle banche popolari. La norma riguarda solo gli istituti che detenevano partecipazioni al 2009 per effetto di fusioni.

- CAMPANIA: Stop alle demolizioni delle prime case in Campania, disposte in seguito a sentenza penale. La sospensione delle demolizioni è fissata fino al 31 dicembre 2011. Gli enti locali della Campania e la regione potranno inoltre aumentare tributi e addizionali, in alternativa alla tariffa sui rifiuti, per finanziare il ciclo dei rifiuti.

- CASE FANTASMA: I proprietari delle case 'fantasma' avranno tempo fino al 30 aprile per mettersi in regole. La versione originale del decreto milleproroghe prevedeva un rinvio, rispetto al termine inizialmente fissato al 31 dicembre 2010, di tre mesi, spostando la dead line al 31 marzo. La nuova versione sposta la scadenza di un altro mese.

- CARTA D'IDENTITA': Slitta al 31 marzo 2011 il termine entro cui sui documenti dovrà essere inserita anche l'impronta digitale del soggetto titolare del documento identificativo.

- 5 PER MILLE: Arrivano le risorse necessarie per il finanziamento del 5 per mille. Sono 300 milioni, che si vanno ad aggiungere ai 100 milioni gia' stanziati nella legge di stabilita'. Una quota, fino al tetto di 100 milioni di euro, sara' destinata ai malati di Sla.

- CINEMA: Dal primo luglio andare al cinema costerà un euro in più. L'incremento del costo dei film nelle sale, ad esclusione delle sale parrocchiali, servirà per finanziare le agevolazioni fiscali nel settore della produzione cinematografica, previsti dal milleproroghe. I rincari avranno effetto dal primo luglio e fino al 31 dicembre 2013.

- CONSOB: Via libera alla riorganizzazione della Consob, senza pero' lo spostamento della sede a Milano. La riorganizzazione dovra' avvenire entro il 31 luglio.

- FOGLIO ROSA: Arriva il foglio rosa per i motorini e le minicar, che potrà essere utilizzato nel periodo che va dalla prova teorica a quella pratica. Si stabilisce inoltre che la prova pratica di guida non potrà essere sostenuta prima che sia trascorso un mese dalla data del rilascio dell'autorizzazione. In caso di esito negativo della prova, dovrà passare almeno un mese per poter sostenere un altro esame e gli aspiranti centauri avranno solo due possibilità. Rispetto al termine del 19 gennaio per l'entrata in vigore della norma, stabilito dal nuovo codice della strada, viene fissata una nuova scadenza al 31 marzo 2011, che potrà essere ulteriormente rinviata al 31 dicembre 2011.

- FONDI INVESTIMENTO: Novità in arrivo sulla tassazione dei fondi comuni d'investimento. Per i fondi nazionali si stabilisce il passaggio della tassazione attuale del maturato in capo ai fondi, alla tassazione del maturato in capo ai sottoscritti delle quote del fondo.

- INCROCI TV E STAMPA: Proroga di due anni del divieto di incroci tra settore della stampa e settore della televisione, che slitta fino al 31 dicembre 2012.

- PARMALAT: Agli azionisti Parmalat non potrà essere distribuito più del 50% degli utili. Sono inoltre inefficaci le eventuali modifiche della clausola concordataria.

- POSTE: Poste spa potrà ''acquistare partecipazioni, anche di controllo, nel capitale delle banche'', ma solo al fine di entrare nel capitale della banca per il mezzogiorno. La norma stabilisce inoltre lo scorporo di Bancoposta da Poste.

- PRECARI SCUOLA: Saranno congelate sino al 2012 le graduatorie ad esaurimento degli insegnanti precari. Inoltre si stabilisce che i supplenti chiamati dalle scuole potranno provenire solo dalla provincia in cui ha sede l'istituto stesso.

- QUOTE LATTE: Slitta ancora una volta il pagamento delle multe sulle quote latte, dando altri sei mesi di tempo agli allevatori. E' prevista uno slittamento di altri sei mesi, rispetto all'ultimo termine fissato al 31 dicembre 2010, della partenza dei piani di rateazione delle multe.

- SANATORIA MANIFESTI: Arriva il condono per le violazioni ''ripetute e continuate'' delle norme in materia di affissioni e pubblicità di ''manifesti politici ovvero di striscioni e mezzi similari''. Il provvedimento consente di chiudere i contenziosi ''di ogni ordine e grado di giudizio, nonché delle somme eventualmente iscritte a titolo sanzionatorio'' attraverso il versamento di 1.000 euro. Il termine per il pagamento e' fissato al 31 maggio 2011.

- SFRATTI: Ancora un anno di tempo per rendere esecutivi gli sfratti, per le categorie disagiate. La norma sposta il termine degli sfratti dal 31 dicembre 2010 al 31 dicembre 2011 il termine.

- SOCIAL CARD: Torna la social card, la carta acquisti alimentari e per il pagamento delle bollette, destinata alle fasce della popolazione più bisognose. E avrà una fase sperimentale affidata agli enti caritativi operanti nei comuni con più di 250.000 abitanti. La sperimentazione avrà durata di 12 mesi e potrà contare su risorse pari a 50 milioni di euro.

- TRIBUTI REGIONI: Le regioni colpite da calamità naturali potranno incrementare i tributi e le accise sui carburanti. Il provvedimento stabilisce che ''qualora il bilancio della regione non rechi le disponibilità finanziarie sufficienti per effettuare le spese conseguenti'' all'emergenza ovvero "la copertura degli oneri conseguenti alla stessa'' le regioni possono deliberare gli aumenti. "Potranno essere incrementati i tributi, le addizionali, le aliquote e le maggiorazioni di aliquote attribuite alle regioni''. Per gli enti territoriali arriva anche un allegerimento del patto di stabilità interno.

- TLC: Arrivano 30 milioni di euro per finanziare il passaggio al digitale per il 2011.

- UNIVERSITA': Arrivano le risorse necessarie per finanziare il fondo unico per l'Università.

- VENETO: Viene prorogata al 30 giugno la sospensione dei tributi per le zone del Veneto colpite dalle alluvioni.

mercoledì 16 febbraio 2011

Maurizio Crozza: "Oy Oy, me vengono a prelevar" (Ballarò 15.02.2011)


B. nel bunker chiama la piazza. - di Adriano Botta.




Nessun passo indietro, arrocco in Parlamento e appello al «popolo» contro i magistrati. Il giorno dopo il rinvio a giudizio, il Cavaliere punta allo scontro totale.

Il meccanismo è quello di sempre. Non lanciare subito una manifestazione, ma farla chiedere dal "popolo". Così, la manovra parte come di consueto dal sito del Pdl, quello in cui vengono fatti parlare i militanti e i simpatizzanti. Fabrizio: «Perché non scendiamo in piazza anche noi per dare al Pdl il nostro sostegno?». Agostino: «Dovremmo occupare tutte le piazze di ogni capoluogo». Vittorio: «Il momento è gravissimo e dobbiamo salvare la democrazia in pericolo, fermiamo tutte le attività e tutti in piazza subito». Cathy:«Ma cosa aspettiamo a scendere in piazza e reclamare i nostri diritti di elettori?».

E così via, in un tripudio di richieste di mobilitazione. Che poi tracimano, inevitabilmente, sul "Giornale" di famiglia, secondo il quale «Berlusconi ha di nuovo accarezzato l'idea di una grande manifestazione di piazza contro la magistratura politicizzata». Perché, continua la testata del premier, «il Cavaliere ieri pomeriggio era tonico e reattivo (...) e continua a non aver alcun tentennamento né alcuna intenzione di fare passi indietro». Una certezza che si traduce nel titolone di prima pagina: «Berlusconi non cade». Sulla stessa linea il giornale gemello, "Libero": «Il passo indietro non ci sarà mai».

Insomma, smentite preventive, perché martedì sera anche tra i deputati del Pdl si era diffusa la voce (ufficiosissima, anzi rigorosamente anonima) che sarebbe stato pronto un passaggio di mano ad Alfano o a Letta. Invece, avanti tutta: arroccandosi e appellandosi alla piazza, fino alla fine.

Tutte le dichiarazione degli esponenti del Pdl sono identiche e chi non manda almeno due righe all'Ansa gridando al golpe è un traditore: «Il 6 aprile non va a processo il premier o il suo governo, ma la nostra democrazia» (Meloni);«Berlusconi è vittima di un sistema malato che tenta di criminalizzare chiunque si pone a capo dei moderati» (Giovanardi); «Non accettiamo che un confronto politico venga affrontato con mezzi impropri dalla sinistra politico-giudiziaria» (Gasparri); «Come in passato, Berlusconi sarà assolto, ma solo dopo aver sprecato milioni di euro in indagini inutili e infangato l'immagine dell'Italia» (Valducci); «Non cantino vittoria i signori della sinistra che, incapaci di battere Berlusconi nelle urne, sperano sempre e soltanto nel solito aiutino dei pm rossi» (Izzo); «Guerra persecutoria, aggressione giudiziaria, voglia di piazzale Loreto» (Giuliano Ferrara)». Fino al mitico «Berlusconi never surrender», in inglese, di Giorgio Stracquadanio. Lo stesso concetto (non manca mai la frase «giustizia a orologeria»)viene insomma declinato centinaia di volte per mostrare al Capo che non è rimasto solo nel bunker.

E in un certo senso i colonnelli e i peones del Pdl hanno ragione, perché mentre attorno al Cavaliere si erode lentamente ma continuativamente il consenso degli elettori (tutti i sondaggi ormai lo dimostrano), si rinforza invece la maggioranza parlamentare, con nuove acquisizioni dovute anche al caos dentro Futuro e Libertà.

Questa, dicono al Pdl, è adesso la priorità assoluta di Berlusconi, che anche martedì pomeriggio - appena tornato a Roma da Catania- ha alternato gli incontri con gli avvocati (Ghedini in testa) a quelli con i parlamentari che stanno lavorando per «allargare il centrodestra». L'obiettivo dichiarato è quota 330 deputati, finora la maggioranza è ferma a 315. Difficile da raggiungere, ma al premier basterebbero cinque o sei voti in più per poter sollevare il «conflitto di attribuzione» e quindi usare la Camera come arma per fermare i giudici di Milano. Anche Bossi, nonostante tutto, ha garantito il suo appoggio a questa strategia: l'allargamento della maggioranza a lui verrebbe utile perché gli consentirebbe di far avanzare le norme sul federalismo che dovrebbero essere approvate nei prossimi mesi e che al momento si sono inceppate.

Insomma, scontro a tutto campo. Perché intanto i processi vanno avanti. I processi, al plurale: il 28 febbraio riparte quello Mediaset (B. imputato di frode fiscale); il 5 marzo Mediatrade (B. indagato per appropriazione indebita); l'11 marzo Mills (B. imputato di corruzione). Un crescendo in vista del 6 aprile, quando Berlusconi sarà chiamato a rispondere di prostituzione minorile e concussione.

Un dibattimento, quest'ultimo, che dopo il rinvio a giudizio si presenta difficilissimo per l'imputato, se ci si arriverà: perchè dagli atti del tribunale è emerso che Ruby aveva rivelato a Berlusconi di essere minorenne già nel marzo del 2010, dopo diverse notti trascorse insieme, quando lui le voleva intestare una casa all'Olgettina e per il contratto era necessario sapere l'età vera della ragazza.

Fu in quel momento, rivelano Colaprico e D'Avanzo su "Repubblica", che Berlusconi si inventò la storia della «nipote di Mubarak», per poter giustificare i soldi di cui la minorenne avrebbe disposto. Ma dopo aver saputo la vera età di Ruby, il premier l'ha "rivista" in molte altre occasioni, nella piena coscienza pertanto di avere un rapporto con una minorenne. Di qui le telefonate in questura per farla liberare, il 28 maggio, nel timore che la sua relazione con una diciassettenne venisse rese pubblica. Una toppa peggio del buco, perché nel fare pressioni ai poliziotti utilizzando la storiella di Mubarak, è scattata anche la concussione.

E ora a Berlusconi non resta più alcuna verosimile arma di difesa, se non quei 320 parlamentari arroccati a difenderlo contro ogni evidenza.



Il Quirinale da solo non basta. - di Lorenza Carlassare.



Un governo “provvisorio” per affrontare questioni improrogabili (la legge elettorale innanzitutto) è solo in astratto la soluzione per uscire da una situazione disastrosa.

I normali rimedi previsti nelle democrazie costituzionali non riescono infatti a funzionare nella realtà politicamente e moralmente degradata che stiamo vivendo.

I rimedi per uscire dalle crisi prevedono due passaggi, il primo nelle mani delle Camere, il secondo del presidente della Repubblica: se il governo non è in grado di funzionare, un voto di sfiducia lo costringe alle dimissioni aprendo la strada alla formazione di un governo nuovo da parte del presidente.

Questo cammino è oggi impedito da una squallida farsa: una maggioranza inesistente, ‘acquistando’ una manciata di voti di parlamentari ‘responsabili’, impedisce l’approvazione della sfiducia, bloccando una situazione insostenibile. Non ci sono i numeri per sfiduciare il governo, né per consentirgli un’azione politica efficace. I meccanismi costituzionali risultano inservibili perché il gioco è condotto con dadi truccati. Se il primo passaggio si rivela impossibile, ogni uscita è inesorabilmente preclusa?

QUI S’INSERISCE l’altro lato della vicenda, forse il più fosco, che ne rende insostenibile il perdurare. Non è soltanto in causa una maggioranza sfaldata e insufficiente: l’insufficienza è anche morale, vorrei dire ‘civile’, e rende incompatibile la persona di Berlusconi con la carica istituzionale ricoperta. Ma il presidente del Consiglio rifiuta di dimettersi; anche quest’uscita, scontata in qualsiasi democrazia normale, di fatto è preclusa. È guardando ad entrambi i fatti e alla loro ‘peculiarità’ che va valutato, in concreto, il ricorso all’estrema soluzione: lo scioglimento anticipato delle Camere. È la via indicata da Eugenio Scalfari nell’editoriale di domenica scorsa; ma, gli si obietta,il decreto di scioglimento deve essere controfirmato dal presidente del Consiglio. Come se ne esce? La Costituzione si limita a dire che il presidente della Repubblica può sciogliere le Camere “sentiti i loro presidenti” (art. 88).

Nessuna difficoltà, sembrerebbe. La norma però va letta nel quadro del sistema parlamentare e del generale principio dell’art. 89 “Nessun atto del presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti che ne assumono la responsabilità”. La controfirma ha un valore puramente formale, o il governo può rifiutarla? La risposta non è del tutto sicura. La controfirma assume “un diverso valore a seconda del tipo di atto” ammette anche la Cortecostituzionale seguendo l’opinione dei giuristi (sent. 200/2006 sul potere di grazia). Ad essa va “attribuito un carattere sostanziale quando l’atto sottoposto alla firma del capo dello Stato sia di tipo governativo e, dunque, espressione delle potestà che sono proprie dell’esecutivo, mentre a essa deve essere riconosciuto valore soltanto formale quando l’atto sia espressione di poteri propri del presidente della Repubblica, quali – ad esempio – quelli di inviare messaggi alle Camere, di nomina di senatori a vita o dei giudici costituzionali. A tali atti deve essere equiparato quello di concessione della grazia”.

Negli atti ‘presidenziali’, dunque, la decisione finale è assunta dal capo dello Stato, la controfirma è dovuta. Lo scioglimento delle Camere è fra questi? Alcuni costituzionalisti, soprattutto in passato, ritenevano di sì; per altri invece rientrerebbe in un terzo tipo (‘atto complesso’) che richiede l’accordo di entrambi.

Mi è sempre parsa preferibile questa posizione:inammissibile affidare al solo presidente, organo politicamente irresponsabile, una decisione intensamente politica, legata a valutazioni contingenti, non giudicabile con parametri oggettivi. La mia convinzione si è rafforzata dopo la presidenza di Cossiga le cui decisioni, legate agli umori del momento, provocarono numerosi appelli di costituzionalisti preoccupati per l’equilibrio costituzionale.

HO SEMPRE ritenuto che anche la maggioranza, qualsiasi maggioranza, vada tutelata, e dunque il governo, che della maggioranza è espressione, debba aver voce in una decisione grave che può metterne in gioco la sorte, e che pertanto la controfirma al decreto di scioglimento abbia valore ‘sostanziale’. Le interpretazioni diverse dell’art. 88 portano a differenti esiti: se lo scioglimento è ‘atto presidenziale’ l’eventuale rifiuto di controfirma autorizzerebbe il presidente a ricorrere alla Corte costituzionale, la quale, purché sussistano ragioni valide, darebbe ragione al primo. Con la teoria dell’atto complesso, invece, il rifiuto governativo – accertata la validità delle ‘motivazioni’ del rifiuto – dovrebbe essere considerato legittimo. La situazione concreta ha comunque un ruolo decisivo, e certamente le tipologie della dottrina non vanno intese in un modo rigido , incompatibile con l’elasticità dei rapporti costituzionali che sono pur sempre rapporti politici. Anche chi accede all’idea del necessario accordo fra i due, sposta comunque l’accento sul potere del capo dello Stato (ad esempio Paladin). Ed è sicuro per tutti che se è il presidente ad opporsi, lo scioglimento non si può fare. Nelle attuali circostanze s’innestano peculiarità tali da spostare i termini del discorso? Non siamo in una situazione ‘normale’ dove la decisione di sciogliere si basa su considerazioni soltanto ‘politiche’ e perciò non può essere lasciata al solo capo dello Stato.

Urgenze diverse s’incrociano. A un blocco che non trova uscita nelle vie costituzionalmente previste si aggiunge l’esigenza di ridare alle istituzioni la dignità perduta e di porre fine a contrasti indecorosi al limite della crisi. Quella del capo dello Stato non sarebbe una valutazione soltanto ‘politica’.

Due gravi motivi, oggettivamente rilevabili, la sosterrebbero:

rimettere in moto le istituzioni inceppate è fra i suoi compiti istituzionali (il governo con la sua maggioranza risicata non ‘governa’ e i rimedi costituzionali sono inutilizzabili);

chiudere un’inedita situazione di degrado e lotta fra ‘poteri’ mai prima verificata.

I dubbi, di certo, non mancano: ma è necessario, almeno, rifletterci.

Copiato da:

http://ilgiornalieri.blogspot.com/2011/02/il-quirinale-da-solo-non-basta.html