domenica 20 febbraio 2011

Il pagliaccio devoto. di Alessandro Gilioli.



Questa volta, Berlusconi non potrà dire che i dispacci di Wikileaks vengono da «funzionari di terzo grado». Infatti è l’ambasciatore Ronald Spogli, spedito a Roma da Bush nel 2005, che nel febbraio del 2009 fa il bilancio dei suoi quattro anni a Roma, spedendo una lettera di consigli al nuovo ministro degli esteri, Hillary Clinton.

Ne ha viste parecchie, Spogli: è arrivato con Berlusconi premier, ha vissuto i due anni di Prodi e mentre sta per lasciare l’Italia c’è di nuovo il Cavaliere a Palazzo Chigi. Quindi alla Clinton spiega che cosa bisogna fare secondo lui per trarre il massimo vantaggio, dal punto di vista americano, dalle relazioni con Roma, anche se – inevitabilmente – poi scivola in analisi sulla politica nel nostro Paese.

Ne viene fuori un quadro impressionante. Non solo e non tanto per la scarsissima considerazione con cui gli Usa guardano a Berlusconi, quanto per il patto che ne esce: gli Stati Uniti sosterranno quello che per loro è un politico impresentabile solo perché è completamente prono ai loro interessi.


Secondo gli Usa, infatti, non siamo un Paese irrilevante: «L’Italia è la sede del più completo arsenale militare di cui noi disponiamo al di fuori del territorio degli Stati Uniti», scrive l’ambasciatore «e rappresenta una piattaforma geostrategica unica in Europa che consente di raggiungere facilmente zone a rischio in tutto il Medio Oriente, l’Africa e l’Europa».

Insomma, un po’ come negli Anni ‘50, per gli americani siamo una gigantesca portaerei in mezzo al Mediterraneo. E «considerati i compiti strategici che si profilano in futuro e le richieste che faremo a breve, su questioni che vanno dall’Aghanistan alla chiusura di Guantanamo, varrebbe la pena di fare un piccolo investimento iniziale per spianarci la strada».

L’investimento, come vedremo, è l’appoggio di Washington a Berlusconi, in cambio del quale l’amministrazione americana otterrà tutto quello che vuole.

Peccato che, agli occhi dell’ambasciatore, il nostro Paese stia andando in malora: «Il declino economico è lento ma sostanziale», mentre «la classe dirigente dimostra spesso di non avere una visione strategica» ed è evidente la «mancanza di volontà e l’incapacità dei leader italiani di affrontare i problemi strutturali» come «la decadenza delle infrastrutture, il debito pubblico che aumenta, la corruzione endemica», tutte cose che «danno l’impressione di un governo inefficiente e debole».

Poi arriva la mazzata: «Il primo ministro Silvio Berlusconi è involontariamente diventato il simbolo di questo processo. Le sue continue gaffe e la sua povertà di linguaggio hanno più di una volta offeso gran parte del popolo italiano e molti leader europei. La sua chiara volontà di anteporre i propri interessi personali a quelli dello Stato, il suo privilegiare le soluzioni a breve termine a discapito di investimenti lungimiranti, il suo frequente utilizzo delle istituzioni e delle risorse pubbliche per ottenere benefici elettorali sui suoi avversari politici hanno danneggiato l’immagine dell’Italia in Europa, creato una reputazione disgraziatamente comica alla reputazione dell’italia in molti settori del governo statunitense».

Ma non è ancora finita. Perché Spogli subito dopo deride la politica estera del Cavaliere, tutta apparenza e niente sostanza: «L’Italia ha cercato di compensare la mancata allocazione di risorse proponendosi come grande mediatore mondiale, un ruolo autoconferitosi che i politici (e in particolare Silvio Berlusconi) credono dia grande visibilità e virtualmente nessun costo. Senza alcun tipo di coordinamento esterno, i leader italiani hanno cercato di mediare nei rapporto dell’Occidente con la Russia, nell’impegno verso Hamas e Hizballah, nello stabilere nuovi canali di negoziazione con l’Iran ed espandendo l’agenda e il mandato del G8».

E va beh.

Ma di questo Paese, appunto, l’America ha bisogno. E l’ambasciatore lo dice chiaramente: «La combinazione tra declino economico e idiosincrasie politiche ha spinto molti leader europei a denigrare i contributi italiani e di Berlusconi. Noi non dobbiamo farlo. Dobbiamo riconoscere che un impegno di lunga durata con l’Italia e i suoi leader ci procurerà importanti dividendi strategici, ora e in futuro», ad esempio «per l’insediamento dei detenuti di Guantanamo e per un più ampio e approfondito impegno in Afghanistan».

Detta fuori dal linguaggio dei diplomatici: agli altri capi di Stato e di governo occidentali, Berlusconi sta talmente sulla balle («idiosincrasie») che non vogliono più averci niente a che fare. A noi invece è utile, quindi ci turiamo il naso.

Del resto era stato lo stesso Spogli, pochi mesi prima, a compiacersi per la «schiacciante vittoria elettorale di Berlusconi», la cui «forza e la popolarità stride brutalmente con i due anni di divisioni interne che hanno caratterizzato il governo Prodi».

E nel febbraio 2009 spiega perché agli Usa conviene sostenere il Cavaliere: «Benché Berlusconi non sia sintonizzato con i nostri ritmi politici quanto ritiene di essere, è genuinamente e profondamente devoto al rapporto con gli Usa. Il suo ritorno in politica la scorsa primavera ha portato un tangibile e pressoché immediato miglioramento nella nostra capacità di conseguire risultati da un punto di vista operativo».

Quindi: «Sono convinto che, nella misura in cui lei e i suoi più stretti collaboratori resterete in contatto e vi coordinerete con i leader italiani, avremo risultati soddisfacenti. Allo stesso modo, se troveremo il modo di includere l’Italia nel gruppo di nazioni con cui lavoriamo a più stretto contatto sui temi chiave – come il Medio Oriente, l’Iran e l’Afghanistan – lei e il presidente troverete moltissimi modi per incanalare il grande potenziale italiano in supporto agli obiettivi strategici statunitensi».

Ricapitolando: l’America ci considera un paese allo sbando e governato da un pagliaccio, ma il pagliaccio è devoto, molto più ubbidiente di chi l’ha preceduto. E siccome l’Italia sta in mezzo al Mediterraneo e ha carne fresca da mandare a combattere, agli americani sta bene così.

Buona giornata.



Cecità.

Siamo diventati ciechi, non vediamo più in la del nostro naso da tempo immemorabile.
Ci siamo estraniati dal mondo circostante, abbiamo fatto si che altri decidessero per noi ed il risultato è che ora ci troviamo in una situazione imbarazzante, un circolo vizioso dal quale non sappiamo come uscire.

Tutto sembra immobile, siamo in una specie di limbo sospeso tra cielo e terra, in attesa che succeda, finalmente qualcosa, di buono o di brutto che sia non ha importanza, purché avvenga un qualcosa che cambi questa fase di stasi.

Siamo diventati zombi, riceviamo input continui che dovrebbero farci saltare su tutte le furie, ma restiamo immobili, supinamente, aspettando la scintilla che non arriva.

Siamo cagnolini, gli "Adam resurrection" dell'olocausto, resi impotenti dalla politica corrotta.

Abbiamo permesso, con la nostra disattenzione e cecità, che ci togliessero tutti i diritti e ci riservassero solo doveri.

Ora abbiamo paura di aprire gli occhi, lo spettacolo che vedremmo sarebbe la conferma della nostra sconfitta: abbiamo riposto troppa fiducia in persone che non la meritavano.

sabato 19 febbraio 2011

Lo scempio delle regole.


Stiamo assistendo allo scempio delle regole, quelle stesse regole che i Padri Fondatori sancirono, scrivendo la Costituzione, per porre le basi della "democrazia".

Siamo spettatori, ormai inermi, privati di ogni diritto, compreso quello del voto, di scandali che si perpetrano giornalmente ad opera di coloro i quali dovrebbero, invece, difendere i nostri diritti e la nostra libertà.

Quella che stiamo vivendo è dittatura!

Quando un cittadino ha solo doveri e nessun diritto, non c'è democrazia, c'è dittatura!

Nessuno ci chiede se siamo d'accordo sull'uso termovalorizzatori, delle centrali nucleari, sulla privatizzazione dell'acqua, ci obbligano a subire passivamente la loro volontà.

E quando c'è l'obbligo e si nega la protesta, non c'è democrazia, c'è dittatura!

L'anomalia Italia.


Chi ha voluto l'Unità d'Italia?
Non certo noi del sud, che l'abbiamo subita, l'hanno voluta quelli del nord, per appropriarsi delle ricchezze del sud e per spalmarci il loro debito.

E questa è storia!

Ma la storia è cUltura, e la cUltura mal si addice alla Lega nord che si ciba di cOltura e pascolo!

A proposito di pascolo, quanto ci costeranno "ancora una volta" le loro "quote latte"?

E quanti fondi FAS verranno sottratti, ancora una volta, al sud per agevolare il nord?

Bossi è un ministro anticostituzionale, è l'anomalia Italia, il suo partito è l'orticello nel quale razzola a piene mani con il beneplacito interessato del capo del governo, altra anomalia del sistema Italia!

Si reggono a vicenda, lo zoppo e la stampella!


La deriva italiana.


Chi non vuole l'Unità d'Italia non è degno di vivere in Italia.

E' anticostituzionale un partito che vuole dividere la nazione - ad onta di chi è morto per unificarla - e dichiara apertamente che non ha alcun rispetto per il simbolo che la rappresenta.

Ed è demoralizzante e ignobile per gli italiani dover subire i diktat perpetrati dalla Lega nord, fondata da un essere ignorate che ha basato la sua vita sulla menzogna e che si è inventato un escamotage per guadagnare tanto senza far nulla.

E' inconcepibile ciò che accade qui in Italia, ed è inaccettabile che nessuno prenda seri provvedimenti per eliminare questa anomalia.

Come è inconcepibile che a capo del governo vi sia uno degli uomini più ricchi del paese e che possiede la maggior parte dei mezzi di informazione.

La nostra deriva trae origine da queste anomalie: dobbiamo eliminarle se vogliamo crescere culturalmete ed economicamente.

venerdì 18 febbraio 2011

"Il 6 aprile Berlusconi vada dai giudici, non a L'Aquila"



Così Stefania Pezzopane, l'ex presidente della provincia del capoluogo abruzzese, interviene sul processo che vede il premier imputato per concussione e prostituzione minorile. La data della prima udienza coincide infatti con l'anniversario del terremoto.


6 aprile 2011. Sarà il “giorno del giudizio” per il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Il giorno in cui inizierà il processo con rito immediato che lo vede imputato per concussione e prostituzione minorile. Il premier non si sente “per niente preoccupato”. Certo è che la bufera giudiziaria che lo vede protagonista si è trasformata in un terremoto politico che ha avuto una vasta eco internazionale. E il 6 aprile il caso Ruby, dopo mesi di indiscrezioni, di intercettazioni, di presunti fatti e accuse, si sposterà definitivamente dai giornali e dal dibattito politico al Tribunale di Milano. Una data simbolica per l’Italia, che evoca immediatamente la più grande tragedia vissuta negli ultimi anni: il terremoto in Abruzzo. Una coincidenza che non è sfuggita a Stefania Pezzopane, ex presidente della provincia de L'Aquila e ora assessore nella giunta comunale. "Il 6 aprile Berlusconi non venga da noi, vada dai giudici" ha detto intervenendo alla conferenza nazionale delle donne del Pd.

L’Abruzzo è stato in un primo momento motivo di orgoglio per il governo per il modo in cui è riuscito ad affrontare l’emergenza. Ma la scia di polemiche e di inchieste collegate al sisma hanno fatto successivamente scricchiolare l’esecutivo.
Era esattamente il 6 aprile del 2009 quando, alle 3.32, una scossa di magnitudo 5.8 distruggeva il capoluogo abruzzese e molti paesi della provincia, causando 308 le vittime. L’Italia si stringeva intorno all’Abruzzo. L’esecutivo, con al fianco una Protezione civile sempre presente, gestì la situazione in modo impeccabile. La macchina dei soccorsi non vacillò. Le tendopoli allestite in tempi record, i fondi stanziati, gli alberghi della costa messi a disposizione gratuitamente. Lo Stato c’era. Poi, però, qualcosa cambiò. E con il passare dei mesi l’Abruzzo diventò un’ombra sull’immagine del governo. Un’ombra fatta di polemiche e di inchieste.

Ed ecco “il popolo delle carriole”, le proteste contro “i mancati lavori” fino alla “marcia su Roma”. Le scene degli scontri tra le forze di polizia e i terremotati, scesi in piazza per chiedere al governo la sospensione delle tasse e misure a sostegno dell’economia, raccontano di una frattura creatasi nel tempo tra l’esecutivo e gli abruzzesi. L’inchiesta G8, che ha coinvolto in prima persona lo stesso ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso, e quell’intercettazione contenuta nelle carte dell’indagine, in cui “alcuni imprenditori ridevano del sisma” pensando a come speculare sugli appalti, non hanno fatto che aggravare il quadro.



Il silenzio dei colpevoli. - di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo.



Le gravi omissioni di Nicola Mancino e Giovanni Conso sul biennio stragista '92/'93.


Nell'aula bunker di Firenze il senatore Nicola Mancino è tornato ad affrontare la questione della revoca del 41 bis per 140 detenuti decisa inspiegabilmente nel novembre del '93 dall'allora ministro di Grazia e Giustizia, Giovanni Conso.


Mancino ha affermato di non averne mai parlato con il suo collega di via Arenula, smentendo di fatto le precedenti dichiarazioni dell'ex Guardasigilli già di per sé lacunose e gravemente omertose. Le deposizioni dell'ex ministro dell'Interno hanno acuito un senso di rabbia e disgusto nei confronti di questi uomini delle istituzioni. Uomini che avevano e che hanno il dovere di essere al servizio del nostro Paese e che invece, barricandosi dietro palesi omissioni o evidenti contraddizioni, rischiano di macchiarsi del reato più infamante per un servitore dello Stato: alto tradimento.
Cosa si cela dietro ai tanti “non ricordo”, ai troppi “non so” di questi smemorati di Stato?
Non è più tollerabile sentir dire da un ex ministro della giustizia che “al momento non siamo in grado di dire nulla di sicurissimo, ma col tempo pezzi di verità verranno tirati fuori”.
Ma da chi dobbiamo aspettare che vengano fuori questi “pezzi di verità”?
Da altri uomini delle istituzioni che per codardia bussano alle procure per fornire solamente una parte di quello che sanno, prima di essere chiamati in causa da mafiosi o da collaboratori di giustizia?
Non è più ammissibile che nelle aule di giustizia rimbombino questi silenzi colpevoli!
Il silenzio di chi sa ma non parla ci induce al sospetto che entrambi tacciano per coprire uno Stato che, con la sua grave incompetenza, noncuranza e finanche complicità, porta su di sé il peso della corresponsabilità nelle stragi del '92 e del '93.
Come potevano sapere all'epoca Mancino e Conso dell'esistenza di due schieramenti di Cosa Nostra? Chi li aveva informati della fazione “terroristica” legata a Riina e di quella più “politica” capitanata da Provenzano? Solamente chi stava “trattando” ne era a conoscenza e lo avrebbe comunicato ad entrambe le personalità istituzionali.
Se così fosse i due eminenti ex ministri dovrebbero finire sotto inchiesta per falsa testimonianza, con l'aggravante di aver favorito la trattativa tra Cosa Nostra e lo Stato. A prescindere che entrambi lo abbiano potuto fare inconsapevolmente, o consapevolmente.
Mai più ruoli istituzionali a uomini come Nicola Mancino o Giovanni Conso!
Mai più ruoli istituzionali a chi ha pensato solo ai propri interessi e non al bene comune, a chi afferma di non aver affrontato questioni di rilevanza fondamentale “per rispetto dell'autonomia del ministro” quando c'era un Paese a ferro e fuoco.
Nessuna attenuante a chi ha negato e continua a negare di aver incontrato Paolo Borsellino il 1° luglio al Viminale nonostante l'evidenza di un'agenda, non sottratta da altri uomini fedeli ad un Giano Bifronte, ma solo il biasimo unito al disprezzo generale per il loro contributo nel continuare ad occultare la verità.
La richiesta di giustizia di tutti i familiari delle vittime della violenza politico-mafiosa peserà su di loro e su tutti gli altri “smemorati” come un macigno dal quale si potranno liberare solamente rompendo una volta per tutte quel silenzio colpevole.